Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Ardo
Ardo
Ardo
Ebook172 pages2 hours

Ardo

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Ardo è un ragazzo con un dono: guarisce le persone.

È cresciuto e vive a Milano, nell’epoca attuale, ma in sorta di mondo parallelo in cui la storia ha seguito un corso alternativo: un’ucronìa in cui l’Italia vive lo spettro di una guerra totale, un’Italia dove è stato istituito nuovamente il servizio di leva obbligatorio, un’Italia con un nuovo ministero della guerra. In quest’Italia Ardo fa una scelta destinata a cambiare il corso delle cose…

Questa è la storia di Ardo, la storia delle persone, delle esperienze e dei sacrifici che tutte le grandi idee richiedono.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 25, 2012
ISBN9788867517640
Ardo

Related to Ardo

Related ebooks

Action & Adventure Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Ardo

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Ardo - Raoul Scarazzini

    Ringraziamenti

    Parte prima

    Prologo: Nazareth

    Il bambino si fermò a fissare l’orizzonte. La giornata si preannunciava come sempre caldissima, ma la brezza che veniva dal deserto portava con sé gli aromi cari alle sue narici, facendogli dimenticare per qualche istante l’arsura della sua bocca.

    Adorava guardare il sole nascere ad oriente, portava pace nel suo animo. Sua madre queste cose le sapeva. Alle sue spalle, da dieci minuti parlava con Erim, il commerciante di spezie, cercando di contrattare lo scambio di un cofanetto di legno con del lievito.

    – Ti assicuro che è di ottima fattura, Erim, ci sono due scomparti nei quali puoi riporre quel che vuoi. Potresti usarlo come cassa, per metterci il denaro... – disse fiduciosa la donna.

    L’uomo scosse il capo – Bisognerebbe averlo il denaro, per mettercelo dentro! – Era un uomo grezzo e dai modi rudi, ma gli occhi trasmettevano una bontà d’animo che la donna conosceva bene.

    – Viviamo in tempi complicati, c’è tanta, troppa confusione. La nostra terra sembra essere terra di tutti, ma non è di nessuno e da quando è morto il re Erode i Romani sono ormai parte di essa. Dicono di rispettare il nostro modo di vivere, ma controllano ogni nostro movimento. E guai a non pagare le tasse... È per questo che non posso accettare lo scambio, ho bisogno di monete sonanti con cui riempire le casse del procuratore Coponio. Con questa idea del censimento ha bisogno delle nostre tasse per pagare quegli scribacchini che contano quante persone ci sono in Giudea. –

    La donna abbassò lo sguardo per un istante ed Erim avvertì il suo stato d’animo. Guardandole il volto si maledisse per la sua bontà e pensò alle scuse che avrebbe dovuto inventare per giustificare a sua moglie l’ennesima concessione fatta alla moglie del falegname, aggiungendo – ...Ma credo che dopotutto un contenitore per il denaro possa farmi comodo –

    Sorridendo, prese dalle mani di lei la scatola, osservando l’effettiva qualità e consegnandole nel contempo il panno contenente il lievito.

    – Sei un uomo buono Erim, e ti ricorderò nelle mie preghiere – disse rincuorata la donna.

    Arrossendo un poco Erim tolse lo sguardo dagli occhi di lei, pensando allo stesso tempo che non ne aveva mai visti di più belli, ed un poco turbato tornò a sistemare la sua bancarella per non farsi cogliere impreparato all’arrivo dei primi clienti.

    La donna mise il lievito nella bisaccia al suo fianco e valutò come ci fosse tutto il tempo per recarsi al pozzo a riempire la giara d’acqua prima di rincasare.

    Sospirando, pensò a come erano davvero difficili quei tempi. Per fortuna al mondo esistevano ancora persone come Erim, sempre pronte a dare una mano al prossimo.

    Fu distolta dai suoi pensieri a causa del rumore provocato da un gruppo di ragazzini che sghignazzando si rincorrevano, rischiando continuamente di scontrarsi con le poche persone presenti per strada.

    Si girò verso suo figlio, accorgendosi che non era più dove lo aveva lasciato. Con il cuore in subbuglio ripeté a sé stessa – Non di nuovo, ti prego, non di nuovo! – Presa la direzione avanti a sé, cominciò a chiamare – Joshua! Joshua! –.

    Guardando l’ingresso della sinagoga Joshua si interrogò su quanto fosse scialbo ed allo stesso tempo imponente. Non c’era alcun tipo di decorazione e nonostante questo la maestosità trasmessa da quel luogo lo fece esitare.

    Fu solo un attimo.

    Fatto un profondo respiro varcò la soglia ed i rumori provenienti dalle strade in fermento cessarono istantaneamente.

    La sensazione avvertita all’esterno divenne certezza una volta che si guardò attorno. L’unica attrattiva in quell’ambiente vuoto era rappresentata dalla pila di logori papiri posta nell’armadio al centro della sala.

    – Tutto qui?! – pensò, ed arretrando di qualche passo si preparò ad uscire.

    – Che ci fai qui, bambino? –

    Con il cuore in subbuglio Joshua si girò di scatto per capire da dove venisse quella voce. Dopo un’affannosa ricerca scorse nell’angolo scuro della sala un uomo che sembrava in ginocchio.

    – Non è un posto adatto ad un bambino questo – continuò l’uomo. Sebbene sentiva il cuore uscirgli dal petto per lo spavento, Joshua si mosse in direzione della voce ed osservò come quell’uomo che sembrava in ginocchio era in realtà legato ad un patibolo.

    I polsi del prigioniero avevano un colore violaceo, segno di una lunga permanenza in quella condizione. Lo stesso si poteva dire del collo, le cui ferite però erano parzialmente coperte dalla lunga barba nera. Le condizioni generali dell’uomo parevano tutt’altro che buone, ma l’espressione del viso appariva stranamente serena, a tratti quasi soddisfatta.

    – Ti ho chiesto cosa ci fai qui, sei sordo o cosa, bambino? Il Sinagogo, come puoi vedere, è persona tutt’altro che piacevole e non apprezza chi invade il suo spazio. Ti conviene andartene prima che torni per finire con me –.

    – Chi sei? – chiese Joshua tremante.

    Il prigioniero scoppiò in una fragorosa risata che stupì il suo interlocutore.

    – Hai un bel coraggio sai? Vuoi sapere chi sono? Uno a cui piace dire le cose come stanno. Uno a cui non piacciono i Romani. Il giocattolo preferito del Sinagogo, che a sua volta è il giocattolo preferito dei Romani... –.

    L’uomo tossì rumorosamente denunciando il suo pessimo stato di salute, poi proseguì con un sorriso che questa volta sembrò forzato – Siamo tutti il giocattolo di qualcuno... –.

    – Come... Come mai ti stanno facendo questo? –.

    – Sei un tipo curioso, mi piacciono i tipi curiosi – aggiunse prima di essere interrotto da un altro attacco di tosse – Qual’è il tuo nome? –.

    – Mi chiamo Joshua –.

    – Bene Joshua, vuoi sapere perché mi fanno questo? –.

    Il bambino annuì debolmente.

    – Mi fanno questo perché sperano di uccidere il mio spirito uccidendo il mio corpo, sperano che la voglia di ribellarmi si spenga insieme alla mia salute... – e dopo aver tossito nuovamente aggiunse – E sai qual’è la verità? –

    Questa volta il bambino scosse il capo.

    – Ogni volta che mi percuotono, ogni frustata che ricevo, ogni goccia del mio sangue che cade, mi dà forza. Alimenta le mie idee e mi conferma che vale la pena di soffrire per queste –.

    I due si fissarono in silenzio e dopo qualche secondo il prigioniero rise di nuovo ed aggiunse – Non so cosa fai qui Joshua, ma ora è bene che tu te ne vada davvero se non vuoi passare dei guai –.

    Joshua si avvicinò allungando la mano verso il legno del patibolo, come a saggiarne la consistenza e sfiorando le mani dell’uomo lo ascoltò dire – Non lasciare mai che la fatica ed il dolore ti confondano le idee – appena ebbe terminato, dei passi in lontananza avvertirono dell’imminente arrivo di un’altra persona – Corri ragazzo! I guai stanno arrivando! –.

    Il bambino si voltò e corse fuori dalla sala respirando l’aria aperta: non gli era mai sembrata così fresca.

    Dopo un ultimo sguardo all’ingresso di quel luogo s’incamminò per la via dalla quale era venuto e scorgendo in lontananza sua madre le corse incontro.

    La donna voleva rimproverarlo, ma fu interrotta dalla voce di suo figlio che saltatole in braccio le disse – Ti voglio bene, madre –.

    Strettolo al petto prese la via di casa mentre una lacrima, intanto, si faceva strada sul suo volto.

    All’interno della sinagoga l’anziano comparve dalla porta laterale e si rivolse al prigioniero – Mi fa piacere sentire che hai ancora voglia di parlare. Ti rivolgevi forse al vento per presentare le tue rimostranze? Stavi dicendo grazie al Sinedrio per averti concesso di capire la verità attraverso la flagellazione? Oppure predicavi i tuoi propositi rivoluzionari al muro? Con chi parlavi? – concluse il vecchio liberando nel contempo l’uomo.

    Questi lo guardò con un sorriso sincero ed avviandosi verso la porta rispose – Parlavo con Dio! –.

    Il vecchio scosse il capo.

    – Bada, non sarai sempre tanto fortunato da subire pene così lievi per i tuoi reati di sedizione, Barabba –

    L’uomo però, non lo ascoltava più, stava già assaporando la brezza sul viso e camminando in direzione della prima locanda fu stupito di sentirsi particolarmente bene.

    Massaggiandosi i polsi che per tre giorni erano rimasti chiusi in quelle maledette morse osservò come su di questi non vi fosse alcuna ferita.

    Primo giorno di scuola

    La cosa strana per Ardo era vedere sua madre piangere. Non il fatto che fosse il primo giorno di scuola, non la certezza che, così come nel cortile di casa, gli altri bambini lo avrebbero preso in giro per quello strano nome. Niente di tutto questo. Solo le lacrime di sua madre. Erano qualcosa di raro.

    Anzi, pensandoci bene si ricordava di un solo episodio in cui le aveva viste.

    Si trovavano in casa e lei stava preparando il pranzo. I profumi che salivano dai fornelli erano, al solito, qualcosa di superbo. La piccola radio della cucina, trasmetteva una canzone che parlava di come l’aria diventasse elettrica se qualcuno fermava la musica. Ardo non capiva bene il senso di quelle parole, ma si sentiva felice.

    Stava giocando con una scatola delle scarpe messa in verticale, sua madre aveva ritagliato il coperchio in diversi quadrati e dopo averli attaccati all’interno della scatola con il nastro adesivo, questi costituivano i piani di un palazzo.

    Ardo muoveva in quella grande casa degli omini fatti con il cartone avanzato dal coperchio della scatola che aveva colorato. Era il suo gioco preferito, ed ogni sabato mattina il rito della creazione di quella casa si ripeteva.

    Abitavano in un piccolo appartamento nel complesso di case popolari alla periferia nord ovest di Milano, il padre faceva l’operaio in una società di legnami vicino a casa e quando mamma non si occupava di lui faceva delle riparazioni ai vestiti per una vicina sartoria.

    Non erano ricchi, anche se sua madre ripeteva con orgoglio che la ricchezza vera era vederlo ridere ogni giorno.

    Ardo era davvero convinto di questo, perché a tutti gli effetti non gli mancava nulla. Non riusciva infatti a capire come il concetto di povertà potesse corrispondere all’abitare in case popolari, al non cambiare vestiti ogni mese ed a non avanzare nulla nel piatto.

    Stava pregustando tutte le leccornie che avrebbe mangiato quando un urlo improvviso gli fece spostare l’attenzione verso sua madre che, tenendosi la mano, si allontanava dai fornelli.

    Seguendola verso il bagno la sentiva ripetere – Ma dove ho la testa, dove ho la testa? – e volendosi rendere utile con il dito le indicò le tempie, dicendo – Qui, mamma –.

    Lei sorrise e sentendo la porta di casa aprirsi tirò un sospiro di sollievo

    – Sara, sono tornato, dove siete? –

    Suo marito era di nuovo a casa.

    – Sono qui tesoro – disse Sara dal bagno. Andrea entrò dalla porta e vide la moglie con la mano sotto il rubinetto. L’acqua che sgorgava nel lavandino si colorava subito di rosso. Evidentemente era una ferita seria.

    – Oh signore! Cosa hai combinato... – chiese con ansia Andrea togliendosi la giacca – ...Fa vedere –.

    Ardo assisteva alla scena un po’ spaventato.

    – Mi sono tagliata mentre affettavo le cipolle – Andrea prese un asciugamano dal cassetto e lo avvolse intorno alla ferita.

    – Fa vedere mamma – chiese Ardo.

    – Non è nulla amore, mamma è stata un poco sciocca e si è tagliata –

    – Tieni questo stretto e premi con forza, ti porto al pronto soccorso, lasciami prendere le chiavi della macchina – disse Andrea uscendo dal bagno. – Mamma non è sciocca – disse Ardo accigliato – Mamma è sempre brava, fa vedere bibi a Ardo –

    – Non è nulla tesoro, è solo un taglio, ora papà prende le chiavi della macchina e ci porta in ospedale dove un dottore sistemerà la mano della mamma –

    – Ma io non voglio che tu vai in ospedale, fa

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1