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…in questo libro non c’è da cercare un senso univoco, non si torna indietro, si viaggia solo avanti. Inutile cercare significati nelle parole alle spalle, in azioni passate. Piuttosto continuate, avanzate, scombussolati e distorti da quel nugolo di accadimenti che andranno a comporre una parziale verità.
Viaggiare con gli occhi di un singolare sconosciuto, unico, e solo in quanto tale, colui che cerca di allacciare nodi di una traiettoria spezzata...

lorerama.wordpress.com/recc
LanguageItaliano
Release dateAug 20, 2012
ISBN9788867551262
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    Recc - Lorenzo Ramadoro

    scrivere

    PREFAZIONE

    L’immaginifico percorso dell’io scrivente della storia si alimenta di variegati, poliedrici incontri con altri mondi e altri ego. In bilico tra l’empatia e il distacco, nella costante tensione verso la conoscenza, verso l’inafferrabile senso dell’esistere, si profilano gli scorci di una visione soggettiva, volutamente relativa e polivalente, che capovolge il consueto paradigma della narrazione oggettiva.

    Dalla rivolta contro le dimensioni dello spazio e del tempo usualmente concepite prende le mosse il superamento dell’umano, in funzione di una presa di distanza, di una necessaria lontananza che consenta la comprensione dell’umano stesso.

    Lungo la labile frontiera che separa e unisce realtà e miraggio, in una consapevole e matura libertà espressiva, lo sguardo dall’alto abbraccia così l’umanità tutta, travalicando gli angusti limiti dell’individuale in cui troppo spesso ci confina la quotidiana esperienza. 

    Francesca Innocenzi

    INTRODUZIONE

    …in questo libro non c’è da cercare un senso univoco, non si torna indietro, si viaggia solo avanti. Inutile cercare significati nelle parole alle spalle, in azioni passate. Piuttosto continuate, avanzate, scombussolati e distorti da quel nugolo di accadimenti che andranno a comporre una parziale verità.

    Viaggiare con gli occhi di un singolare sconosciuto, unico, e solo in quanto tale, colui che cerca di allacciare nodi di una traiettoria spezzata...

    I  ivi  I

    Ξ - a principiO

    Ribollivo di una strana carenza. Osservavo il tempo passare con lentezza, mentre tutti continuavano a ripetermi quanto fosse ingiusto, quanto la morte non fosse un gioco, quanto fossero disgraziati. Di tutti questi discorsi, devo dire, la mia mente ha recepito solo pezzi incompleti.

    Per lo più mi appariva astruso il rapportare una vita alla sua morte, tanto più che mi sembrava infinito il tempo che mi separava dal giorno del mio collasso. Avevo come la sensazione di scorrere su di un binario diverso, separato rispetto ad altri: da una parte chi conteggiava gli anni di vita e dall’altra la mia singolare situazione.

    Tutto era cominciato più o meno dalla mia nascita. Fin dal secondo giorno la nutrice notò un’insolita crescita, un mese dopo avevo sei anni, il mese scorso sessanta. Oggi me ne dareste una ventina.

    Ho già visto morire molte persone tra le mie mani... A volte provo un profondo desiderio di vendetta; mi aggiro verso il tardi, quando loro escono dal lavoro ammassandosi nelle strade; con tutto quel casino è facile far sparire una persona ed aprirgli la testa. Il sangue quasi non esce, credo che evapori, ma non ne sono certo.

    Ci sono giorni in cui rifiuto una simile possibilità e altri nei quali godo nel vedere uomini e donne prosciugati.

    Comunque, di tanto in tanto, commetto anche qualche buona azione; sento il bisogno di riparare alle vite che ho bruciato.

    Sono un po’ così e credo che continuerò ad essere incoerente, a voler morta molta gente e poi desiderare la pace nel mondo.

    L’altra sera sono stato trascinato via, risucchiato dalla terra e risputato altrove. Non capivo bene, avevo la visione di pozzi petroliferi in fiamme; immagini conficcate nella mia testa come una sorta di messaggio. Mi avvicinai alle pompe incurante del calore ma scoprii che non c’erano vampe. I macchinari erano integri e funzionanti. In un attimo la realtà aveva preso il sopravvento adombrando quella visione apocalittica.

    Mentre mi domandavo se per caso fossi stato spinto lì per compiere una precisa missione, scorsi con la coda dell’occhio quelli della sicurezza che mi venivano incontro con la palese intenzione di circondarmi; me o la fiammella divampata da una spaccatura nel cemento. Diversi fili d’erba stavano bruciando, tuttavia sembravano crescere in continuazione come sputati fuori a forza dalla terra. A ben vedere credo che quegli uomini erano più interessati al fuoco che non a me. Cominciai a capire quale era il quadro della situazione, la logica sottesa alle visioni e il mio ruolo in esse: le piante mi stavano facendo da guida mostrando il desiderio di distruzione dei pozzi. Cominciai quindi a prendere a pugni il cemento a partire dalla spaccatura, facendo strada all’erba ruggente di fuoco. Quando raggiunse la bocca della pompa io ero già lontano; avevo svolto il mio compito, la terra mi ingoiò di nuovo trascinandomi in un angolo appartato della mia città.

    Oggi, sfogliando il giornale, trovo una foto ritraente un corpo sporco di fango, talmente lercio da coprire il volto in modo irriconoscibile. I titoli dell’articolo mi ritraggono da terrorista, ma scartabellando internet mi rendo conto che molte sono state le aggettivazioni con cui mi si additava.

    Poco importa, del resto una logica dietro io ce l’ho, considerando poi che la logica è un modo di sbagliare con convinzione.

    Questo è un po’ tutto, da qui comincia il gran gioco e chissà non riesca a capire quale sia il senso di questa vita a sbalzi, a scadenza garantita.

    .

    .

    .

    .

    .

    .

    .

    .

    ﷲ - essO

    La morte è un processo rettilineo, una mattina mi son svegliato con questo pensiero dritto in testa. Qualcuno me lo aveva piantato lì, in ricordo di un imprecisato romanzo, o forse saggio, di Pennac.

    Confusione, si adduce come tale la mancanza di comprensione data dall’elevata complessità della materia.

    La morte non mi confonde, e neppure la vita, eppure entrambe le vedo come elementi che mi differenziano dalle persone comuni, e mi vien da domandarmi se sono semplicemente uno psicopatico o il frutto di una blasfema beffa della natura.

    Perdendomi nelle astrazioni di un pensiero, vortico su di esso fino a restare immobile, con il fondo a scrutarmi intangibile. È la classica presenza che viene lì e poi se ne torna a suo piacimento, una sorta di stregatto dalla forma variabile; bussa sempre per non apparire maleducato. Provare a lasciarlo fuori è inutile, posso costringere i pensieri altrove, impegnarmi nella lettura, ma esso suona, spalanca, entra.

    Senza effrazioni, se non apro passa attraverso.

    Può essere una vecchia, un ragazzo, un pulcino o uno gnomo, sembra quasi compiacersi del suo diabolico trasformismo.

    Ci sarebbe da uscire matti se non fosse che godo di quel giusto grado di astrazione misto a disinteresse che mi permette di accettare una tale assurdità.

    Ci sono giorni in cui mi svela il destino del mondo, mi parla delle scoperte di uno scienziato che avrebbero cambiato la realtà, per poi smentirsi nei giorni seguenti. A volte mi rivela che siamo vittime di un gioco a scacchi tra due potenze eteree e contrapposte, quindi, queste due diventano quattro, e cinque; comincia a contare e se la ride elencandomi mostri, macchine e amorini vari. A volte appare travestito da babbuino, urlando come un forsennato che così non va, che così non si può proprio andare avanti, che hanno già vinto; la mano è stata giocata e l’umanità si estinguerà a breve. Lo dice con occhi spiritati e una vocina squillante da penetrare fin nelle cervella accompagnata da immagini di catastrofi immanenti. Fortunatamente le apparizioni in forma di scimmia sono rare e rapide, in breve assume la forma di un essere più tranquillo, tipo un unicorno, un cagnolino o un elfo.

    A voler decifrare il suo significato si può diventar pazzi, ma tenterò comunque di tracciare almeno un quadro di massima, per quanto ne sarò capace.

    Elme, è questo il nome che gli ho dato, mi fa visita ad orari e cadenze diverse. A volte lo avverto come un rumore, uno sminestrare di metalli, vetri rotti e simili. Può capitare che sia solo nella mia mente, può capitare che venga udito anche da altri. È successo anche che si presentasse sotto le mentite spoglie di una delle mie vittime. Dopo la morte l’ho visto rialzarsi e sorridermi, da allora riesco perlomeno a percepire in parte la sua natura bizzarra, tanto quanto la mia.

    Quel che posso affermare con un discreto grado di certezza è la sua duplicità, un miscuglio strano di differenti razze o forse, un bislacco gioco del destino che lo porta ad essere diverso da quelli come lui; più potente ma al tempo stesso più solo.

    L’occasione in cui mi è apparso in forma di triceratopo mi ha realmente fatto capire quanto possa essere antico. Ridendo si è poi trasformato in buco nero assorbendo scrivania, computer e suppellettili varie, per poi risputarle integre nella stanza affianco. Quando compare in veste di antico filosofo è il momento in cui è più ciarliero e veritiero. Certo le sue risposte sono enigmatiche, ma ritengo che almeno nascondano un fondo di sincerità. Può capitare che mi accompagni nei luoghi verso cui sono trascinato, sembra provare un certo gusto nel farmi da guida. Essere trasportati repentinamente in un altro luogo senza sapere come e perché non sempre è divertente, come quando fui sbattuto in una centrale nucleare a due passi dal materiale radioattivo. Tra me che ero scombussolato, i tecnici che non capivano cosa diavolo stesse succedendo e Elme in forma di tigre dai denti a sciabola, ce n’era davvero abbastanza. Poi ridacchiando mi si avvicinò,facendo le fusa, ruggì e, allargando la bocca in modo spropositato, s’ingoiò le barre di uranio. In pochi secondi, del nucleo non era rimasto che un buco vuoto. Miliardi di dollari buttati via, e intere città in blackout. Dato l’intervento di Elme, il mio compito poteva dirsi concluso e fui rispedito al mittente. Neanche a dirlo, il giorno dopo si parlò di un guasto alla centrale e nel giro di poco il fatto era bello e sepolto.

    Tutto questo silenzio con cui vengono coperte le mie uscite mi preoccupa più della notorietà dei giornali. Indubbiamente c’è sotto qualcuno che sta indagando sul mio operato. Qualcuno con cui presto o tardi dovrò fare i conti e, considerato anche le forze che sono in gioco, nulla mi permette di escludere l’intervento di elementi soprannaturali. Sempre più sono convinto di essere il mittente di un messaggio, forse legato ad un qualche ribellione della natura, o forse altro; dio solo sa cosa può uscir fuori dal cilindro. Sempre che ci sai un dio, beninteso.

    .

    .

    .

    ξ - altrO

    Ballonzolando fra tutta questa spasa di ciclopici assiomi, mi vedo costretto a tralasciare per un poco la ragion logica per tracimare nelle deliranti visioni dei giorni passati. Prima fra tutti, e certo più semplice da contestualizzare, è quell’accozzaglia di immagini pseudo-lovecraftiane in compagnia della quale mi sono ridestato dopo una notte dispersa in incubi banali. Sapete, di quei mostri enormi cattivi e minacciosi come Cthulhu e abomini simili, cose per cui puoi anche morire di paura, ma che poi, quando sei sveglio, non puoi far altro che riderci su.

    E qui la cosa si fa un po’ più seria, in quanto coinvolge la realtà, o almeno eventi effettivamente accaduti, seppure vi si aggiungono questi occhi curiosi fissati su di me. Nient’altro, solo occhi, senza un naso, senza un orecchio, senza un corpo. Due occhi che galleggiano in aria, ad osservarmi mentre prendo a pugni una diga a poche settimane dall’inaugurazione. Sarebbe dovuta essere la diga più grande del mondo, così vengo portato lì e comincio la mia opera di demolizione. Il sogno era identico alla realtà, unico elemento discordante erano questi due occhi che mi guardavano. Osservandoli con maggiore attenzione notai tracce di mascara, sembrava quindi fossero proprio occhi di donna. Provai ad afferrare gli occhi ma sfuggivano alla mia presa, passando attraverso le mie mani. Erano ineffabili eppur presenti, avrei voluto avere Elme lì con me a digerire quei fastidiosi occhi impiccioni. Neanche a pensarlo e lui mi è affianco, ed ovviamente non fa nulla di quel che spero. Con tutta semplicità si converte in una sfinge egizia, guarda me, guarda gli occhi, e ride. E mentre ride scompare, da perfetto stronzgatto che è. Quando mi sveglio è ancora lì che ride. Blatera qualcosa del tipo, adesso son cazzi tuoi, per svanire di nuovo.

    Certo è che sa come farsi odiare rendendosi inutile.

    Già che si parla di lui potrei raccontare di quella volta in cui mi comparì in veste di morte, con falce e teschio annesso alla carnevalata. Era di buon umore, diceva di venire a fare una partitina a carte per scannare un po’ il tempo. Passammo il pomeriggio a chiacchierare come due amiconi, di tanto in tanto faceva rotolare qualche testa mozzata in giro per casa, preceduta da quell’inconfondibile sibilo di ghigliottina, ripetendo: -a lama calante, morte imminente-, e sganasciandosi dal ridere.

    A volte mi vien da riflettere sulla sua esistenza, sulla sua solitudine così simile alla mia e di come, per quanto strambo e paraculo, Elme sia il solo con cui mi senta a mio agio.

    Quel giorno tra una freddura e l’altra sono riuscito a parlarci seriamente.

    Fu lui stesso ad attaccar bottone, esordendo con un -secondo te che senso ha la morte per un essere immortale?-

    Risposi -perché, saresti immortale?-

    -Bah, ad essere sincero nessuno mi ha mai detto quel che sono e sfortunatamente non ho un libretto con le istruzioni d’uso della mia esistenza.-

    -Beh, immagino sia un po’ noiosa una vita eterna.-

    -Può esserlo, effettivamente…-

    Lasciò il suo sguardo in sospeso a perdersi in un altrove oltre le mie spalle.

    -Quando sei nato?-

    -Più o meno quando sono morto-

    -Vorresti dire che fai parte di un circolo di vita e morte?-

    -Voglio dire che sei troppo curioso e certe cose è meglio non saperle, ma capisco il tuo interesse data la situazione in cui ti trovi. Io non rientro nel comune ciclo della vita, sempre che l’universo sia un ciclo. Sono più una parentesi inattesa che scombussola le carte per rendere più entusiasmanti le banalità delle variabili.-

    -Uno scherzo del destino.-

    -Sì, forse, proprio come te, uno scherzo antico cui non è dato sapere il senso del suo esistere, un balocco sbattuto un po’ qua un po’ là.-

    -Sembri quasi un triste saltimbanco.-

    -Io sono solo me stesso, né un giullare, né un sano.

    Piuttosto, non ti sembra curioso che in tempi passati mi chiamavano mostro, poi presero ad etichettarmi come infedele, quindi fui un selvaggio ed ora sono un pazzo malato di mente? C’è una certa assonanza tra i vari stadi culturali dell’uomo e la definizione di diverso. Ogni era dell’umanità, che sia mitologica, teologica, ideologica o psicologica, porta con se la definizione di altro estraneo alienoo più semplicemente diverso. E la diversità non è data dalla razza, ma dal collimare del caso con le scelte fatte.-

    Detto questo fece rotolare un paio di teste mozzate sopra il tavolo, giusto per togliersi dall’imbarazzo.

    A partire da quel giorno vidi Elme con occhi diversi, pur essendo una creatura sola, non voleva rifiutare la realtà, ma anzi era volto a comprendere il motivo, valutando con attenzione quel che aveva attorno.

    .

    .

    .

    .

    ώ - ellA

    La mia casa è un cartoccio di foto, quadri e film uno sull’altro. Alle pareti sono adagiate le istantanee di una donna in cui non mi riconosco. Disegni di un tempo che potrebbe anche venire… così come lo immaginavano i fumettisti degli anni ’70.

    Se mi guardo adesso non scorgo più alcuna somiglianza con quella donna, troppo presa a godersi la sua insolita vita per pensare a me, a quello che sono, alla bambina ritrosa costretta a vivere in capanni abbandonati.

    La mia casa era il mio luogo di condivisione, il distacco da essa ancora non lo sopporto, ancora non lo accetto. Ci sono mattine in cui mi sveglio convinta di essere ancora là. Mentre sono qui. Un rimedio temporaneo fino a quando altri non verranno e reclameranno loro qualcosa che non gli appartiene.

    Ricordo ancora il giorno del mio addio, ripenso al motivo, a tutto questa marcia indietro che è la mia vita, la sua indissolubile simmetria con la normalità. E mi domando se io sia mai nata, se sono semplicemente apparsa, così. Se avevo una madre o un padre come tutti, se fui abbandonata.

    Il tempo mi sorrise beffardo, mostrando fin da subito il suo volto scheletrico riflesso sul mio specchio. Allora non capivo, non sapevo, ero stata semplicemente presa e sbattuta in tal luogo a una certa ora. Più o meno come capita un po’ a tutti, ma senza quegli appigli a cui uno appena nato è solito adagiarsi.

    Tra tutte le donne che sono stata, ero anche una manager; uno squaletto piccolo, ma vorace. Con le parole giuste si raggiungono i sentimenti sconosciuti della persona

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