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N'est pas
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N'est pas

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About this ebook

Yaya e Summer sono due giovani donne destinate ad incontrarsi, ma loro non lo sanno ancora. Le loro vite non potrebbero essere più diverse: vivono in due luoghi lontani, fanno mestieri differenti, hanno interessi opposti, ma il fato si metterà tra loro, trasformando un viaggio in un’esperienza di vita, che cambierà il percorso di entrambe.

Yaya fugge da una vita monotona e tranquilla, non sa ancora dove andrà, sente solamente che deve partire. È l'abbagliante visione di un paese sull'estremità di una collina a fermare il suo viaggio. A Roux, un minuscolo villaggio provenzale, incastrato tra le colline e il mar Mediterraneo, Yaya, giovane infermiera disillusa, scoprirà che la vita può riservarle ancora piacevoli sorprese. Sarà l'incontro incantato con Thèrese e Antoine a ridarle fiducia nelle persone, ma soprattutto sarà l'affascinante veterinaria Summer a regalarle emozioni mai provate.
Avvolte dal profumo della Provenza, Yaya e Summer scopriranno che dietro ogni angolo si può nascondere un’esperienza sorprendente, scopriranno che l’amore, ha molte più facce di quelle che si pensa di conoscere. Yaya si lancerà in un’impresa coraggiosa, Summer le starà a fianco, sostenendola in ogni passo. Si troveranno più unite che mai quando Summer deciderà di rivelarle il suo segreto. Solo Yaya riuscirà con delicata pazienza a scongelare il cuore di Summer, ibernato da troppo tempo. Insieme ascolteranno le parole tristi nascoste dietro il sorriso dolce di Therèse e dietro l'impalpabile onnipresenza di Antoine.
Entrambe alla disperata ricerca spiegazioni che non troveranno, si arrenderanno all'evidenza di un amore che le travolge e le inebria, le carica di energia e potenzialmente le distrugge.
LanguageItaliano
PublisherSilvia D.f.
Release dateSep 24, 2013
ISBN9788868556556
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    N'est pas - Silvia D.f.

    Silvia.D.F

    N’EST PAS?

    SINOSSI

    Yaya e Summer sono due giovani donne destinate ad incontrarsi, ma loro non lo sanno ancora. Le loro vite non potrebbero essere più diverse: vivono in due luoghi lontani, fanno mestieri differenti, hanno interessi opposti, ma il fato si metterà tra loro, trasformando un viaggio in un’esperienza di vita, che cambierà il percorso di entrambe.

    Yaya fugge da una vita monotona e tranquilla, non sa ancora dove andrà, sente solamente che deve partire. È l'abbagliante visione di un paese sull'estremità di una collina a fermare il suo viaggio. A Roux, un minuscolo villaggio provenzale, incastrato tra le colline e il mar Mediterraneo, Yaya, infermiera disillusa, scoprirà che la vita può riservarle ancora piacevoli sorprese. Sarà l'incontro incantato con Thèrese e Antoine a ridarle fiducia nelle persone, ma soprattutto sarà l'affascinante veterinaria Summer a regalarle emozioni mai provate.

    Avvolte dal profumo della Provenza, Yaya e Summer scopriranno che dietro ogni angolo si può nascondere un’esperienza sorprendente, scopriranno che l’amore, ha molte più facce di quelle che si pensa di conoscere. Yaya si lancerà in un’impresa coraggiosa, Summer le starà a fianco, sostenendola in ogni passo. Si troveranno più unite che mai quando Summer deciderà di rivelarle il suo segreto. Solo Yaya riuscirà con delicata pazienza a scongelare il cuore di Summer, ibernato da troppo tempo. Insieme ascolteranno le parole tristi nascoste dietro il sorriso dolce di Therèse e dietro l'impalpabile onnipresenza di Antoine.

    Entrambe alla disperata ricerca spiegazioni che non troveranno, si arrenderanno all'evidenza di un amore che le travolge e le inebria.

    Prologo

    Il color ocra che dominava il paese era la cosa che l'aveva più colpita.

    Le case rosse fiammeggiavano sotto l'ultimo bagliore del sole estivo, l'armonia vestiva le colline che s’incatenavano una dietro l'altra fino a perdersi, il cielo era di un azzurro terso, difficile da descrivere; il ronzare degli insetti e l'atmosfera quieta davano una strana sensazione di attesa, come se qualcosa dovesse accadere, ma in due giorni, da quando era arrivata, non era accaduto assolutamente nulla.

    L'abitudine al silenzio l'aveva persa nei meandri della sua infanzia, eppure, le era bastato poco per lasciarsi cullare dalla tranquilla atmosfera del paese rosso fuoco, che sembrava addormentato sotto il sole, immobile da troppo tempo.

    Roux si era abbarbicato, nel corso degli anni, sulla sommità della collina più alta. Il verde scuro della macchia mediterranea incorniciava il paese vermiglio, i tetti, tutti inclinati nello stesso verso, le ante delle persiane color turchese e ovunque, persistente, aleggiava l'odore inconfondibile e narcotico della lavanda. Forte, intenso, ti si infilava su per il naso, ti entrava nella testa, ti circondava, impregnava i vestiti e i panni lasciati ad asciugare al sole.

    Lunghi filari di viti correvano giù per i versanti dei colli, arrivavano giusto fino alla strada lunga e stretta che si snodava attorno al paese. Affondavano le radici nella terra violacea, friabile al tatto, terra piena di vita, che regalava uve dagli acini succosi, limoni grossi come noci di cocco e cespugli viola di lavanda.

    Il viale dei giganti, il lungo sentiero scavato nell'ocra, si perdeva nei molteplici canyon che caratterizzavano la zona, lunghe spaccature tagliavano il terreno in profondità, come ferite ancora aperte nella roccia rossa. Tutti gli abitanti della zona avevano, almeno una volta nella loro vita, percorso quel sentiero che portava da una cava all'altra, si erano affacciati sull'orlo dei precipizi, cantato lungo il canyon, e tutti, ma proprio tutti, avevano sentito la propria voce rimbalzare parete contro parete e tornare indietro in un'eco distorto; l'intero paese era cresciuto grazie alle cave di ocra, terra rossa e viola, terra che diventava dura come la roccia, terra che viaggiava ovunque.

    Eppure il paese era rimasto piccolo, le case erano rimaste le stesse, la gente era passata di generazione in generazione attraverso le stesse mura, solo qualcuno aveva abbandonato la dimora natale per avventurarsi in giro per il mondo, ma la maggior parte della popolazione non si era mai mossa di lì, al massimo aveva fatto qualche lungo giro, ma era tornata; magari con tante storie da raccontare, vere o inventate, poco importava, ma era a Roux che faceva ritorno.

    L'innamoramento avviene sempre con le stesse modalità, prima ci si nota, poi ci si pensa e alla fine si decide di fermarsi ancora un po', sperando che duri in eterno. Ecco era avvenuto pressappoco così, l'aveva vista, le era piaciuta subito e alla fine, beh si ... alla fine l'aveva comprata. Cosa se ne sarebbe fatta di una casa color ocra, con il tetto inclinato e le persiane azzurre, doveva ancora deciderlo, ma non era riuscita a resistere all'impulso.

    Vi si accedeva attraverso un breve vialetto che tagliava in due un prato, cespugli di lavanda e alberi da frutta non potati avevano invaso il viale. Era palese che la casa fosse vuota da qualche tempo e che mancava di diversi lavori di manutenzione. Le grondaie si erano quasi tutte staccate e pendevano tristi dal tetto. Qualche pietra si era smurata dalla scalinata e giaceva a terra. L'interno non era molto migliore; una moltitudine di mobili vecchi erano accatastati contro il muro, stoviglie di maiolica appoggiate su tavoli malconci, un vecchio letto di ferro battuto senza materasso e una quantità di polvere che non si sarebbe riuscita a rimuovere nemmeno dopo anni.

    L'agente immobiliare che le aveva mostrato la casa era un viscido uomo sulla cinquantina, con un orrendo riporto unto di capelli radi, lisciati talmente tanto da rimanere incollati alla testa, portava un vestito piuttosto sudicio, e scarpe passate di moda da almeno dieci anni. Aveva il disgustoso vizio di risucchiare la saliva e infastidire chiunque gli parlasse insieme, l'aveva accompagnata fino all'inizio del vialetto, facendosi spazio con una cartellina di cuoio, le aveva aperto un varco tra gli sterpi e, inventandosi aneddoti improbabili sulla casa, le aveva mostrato sia il giardino, sia i due piani dell'immobile.

    L'appartamento vero e proprio stava tutto su un piano: il primo; vi si accedeva attraverso una scalinata di pietra, c'era un piccolo portico prima dell'ingresso, una folta pianta di vite si arrampicava lungo gli alti pali di legno fino a formare un ombrello verde dal quale pendevano grossi grappoli di uva fragola dalla spessa buccia. L'uscio era una vecchia porta di legno, un tempo dipinta di lilla, l'agente immobiliare continuava a descrivere la casa con osservazioni ovvie: Qui c'è la cucina, questo è il bagno, forse...ehm si forse bisognerebbe dare una sistemata, ma la casa è solidissima, i muri in buono stato e il tetto resistente

    Lei aveva già deciso. La voleva. Dopo poteva decidere tutto il resto. Non le importava di aspettare per rimetterla a posto, non sapeva nemmeno se voleva davvero andarci a vivere, o tenerla come rifugio estivo, voleva solo che quella somma di denaro che le era malauguratamente capitata tra le mani fosse investita in qualcosa di solido. Non voleva spendere un solo centesimo in stupidi vizi. Voleva qualcosa che sarebbe rimasto nel tempo. Niente di meglio che una casa.

    Quando era tornata nella maison d'hotes, si era sentita euforica, una sensazione che non ricordava più, cancellata dalla monotonia del passare degli anni, eppure doveva essere un sentimento che non si esaurisce mai, rimane sottopelle e poi, quando uno meno se lo aspetta, eccolo che salta fuori. Si sentiva bambina in procinto di partire per le vacanze, quando sentiva le ruote delle valigie scorrere sulle piastrelle disconnesse del pavimento e sapeva che da lì a poco si sarebbero messi in viaggio, come prima di un appuntamento importante quando era adolescente, come dopo il primo esame all'università passato con successo. Ecco, sentiva tutte queste cose messe insieme, con la consapevolezza adulta che aveva fatto davvero una cosa importante.

    Aprì l'acqua della vasca e la lasciò scorrere, mise il tappo e versò i sali alla lavanda che aveva trovato appoggiati sulla mensola del bagno, accese due candele che subito allungarono le ombre contro la parete bianca, poi si spogliò e si immerse nell'acqua fino al collo. Si lasciò galleggiare coccolata dal profumo narcotico della lavanda, si lavò delicatamente, attenta a non togliere via il primo strato di abbronzatura. Quando si sentì sufficientemente soddisfatta, uscì dalla vasca. Si avvolse nel morbido asciugamano candido e andò in camera a prepararsi.

    CAPITOLO UNO

    Quella era la prima volta che Yaya viaggiava da sola. Aveva sempre fatto vacanze in giro per il mondo con amiche, fidanzati e fratelli, ma mai si era arrischiata a intraprendere un viaggio in solitaria. Troppa malinconia, troppi silenzi. Eppure, da qualche giorno, si era accorta che il silenzio non era poi un così cattivo compagno. Aveva deciso d'impulso, cosa assolutamente sconosciuta a lei, sempre così organizzata, sempre così ponderata; aveva chiesto tre mesi di aspettativa a lavoro ed era partita. Solo durante il tragitto aveva pensato di telefonare ai suoi per avvertirli della sua follia, aveva promesso di chiamarli spesso e gli aveva dato un'indicazione sommaria di dove era diretta.

    Ed era andata, evitando volontariamente le autostrade, si era avventurata per le strade secondarie, incrociando paesi semi-deserti, fiumi, valichi, mandrie di mucche e supermercati ai lati della strada, si era fermata di tanto in tanto per un caffè o per sgranchirsi le gambe. Ed era stato verso sera, quando ormai il cielo andava scurendosi che aveva notato quel paese sulla collina. Aveva calcolato che in linea d'aria non dovevano mancare molti chilometri, aveva imboccato la prima strada a destra e si era diretta verso quel paese rosso, che sembrava incendiarsi sotto gli ultimi raggi del sole.

    Aveva calcolato male, mancavano un po' più di diversi chilometri a quel paese. Quando aveva imboccato la strada d'ingresso al centro abitato, era ormai buio. Erano da poco passate le nove di sera e la fame cominciava a farsi sentire. I negozi erano tutti chiusi, e in giro non c'era anima viva. Aveva parcheggiato in una piazzetta, un uomo con un cane al guinzaglio camminava tranquillo. Si fermò, scese, e chiese informazioni. Non c'erano alberghi o hotel nelle vicinanze, avrebbe dovuto fare almeno altri trenta chilometri, ed era sicura che non ce l'avrebbe fatta. Era stanca, affamata e aveva bisogno di una doccia!

    Non c'erano alberghi, ma c'era una maison d'hotes. Ecco quello che le serviva. Non le importava nulla di formalità inutili, le bastavano un piatto di minestra, una doccia e un letto, a tutto il resto avrebbe pensato il giorno dopo.

    L'uomo col cane si offrì di accompagnarla alla maison, distava da li poche centinaia di metri. Aprì il baule recuperò la sua borsa e si accinse a seguire l'uomo e il cane.

    La maison si trovava in mezzo ad altre due case, poteva sembrare una vecchia ala di un castello e scoprì in seguito che non si sbagliava. Salutò il signore che gentilmente l'aveva accompagnata fin lì ed entrò. Le venne incontro una signora sulla settantina, con i capelli freschi di parrucchiera, biondi e cotonati a dovere, portava un grembiule color canapa e sfoderava un sorriso rassicurante.

    Benvenuta giovane viaggiatrice!

    La accolse come se la conoscesse da tempo, si informò su come era andato il viaggio e la fece accomodare in una cucina piuttosto grande ,impregnata di profumi di arrosti e risotti.

    Vieni cara, siedi, sarai stanca, si vede dalla tua faccia, hai viaggiato molto immagino!

    Oh grazie mille...si, insomma, piuttosto stanca, sa sono partita stamattina e...veramente non so nemmeno io dove sono diretta...è...è una cosa strana...poi ho visto questo paese, è quasi abbagliante la sua luce al tramonto...

    La donna sorrise compiaciuta come se le avessero fatto un complimento, annuì e intanto versò un mestolo di zuppa in un piatto fondo di coccio che appoggiò davanti alla ragazza.

    oh gra... grazie mille signora, sono proprio affamata.

    non c'è di che cara, mangiare è importante, è una zuppa di patate e zucche del mio orto, vedrai che ti sentirai meglio dopo!

    Come aveva previsto la signora, la zuppa la rifocillò a dovere, le scaldò stomaco e membra e lei si sciolse un po' nella sua postura rigida, appoggiando mollemente la schiena stanca alla sedia.

    Facciamo così ragazza, io ora ti do un fantastico budino alle castagne, poi ti accompagno in camera, ti fai una bella dormita, e domani deciderai che fare. Questa è una locanda di viaggiatori, appartiene alla mia famiglia da tre generazioni... so riconoscere un viaggiatore stanco da uno curioso e tu, ragazza mia, appartieni sicuramente al primo gruppo...

    Yaya si alzò e si lasciò guidare al primo piano della locanda, la signora le consegnò le chiavi della porta e augurandole la buona notte sparì giù dalle scale. La sua camera era enorme! Un letto matrimoniale di legno... e un fantastico bagno tutto per lei, non ci poteva credere! Si lasciò cadere un momento sul materasso, il contatto con le lenzuola profumate le fece venire ancora più sonno. Andò a farsi una doccia calda, velocemente s’infilò nel letto e lasciò che il sonno se impadronisse di lei.

    CAPITOLO DUE

    Dagli scuri filtrava un solo timido raggio di sole, s’intrufolava nella camera e tra le palpebre abbassate di Yaya che tentò invano di ignorarlo, ma, nel giro di qualche minuto, dovette arrendersi alla sua insistenza. Con un solo colpo fecero volare via le lenzuola e si mise a sedere sul letto. Aveva fatto una lunga e riposante dormita, non aveva sognato, o almeno, così le sembrava; si stiracchiò a lungo e andò a farsi una doccia per svegliarsi del tutto prima di scendere per la colazione. La signora Thèrese era già ai fornelli, Yaya lo poteva immaginare dal profumo di caffè e pane tostato che invadeva le scale. Aveva fame, la sera prima, la stanchezza aveva sovrastato tutto, ma in quel momento, dopo dieci ore di sonno, voleva più di ogni altra cosa mangiare.

    In cucina c'era solo Thèrese, imburrava due fette di pane mentre ascoltava la radio e commentava da sé il notiziario; quando la vide, le fece un sorriso:

    Buongiorno cara! Ohhh, decisamente oggi il tuo viso è più riposato...vieni, siediti, ecco il tuo caffè

    E le porse una tazza di ceramica bianca piena di un liquido scuro e fumante.

    Grazie signora, lei è gentilissima...

    Yaya si portò la tazza alle labbra e bevve un sorso di caffè. Decisamente non c'era maniera migliore per iniziare una giornata.

    Thèrese nel frattempo le passava ogni sorta di leccornia, pane ai cereali tostato, burro di fattoria salato, marmellate fatte in casa di ogni tipo e poi miele, frutti di bosco, latte e frittelle di mele. Yaya mangiava con gusto.

    mmm signora la sua colazione è davvero fantastica...non credo che avrò voglia di mangiare fino a questa sera..

    chiamami pure Thèrese...non ci formalizziamo! È tutta roba mia...il pane, la marmellata...il burro no, lo vado a comprare da un'amica...per il resto...mi diletto!

    Yaya si chiese se Thèrese avesse un marito, dei figli, dei parenti. Sembrava così serena, non poteva certo essere sola. La sua timidezza però non le permise di fare domande, in fondo non si conoscevano e lei non era che una semplice cliente della sua locanda. Decise di aspettare e vedere se per caso spuntasse qualcuno da qualche altra ala di quel castello. Nel frattempo in cucina si erano presentati altri due ragazzi viaggiatori, zaino in spalla e ciabatte in cuoio per camminare più comodamente, si sedettero al tavolo di fianco a quello di Yaya e dopo averla salutata, cominciarono a mangiare.

    La giovane diede uno sguardo all'orologio, erano le nove. Avrebbe chiamato i suoi per rassicurarli e poi avrebbe fatto un giro per il paese, in fondo, non aveva né mete né orari.

    Uscì dalla maison in infradito, benché il sole non fosse ancora alto, faceva già molto caldo e un concerto inarrestabile di milioni di cicale sembrava accompagnare ogni attività del paese.

    Yaya ripercorse a ritroso la strada che aveva fatto la sera prima fino alla piazzetta. Lo scenario, ora, alla luce del sole era totalmente diverso. Le botteghe erano aperte e Yaya si stupì che esistessero ancora negozi di quel tipo. Nessun centro commerciale profanava il paese, così che esistevano ancora il macellaio, il panettiere, il fruttivendolo e il giornalaio; la gente si muoveva principalmente a piedi o in bicicletta, sembravano uscire da altri tempi, pareva che non conoscessero la fretta, si salutavano, e poi riprendevano le loro strade. Alcuni anziani giocavano a bocce sulla sabbia della piazzetta, incuranti del mondo. Yaya s’incamminò in una stradina stretta e in salita. La costante di quel paese era il rosso carico con cui erano dipinte tutte le case. Indistintamente. Un serpentone di case color ematite che si arrampicava su per la collina. Percorse stradine su stradine, una sorta di labirinto rosso, ogni tanto qualcuno le rivolgeva un saluto o un sorriso al quale lei rispondeva a sua volta sorridendo o con un timido cenno della mano.

    Imboccò uno stradello con una canalina di scolo al centro, sembrava che portasse fuori dal

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