Terra alla terra
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- Stella, ti ho chiamato per mostrarti questo. Ancora non è stato reso ufficiale il rinvenimento.
In mezzo ai mattoni spuntano delle ossa. Un cranio. Alcuni pezzi di stoffa e di cuoio. Uno scheletro piccolo. Sono assolutamente confusa.
- Ti ringrazio, commissario, sono commossa per essere stata al centro dei tuoi pensieri. Però continuo a non capire perchè volevi che vedessi queste povere ossa.
Può essere proprio lei? Come è finita qui? Chi ce l'ha portata? Come vorrei scoprirlo, come vorrei punire chi le ha fatto questo.
- Ti do 3 giorni.
Cerco di immaginarmi per che cosa: fuggire all'estero e fare perdere le mie tracce? Togliermi la vita prima che lo faccia lui? Costituirmi?
- Cerca di capire chi è stato.
Credi di riuscire a tirare fuori qualcosa in tre giorni? Più di così non posso fare.
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Book preview
Terra alla terra - Lorena Lusetti
Lorena Lusetti
Terra alla terra
Prima Edizione Ebook 2014 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868101046
Disegno di copertina
Simone Semprini – Anita Arvelo Almonte
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 - 41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Lorena Lusetti
Terra alla terra
Romanzo
INDICE
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXV
Capitolo XXVI
Capitolo XXVII
Capitolo XXVIII
Capitolo XXIX
Capitolo XXX
Capitolo XXXI
Capitolo XXXII
Capitolo XXXIII
Capitolo XXXIV
Capitolo XXXV
Capitolo XXXVI
Capitolo XXXVII
Capitolo XXXVIII
Capitolo XXXIX
Capitolo XL
Capitolo XLI
Capitolo XLII
Capitolo XLIII
Capitolo XLIV
Capitolo XLV
Capitolo XLVI
Capitolo XLVII
Capitolo XLVIII
Capitolo XLIX
Catalogo Damster
Capitolo I
Sono giornate come queste che ti aprono il cuore. Credevi che ti andasse tutto storto e invece, di colpo, eccolo lì, il sole. Non ci ero più abituata. Nessuno qui a Bologna si ricordava più come fosse fatto. La nebbia che ci ha avvolti nei primi mesi dell’anno, il cielo grigio, così come le strade, le case e l’umore, aveva creato una sorta di rassegnata impotenza, quasi una convinzione che così doveva essere il mondo reale: grigio.
E invece, quando nessuno se lo aspettava più, eccolo lì il sole. E con il sole i colori. È bastata una notte di vento e il grigio è stato spazzato via, lasciando il posto ad un azzurro, un po’ sbiadito a dire il vero, ma comunque sempre un colore. E poi i tetti rossi, i palazzi gialli, le piante verdi, e via via tutti gli altri colori. Certo gli alberi non hanno ancora messo le foglie, ma le gemme gonfie fanno ben sperare. Le persone girano per le strade guardandosi intorno smarrite. Sembrano tutti stranieri nella loro città. Qualcuno stringe gli occhi infastidito da tutta questa luce, altri, quelli più addormentati, ancora si stanno domandando che cos’è questa strana sensazione. Altri ancora girano a testa bassa temendo di essersi presa una malattia. Il sole. Certo ha una forte influenza sulle persone, certamente su di me ha un effetto benefico. Io l’ho riconosciuto subito. Quando ho aperto gli occhi allarmata dal forte odore di bruciato, ho visto entrare dalla finestra tutta quella luce, ho capito subito che non era un incendio fuori dalla casa. Mi sono resa conto che era il sole che illuminava la giornata. Rimaneva sempre l’odore di bruciato, chiaramente proveniente dall’interno della casa. Sono saltata fuori dal letto come una molla, cosa che mi ha provocato un forte mal di testa che si è ancorato dietro all’occhio e lì è rimasto, e mi sono lanciata verso la camera di mio figlio, pronta ad afferrarlo e lanciarmi con lui dalla finestra. Ma lì non c’era. Allora sono corsa in cucina, ancora incerta se essere più spaventata o più sollevata dal fatto che Simone non era nel suo letto. Ma eccolo lì, nel suo pigiama e le ciabatte con le orecchie di Pluto. È lì che tuffa una fetta di ciambella nel latte con il cioccolato, seduto al tavolo, mezzo addormentato e mezzo sorridente. Sul fornello una crosta marrone di bruciato ancora lancia i suoi miasmi. Il sollievo ha lasciato rapidamente il posto alla rabbia, che come sempre cerco di reprimere per non dare il cattivo esempio:
– Tesoro caro, il latte si scalda nel microonde, non sul fornello. Ma cosa ti è saltato in mente, senti che puzza di bruciato!
– Buongiorno mamma, hai visto che bella giornata?
Sta venendo su un po’ troppo furbetto questo figliolo, chissà da chi ha preso. Io credo di essere rimasta tontarella fino ad età avanzata. L’ironia non era il mio forte, e nemmeno la diplomazia. Ho imparato tutto più tardi.
– Non voglio che accendi il fornello se non c’è un adulto nella stanza, quante volte te lo devo ripetere? Perché non hai scaldato il latte nel microonde?
– Ah, quello.
In quel momento ho pensato di mangiarmelo con tutte le ciabatte.
– Ma io non volevo scaldare il latte, quello è un esperimento scientifico per la scuola.
Come riesca Simone a sparare delle fesserie così grandi mi riesce ancora difficile da capire. Comunque riesce sempre a spiazzarmi. Mi sono concentrata sul sole e sulla bella giornata, e con già la spugna in mano che inutilmente graffiava il fornello ho contato fino a 10 e gli ho detto.
– Ma che cacchio di esperimento è questo, volevi vedere in quanto tempo si può dare fuoco ad un appartamento?
Ho detto questo con tutto l’autocontrollo che possedevo, brandendo due guanti fusi e puzzolenti. Simone mi ha guardato con la sua faccetta migliore, quella delle buone occasioni, allargando gli occhioni azzurri e mi ha detto.
– A scuola ci hanno detto che la lana pura è ignifuga, e io ho voluto vedere se i miei guanti erano di pura lana come c’è scritto sopra. Comunque pare di no. Mamma, mi sa che ti hanno imbrogliato. Puoi portarglieli indietro e farti ridare i soldi.
Ho guardato le due croste annerite che avevo in mano, sembravano più topi schiacciati da un autorimorchio che pezzi di stoffa, e davanti agli occhi mi è apparso il cinese che me li ha venduti da una bancarella del mercato. Lana e seta. Molto buoni. Due euro
Certo avevo sospettato che non fossero proprio di lana purissima, ma in realtà mi importava solo che costassero poco. Mio figlio perde i guanti con la stessa velocità con cui riesce a farmi perdere la pazienza.
– Va bene, vorrà dire che oggi andrai a scuola con i guanti spaiati. Scegline pure due a caso, ce n’è un intero cassetto in camera tua.
– Ma oggi non ce ne sarà bisogno, non vedi che sole che c’è? Niente guanti.
Certo che la lingua non gli manca, potrebbe fare lo scrittore. Peccato che abbia preso uno nel compito di analisi logica. Certo che non ci si può aspettare niente di più da una generazione che sta crescendo a sms.
Ho guardato sconsolata la crosta di plastica fusa attaccata al fornello e o pensato che non tornerà mai più come prima. Ma non fa niente, non voglio farmi rovinare una così bella giornata. Pensiero positivo. Poteva andare peggio, poteva andare a fuoco tutto l’appartamento. È andata bene così.
– Va bene scienziato, allora vatti a vestire che è già tardi. Ti accompagno a scuola.
– Lascia stare, vado in autobus. Devo scambiare delle carte Magic con un mio amico che vedo alla fermata.
Non ha nemmeno finito la frase che è già corso a vestirsi. Tra un minuto scarso sarà fuori dalla porta. Altra cosa difficile da insegnare ad un adolescente è la permanenza nel bagno. Il concetto di igiene è ancora più ostico dell’analisi logica. Simone fa la seconda media, e a volte mi sorprende quanto sia cambiato da un anno all’altro. Forse quello che mi sconcerta veramente è il fatto che la sua crescita è proporzionale al mio invecchiamento. Fino all’anno scorso lo accompagnavo a scuola, mi era consentito abbracciarlo e baciarlo prima che corresse in classe. Quest’anno non posso nemmeno farmi vedere con lui altrimenti i suoi compagni lo prendono in giro. Ma perché poi? Inutile che me lo domandi. Io alla sua età non ho mai diffidato mia madre dal farsi vedere in mia compagnia. È anche vero che non ricordo che mia madre mi abbia mai nemmeno baciato. E neanche mai accompagnata a scuola. Ma questa è un altra faccenda. Bene, uscito il ragazzo ho spalancato le finestre per fare uscire il puzzo di bruciato. Faceva ancora freddo, ma che piacere il sole sulla pelle. Il mio corpo è una specie di impianto fotovoltaico, si ricarica con i raggi solari. Mi sono sentita subito piena di energia. Dopo avere dato un ultimo sguardo a quello che prima era un fornello semi-nuovo, ho messo le croste dei guanti nel sacchetto del pattume e sono uscita per venire in ufficio. È una palazzina piccola, siamo solo otto famiglie, ma non riesco mai ad uscire di casa senza incontrare qualcuno. Cerco di fare piano, chiudo la porta lentamente, vado quasi in punta di piedi, rasento i muri, ma non c’è verso. La signora del piano di sotto apre la porta per lucidare le maniglie alle otto del mattino. Inutile chiedersi il perché.
– Signora Spada, ha sentito anche lei questo odore di bruciato? Ma cosa sarà successo?
Avevo in mano il pattume dal quale uscivano chiari indizi olfattivi, ma non avevo nessuna voglia di darle soddisfazione.
– Ma, non saprei. Certo che l’inquinamento ha raggiunto dei livelli... non mi meraviglio più di nulla.
E me ne sono andata prima che potesse ribattere.
Capitolo II
Sono scesa in garage, ho preso lo scooter, e mi sono avviata per venire in ufficio. Guidare il motorino in mezzo al traffico mi da sempre un senso di euforia. Torno ragazzina, che ci posso fare. Allora avevo una vespa scassata di dubbia provenienza, non lo scooter nuovo che ho adesso, ma la sensazione di libertà è rimasta la stessa. Potere andare dove volevo e a quattordici anni era una sensazione molto vicina all’estasi. Ho sempre commiserato le mie amiche che per spostarsi aspettavano che il fidanzato di turno desse loro un passaggio. E le altre, che non andavano in moto per non spettinarsi. Allora non si portava il casco. Questo penso tutte le volte che supero la colonna di auto, sulla corsia preferenziale. E lo penso anche quando parcheggio. E lo penso anche quando mio figlio mi dice che il prossimo anno suo padre gli ha promesso il motorino. Ho detto chiaramente a mio marito che se glielo compera lo ammazzo. Mio marito intendo. Ma so già che se non glielo prenderà lui, lo farò io. Come posso negarglielo. Ho provato a elencare a Simone i molteplici rischi di una caduta nel traffico, ma l’unica cosa che mi sono sentita rispondere è stata: E tu allora?
. Lo portavo in moto alla scuola materna, come posso spiegargli che la moto è pericolosa? Perché le cose devono essere così diverse viste da punti di vista differenti? Riflettendo sulle ingiustizie della vita sono arrivata in ufficio, dove ora siedo con in mano una tazzina di caffè. Ufficio, una parola veramente eccessiva. Un antico palazzo medievale in via dell’Inferno. Nome molto appropriato. Il palazzo non ha nessuno dei pregi dell’antichità, solo la tetraggine. Una porta piccola, un androne grande e buio, uno scalone ripido, polveroso e male illuminato. Certo che una volta non sfruttavano molto gli spazi. Se fosse un palazzo moderno dove ci sta la scala ci avrebbero fatto una ventina di monolocali. I soffitti sono altissimi, con l’unico risultato di avere i locali sempre freddi. Per scaldare queste stanze ci vorrebbe una caldaia da altoforno. Mi scaldo le mani con la tazzina del caffè, mentre guardo fuori dalla finestra. L’unica cosa bella in questo palazzo è il giardino interno. Come quasi tutti i palazzi del centro di Bologna, all’interno nasconde un cortile bellissimo, con alberi secolari e persino una fontana nel centro. C’è un ippocastano che sta aprendo timidamente le prime foglie. E i fiori a grappolo. Rosa. Ho sempre amato questo tipo di albero: così strano, così sfacciato. Così delicato.
Mi guardo intorno, il mio ufficio. Posso a ragione chiamarlo così, in effetti ci sono solo io. Avevo una socia un tempo, ma poi l’hanno uccisa. Avevo anche un fotografo, ma è rimasto vittima di un incendio. Un incidente. Allora sono rimasta solo io a portare avanti la SS Investigazioni
. Avrei potuto chiudere, e forse avrei dovuto. Ma non l’ho fatto. In quel momento io e mio marito ci stavamo separando, nessuno voleva dare un lavoro interessante ad una donna di mezza età come me, e quindi ho tenuto aperto l’agenzia investigativa. Proviamo, mi sono detta, magari ce la faccio anche da sola. Ed eccomi qui. Non ho incarichi milionari, ma tiro avanti. Faccio tutto da sola, con la tecnologia di oggi è facile fare fotografie discrete senza che nessuno se ne accorga. Basta un cellulare, poi le scarichi sul pc, le mandi con la posta elettronica al cliente e il gioco è fatto. Certo non tutti i giorni. Magari. In effetti è da qualche giorno che non arriva nessuna richiesta da clienti. Dovrei farmi pubblicità, ma la pubblicità costa, e io non posso permettermelo, riesco a malapena a pagare affitto e bollette. Ho un sito internet, naturalmente, dal quale mi arriva la maggior parte del lavoro. Sul sito si può compilare un modulo e mandare la richiesta, in completa riservatezza. La maggior parte del mio lavoro non è così affascinante come si può immaginare. Di solito sono persone che mi chiedono di indagare su marito o moglie che credono infedele. Oppure società che mi chiedono informazioni sulle persone che devono assumere. È raro che mi capiti qualche caso interessante, ma a volte succede.
Capitolo III
Insomma le mie mattine iniziano tutte così, con me che guardo dalla finestra con il caffè in mano. Mi serve a raccogliere le idee, a fare il punto della situazione. Quale situazione? La mia vita. A volte mi sembra che quella che sto vivendo sia la vita di qualcun altro, e forse è proprio questo il punto. Da quando sono nata mi sono dovuta reinventare molte volte, tanto che ora non so quasi chi sono. Tiro avanti, certo, qualcuno che guida qui dentro c’è ancora, ma chi è? La mamma premurosa o la cinica assassina? La segretaria discreta o la sfacciata investigatrice? Sono stata tante cose, e tante cose sono tuttora. Ma in fondo, chi può veramente dire di essere una persona sola? Io assecondo la mia natura, tutto qui, e se questa mi induce a comportamenti contrastanti tanto peggio per lei, o per me, che poi è la stessa cosa.
Il telefono mi fa sobbalzare. Guardo sconsolata la macchia di caffè sulla giacca e tiro mentalmente una parolaccia. Il tono che mi esce nel rispondere non è dei migliori.
– Stella investigazioni, buongiorno.
– Buongiorno signora Spada, come sta questa mattina, tutto bene? Il lavoro va bene?
Santo cielo, ecco il primo della giornata. I creditori, che brutta parola.
– Senta Esposito, saltiamo i convenevoli. Se non potevo pagarla ieri sera, è evidente che non posso nemmeno stamattina. È inutile che lei mi chiami ogni ora, quando i clienti pagheranno me, lei sarà il primo a saperlo, glielo assicuro. E la smetta di telefonarmi, avrà pure qualcosa di meglio da fare no?
Il Signor Esposito è il proprietario della agenzia di pulizie che mi tiene puliti gli uffici, e qualche volta ho chiamato pure a casa, a fare le pulizie di primavera. Ho sempre saldato le sue fatture, anche se non con la continuità che vorrebbe lui. In questo momento sono in arretrato di tre mesi, ma lo sanno tutti che c’è la crisi, ne avrà sentito parlare pure lui.
– Signora Stella, parliamoci chiaro. Se non mi paga entro questa settimana io sono costretto a passare ad altre vie, ci siamo capiti?
– Guardi, può anche farmi scrivere dal suo avvocato, ma se i soldi non ce li ho dirò le stesse cose anche a lui.
– Stella, lei non mi ha capito. Io non vado dagli avvocati, ho altro genere di amici per questi lavori, ci siamo capiti?
Esposito ha l’agenzia di pulizie come secondo lavoro, come copertura per la sua vera attività: il magnaccia. Ha alcune ragazze alle sue dipendenze, che di notte battono il marciapiede, e all’alba, quando smontano, vanno a pulire gli uffici. Ho fatto alcune ricerche su di lui, deformazione professionale. E anche perché non ho molto da fare ultimamente. Ma che potevo fare, quando ho visto le signore che pulivano gli uffici vestite con tubini di paillettes e stivali di vernice tacco venti, mi sono un tantino insospettita. Non fanno nemmeno in tempo a togliersi il trucco dal viso. Altre invece non fanno in tempo a farsi la barba. Insomma, Esposito è decisamente un tipo poco raccomandabile, uno da non fare arrabbiare. Ma nemmeno io lo sono.
– Senta Esposito, io capisco la sua posizione, mi creda. Lei ha le sue dipendenti da pagare, come tutti. Guardi, oggi deve venire in studio un cliente. Gli chiederò un anticipo, e le darò un acconto. È tutto quello che riesco a fare, mi creda. Va bene così?
– Non va bene, non va affatto bene. Cara la mia Stella, non vorrei che lei pensi di tirarmi per i fondelli. Se entro stasera non ricevo un acconto sostanzioso, diciamo almeno un cinquanta per cento del debito, io passo alle vie di fatto. E poi glielo ho già detto, ma perché si ostina a tenere aperta quella baracca in perdita, venga a lavorare con me, guadagnerebbe molto bene, ma molto, molto bene. Quegli uffici polverosi possono essere trasformati in macchine per fare soldi, creda a me. La sua quinta naturale è sprecata sempre chiusa in quei tailleurs.
Eccolo lì, è arrivato. Sempre con questa storia. Trasformare la mia agenzia investigativa in un bordello sarebbe il suo sogno. E questo potrebbe anche starci. Ma trasformare me in una prostituta, questo proprio non ci sta.
– Esposito, faccio finta di non avere capito le sue insinuazioni. Rimaniamo d’accordo così, ma stia attento, anch’io sono capace di ricorrere ad altre strade se mi sento minacciata.
E chiudo la comunicazione. Questa persona riesce sempre a farmi montare una rabbia che mi sale dallo stomaco e mi pulsa in testa. I casi sono due: o prendo un’aspirina o ammazzo qualcuno. Apro il cassetto e tiro fuori l’aspirina. Presa subito dopo il caffè non è il massimo, ma non posso fare fuori Esposito di prima mattina, devo almeno pensarci sopra. Suona ancora il telefono. Se è ancora lui giuro che...
– Spada Investigazioni!
Mi esce un tantino stridulo. Tralascio il buongiorno che tanto non è più appropriato.
– Sono io Stella, sono