Onila
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Book preview
Onila - Terzoquartodiluna
Fitzgerald.
La nebbia caliginosa si era ormai confusa con i contorni argentei del suo corpo sottile, tanto da renderla simile ad una scaglia metallica conficcata sulla facciata di mattoni del palazzo. Sospesa a pochi metri dal groviglio di rami sottostanti, Onila porse l’orecchio al dondolio frusciante che si propagava asimmetrico lungo il viale. Stava perdendo la pazienza. Era rimasta appostata per ore, in attesa del momento opportuno, ma ormai non riusciva più a contenere i morsi della fame.
Lanciò uno sguardo di sotto, valutando seriamente di lasciarsi cadere all’indietro, tra i soffici cuscini di foglie ammucchiati sul marciapiede. Il sole non era ancora tramontato, quindi valutò che, se si fosse mossa con rapidità, avrebbe avuto tutto il tempo di saltare da un ramo all’altro, per trovare un’altra finestra attraverso cui potersi intrufolare.
Si spostò lentamente, consapevole di dover rimanere allacciata alla striscia sporgente del cornicione, restando nel frattempo concentrata affinché la sua pelle non variasse colore.
Diede una sbirciata all’interno dell’appartamento e sospirò di sollievo, quando vide che la luce sul comodino era accesa. Per fortuna, il suo ospite era piuttosto abitudinario. Le coperte erano già ben ripiegate al fondo del letto e la tv ronzava con il volume al minimo, sintonizzata su Hell’s Kitchen.
Il ciccione entrò nella stanza sfregandosi gli occhi, con addosso il solito enorme pigiama di flanella a rombi verdi e viola. Onila storse il naso per il disgusto. Nonostante la spessa casacca, era impossibile non notare le ciambelle di carne che oscillavano flaccide ad ogni suo passo.
Inutile formalizzarsi, pensò, In una sera come questa non chiedo di meglio.
L’uomo spalancò le fauci impastate in uno sbadiglio scomposto, si stropicciò le guance rugose e poi si avvicinò alla finestra, strusciando le ciabatte di feltro sulla moquette beige disseminata di macchie dal colore indefinito.
Onila contrasse i muscoli e si abbassò, preparandosi a cogliere il momento opportuno per scattare in avanti. Non appena udì il suono familiare della maniglia che ruotava su se stessa, spinse con i talloni contro al muro e si tuffò nel vuoto. Nessuno poteva vederla. Era del tutto invisibile, più trasparente del cielo cristallino di primavera. Ma se mai fosse stato possibile ammirare il suo corpo armonioso fendere l’aria come un dardo, ci si sarebbe chiesti per quale strano scherzo della fisica quella creatura stesse precipitando verso l’alto.
Nel momento esatto in cui l’omaccione afferrò i fermi e tirò verso di sé le imposte di legno gonfiate dalla pioggia, Onila sbilanciò il proprio peso verso l’interno dell’appartamento e precipitò in un vortice argenteo sulla moquette sbiadita. Ricominciò a respirare solo quando udì la finestra richiudersi alle proprie spalle. Ora c’era solamente da sperare che il suo ospite avesse sonno. Si acquattò ai piedi del letto, cercando di ridurre al minimo la superficie corporea esposta. L’aria viziata di quelle quattro mura le dava la nausea e, cosa ben più grave, privava le sue cellule della loro perfetta trasparenza.
Aspettò con pazienza che l’uomo finisse la sua mezz’ora quotidiana di zapping, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al quadrante dell’orologio appeso alla parete.