Il matrimonio della cugina
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'Ma perché io?" esclama indispettita Sofia, all'invito inaspettato al matrimonio di una lontana cugina ,di cui non ricorda neanche l'esistenza.
Sebbene da piccola trascorresse ogni estate al paese natio della sua mamma, vezzeggiata da uno stuolo di parenti, a causa di una brutta lite familiare, non ci è più tornata e ha dimenticato persone e luoghi.
Comprendendo però che i suoi genitori reputino il matrimonio un momento di riappacificazione, controvoglia decide di fare il lungo viaggio verso il sud.
Si ritrova catapultata in un'atmosfera dove ricordi, sensazioni ed emozioni si mescolano, dove visi di adulti le ricordano lontani bambini sorridenti, e scoprirà, seppellita in fondo al suo cuore, una persona speciale che le è sempre appartenuta.
Lucio torna prepotentemente dai suoi ricordi per donarle l'amore che ha sempre aspettato.
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Book preview
Il matrimonio della cugina - Therry Romano
-
1
«Ma io non ci voglio andare!»
Con tono tagliente avevo ribadito quale fosse la mia posizione.
«E la buona educazione?» aveva ribattuto mia mamma con aria scandalizzata, alzando il sopracciglio e stringendo le labbra in segno di disapprovazione
Ma io stavolta non avrei ceduto. Assolutamente no!
Non avevo alcuna intenzione di calmare i suoi sensi di colpa, trattenendo i rimbrotti e facendo buon viso a cattivo gioco.
Così mi sentivo autorizzata a ripetere: ‘Io non ci voglio andare!’
Giro infastidita il viso verso il finestrino, oltre cui il paesaggio corre a un ritmo indiavolato, portandomi sempre più velocemente verso il luogo che ha scatenato, secondo lei, questa mia ‘irrazionale’ irritazione.
Certo, perché a 24 anni, essere presa, impacchettata e spedita al paese natio (suo!) per partecipare al matrimonio della figlia della sua terza cugina, doveva farmi sbocciare nel cuore un sorriso estasiato al solo pensiero di essere stata invitata.
Ma chi la conosce la sposa? Ma soprattutto, chi conosce anche la sua terza cugina?
A dire il vero trovavo divertente da piccola questa famiglia sterminata di mia mamma, con tutte quelle sorelle, fratelli, cugini, nipoti, nonni, zii e altre figure circostanti che non sapevo neanche esistessero nell’albero genealogico, solo perché, quando andavamo a trovarli, era come trovarsi al centro di una festa paesana di cui io ero la protagonista.
Tutta quella gente che voleva parlarmi, toccarmi, baciarmi, regalarmi qualcosa o offrirmi cibo e ristoro, mi faceva sentire amata e protetta.
Ma andava bene, perché durava solo fino alla fine dell’estate quando, dopo un mese di selvaticismo più totale, potevo rientrare a Torino, felice di avere qualche storia interessante da raccontare ai compagni di scuola.
E loro ascoltavano attenti, sospirando alle mie marachelle commesse in compagnia dei più pittoreschi elementi paesani, pendendo dalle mie labbra, non come se fossi stata in un paesino del sud Italia, ma come se avessi affrontato i leoni e le tigri nel safari africano.
Eh sì, di quei momenti ne facevo il mio scudo per l’intero anno scolastico, accrescendo la mia fama di ragazza avventurosa, che mi teneva lontana dalle angherie dei bulli o dagli sfigati della scuola.
Ma poi, col tempo, le visite si erano diradate, dovute a litigi o alla morte di qualcuno degli anziani della famiglia, che avevano contribuito a cementare quella fusione estiva.
Quando andavo alle superiori, già non tornavamo più al paese, ma ci concedevamo una decina di giorni sulla Riviera Romagnola, e la caccia al ragazzino più bello della spiaggia, cancellava il ricordo delle scorribande con i cugini.
Tutto era finito quando era mancata Letizia, la sorella maggiore di mia mamma.
La nonna si era ammalata, le altre sorelle avevano indetto un ‘consiglio familiare’ per accordarsi su chi la dovesse accudire, visto che la zia fino a quel momento era vissuta in casa con lei.
Del breve ritorno in quella casa, ricordo solo facce lugubri, litigi, insulti gridati a gran voce e le lacrime della mamma.
Ero rimasta annichilita nel vederla così.
Mia mamma è la tipica madre del sud, con un gran cuore, l’immancabile grembiule annodato sui fianchi, la cucina che sforna cibo 24 ore su 24, letti che crescono come formiche, ma soprattutto un sorriso perenne…
… A parte quando è disgustata dalla mia ‘cattiva educazione’.
Ma quel giorno l’ho vista sconvolta, piegata su sé stessa in un pianto silenzioso. Le lacrime che rotolavano giù dalle sue guance, cadevano sul mio cuore, come macigni pesantissimi.
Eravamo ripartiti abbastanza in fretta, senza salutare nessuno e non eravamo più tornati.
Ho provato col tempo a farmi spiegare, a cercare di capire cosa potesse essere accaduto in quel momento, ma avevo trovato un muro.
«Io non ho più una famiglia!» era stata la sua lapidaria risposta e non me l’ero più