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Il cerchio del tempo
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Il cerchio del tempo

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Una lotta tra il bene ed il male a cavallo tra epoche diverse , che vede come protagonisti anche i personaggi immaginari di un romanzo di fantascienza... macchine foto-trasportatrici, macchine del tempo e viaggi spaziali-temporali con il corpo astrale... e l'incontro di due anime gemelle per salvare i due mondi paralleli.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788868851699
Il cerchio del tempo

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    Il cerchio del tempo - Angelo Bruno De Lucia

    IL CERCHIO

    DEL TEMPO

    Dedico questi libri a mio padre, lettore di fantascienza, e all’unica realtà esistente, quella personale.

    Prefazione

    Maja, il termine indiano che significa illusione ci ricorda che tutta la cosiddetta realtà non è altro che un sogno, un susseguirsi ben progettato d’illusioni. E’ difficile accettare questa definizione nella quotidianità, ma a ben pensarci è oltremodo difficile sostenere, con la sicurezza che siamo soliti ostentare, che il mondo di tutti i giorni sia più reale dell’ immaginario.

    Secondo questa filosofia, tutto ciò che esiste oggettivamente esiste soltanto perché gli esseri umani lo concretizzano e lo mantengono semplicemente pensandolo.

    Se laggiù c’è una montagna, è perché anticamente qualcuno l’ha pensata e di seguito altri l’hanno mantenuta in essere con la loro consapevolezza collettiva della sua esistenza.

    La sua immagine, la sua struttura, è mantenuta nel tempo, attimo dopo attimo, dal pensiero collettivo; il pensiero si solidifica in materia.

    Soltanto una proiezione sensoriale molto realistica; un ologramma che coinvolge tutti i sensi, una rappresentazione scenografica perfetta nella quale siamo convinti di muoverci.

    Il nostro stesso corpo è un ologramma che ci siamo creato noi stessi, immaginandolo nell'al di là, prima di venire al mondo.

    La realtà oggettiva è un ologramma molto credibile, una pura forma pensiero collettiva, ma è più reale la realtà oggettiva o il pensiero che l’ha generata?

    Il pensiero è reale, il pensiero è pura energia creativa, e si pensa per immagini.

    Qualunque immagine pensata in modo sufficientemente deciso e con convinzione può manifestarsi sotto forma di materia.

    CAP. 1

    JOHN LARSEN

    Miglior inizio non poteva essere… Un’altra stupenda avventura.

    Di fronte a lui una distesa di sabbia biancastra fino all’orizzonte, a destra palme da frutto con larghe foglie tropicali e a sinistra le acque spumeggianti di un mare quasi viola, luccicante sotto il piccolo sole dardeggiante, non ancora alto nel cielo.

    Luis era appena arrivato con la Memolocat e se ne stava seduto su quella spiaggia incantevole di sabbia finissima, che il sole mattutino cominciava a riscaldare.

    Dedusse che dovevano essere all’incirca le dieci, a giudicare dall'altezza del sole.

    Non c’erano nuvole in cielo, e una brezza delicata carezzava la sua pelle nuda: era incredibilmente abbronzato, considerando che prima della partenza era rimasto solo due ore sotto la lampada a ultravioletti; un miracolo tecnologico, ma mai paragonabile a quello del fototrasporto. Non poteva comprendere come un corpo potesse vaporizzare in miliardi di cellule e poi reintegrarsi com'era prima. Eppure avveniva sempre così.

    Il suo costume da bagno blu e giallo, per esempio, era esattamente lo stesso che aveva indossato prima della partenza, e anche tutto il resto, naturalmente. Una cosa davvero straordinaria. Il procedimento del fototrasporto, inizialmente era in grado di trasferire solo oggetti inanimati, poi, dopo una decina di anni, si trovò il modo di modificarlo in modo da poter agire anche sulle cellule viventi, e questo fu il secondo miracolo.

    In seguito quella tecnologia divenne di fatto il nuovo mezzo di trasporto dell'essere umano.

    Si sdraiò e affondò le mani nella sabbia, godendo del suo calore, poi chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, gustando appieno i primi istanti di quell'avventura. Non era solo una vacanza, naturalmente, ma per qualche giorno lo sarebbe stata.

    Frugò nella memoria per cercare di ricordare in che modo fosse nato il fototrasporto. Non ne sapeva molto, tutto sommato, né gli interessava più di tanto; ricordava solo che una delle tante ditte di piccoli trasporti di Los Angeles, la Marcus Transports, un giorno aveva cambiato denominazione diventando la Nuova Memolocat Corporation, e che proprio in quel periodo lui aveva conosciuto uno dei nuovi autisti che vi lavoravano.

    L'autista, Billy Hartner, era venuto a stare da poco nel suo quartiere, e sovente s’incontravano al vialetto alberato che costeggiava il fiume, durante la mezz'oretta quotidiana di jogging.

    Una volta Billy gli aveva confidato che all'interno della ditta esisteva un laboratorio speciale dove lavorava un amico del titolare, un tipo dall’aria stravagante, che arriva tutte le mattine con la sua ventiquattr'ore di pelle nera, e che nessuno sapeva che ruolo avesse nella ditta.

    Qualche tempo dopo, Billy l'aveva informato con aria affranta, di aver perso il proprio posto di lavoro; la Nuova Memolocat Corporation aveva licenziato tutti gli autisti e si era trasferita in un capannone molto più grande del precedente, cominciando ad assumere altro personale, forse degli elettrotecnici.

    Luis si girò bocconi sulla sabbia, il cui calore era ora al limite della sopportabilità.

    Il sole continuava ad alzarsi in cielo e si faceva sempre più cocente. Da lì a poco si sarebbe dovuto spostare all’ombra; non era mai stato troppo tollerante del sole diretto.

    Udì il canto melodioso di un uccello, almeno gli sembrò un uccello.

    Che posto meraviglioso!, pensò, respirando il dolce profumo proveniente dalla foresta. Una vacanza ideale per lui, ed in seguito, forse, per altre migliaia di turisti. Ripensò al suo conoscente camionista; di lui aveva perso ogni traccia e non l’aveva mai più rivisto. Probabilmente dopo essere stato licenziato dall'impresa di trasporti, aveva anche dovuto cambiare casa.

    La società Memolocat aveva compiuto in poco tempo un’incredibile trasformazione e quasi subito tutti i giornali e le televisioni degli Stati Uniti avevano diffuso la più fenomenale notizia della storia: era stata inventata una macchina che avrebbe cambiato per sempre la vita dell’intero pianeta. Si trattava di un'invenzione di straordinaria importanza, paragonabile soltanto alla scoperta del fuoco o della ruota.

    La piccola ditta di periferia era diventata la più famosa società per azioni del mondo, grazie al geniale cervello di quell’anonimo ragazzo con la ventiquattr'ore nera, che in breve era balzato in vetta alle cronache di tutto il mondo.

    John Larsen, questo era il suo nome, fin da piccolo aveva stupito tutti, non tanto per il suo coefficiente intellettivo pari a cento ottanta, ma soprattutto per la sua acutezza intuitiva che una volta la gente avrebbe definito paranormale, ma che ora cominciava ad essere abbastanza diffusa tra le nuove generazioni.

    Larsen si era laureato a soli quattordici anni in elettronica applicata, presso il campus di Los Angeles, e a sedici anni in fisica, all’University of California nella città di Berkeley. Molti lo considerarono un valido rappresentante di quei bambini indaco di cui tanto si parlava in ambito esoterico, fin dagl’inizi del terzo millennio.

    Si raccontava che ad otto anni avesse costruito per gioco un piccolo generatore magnetico a forma di cilindro cavo, e che al suo interno fosse riuscito a tenervi in sospensione antigravitazionale uno scarabeo.

    Dopo la laurea in fisica s’iscrisse all’istituto di ricerca di Berkeley, il Lawrence Radiation Laboratory, e dopo tre anni di studio e di ricerche, aveva cominciato a sperimentare la possibilità d’interagire sulle frequenze elettromagnetiche della materia solida. Questa era la base di ciò che in seguito lui stesso battezzò Fototrasporto, che avrebbe sconvolto completamente il mondo dei trasporti terrestri, marittimi ed aerei. Dovette usare tutta la sua intelligenza e il suo formidabile istinto per riuscire a commercializzare e a diffondere la sua invenzione senza essere ostacolato dal potere politico-commerciale dominante, che ne sarebbe stato duramente danneggiato.

    Grazie all’aiuto del suo amico Marcus Laramy, che gestiva l’impresa di trasporti su strada, John Larsen aveva potuto continuare segretamente a portare avanti le sue ricerche negli scantinati della ditta di trasporti, sperimentando la tecnologia alla quale aveva già iniziato a lavorare nel Lawrence Laboratory di Berkeley.

    Poi cominciò ad avere la sensazione di essere spiato, e questo lo convinse che il tempo di sparire era arrivato.

    Una sera chiamò al telefono il suo amico Marcus e si diedero appuntamento per discutere quale fosse la strategia migliore per riuscire a condurre gli esperimenti in modo indisturbato e sicuro.

    Marcus mise a disposizione i locali della sua ditta e le attrezzature necessarie, non del tutto disinteressatamente. Anch'egli avrebbe avuto il suo tornaconto personale.

    Così Larsen si era trasferito nel capannone sopra gli scantinati ed aveva subito ripreso gli esperimenti. Aveva verificato la capacità della sua macchina direttamente su di un container pieno di merce, e l’esperimento era riuscito al primo tentativo; il container era scomparso per riapparire perfettamente integro a Peoria nell’Illinois, a quasi tremila chilometri di distanza.

    Era stato sufficiente collegare l’impianto di fototrasporto ad un computer connesso via Internet ad un altro terminale nella ditta di Peoria, al quale precedentemente era stata collegata una piattaforma ricevente.

    La notizia aveva fatto rapidamente il giro del mondo, ed in breve moltissime ditte s’erano attrezzate con piattaforme trasmittenti o riceventi (o entrambe).

    In sostanza Larsen era riuscito ad andare oltre la disintegrazione della materia.

    La sua macchina scannerizzava forma e disposizione molecolare del materiale da trasferire, poi ne inviava i dati al computer, che provvedeva a trasferirli via internet, ad un altro terminale in qualsiasi parte del mondo.

    La seconda fase consisteva nel disgregare fisicamente il materiale, inducendo le molecole, grazie ad un potente campo magnetico, a scorrere all’interno di un raggio cavo di fotoni, che sarebbe stato proiettato verso un satellite in orbita.

    Il raggio, riflesso dal satellite verso l’attrezzatura ricevente, veniva separato dal suo contenuto molecolare concentrato allo stato di plasma, all'interno di un altro campo magnetico di grandi proporzioni.

    Infine il computer ricevente, sulla base dei dati ricevuti, riassemblava schema dopo schema, tutto l’oggetto trasferito, comandando le variazioni magnetiche al campo di forza.

    Il grosso cilindro ferroso contenente il campo elettromagnetico inizialmente era stato costruito di dimensioni ridotte, ma in seguito era stato convenientemente ingrandito, tanto da poter trasferire oggetti grandi quanto un autotreno.

    Oggetti più grandi non potevano essere trasportati perché un cilindro elettromagnetico più grosso avrebbe assorbito quantità tanto elevate di energia elettrica da provocare dei black-out in tutta la città.

    Navi ed aerei si dovevano quindi trasferire smontati a pezzi, ed in seguito riassemblati.

    Si spostò dalla sua posizione ormai troppo assolata ed andò a sedersi su di un masso all'ombra di palme molto simili a banani, con grossi frutti giallastri raccolti in un grappolo sferico di mezzo metro di diametro. Quell’angolo di paradiso avrebbe potuto fornirgli tutto ciò di cui aveva bisogno, e la frutta fresca era senza dubbio meglio delle sue scorte liofilizzate.

    La sua scelta era stata azzeccata: soltanto una settimana prima aveva deciso di fare nuovamente una di quelle particolari avventure-lavoro tanto pubblicizzate dai grandi ologrammi della città. Una bella donna invitava ad affidarsi alla tecnologia ormai collaudata della Memolocat Turistica, una branca della società che in soli due anni era divenuta un colosso multinazionale.

    In genere le normali vacanze erano allettanti non solo perché si trattava di un viaggio spaziale istantaneo, ma anche per il costo, che ormai era sceso a livelli inferiori a quelli di una vacanza tradizionale terrestre, e per questo molte persone le preferivano. Era possibile scegliere tra decine di sistemi planetari semplicemente osservandoli attraverso le lenti del gigantesco telescopio della società turistica.

    Invece le avventure erano un lavoro vero e proprio, anche se la pubblicità le descriveva quasi come delle vacanze adatte ad uomini e donne avventurosi.

    Luis aveva scelto la costellazione del Granchio, e continuando ad ingrandire l’immagine aveva individuato una piccola stella gialla, con quattro pianeti che le giravano attorno.

    Il computer aveva calcolato la distanza della stella, la sua massa, ed il tipo di radiazione che emetteva, e da questi dati, sommati alle caratteristiche spettrografiche dei suoi pianeti, aveva determinato che il clima di quello più vicino ad essa era idoneo alla vita evoluta. Lo spettrografo indicava infatti, la presenza di una miscela gassosa respirabile di buona qualità, con umidità mediamente elevata.

    Il tecnico aveva informato Luis che la stella ed i suoi satelliti erano ancora senza nome, poiché nessuno li aveva ancora visitati.

    Gli fu chiesto di dare un nome alla stella ed al pianeta che aveva scelto, e lui, rispettando la consuetudine, li battezzò rispettivamente Luis I° e Luis II°.

    Luis aveva iniziato a far esperienza di questo genere di vacanze un paio d’anni prima, acquistando un Pacchetto Turistico per tutti. L’anno successivo aveva però deciso di provare le avventure del pacchetto Medium Jump.

    Era stato attratto dalla nuova pubblicità olografica che invitava uomini e donne coraggiosi a partecipare alla selezione indetta dalla Memolocat per arruolare ardimentosi idonei all’avventura estrema.

    I compensi in denaro rappresentavano un'altra attrattiva difficilmente ignorabile.

    Ora era lì, su Luis II°, al riparo dai cocenti raggi del sole. Avrebbe dovuto considerare quantomeno curiosa quella situazione; prendere il sole a molti anni-luce di distanza dal sole di casa, ma invece gli sembrava tutto normale, tranne il fatto che solo dieci minuti prima si trovava ancora sulla Terra...

    Si sentiva benissimo, senza il minimo disturbo dovuto al trasferimento, ed anzi, il suo stomaco reclamava cibo insistentemente. Raccolse alcuni frutti a forma di banana e dopo averne accertato la commestibilità passandoli all'analizzatore, se ne saziò con ingordigia; avevano un sapore tra il caramello e la pesca.

    Si voltò ad osservare l’orizzonte: il mare, riscaldato da Luis I°, cominciava a generare immense nuvole bianche; uno spettacolo che poteva sembrare piuttosto familiare se non fosse stato per la straordinaria velocità con cui le nubi si formavano e disfacevano continuamente.

    Dalla parte opposta al mare una distesa di piante verdeggianti ondeggiava con un fragore simile a quello marino, preannunciando l’arrivo di un temporale tropicale. Vaste formazioni di nubi grigie si formarono rapidamente dal nulla, e si addensarono sulla foresta.

    Luis pensò che sarebbe stato il caso di trovarsi un rifugio; non vedeva grotte nei paraggi, ma avrebbe potuto costruirsi abbastanza velocemente un riparo di fortuna utilizzando le larghe foglie dei banani...

    In quel tipo di viaggi si poteva trasportare qualsiasi genere di conforto, comprese le tende auto-montanti, (e del resto aveva a portata di mano un piccolo velivolo, ermetico, comodo e sicuro...), ma lui preferiva avere un approccio meno tecnologico in quell'ambiente, almeno finché gli fosse stato possibile: era sempre stato affascinato dall’avventura ed aveva sempre avuto un gran rispetto per la natura. Sapeva bene che l’Universo era paragonabile ad uno scrigno traboccante di gioielli, ma il consorzio umano doveva ancora imparare a rispettarlo, a cominciare dalla Terra.

    Cap. 2

    URBANO GOLEN

    Anno 1912. Canada

    Si dice ―Non è l'abito che fa il monaco― ma non è la realtà del nostro mondo! Dovrei senz'altro scegliere uno pseudonimo orecchiabile.

    Continuava a ripetersi, ma alla fine decise che il suo vero nome, Urbano Golen, fosse discretamente orecchiabile.

    Una buona carriera gli avrebbe portato successo, fama e ricchezza, ovvero tutto ciò che le persone d’ambizione cercano, ma lui non era così.

    La sua parte più intima rifiutava questo genere di mondanità e si rifugiava nell’idealismo del sognatore, lontano dalle cose del mondo.

    L’importante era pensare e scrivere cose belle, edificanti, positive, e creare mondi fantastici dove il grigiore della realtà quotidiana non poteva esistere.

    Suo padre era un semplice dipendente statale, un funzionario degli uffici erariali, ed aveva passato la sua vita in quelle grigie stanze. Poi era salito di grado, ma aveva sempre avuto la forza morale di rimanere entro i limiti di una rigorosa correttezza professionale, contrariamente a quanto avveniva comunemente in quegli ambienti. Egli era convinto che la grandezza di un uomo non si misurasse in base al suo titolo professionale, ma in base alle sue azioni. Otre a questi valori, suo padre gli aveva trasmesso il suo desiderio d'evasione congiunto ad un'inestinguibile sete d'avventura, e lui aveva concretizzato cominciando a scrivere romanzi.

    Urbano amava camminare negli stessi boschi che suo nonno aveva esplorato in passato, e talvolta prolungava le escursioni di giorni interi, ammaliato dalla natura selvaggia e incontaminata di quei posti.

    Durante uno di quei viaggi aveva trovato un rifugio ideale nel bosco fitto. Una casetta dove avrebbe potuto fermarsi a scrivere un libro in totale solitudine, lontano dalle distrazioni della civiltà.

    Era una capanna di cacciatori abbandonata da molto tempo, forse la stessa di cui gli aveva parlato suo nonno. Nella foresta era piuttosto raro imbattersi in un ricovero di quel genere, perché i cacciatori li avevano costruiti scegliendo sempre posti nascosti, lontani dalle vie di passaggio degli indiani.

    Dopo qualche tempo, all'inizio dell'estate, era tornato carico di viveri e di utensili, con l'intenzione di attuare il suo proposito; passare l'inverno in quel posto selvaggio per scrivere un libro.

    C'era molto da fare per risistemare la vecchia casa; sigillare le fessure tra i tronchi, isolare il sottotetto e l'interno delle pareti con fascine di paglia e fango, mettere i vetri alle finestre e rimettere in sesto i mobili.

    Era la tipica capanna fatta di tronchi incastrati in modo da formare i quattro spigoli portanti della struttura, e appoggiati su di un basso muro di pietre con fondamenta poco profonde; una superficie di cinquanta metri circa, coperta da un massiccio tetto con due spioventi che quasi toccavano terra.

    L’arredo era ridotto all’essenziale e lasciava molto a desiderare quanto a solidità, ma non era stato difficile riassettarlo con poco lavoro. Contro la parete a destra dell'ingresso c'era una credenza sgangherata ed una stufa di ghisa adatta anche a cucinare.

    Sopra la stufa si apriva una finestra, e la parete di fronte ospitava una vecchia conigliera di legno tarlato, tenuto insieme da una rete metallica.

    In fondo alla casa una scaletta a pioli portava al soppalco dov'era il letto, un modesto cassone riempito di paglia al quale Urbano aveva aggiunto un piumino d'oca, ed accanto ad esso una finestrella che dava luce ad un tavolino che poteva essere utilizzato come scrittoio.

    Urbano aveva subito apprezzato la praticità della casa ed in particolare il fatto che il letto ricevesse il calore della stufa sottostante.

    Nelle casette dei cacciatori gli spazi erano sempre molto contenuti, allo scopo di mantenere meglio il calore. Durante la bella stagione bisognava tagliare gli alberi, sbrancarli, segarli in pezzi e trasportarli fino a casa, dove andavano ulteriormente ridotti in pezzi adeguati alle dimensioni della stufa. Infine bisognava accatastarli sotto una tettoia; un lavoro pesante che conveniva diluire lungo i mesi della bella stagione, da maggio a settembre.

    L’inverno era particolarmente rigido oltre che lungo, ma il silenzio assoluto era l'ideale per scrivere e meditare, ed i suoni magici della foresta portavano sempre ispirazione.

    Al termine dell'estate aveva accumulato molti tronchi e li aveva convenientemente fatti a pezzi e ricoverati nella legnaia dietro casa. Le nevicate in quella parte del paese erano molto intense oltre che persistenti, e la neve avrebbe potuto superare facilmente i due metri d'altezza, per cui ritenne opportuno aprire un'altra porta sul retro della casa, in corrispondenza

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