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Tutte le poesie
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Ebook564 pages3 hours

Tutte le poesie

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About this ebook

Nelle opere poetiche di Luigi Pirandello, scritte quasi tutte in gioventù, affiorano molti dei motivi comuni alla narrativa dell’autore, che impronteranno anche in seguito il suo discorso: l’illusorietà degli ideali (nel quadro fra l’altro dell’involuzione politica italiana del tempo), la solitudine dell’uomo, l’incoerenza e l’instabilità dei rapporti sociali e, di contro, gli inganni della coscienza e la necessità di una maschera, la disgregazione del mondo oggettivo, l’ironia lucidissima ma spesso alternata alla pietà.
LanguageItaliano
Release dateMar 7, 2014
ISBN9788874173648
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    Tutte le poesie - Luigi Pirandello

    Tutte le poesie

    Luigi Pirandello

    In copertina: Juan Gris, Natura morta con tovaglia a quadri

    © 2014 REA Edizioni

    Via S. Agostino 15

    67100 L’Aquila

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    www.facebook.com/reamultimedia

    La Casa Editrice ha reperito il testo fra quelli considerati di pubblico dominio,

    rimane comunque a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito.

    Indice

    MAL GIOCONDO

    ROMANZI

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    ALLEGRE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    INTERMEZZO LIETO

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    MOMENTANEE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    TRISTE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    SOLITARIA

    PASQUA DI GEA

    JAUFRE RUDEL

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    APPENDICE A PASQUA Dl GEA

    ELEGIE ROMANE DI GOETHE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    ELEGIE RENANE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    ELEGIE NON COMPRESE NELLA RACCOLTA DEL l895

    ELEGIE RIVEDUTE

    ZAMPOGNA

    PADRON DIO

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    COME MUORE...

    PÀNICO

    ALBERI SOLI

    GARA

    LE FATICHE DEL VENTO

    LE NUBI E LA LUNA

    VISITA

    RONDINE

    TEMPORALE ESTIVO

    l. (brontola)

    II (gràcida)

    LUNA SUL BORGO

    AL LAGO

    VIGILIA

    L'ASINELLO

    A GLORIA

    DONDOLIO

    L'INTRUSA

    I

    II

    COMPENSO

    CHI RESTA

    RITORNO

    II

    ATTESA

    FUORI DI CHIAVE

    I – PRELUDIO: ORCHESTRALE

    DI PARTENZA

    RICHIESTA D'UN TENDONE

    INGRESSO

    LA MÈTA

    l

    2

    IL PIANETA

    IL PIANETA

    I

    II

    III

    IV

    CREDO

    LO STAJO

    IL TESORO

    BOLLA E PALLA

    VECCHIO AVVISO

    MELBTHAL

    1

    2

    3

    RITORNO

    l

    2

    3

    4

    PRIMAVERA DEI TERRAZZI

    L'OCCHIO PER LA MORTE

    ONORIO

    DAL FANALE

    STORMO

    PIAN DELLA BRITTA

    A UN OLIVO

    SEMPRE BESTIA

    CHIÙ

    MERIGGIO

    ULTIMO VATE

    GUARDANDO IL MARE

    NUVOLE

    CONVEGNO

    CONVEGNO

    I

    II

    LEGGENDO LA STORIA

    LA CACCIA DI DOMIZIANO

    TORMENTI

    COMIATO

    POEMETTI

    BELFAGOR

    LA VISITA

    PIER GUDRÒ

    I

    II

    III

    IV

    V

    LAÒMACHE

    I

    II

    III

    IV

    V

    SCAMANDRO

    PERSONE

    PRIMO EPISODIO

    SECONDO EPISODIO

    TERZO EPISODIO

    QUARTO EPISODIO

    POESIE SPARSE

    LA MASCHERA

    SONETTI

    I – ELEVAZIONE

    II – DEPRESSIONE

    LA FUNE

    PIANTO DI ROMA

    CANZONE DI FOLCHETTO DA MARSIGLIA

    I SALTIMBANCHI

    IL GLOBO

    AI LONTANI

    ANDANDO

    LIETA

    AMOR SINCERO

    I

    II

    MARIANDIN GOGÒ

    NOTTE INSONNE

    I

    II

    III

    IV

    V

    LA VIA

    I

    II

    III

    IV

    V

    ALBA

    ESAME

    APPRODO

    TORNA, GESÚ!

    PER LA PROSSIMA ESTATE

    LAGO Dl LUGANO

    ESAME

    L'INVITO

    L'ABBANDONO

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    SINFONIA RURALE

    L'ASCENSIONE

    PIANTO DEL TEVERE

    BRAVI VECCHIETTI

    PRIMO RINTOCCO

    CARGIORE

    I

    II

    III

    ALL'ASTA

    GLI OCCHIALI

    ESAME

    I

    II

    III

    IV

    PRELUDIO

    MELBTHAL

    INVITO

    EPIGRAMMA

    TENUI LUCI IMPROVVISE

    I – CROLLO

    II – PER VIA

    III – GIRO TONDO

    IV – TRAMONTO

    V – CHE FAI?

    VI – METAMORFOSI

    VII – ALTALENA ABBANDONATA

    VIII – DORMIVEGLIA

    IX – SORPRESA

    X – INCONTRO

    SOGNO EROICO

    LA MÈTA

    ESAME

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    IL COMPITO

    CONVERSANDO

    CONVERSANDO

    SVEGLIA

    SETTEMBRE

    RITORNO

    SENZA TITOLO

    L'ULTIMO CAFFÈ

    IMPROVVISI

    MAL GIOCONDO

            a l'Eletta

    Peristi? In vano te da le pagine

    sacre richiamo dunque, o purissimo

    amore di tempi lontani,

    vergin diva, tra gli uomini novi?

    In vano, o vergin greca, la limpida

    tua voce chiamo su le marmoree

    fidiache labbra del tuo simulacro,

    da secoli muta?

    Mutaro i tempi. L'antico genio,

    li antichi affetti già un fiero turbine

    incalza da l'imo, e respinge

    acre, fuor de la vita, ventando.

    Al suo gagliardo soffio già crollano

    le vecchie sedi (son chiese e reggie)

    e tanta rovina recente

    con vïolenta furia pervade

    soverchiatrice onda di popolo,

    che spezza e abbatte, che freme e s'agita

    al fin di sua possa cosciente,

    reclamante il suo dritto a la vita.

    I dolci inganni che tu, pia vergine,

    sí come pioggia di rose roride

    da grembo divino piovente

    su l’umane sciagure, ne davi,

    ha già spogliato, severa e rigida,

    d'ogni lor verde, una novissima

    iddia da gli occhi di falco

    scrutatrice ostinata del vero.

    Per lei l'antica vista (o del secolo

    inestimabil trïonfo e gloria)

    il mondo ha cangiato, e piú intensa

    ride agli uomini e varia la vita.

    Ecco: lontane genti in un attimo

    hanno di loro casi notizia:

    l'umana fraterna parola

    per metalliche fila trascorre.

    Per lei su terre su fiumi e oceani,

    solo una patria del globo agli uomini

    facendo, in attivo commercio

    vittorioso vola il vapore.

    Per lei piú eque leggi correggono

    le nove genti, per lei l'industrie

    s'accendono, agli uopi traendo

    de la comune madre i tesori.

    E lei dovunque, iddia benefica,

    ne le parole nostre, ne l'aria,

    in seno al domestico lare,

    ovunque, sentiamo presente.

    Ma tu fra noi, divina vergine,

    tu da l'Olimpo sacro de gli Elleni,

    fra noi, sol ne l'ozîo invocata,

    scenderai, con incesso di dea?

    ROMANZI

    I

    Come tenace auriga antico, il quale

    su l'agil biga per lungo discorso

    frenò l'ardor de l'arabo animale,

    subitamente, fatto arco del dorso,

    i freni allenta e aizza con vocale

    sprone la coppia dei focosi al corso,

    e va, che par saetta, e scossa polve

    lontano in una nube aurea l'involve;

    tale il teso a fuggire interno duolo,

    sciolto a la fantasia l'ala gioconda,

    pe ‘l fantastico ciel mi caccio a volo;

    e la nube dei sogni mi confonda.

    II

    Udite. Da le pagine immortali

    del divin Ferrarese a raccontare

    una diversa favola di strani

    versi a voi vengo.

    Vi condurrò sotto un velame antico

    a intender novo caso e nova pena.

    Chi nel giovin ch'io fingo sé vedesse,

    mesto acconsenta.

    Corse infrequenti vie spronando a sangue

    l'animoso destrier fiero annitrente

    in fuga impetuosa, erte le orecchie,

    le nari ansanti.

    Valli dal verno desolate corse

    e inculti piani sterminati e soli,

    fiumi guadò, valicò monti, ignaro

    del suo vïaggio.

    Ira di tempo o sorriso d'aprile

    già mai no'l vinse o gli allentò la furia:

    Sprone d'insani desiderî avanti

    sempre lo spinse.

    L'inseguiron pe ’l ciel nuvole fosche,

    quasi a gittar su lui funereo manto;

    e a lui sempre atterrita eco rispose,

    nunzia di morte.

    Raccolse al suo passar grida e sospiri

    di genti grame, e mestizie profonde

    di offesi campi da i venti autunnali

    al verde infesti.

    E gonfio il petto d'angosciose pene

    senza mai posa andò, come rapito

    dietro un fantasma innanzi a lui fuggente,

    lusingatore.

    Andò fin che a la furia il generoso

    animale non giacque: allor fermossi,

    compreso ancor da l'impeto e stupito

    di quel suo stare.

    E in torno si guardò: per ogni lato

    una gran selva di misteri intensa

    eragli sopra, e contendeagli il passo

    silenziosa.

    Raggio di sol non penetrò già mai

    l'immenso intrico di quei rami torti;

    non mai furore di rapaci venti

    spogliò quel verde;

    ma d'ogni parte il guardo ansio escludendo,

    senza limiti stava, in contro al cielo.

    In lei l'in van per tanta via seguito

    fantasma vano

    era disparso. Il giovine ostinato

    non disperò, non imprecò la sorte:

    Dal rovesciato arcion tolta una scure,

    mosse a la selva.

    Ma al primo colpo su una quercia antica

    udì levarsi in grembo al verde orrore

    un clamor sordo d'indistinte voci

    misteriose.

    Ristette impaurito, ogni vitale

    forza acuïta ne l’orecchio teso:

    Vasto silenzio ovunque. Era un inganno

    dei sensi, certo.

    E diéssi a l'opra immane. Un dopo l'altro

    vigorosi scendean su tronchi pregni

    di selvatica vita i colpi, come

    su membra umane.

    Quando al fin tra stillanti offesi rami

    s'aprì capace a pena un primo varco

    e in esso si cacciò, subitamente

    al guardo un novo

    inatteso spettacolo s'offerse:

    tra le innumeri foglie erongli in torno

    volti di leggiadrissime fanciulle

    supplici in vista:

    Da gli occhi loro immobili partia

    un guardo intenso a lui chiedente pace

    con promessa d'amor non mai provato

    d'alcun mortale.

    Eron le loro labbra piccoline

    di süadevol sorriso atteggiate;

    pace chiedean le labbra, e pur: ne bacia,

    dicean, ma lieve.

    A tale incanto il giovine perplesso,

    senza respiro e tutto intento stava:

    Parlar volea ma gliel vietava un nodo

    stretto a la gola.

    Se non che tosto, come sogno lieve

    che a poco a poco si sciolga da i sensi,

    stupor mesto lasciando; ecco vanire

    le imagin belle.

    Volle egli allor lanciarsi contro, preso

    d'acre desio, ma si trovò captivo

    de la gran selva, per non sospettata

    virtù d'incanto.

    Rapito in quella vision fatale

    scender non vide a lui silenziosi,

    quasi furtive braccia, de la selva

    magica i rami;

    verdi non vide serpentelli arguti

    da viluppi disciorsi, ed a le gambe

    al collo al seno ai polsi attorcigliarsi

    tenacemente;

    mille steli di fior strani non vide

    d'ogn'intorno allungarsi insïdiosi,

    ne sentí de le spine, ond'eron aspri,

    l'acuto morso:

    tanta fu di quei volti femminili

    la traditrice possente malia;

    tanto di quegli immobili occhi valse

    l'intenso sguardo.

    Ora egli sta ne la gran selva chiuso,

    de i verdi serpi, de i rami, de i fiori,

    de lo stupor; de le spine in potere,

    tutto tenuto.

    Suoni lontani di danze e di cori,

    dolci concenti d'arcani strumenti,

    limpidi canti di ninfe gioconde,

    ode ne l'ombra.

    E, scherno atroce, da presso gli splende

    di tra le fronde allargate, sí come

    un vivo sole, il fantasma agognato

    Splende e l'irride.

    Pria ch'egli il giunga, o sfiorir quell’immensa

    dee primavera, che avvinto lo tiene,

    o lui le carni tra quegli aspri nodi

    lasciare a brani.

    III

    Giove parla

    Parve un sublime incendio del cielo

    quell'ultimo tramonto. E su le nove

    cristiane genti stese un negro velo

    la Notte. E disse, moribondo, Giove:

    Le braccia, tra cui stretta il vecchio cerro

    tenea la terra vigorosamente,

    segò il villano; ma il dente di ferro

    de la rigida sega pazïente

    le braccia, che in profondo erono tese,

    non raggiunse: la scure le troncò.

    Quindi un gemito sordo il tronco rese,

    e maestoso il gran cerro crollò.

    IV

    Quasi cristallo liquido, ondeggiante

    con lieve moto, ne l'accidia, l'onda

    soverchiatrice, come

    l'onda del tempo, copre

    di pieghevol vestiti d'alga i resti

    del greco porto d'Agrigento greca.

    Vengo da i templi antichi

    a tuffarmi nel mare.

    O conscio mar di tante egemonie,

    conscio di tante lotte, o mar conteso,

    Mediterraneo, dammi

    dammi l'oblio, l'oblio.

    Pallade fiera, de la polve astersi

    i fianchi ai suoi destrieri, e della spuma

    (o idillio di Callimaco!)

    l’umide nar fumanti,

    a l'acque anch'ella, l'elmo aureo gittato

    e l'armi ancor sanguigne, espugnatrice

    di città bella, usa era

    chieder ristoro e pace,

    Me non achee fanciulle al sacro elette

    uffizio dei lavacri accolgon baldo

    su lo sciolto, treenne

    poledro al mar veniente;

    ma l'egra torma al desolato lido

    de le memorie accoglie e dei rimpianti;

    e solo ad oblïare

    entro ne l'onda fredda,

    ad oblïare il mal triste di vivere,

    mentre il volgo trionfa e il culto muore

    de la bellezza eterna,

    divin nostro ideale.

    Tra le colonne de l'integro tempio

    de la Concordia udii, dove un dí greche

    a Dei greci le turbe

    cantavan prosodie,

    rozzo un pastor del gregge non curante,

    cullar l'ozîo de l'anima villana

    ne l'abbandon di molle,

    araba cantilena;

    e nel languor monotono del canto

    la rinunzia del popolo sorpresi

    agl'ideali sacri

    che fan le patrie forti.

    O conscio mare, in te, cui la riviera

    agrigentina in lieve seno abbraccia,

    mar che mi desti primo

    lo stupor de le grandi

    visïoni serene, ecco, io mi caccio;

    ma in te pur cala il sol flammeo, solenne,

    come l'eroe morente

    d'una tragedia greca.

    V

    Il paese che un dí sognai, del mondo

    inesperto e dei mali, su la terra

    già lungo tempo lo cercai, fidente

    nel vago imaginar che scorta m'era.

    Molti paesi visitai deluso,

    molti da lungi salutai fuggendo,

    e su i lor tetti, declinante il giorno,

    con la notte, la pace e il dolce inganno

    sempre invocai dei sogni e il calmo oblio.

    Ma per incerte vie, tra sassi e spine,

    tacito andando nel desio pungente,

    quanta parte di me viva lasciai!

    Folle, e sperai; folle, ebbi fede. E solo

    ai danni miei presiede ora crudele

    la coscienza che mai, che mai dal suolo

    in cui giaccio, menzogne pïetose,

    amor di donna o carità d'amico,

    a rialzarmi non varran - piú mai.

    Né a te, paese dei miei sogni novi,

    ora piú credo; e tardi, ahimè, compresi

    che vano era cercarti sotto il sole.

    Se tristi grue pe ‘l ciel fosco passare

    vedea mesto, tra gli alberi battuti

    da i primi venti d'autunno, in mente

    io mi dicea: "Là giú, là giú, lontano,

    nel bel paese dei miei sogni andranno,

    ove eterna fiorisce primavera".

    E a lui credea n'andassero, portate

    dal lungo vento, anche le foglie ai rami

    strappate; a lui le nuvole, e le vaghe

    da i petti umani illusion fuggite...

    Era follia, follia certo; ma dolce.

    VI

    Un canto a l'Armonia;

    e nasca l'imagin da'l suono,

    sí come da le spume

    del mare, tra ninfe e tritoni,

    Venere nacque, e lieta

    la drèpana rise marina.

    Onda piú tersa e pura

    sei tu veramente, Armonia:

    In te sovrano il cigno

    bianchissimo incede sognando,

    in te le mie ferite

    io lavo, oblïando, e risano.

    A salutar lavacro

    le vergini figlie del Sogno

    vengono a te (gittando,

    del vivo candore gelosi,

    a l'aura molle i veli)

    e in te, senza un brivido, nude

    si tuffano e sorridono.

    O come, fresca onda, di dolce

    abbracciamento cingi

    le figlie del Sogno leggiadre!

    Da'l cielo un verde lume

    su loro riversa la Luna.

    Fremon le vive spume

    nel cavo del seno, ove l'una

    grazia e l'altra ricolme

    si partono, e pajono insieme

    due ritondette pome

    o due melograni ancor chiusi.

    Vengon a te le figlie

    del Sogno, e per quanti d'oblio

    in te assetati sono

    mortali, o sacra onda benigna,

    hanno esse un bacio un riso

    un atto d'amor che consola.

    Ne la tempesta fiera

    de i foschi pensieri, di un nero

    odio ne l'ozîo nati

    di questa, che inutile fugge,

    vana vita mortale,

    nel petto ruggenti malsano;

    la tua voce, Armonia,

    di teneri suoni vibrante,

    serenatrice viene,

    sí come uno stormo di bianche

    colombe un picciol ramo

    in bocca recanti d'ulivo.

    Mi fingo allor, lontana,

    in grembo a la notte celata,

    una vergine ignota,

    che bianche colombe m'invia;

    ma deluso già troppo

    non credo a le nunzie d'amore.

    Su l'angoscioso petto

    su gli òmeri esse e su 'l capo

    si posano, scuotendo

    malferme con strepito l'ale:

    "Oh chiudete piú spesso

    i tondi e neri occhi, o innocenti

    colombe, e de le penne

    su 'l volto che brucia, la dolce

    soavità, qual mite.

    materna carezza, provate.

    Non per amor ben vedo

    la vergine ignota v'invia."

    Maliarda ella, toccando

    le corde d'arcano strumento,

    ne la notte, a un castello

    attira d'inganni i mortali,

    e, liberale, a tutti

    ivi offre un veleno, che ambrosia

    divina pare. E lei

    che mille diversi racchiude

    desiderî e speranze

    e sogni, come astri, fulgenti;

    lei che mille sprigiona

    per l'aura che brucia, commossa,

    de la sua febre istessa

    fantasime vive di luce;

    lei indarno, indarno invoco:

    l'immite, l'immite non viene.

    Sto con ardenti labbra

    un morso agognanti, protese,

    avidamente o un bacio

    o un alito fresco, che il foco

    ond'ardo, muto, dentro,

    lenisca; ma indarno invocata,

    indarno ahimè bramata,

    l'immite, l'immite non viene.

    Oh verso qual mai lido,

    o fievoli suoni languenti,

    quasi parole vane

    su candida neve segnate,

    lungi or con voi la vaga

    mia anima naviga incerta?

    Innanzi, innanzi! il mare

    di palpiti lucido trèmola,

    l'agile nave fende

    il cerulo piano de l'acque...

    Innanzi, innanzi! oh questo

    non è l'arcipelago stretto

    quasi corona in torno

    la greca Penisola madre?

    e questi suoni adunque,

    te, Grecia sospirano antica,

    forte, dal vario suolo

    la varia potenza nei canti

    dei rapsodi spirante

    già sotto l'eterno cilestre

    del ciel d’Omero? Salve,

    o Lesbo, dolce isola, salve!

    Non trema de l'ardente

    di Saffo fatal passione

    qui l'onda consapevole?.

    i lieti convivi gli amori

    del mitilèneo Alceo,

    poeta e guerriero, non dice?.

    Or sú, vergini achee:

    con sette dolcissime corde

    d'una vaga partenia

    al canto la cetra v'invita.

    E io vorrei a un sonno

    di miti fantasmi affollato

    abbandonarmi, a un sonno

    che l'ultimo, l'ultimo sia...

    o morir lentamente

    da un nugol leggiero di foglie

    di rose soffocato

    intatta stillanti rugiada

    e pioventi da l'alto,

    dal divo tuo grembo, o Armonia...

    VII

    Co 'l primo raggio del mattin d'aprile

    ne la mia stanza irruppe Primavera,

    dea giovinetta, e a piene man profuse

    dal pieno grembo

    rose d'ogni color, su 'l letto mio,

    rose dischiuse al bacio de l'aurora,

    rose stillanti ancor notturna brina,

    rose su rose.

    Sogno d'amor tra le sue dolci spire

    me rattenea, di quell'arrivo ignaro;

    ma ciò vedendo Primavera, i labri

    schiusi a un sorriso,

    con un gambo di fior la fronte lieta

    e il collo diéssi a vellicarmi, lieve:

    allor balzai dallo stupor compreso

    del sogno ancora.

    Rise ella forte un riso schietto al goffo

    destarsi d’un mortale. Inebrïato

    de le innumeri rose su 'l mio letto,

    io travedea.

    Ma tra le belle man lattee la testa

    con dolce atto mi prese, e su me china

    la bocca mi baciò d'un fresco bacio

    dicendo: Sorgi!

    E quindi uscí. La vidi in una gloria

    di luce errar pe i piani, e novo vidi

    miracolo gentile: sotto i fini

    suoi piè la terra

    rifiorir di color vivi, diversi,

    e l’aura al suo respir puro allargarsi,

    e gir mill'api intorno a lei succhiando

    i fior novelli.

    Poi da lungi ver me si volse ancora:

    Chiara nel ciel vibrò (tacquer gli uccelli)

    sua voce e disse: "Cantami la sacra

    pasqua di Gea".

    VIII

    Saturno, la tua favola crudele

    spietatamente il secolo rinnova,

    e noi, suoi figli (latte no, ma fiele

    sugger ci dette già ne l'età nova,

    genitrice di vittime, Cibele)

    nati a la morte senza l'ardua prova

    de la vita, che pur triste innamora,

    noi, suoi figli, non sazio mai, divora.

    Di sua man cadde un regno, e le rovine

    or gli son trono, e chiede a la consorte

    vittime ancora. O tu, Cibele, al fine

    un novo scampa ultor Giove a la morte.

    IX

         cavalleresca

    O messer Lodovico, in su ’l cimiero

    d'Orlando, una cornacchia si posò:

    Sii tu la spada, io sarò il tuo pensiero

    disse, e Orlando Margutte diventò.

    Ora, ei lascia che Angelica e Medoro

    sfoglino in pace il fiore de l'età;

    e senza freno in tanto, Brigliadoro

    springando via per selve orride va.

    Va senza

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