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Accadde d'autunno
Accadde d'autunno
Accadde d'autunno
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Accadde d'autunno

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About this ebook

Un commissario di polizia ucciso da un balordo in una tranquilla cittadina della Toscana. La più importante azienda del posto che, undici anni dopo, subisce l’assalto di un gruppo di finanzieri milanesi che cercano di impossessarsene. Un giovanotto che capita nella cittadina mentre quella scalata è in pieno corso e che, per puro caso, viene a conoscenza del delitto che vi era stato compiuto anni indietro. Una bella ragazza che se ne innamora a prima vista e che cerca tenacemente di conquistarne il cuore, anche se lui non sembra mostrare alcun interesse verso le sue attenzioni.
Ecco delineati gli ingredienti che sono alla base di questo romanzo: una miscela già sufficiente di per sé ad avvincere il lettore sin dalle prime pagine. Se poi ci aggiungiamo che – sulla base di certi riscontri – il giovanotto non è affatto convinto della versione ufficiale fornita dalle autorità riguardo all’assassinio del commissario e che comincia in silenzio un’indagine personale per appurare la verità; che la casa dove ha preso dimora è proprio quella della famiglia della vittima; che la ragazza innamorata di lui ne è la figlia, se ci aggiungiamo anche questi altri elementi, è facile immaginare quale formidabile intreccio di dubbi e domande possa stimolare la curiosità del lettore, incollandolo sempre di più alle pagine del romanzo.
Anche perché l’aura del mistero avvolge la figura stessa del giovanotto, di cui nessuno conosce il passato e che sembra piombato in città dal nulla. Sarà veramente colui che dice di essere? Perché ogni settimana scompare per tre o quattro giorni? Perché è così geloso della propria sfera affettiva, perché non vuole che si parli della sua famiglia?
Tutte domande cui l’autore fornirà le risposte strada facendo, per gradi, sino al finale a sorpresa, degno epilogo di un giallo che si sviluppa con un meccanismo perfetto, secondo le regole delle migliori opere del genere.
LanguageItaliano
Release dateFeb 25, 2014
ISBN9788868858179
Accadde d'autunno

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    Accadde d'autunno - Ruggero Grimaldeschi

    A mia moglie Silvia

    Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa non significa che essa non possa essere completamente assurda.

    Bertrand Russell

    Dello stesso autore:

    Frammenti d’amore (Greco & Greco Editori, Milano – 2005)

    L’estate del 2003 (Greco & Greco Editori, Milano – 2007)

    Con l’amaro in bocca (Self Publishing, 2014)

    © 2014 Ruggero Grimaldeschi. Tutti i diritti sono riservati all’autore

    Ebook ISBN 9788891068248

    In copertina: Sentiero d’autunno (Foto dell’autore)

    www.ruggerogrimaldeschi.it

    Questo e-book contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, trasferito, distribuito, noleggiato o trasmesso in pubblico o utilizzato in alcun altro modo, ad eccezione di quanto specificamente autorizzato dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge. Qualsiasi distribuzione o fruzione non autorizzata di questo testo, così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo libro elettronico non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acqusto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’autore. In caso di consenso, tale libro elettronico non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi, organizzazioni ed eventi sono frutto della fantasia dell’autore o vengono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con fatti, organizzazioni o persone, vive o defunte, è assolutamente casuale.

    Ruggero Grimaldeschi

    ACCADDE D’AUTUNNO

    (DELITTO AL TRAMONTO)

    Prologo

    Equinozio d’autunno del 1988

    Ore 18 e 37

    Il podista avanzava per il sentiero correndo in bello stile, a passo sostenuto, quanto bastava per denotare trascorsi da ottimo atleta. Correva ormai da un’ora ed era soddisfatto della condizione fisica che avvertiva. Le gambe erano elastiche e i polmoni pompavano ossigeno ad un buon ritmo, senza denotare nessun affaticamento. Lanciò un’occhiata al cronografo che aveva al polso: stava tenendo la media di quattro minuti e dieci al chilometro, un’andatura niente male per un trentacinquenne che, oltretutto, poteva allenarsi solo saltuariamente. Come tutti gli amanti della corsa, infatti, aspirava a farlo almeno quattro o cinque volte a settimana; ma una volta per un motivo, una volta per un altro, era sempre costretto a rimanere lontano dall’obiettivo che si era posto.

    Quel pomeriggio, però, aveva deciso che – crollasse il mondo – non avrebbe rinunciato alla sua sgambatella: dopo un paio di giorni di forzata sedentarietà, ne sentiva fortemente il bisogno. Perciò, sbrigate velocemente le pratiche che il suo vice gli aveva lasciato da firmare sulla scrivania e fatte le telefonate più urgenti, aveva spento il computer, si era tolto gli abiti, li aveva ripiegati alla buona nel sacco che si era portato appresso da casa e, infilate scarpe, pantaloncini e canottiera, era uscito dalla propria stanza in tenuta da perfetto maratoneta.

    I suoi uomini, abituati a trasformazioni come quella, gli avevano rivolto un saluto scherzoso mentre passava per il corridoio. «Commissario, se dovesse scoppiare, spari un bengala in aria, mi raccomando. Almeno, con l’elicottero la troviamo subito, senza perdere tanto tempo» gli aveva gridato un maresciallo, suo coetaneo.

    «Fai pure lo spiritoso, Aniello, fai. Ma prova a starmi dietro solo un chilometro, se ti riesce» l’aveva rimbeccato lui. «Poi lo vedrai chi è che scoppia!» Quindi, passando davanti ad un’altra stanza, si era rivolto al collega che stava dietro alla scrivania. «Allora Carlo, io vado a correre nel solito posto. Pensa tu a tutto, d’accordo?»

    «Non ti preoccupare. Vai tranquillo», gli aveva risposto il suo vice.

    Il commissario gli aveva fatto un cenno di saluto con la mano ed era proseguito oltre. Dopo qualche istante, però, era di nuovo lì che faceva capolino alla sua porta. «Per l’indagine sugli illeciti, qualche novità?» aveva chiesto, come ricordandosi di qualcosa all’ultimo momento.

    «Mah, niente di particolare, direi. Continuo a marcare stretto il nostro re Mida, ma per ora non ci sono sviluppi significativi.»

    «Dobbiamo tenere duro, alla fine qualcosa verrà fuori, ne sono sicuro.»

    «Già, lo spero anch’io. Prima o poi, qualche passo falso lo fanno tutti. Buona sgroppata!»

    Giunto sul piazzale, il commissario era salito sulla Tipo di servizio, dopo aver deposto il sacco sul sedile posteriore, accanto ai libri scolastici che aveva ritirato in mattinata. Sua figlia aveva cominciato da una settimana le scuole medie, ma i libri di testo arrivavano col contagocce: così, ogni giorno gliene portava qualcuno. Aveva poi fatto un paio di chilometri di strada fuori città, quindi, raggiunto il limitare del bosco, era disceso dall’auto e dopo una decina di minuti di stretching e di preriscaldamento, aveva finalmente cominciato a correre lungo un sentiero utilizzato dai taglialegna, largo quanto bastava per far passare un trattore.

    Man mano che avanzava, sentiva il profumo del bosco farsi più intenso: qualche sera prima aveva piovuto e si percepiva già l’odore dei funghi che cominciavano a far capolino tra le foglie secche ammucchiate sotto i cespugli. Intanto, con il crescere del fabbisogno di ossigeno, il battito cardiaco aveva preso a farsi più serrato, fino a raggiungere a regime le ottimali 150155 pulsazioni al minuto. Fu a quel punto che cominciò ad avvertire quello stato di grazia atletica che i podisti conoscono bene, quando cioè il fisico sembra in grado di reggere qualsiasi sforzo e di fornire qualsiasi prestazione gli venga richiesta. Merito della produzione di endorfine stimolata dalla corsa, aveva sempre saputo. Anche la testa, però, non era da meno: come sempre quando correva, aveva la sensazione di essere eccezionalmente lucido. Cominciò, perciò, a passare in rassegna mentalmente le varie faccende che stava portando avanti sul lavoro ma, dopo un po’, finì col concentrarsi su quella che da qualche tempo più assorbiva i suoi pensieri. Fino a quel giorno, vi aveva lavorato in silenzio e in solitudine, in forma, per così dire, privata. Infatti, le congetture che stava sviluppando potevano sembrare così assurde che nessuno le avrebbe ritenute degne di credito finché non fossero state avvalorate da prove solide e più che certe. Tutto era nato da una banale considerazione, poi un sospetto sempre più forte… Alla fine, i tasselli del mosaico avevano cominciato ad andare a posto, ma c’era sempre qualche pezzo che non combaciava bene, c’era sempre bisogno di qualche forzatura logica. Ripeté a se stesso, ancora una volta, che doveva muoversi con molta discrezione, evitando passi falsi: le prove erano ancora troppo deboli e se la cosa fosse diventata troppo presto di pubblico dominio, il clamore suscitato sarebbe stato tale che al minimo errore si sarebbe bruciato carriera ed avvenire.

    Mentre era immerso in queste considerazioni, continuando a macinare chilometri, era arrivato in un punto in cui il sentiero, per quattrocento metri circa, abbandonava il bosco per seguire attraverso una stretta radura il ciglio del fiume che scorreva nella valle. Era una giornata stupenda: mancava ormai poco al tramonto, ma appena uscito dal bosco sentì comunque il calore del sole sulle spalle nude. Mise da parte i pensieri di lavoro e cominciò a volgere la mente alla famiglia: alle bambine che ogni sera lo aspettavano per godersi un po’ della sua compagnia davanti al televisore; alla splendida moglie che, come sempre quando andava a correre, gli avrebbe fatto trovare una cena ricca di manicaretti, perché nessuno le toglieva dalla testa che dopo uno sforzo che si prolungava per più di un’ora, era necessaria un’abbondante mangiata per rimettersi in forze. E lui, comunque, in forze ci si voleva far trovare visto che, per un motivo o per l’altro, erano già tre sere che non facevano l’amore e che, come per la corsa, cominciava a sentirne un forte bisogno…

    All’improvviso, il corso dei suoi pensieri venne interrotto dal rumore secco di un colpo d’arma da fuoco: istintivamente, la mano destra fece per portarsi alla vita, in cerca della fondina. Ma fu questione di una frazione di secondo. Nella testa, prima si accese un bagliore improvviso e accecante, come se ci fosse scoppiata dentro una bomba al fosforo. Poi, il nero assoluto del nulla. Cadde a terra un paio di metri avanti, trascinato dallo slancio della corsa, con il viso riverso sull’erba.

    Dopo qualche attimo, dal folto del bosco, uscì uno strano individuo: sembrava più un animale selvatico che un essere umano. Malvestito e sporco, con la barba nera incolta e i lunghi capelli grassi che gli scendevano a ciocche fino alle spalle, si portò verso l’uomo a terra, con un’andatura goffa, quasi da ubriaco, impugnando un fucile da caccia. Quando l’ebbe raggiunto, lo guardò con la freddezza e l’indifferenza che si rivolgono ad una preda abbattuta; quindi, con la punta della canna del fucile, gli girò la testa per sincerarsi che fosse morto.

    Dopo aver visto gli occhi vitrei ed il sangue che sgorgava copioso tra i capelli, ripose l’arma in spalla e proseguì oltre, per scomparire di nuovo tra la vegetazione.

    Undici anni dopo

    Settembre

    1

    L’estate, quell’anno, aveva scelto il modo più dolce per andarsene. Il sole brillava nel cielo di cobalto, mitigando col suo tepore l’aria fresca del mattino. Immerso nell’ombra dei tigli, il viale brulicava di ragazzi che, ancora insonnoliti, salivano sugli autobus o sulle auto dei genitori per raggiungere la scuola. Altre automobili, parcheggiate ai lati dei marciapiedi, partivano con il loro carico d’impiegati e professionisti che si recavano in centro, sul posto di lavoro. Poi, in poco tempo, il viale perse l’animazione di qualche minuto prima e si adagiò in una quiete pigra e rilassante.

    Solo il motore di un’automobile, che lo percorreva lentamente a basso regime di giri, disturbava con il suo sommesso rumore il cinguettio degli uccelli nascosti tra i rami degli alberi. Alla guida, un uomo sulla trentina scorreva con attenzione i numeri civici che apparivano accanto ai cancelli dei giardini. Alla fine, sembrò aver trovato quello che cercava. Fermò la macchina e ne discese, dirigendosi con un piccolo foglio di carta tra le dita verso l’ingresso di una delle villette. Fisico atletico, un metro e novanta d’altezza, era vestito alla maniera degli uomini d’affari: completo antracite di lino e seta, cravatta blu sopra una camicia grigia, orologio d’acciaio al polso. Con un’occhiata al foglio controllò ancora una volta che il numero fosse quello giusto, quindi avvicinò il dito al campanello. Ritirò però la mano, avendo notato che il cancellino era socchiuso: lo spinse e cominciò a percorrere il vialetto di ghiaia che lo divideva, venti metri più là, dall’abitazione.

    Da dietro l’angolo di una siepe di pittosporo, fece capolino la chioma castana chiara di una donna, messa in guardia dal rumore dei passi sulla ghiaia. Piegata a terra, stava smovendo con una piccola zappa il terreno dell’aiuola. Interruppe il lavoro e si alzò, facendo un passo verso l’uomo e guardandolo con aria interrogativa.

    «Chiedo scusa per l’intrusione» disse lui con un sorriso, «ma ho visto il cancellino aperto e allora mi sono permesso…»

    «Chi è, e che cosa vuole?» lo interruppe bruscamente la donna, diffidente, mentre con un rapido sguardo passava in rassegna il suo aspetto e il foglio che aveva in mano.

    «Mi chiamo Andrea Sampieri e sono un ispettore delle Assicurazioni Nazionali» rispose il giovane, con un tono di voce rassicurante. «Questo è il mio biglietto da visita» aggiunse, estraendo un cartoncino dal taschino della giacca e porgendoglielo.

    La donna lo prese tra le dita e l’esaminò con un rapido sguardo. «D’accordo, ma non vedo che cosa io possa avere a che fare con la sua Compagnia» disse, rialzando gli occhi dal biglietto e restituendoglielo.

    «Non abbia timore, non sono qui per venderle una polizza. Oltretutto, non è neppure il mio lavoro». Le tese la mano con il foglietto di carta. «Sono venuto per quest’annuncio che qualcuno ha affisso alla bacheca dell’Università: l’indirizzo coincide. È a lei che posso rivolgermi?»

    La donna, come se avesse a quel punto abbassato la guardia, sorrise. Andrea non poté fare a meno di notare la sua bellezza. Il turchese degli occhi sembrava fondersi con l’azzurro del cielo settembrino e gli zigomi avevano qualcosa di felino che rendeva il suo sguardo penetrante come una lama affilata.

    «è per quello che è venuto? Ma non ha letto che è rivolto soltanto a studenti e per di più di sesso femminile? A occhio e croce, non direi che lei sia fornito di questi requisiti…»

    «Certamente no… o, almeno per quanto riguardo il sesso, spero proprio che sia evidente!» ammise Andrea, riuscendo a farla ridere.

    «E allora?» chiese lei, tornando seria.

    «Il fatto è che sto cercando, per poco meno di un anno, una sistemazione proprio come quella che mi sembra possa offrire lei. La vorrei in questa cittadina, perché è al centro dell’area in cui dovrò spostarmi nei miei giri, e la vorrei in un quartiere come questo, perché mi piace la tranquillità. La cerco poi in una famiglia, perché non sopporto l’ambiente freddo e impersonale degli alberghi. Lei chiede quattrocentomila al mese per ciascuna ragazza: bene, io le offro un milione per me soltanto. Per la mia Compagnia, il conto sarebbe sempre molto meno salato di quello di un albergo. Per lei, invece, una sola persona invece di due: meno lavoro, meno spese, più soldi. Sono anche disposto a versarle tutto in anticipo: diciamo… dieci milioni. Che gliene pare?»

    «Be’, non venderà polizze, ma ci sa fare lo stesso» disse la donna, ammirata per la sua concretezza. «Non le nascondo che la sua offerta sarebbe allettante: se lo lasci dire da una vedova con tre figli, una modesta pensione di reversibilità e un mutuo da pagare. Altrimenti, perché crede che affitterei camere? Ma vede, c’è un ostacolo insormontabile. Dei miei figli, due sono femmine, una di venti e l’altra di quattordici anni. Capisce ora perché non posso e non voglio ospitare uomini sotto il mio tetto, specialmente poi se giovani come lei?»

    Il giovane si fermò a riflettere un attimo, prima di proporre la sua soluzione al problema. «Capisco, ma le posso garantire che ciò non costituirà una difficoltà insormontabile. Consideri, infatti, che tornerò quasi sempre dopo l’ora di cena e che me ne riandrò alle sei del mattino. E questo per soli tre, al massimo quattro giorni a settimana, dato che il giovedì e il venerdì devo tornare alla sede centrale della Compagnia per stendere i rapporti. Quanto al fine settimana, lo passerò sempre a casa, lontano da qui.»

    La donna, titubante, rimase qualche attimo pensierosa ad esaminare la proposta di Andrea alla luce di queste ultime considerazioni. «Mi dispiace» disse alla fine, scotendo la testa, «ma non posso venire incontro ai suoi desideri. Questa non è Milano o Roma: è solo una piccola città di provincia e non voglio che qualche mala lingua marchi a fuoco una delle mie figlie con una chiacchiera, caso mai falsa, ma impossibile da dimostrare tale. Credo che mi capisca…»

    «Certo, capisco le sue paure di madre. Peccato, però: questo posto mi piaceva davvero» sospirò lui rassegnato, guardandosi intorno. Si rendeva conto che non era neppure il caso di fare un’offerta più alta: non era quello l’ostacolo. «Ho notato, sa, come tiene in ordine il giardino. Questo mi fa pensare che curi la casa con altrettanto amore. Peccato», ripeté come parlando tra sé. «è un po’ deprimente tornare dopo una lunga giornata di lavoro e non avere qualche persona amica con la quale scambiare due parole in poltrona prima di coricarsi. Con un lavoro come il mio, si è sempre in giro, soli e lontani da casa, e le posso assicurare che dopo un po’ la solitudine è la bestia più brutta con la quale si debba combattere…»

    «Mi dispiace…» disse la donna, in un tono che esprimeva comprensione.

    Stavano per congedarsi, quando dalla siepe sbucò una gatta dal pelo bianco e nero che, dopo essersi guardata intorno, alzò la testa verso Andrea, come incuriosita da quella figura a lei sconosciuta.

    «Ehi, micetta!» la chiamò lui, sorridendole.

    A passi eleganti e con la coda eretta, la gatta rispose al suo richiamo, dirigendosi spedita verso i suoi pantaloni, addosso ai quali cominciò a strofinarsi facendo le fusa. Andrea si chinò, l’afferrò delicatamente sotto la pancia e se la portò verso la guancia. La gatta strizzò gli occhi, accentuando le fusa. «Ma che bella miciona che sei! Scommetto che fai impazzire tutti i gatti del vicinato» disse, accarezzandola sotto il mento con il dorso del dito.

    «Purtroppo non più» intervenne la donna, con la voce velata di tristezza. «Ho dovuto farla sterilizzare, altrimenti non ci salvavamo dalle cucciolate.» S’interruppe, con gli occhi aggrottati. «Ma sa che è una cosa incredibile?» aggiunse poi, un po’ sconcertata.

    «Prego?»

    «Voglio dire, Mizzy, la gatta. Non si fa avvicinare da nessuno che non sia della famiglia. A lei, invece, è addirittura venuta incontro!»

    «Vede? Ha più fiducia in me di lei, forse perché si lascia guidare dall’istinto» commentò Andrea con tono di scherzoso rimprovero, deponendo delicatamente l’animale a terra.

    La donna rimase qualche attimo in silenzio, come riflettendo. «Può darmi nuovamente il suo biglietto?» chiese alla fine.

    Un lampo di speranza illuminò gli occhi sorpresi di Andrea. «Certamente. Eccolo.»

    «Mi segua in casa, prego.»

    Entrarono nell’ingresso dell’abitazione, spazioso ed arredato con mobili di buon gusto. Come lui aveva intuito, tutto era ben pulito e in ordine. La donna sollevò la cornetta di un telefono appoggiato su una console e, con gli occhi sul biglietto da visita, compose il numero della sede della Compagnia. Con piglio sicuro, una volta avuto l’ufficio giusto, chiese informazioni su di lui e sul lavoro che svolgeva, da quanto tempo era alle dipendenze dell’azienda, se era un tipo serio e stimato e così via. Dopo un paio di minuti riagganciò il ricevitore. «Be’, sembra che lei sia il miglior dipendente della Compagnia.» Sospirò, continuando a fissare il biglietto. «Forse farò una sciocchezza, ma accetto la sua offerta» decise infine dopo qualche attimo di riflessione, alzando gli occhi verso Andrea e guardandolo con aria quasi di sfida.

    «E vai!» esclamò lui, facendo un gesto di vittoria col braccio, alla maniera dei tifosi. Poi estrasse immediatamente il blocchetto degli assegni e prese a scrivere la cifra che aveva promesso. «A chi lo devo intestare?» chiese.

    «Ad Elena Guidi» rispose la donna, mentre con lo sguardo seguiva l’arzigogolare della penna sullo chèque.

    «Elena», ripeté Andrea mentre scriveva. «Nome che si coniuga con l’idea della bellezza. Mai come nel suo caso più appropriato.»

    La donna preferì ignorare il complimento. «Le mostro la stanza», disse ritirando l’assegno, dopo che il giovane vi aveva apposto una sigla come firma, indicandogli con lo sguardo le scale.

    La camera era semplice, ma spaziosa e ben tenuta. La portafinestra si apriva sul balcone a tutta parete che si affacciava sul lato principale della costruzione. Andrea era visibilmente soddisfatto.

    «è proprio come la volevo», commentò.

    «Se vuole, può salire anche subito i suoi effetti personali. E, visto che dovrà conoscere tutta la famiglia, può restare a pranzo con noi, se le fa piacere.»

    «Sono lusingato per l’invito, ma per quel pasto ho già un impegno. Però, se la cena per lei fa lo stesso…»

    «Nessun problema.»

    Discesero le scale e, quando furono di nuovo in giardino, Andrea le tese la mano, come per suggellare l’accordo appena raggiunto.

    «Gliela stringerò solo dopo che mi avrà dato la sua parola d’onore riguardo ad un punto» disse lei, puntandogli dritto negli occhi quel suo sguardo che sembrava passarlo da parte a parte.

    «Mi dica» la incoraggiò lui, sostenendolo senza battere ciglio.

    «Mi deve dare la sua parola d’onore che non infastidirà mai mia figlia. Parlo di Martina, la più grande: è una bella ragazza e capisco che per un giovane sia difficile non sentirsi attratto da lei. Ma, nel suo caso, dovrà essere come se non esistesse. Ripeto: come se non esistesse. Me lo promette?»

    «Le do la mia parola» disse Andrea, senza esitare.

    Elena gli offrì la mano, continuando a guardarlo dritto negli occhi. Il giovane rispose con una stretta decisa, ma senza farle male. Istintivamente, la donna avvertì di poter contare su quella promessa. Aveva sempre giudicato le persone dalla stretta di mano, e non si era mai sbagliata. «A stasera, allora» confermò. «Ah, dimenticavo!» aggiunse poi schioccando le dita. Corse in casa e di lì a poco uscì con qualcosa racchiusa nella mano. «Le chiavi» spiegò con un sorriso, porgendogliele.

    «Grazie» disse Andrea mentre le afferrava. «Ci rivediamo questa sera, allora. Verrò un po’ prima del solito per sistemare le mie cose», disse prima di congedarsi.

    Mentre con passo sicuro si allontanava lungo il vialetto, chinata di nuovo a terra, Elena l’osservava pensierosa, già assalita dal dubbio di essersi lasciata incantare dai suoi modi sicuri ed affabili, e di essersi così lasciata convincere a fare una mossa sbagliata. Affondò la zappetta nel terreno, mentre lui accendeva il motore della macchina.

    Anche se così dovesse essere, sarò sempre in tempo a rimediare disse tra sé. "Non

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