Non scrivere
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Non scrivere - Pierluigi Toso
633/1941.
RICORDI SCRITTI DI DIARIO
20/10/2012
ore 11:03
Vi lascio la pace…
Che ogni parola scritta sia figlia della solitudine non vi è dubbio, persino quella di musica, che però si ri-vela sempre nuova come ogni parola d’arte che ha bisogno di un interprete. Chi in tal senso può essere come il Maestro? Come colui che non scrisse nulla? Nessuno credo, anche se Socrate e Ammonio Sacca sembra che non abbiano lasciato fogli d’inchiostro. Il Maestro però interpretò le Scritture, quel Tanach che portava sempre con sé o meglio dentro di sé. Lo interpretò ed in tale interpretazione autentica risiede la sua grandezza, perché non vi aggiunse nulla, se non l’attenzione viva e incarnata a quel regno dei cieli che prima di lui era solo escatologico e che con lui ebbe il suo inizio di storia. Se ne andò lasciando la pace, la sua pace, agli apostoli. Una parola, la pace, sempre da comprendere, perché è pienezza estetica, pienezza di bellezza, di relazione, di unità e di verità. È pienezza di risurrezione estetica. È un sogno di ri-velazione, laddove si incontra Dio, perché Dio nelle Scritture si rivela non a caso in sogno, cioè in una dimensione oltre la percezione fisica, anche se a Mosé si rivelò panim al panim, in un faccia a faccia
che preluse e diede significato anche al volto di Gesù nel suo incontro con l’umanità. Certo anche Abramo incontrò i tre angeli poi dipinti da Rubliev con i significati che ogni cristiano attento conosce, ma quella è una storia più difficile. La pace con cui si chiude
il vangelo di Giovanni, la stessa non a caso ricordata e richiesta in ogni celebrazione eucaristica, quella è la pace che cerco, lottando contro o con quella libertà
assoluta che l’uomo cerca dai suoi primordi, ma che non sa trovare. Leggere Giobbe e accompagnare Agostino nel suo sogno di riva di mare, arrestarsi di fronte a domande impossibili, perché ir-ricevibili
ed in-contenibili
nella nostra in-capacità
d’assoluto. Riconoscerci terra e spirito e riconoscere la verità dell’uomo di fronte alla morte.
24/10/2012
ore 11:09
Pace.
Osservo arbusti con fiori d’argine di fiume. Una farfalla cerca qualcosa tra i petali. Ora è venuta a salutarmi con voli di carezza, per poi tornare al suo lavoro. Grazie. Alzo gli occhi ed è scomparsa.
Ore 11:35
Non scrivere
.
C’è ancora il sole a sostenermi
. Ho ripensato alla farfalla, volata via quando ho lasciato tracce di lei d’inchiostro. Forse anche per questo il Maestro non scrisse nulla. Sicuramente mi sentirei a disagio se qualcuno scrivesse sul mio fare e non fare silenzioso e me ne accorgessi, sicuramente mi allontanerei da quella penna. Così capisco la farfalla e capisco qualcosa in più di quel non scrivere
che resta un insegnamento fondamentale da perseguire, anche nello scrivere. Ho provato un po’ di pace, posto che la pace possa essere parziale
, grazie alla farfalla e ripenso a santi e beati, soprattutto a questi ultimi, perché le Scritture parlano di tale possibilità estremamente umana
; mentre la santità è solamente di Dio. Un’esclusiva che Paolo attribuisce ad ogni cristiano, evidentemente grazie al vivere di un uomo in Cristo, cioè in quell’umanità che è parte e partitura divina. Cerco la mia giusta misura, soprattutto in base alle mie forze, cioè a quell’esercito di parabola o meglio di similitudine di cui parlò il Maestro. Inutile dire che è una ricerca impari
e che la lezione di anticipo e posticipo d’inizio e fine di Shabbat mi è sempre presente, anche in tal senso. Il Maestro conosceva la propria misura e il suo non scrivere
lo dimostra. Mi chiedo se quanto scritto
su di lui, dopo di lui, sia la verità, perché certamente la realtà contenuta nel vangelo quadriforme è quantomeno parziale e trasfigurata, così come ammette
Giovanni fin dall’inizio. D’altronde Lui non scrisse nulla, a parte un paio di cerchi di sabbia, e su di lui l’unico scritto contemporaneo rimane quel cartiglio citato nei vangeli sopra la sua testa di croce. Tale riflessione vale anche per il Tanach, ma non ho difficoltà a confessare come in tale raccolta di libri i significati simbolici, particolarmente numerici, siano talmente straordinari da mostrarmi chiaramente una guida d’inchiostro oltre ogni volontà umana.
Ore 12:04
Solitudine.
So bene che è bene che l’uomo non sia solo, eppure in quest’argine di fiume non mi sento solo. Un po’ di pace mi fa compagnia, insieme a qualche volo di farfalla e ad alberi, cespugli ed erba che troppo spesso dimentichiamo, mentre loro sono fermi lì ad aspettare con rispetto il loro tempo di vita ed anche il nostro.
Ho letto uno studio che dimostra come gli uomini scrittori e creativi abbiano il 50% di possibilità in più degli altri
uomini di approdare al suicidio. Ma forse senza l’inchiostro tali uomini si suiciderebbero con certezza e solo il potere scrivere li ha salvati a metà
e lo dico per esperienza personale. Però il Maestro non scrisse nulla e credo anche perché in lui tutto era vita.
Ore 12:20
Stavo contemplando una caduta di foglie d’albero e ascoltando il vento con la pelle. Ne ho scritto e tutto si è fermato.
INTRODUZIONE
Da circa cinquemila anni scrivere è divenuta una delle attività fondamentali dell’uomo. Dalle scritture cuneiformi ai geroglifici egizi, passando per gli ideogrammi cinesi si è arrivati ai giorni di questo terzo millennio d.C., giorni in cui sembra che l’oralità riprenda il sopravvento sul bisogno o sulla necessità di scrivere. Cercare il perché di tale ritorno può trovare risposte facili e persino ovvie, risposte che affondano le loro radici nell’utilizzazione di mezzi di comunicazione di massa che scoraggiano la scrittura, sostituendola con una parola leggera
che vola via come recita il famoso adagio latino: "Verba volant, scripta manent. In realtà ancor oggi la volontà di restare nella storia, ovvero nel ricordo delle generazioni future, è ancora legata alla redazione di libri ed anche mezzi di ricerca come internet, si fondano su di un linguaggio scritto. Dunque sembra che non sia cambiato molto rispetto agli inizi dello scrivere, rispetto cioè a quei primi segni incisi su delle pietre che hanno svolto egregiamente il loro lavoro, tramandando fino ad oggi notizie che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. Da quanto detto non vi dovrebbero essere dubbi sulla fondamentalità dello scrivere, inoltre le analisi in tal senso potrebbero estendersi alle connessioni esistenti tra il modo di scrivere e l’ontologia stessa dell’uomo, aggiungendo così significati psico-fisici a quelli sociologici già visti. Eppure gli uomini su cui si è scritto di più, dunque gli uomini maggiormente
ricordati dalla storia scritta, sono stati due personaggi che non hanno lasciato alcuna lettera di sé. Mi riferisco a Socrate ed a Gesù, i quali volutamente non hanno scritto nulla; entrambi però hanno avuto dei discepoli che hanno compreso l’importanza di lasciare delle traccie scritte dei loro maestri. Platone ed il quarto evangelista, cioè Giovanni, mostrano una certa affinità nel loro modo di esprimersi e nell’idea di amore che de-scrivono. Affinità che sono perlomeno pari alle differenze che segnano la loro distanza, la stessa che è esistita e che esiste tra l’uomo che fu giudicato reo di morte, ingiustamente, da una stretta maggioranza e l’Uomo che fu condannato a morte all’unanimità nonostante la sua infinita innocenza. Tale è la differenza esistente tra la ragione e lo Spirito, tra la filosofia e la vera teologia, tra Socrate e Gesù. Ragione e Spirito, queste sono le
cose su cui val la pena lasciare scritta qualche riga, sia essa un alternarsi di vocali e consonanti, di colori o di note. Credo sia questo il motivo per cui lascio queste righe, motivo co-incidente con quanto espresso nella conclusione di questo libro, scritta quando le pagine di questo lavoro sono ancora all’inizio. Chiudo questa breve introduzione ricordando come sia pre-scritto che ogni ebreo abbia un libro della Torah, evidentemente se possibile, tanto da doverlo scrivere egli stesso, almeno tramite una lettera
conclusiva[1]. Un libro che, se integro dunque valido per la preghiera, risulta non vendibile. Eppure, a tale regola imprenscindibile di
non mercato", esiste un’eccezione, la quale prende esistenza quando una promessa sposa, impossibilitata ad unirsi in matrimonio perché mancante della dote, può vendere tale libro, anche se dovesse essere l’unico in possesso della comunità. Ciò a significare che l’unità creativa uomo-donna è superiore all’inchiostro, anche a quello più sacro, perché la vita va scritta con un inchiostro vivente, quello spirito che ha dato vita all’uomo e che ha ispirato le stesse Scritture.
CAPITOLO I
IL NON LEGGERE
ED IL NON SCRIVERE
NELLA STORIA DELL’UOMO
0 Il non leggere filosofico-teologico
Prima di affrontare la lezione del non scrivere
ritengo opportuno riflettere sulla conseguenza più importante che tale non atto
comporta, conseguenza intitolabile come non leggere
; la quale a volte diviene causa stessa del non scrivere
, mentre spesso si converte nella fonte del mal scrivere
[2].
Per quanto concerne la storia della filosofia la riflessione presente è strettamente correlata a quei filosofi che, come vedremo nei prossimi paragrafi, non hanno scritto nulla e che di conseguenza suggeriscono
un’implicita non lettura
. Tra questi va citato Socrate, ma il suggerimento cui ho accennato è inattuabile quando esistano già delle opere scritte, opere che divengono ineludibili, riguardo proprio all’argomento di questo libro, quando il loro protagonista si rivela paradossalmente colui che insegnò
a non scrivere ovvero Gesù. In altre parole si rivela irrinunciabile la lettura di quegli scritti che ci insegnano a non scrivere, scritti che corrispondono filosoficamente ai primi testi redatti da Platone[3] e teologicamente alla Bibbia, in particolare al vangelo quadriforme.
La lettura dei testi biblici e platonici è però solo apparentemente una contraddizione al non leggere
, infatti, tale lettura permette la nascita dell’oralità precisa inerente gli insegnamenti sia di Socrate sia di Gesù o meglio, custodisce la precisione di quell’oralità espressa da tali uomini e fissata
in pagine scritte, una fissazione
che evita cadute d’interpretazione e deviazioni sostanziali e certe dal loro pensiero originale[4]. Una volta letti con attenzione i testi riguardanti i maestri del non scrivere
sarà possibile giungere a quel non leggere
che si mostra così un punto di approdo rivelante sia l’origine sia la loro verità più piena, per mezzo di un percorso sovrapponibile
a quello espresso dalle Scritture ovvero un cammino che vede nell’approdo apocalittico
la vera riscoperta degli inizi. Una verità che a sua volta si manifesta paradossale sia nella forma sia nei contenuti, confermando nuovamente la lezione altrettanto paradossale del non leggere
, una lezione che non è pura tautologia delle Scritture, ma che si rivela essere il porto
di un approccio filosofico che parte dalla ragione umana per giungere alla rivelazione espressa dai libri biblici.
Concretamente, quando parleremo del leggere
nelle Scritture, emergerà chiaramente come il non leggere
sia il termine ultimo paradossale inerente il non scrivere
, un termine che non potrà ignorare il percorso di lettura suggerito
esplicitamente da Gesù, una lettura legata inscindibilmente alla Scrittura, la quale non può essere annullata (Gv 10,35) e l’inchiostro che le ha dato la vita non può essere né toccato né cancellato.
1 Il non scrivere filosofico
Tra le massime espresse dagli artisti ve n’è una, detta da Salvador Dalì, che sembra calzare perfettamente con il suggerimento di questo libro. L’artista surrealista citato diceva, infatti, che se un uomo ha nella mente in maniera chiara la propria opera d’arte non serva che la produca. Un suggerimento del genere equivale al non scrivere
, purtroppo il pittore spagnolo non fu così coerente con tali parole, visto che le sue opere sono numerose. Forse però è solo stato consapevole della sua non chiarezza ed in tal senso ha compiuto le sue parole. Altre