Buona rivoluzione a tutti
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Buona rivoluzione a tutti - Alberto Papperini
PREFAZIONE
di Dario Fo
Alla fine degli anni Sessanta, Franca e io, all’apice della nostra carriera e reduci dal clamore suscitato dalla censura di Canzonissima, abbiamo deciso di uscire dal circuito del teatro tradizionale e abbiamo fondato il collettivo Nuova Scena, inventando di fatto un modo completamente nuovo di fare spettacolo, smarcandolo definitivamente dalla concezione prettamente borghese.
Il collettivo, così com’era stato concepito, fungeva da punto di incontro di molteplici sensibilità riunite dall’obbiettivo comune di creare insieme opere teatrali con il contributo del pubblico.
Da quel momento abbiamo allestito i nostri spettacoli in luoghi mai utilizzati prima per le rappresentazioni: Case del Popolo, palazzetti dello sport, fabbriche occupate, chiese sconsacrate, manicomi e piazze stracolme di operai in sciopero.
All’inizio di ogni progetto il gruppo di lavoro sceglieva con delle discussioni collettive preliminari i temi da trattare negli spettacoli e stabiliva altresì la linea politica e le ‘chiavi’ drammaturgiche. Solo a quel punto gli autori della compagnia mettevano a servizio dell’opera il proprio mestiere, la capacità di sintesi e la ricchezza di linguaggio, senza tradire o deformare l’impostazione decisa dal collettivo di cui erano parte. Una volta scritto lo spettacolo, entrava in funzione la parte di Nuova Scena che si occupava dell’allestimento e della rappresentazione.
Come facilmente intuibile, all’interno del nostro collettivo non vi era differenza di ruoli, non vi era capocomico o primo attore, la divisione dei compiti era equa e la paga era uguale per tutti. Uno valeva uno.
Al termine dello spettacolo cominciava il cosiddetto terzo atto: si innescava cioè un libero dibattito con il pubblico durante il quale chiunque poteva prendere la parola e intervenire.
Un momento di confronto che spesso si protraeva fino a notte fonda, dove a turno operai, intellettuali, militanti, studenti, sindacalisti discutevano e traevano spunto da quanto appena messo in scena per far un’analisi approfondita e ragionata sul partito, il sindacato, la chiesa e discutere di temi come la lotta di classe. Espressione che oggi, purtroppo, non ha quasi più alcun senso.
A nostra volta io e Franca annotavamo ogni osservazione e ne facevamo tesoro per gli spettacoli seguenti.
Tutta la compagnia scoprì un particolare che capovolgeva interamente il nostro programma di far teatro, giacché gli spettatori che ci seguivano oltre a essere il nostro pubblico diventavano anche il nostro committente.
Questo espediente ha reso il nostro un teatro vivo, perché ha messo in luce i problemi della gente, - vuoi con l’allegoria della messa in scena, vuoi con lo scambio dialettico che ne conseguiva - e l’ha posta di fronte all’esigenza di informarsi per poter cambiare. Avevamo fondato il nostro lavoro su una convinzione: il valore del discutere insieme doveva essere alla base di ogni iniziativa, teatrale e non.
Venendo ai giorni nostri, nel suo scritto Alberto Papperini racconta bene le difficoltà che ha riscontrato quando ha iniziato a riunirsi con i suoi concittadini e si è trovato a dover coordinare gli eventi e gli interventi, le assemblee, le liste, i meetup. Tutto ciò è stato possibile solo grazie a quella che lui definisce una maturazione civica sua e dei Cesenaticensi che si sono uniti a lui, ben consapevoli della potenza innescata dall’azione del singolo per il bene comune. E non poche sono le difficoltà che ha riscontrato Alberto nella sua attività: se negli anni settanta c’erano il terrorismo, i sequestri, le bombe molotov fuori dai teatri, oggi come narrato nel libro, i metodi si sono fatti più subdoli; i politici, davanti a chi manifesta il dissenso, per prima cosa cercano di ‘comprare’ chi lo manifesta e se non ci riescono utilizzano l’arma della delegittimazione sfruttando ogni mezzo possibile.
Proprio quando credi di aver trovato la chiave di volta per condurre un giusto rapporto con i tuoi - pardon, stavo dicendo compagni! – ebbene questa chiave diventa spesso faticosa e difficile da gestire.
Facilmente, molti di noi, si lasciano travolgere dall’ipocrisia e dal ricatto culturale che le parti avverse mettono in campo per sfasciare il nostro programma e la nostra integrità di gruppo ma è qui che bisogna reinventarsi un nuovo modo di essere e di fare politica.
Come diceva un personaggio