Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Cuore inquieto
Cuore inquieto
Cuore inquieto
Ebook337 pages5 hours

Cuore inquieto

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Sofia, giovane e promettente medico decide drasticamente, ma non senza dolore, di risolvere una crisi di coppia ed interiore, ben più profonda e seria, con un allontanamento repentino, nonostante la consapevolezza di un figlio in arrivo.Troppo forte è il bisogno di ricongiungersi con le proprie origini, ritrovare se stessa, comprendere il proprio più intimo sentire e volere. Illuminare il passato per comprendere il presente e decidere il futuro. Ignara della grave malattia della madre Rossella, Sofia trova rifugio nella vecchia casa di montagna, dove era stata una bambina felice, per assorbire e assaporare la saggezza e l'amore materno e l'affetto non meno intenso di Paola, amica per la pelle di Rossella. Sullo sfondo dell'apparente tranquillità di uno splendido rifugio di montagna, sotto i meravigliosi cieli stellati di una inquieta estate, si stagliano gli universi interiori e i tormentati destini delle tre donne, fino all'epilogo, intrecciato di un verismo sovrannaturale e agrodolce che rende favola il reale.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 22, 2012
ISBN9788867517435
Cuore inquieto

Related to Cuore inquieto

Related ebooks

Family Life For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Cuore inquieto

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Cuore inquieto - Valeria Manzo

    Valeria Manzo

    CUORE INQUIETO

    Youcanprint Self - Publishing

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0832.1836509

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | Cuore inquieto

    Autore | Valeria Manzo

    Immagine di copertina | © Robert Wilson - Fotolia.com

    ISBN | 9788867517435

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    Quando di un antico passato non sussiste 

    niente, dopo la morte degli esseri, dopo la 

    distruzione delle cose, soli, più fragili ma più 

    intensi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, 

    l’odore e il sapore restano ancora a lungo, come 

    anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla 

    rovina di tutto il resto, a reggere, senza piegarsi, 

    sulla loro gocciolina quasi impalpabile, l’immenso 

    edificio del ricordo. 

    Marcel Proust 

    CAPITOLO 1

    Sofia riempiva valigie. Frettolosamente, nervosamente. 

    Non doveva pensarci ancora su. Ormai aveva deciso, e forse era quella l’unica soluzione possibile: doveva andare. In quell’aprile così insolitamente caldo, in una notte senza sonno, l'ennesima, agitata da pensieri che si affastellavano disordinatamente l'uno sull'altro, aveva capito che doveva staccare, allontanarsi da tutto e tutti, almeno per un po'. 

    Come quando improvvisamente in mezzo ad un disordine inaudito, spunta un oggetto che non si trovava e che pone fine ad una affannosa ricerca, come quando un raggio di sole, che sembra essere l'unico superstite tra tutti i raggi di sole, buca una coltre densa di nubi grige e pesanti, e per un solo attimo appare illuminando e colorando il mondo attorno a noi, e quell'attimo è sufficiente a ricordarci che la luce c'è: lei aveva visto la luce. 

    E così ora  riempiva valigie. 

    Ecco un altro borsone era pronto: l'aveva chiuso e spostato accanto alla porta del suo appartamento, accanto agli altri bagagli fermi lì e già pronti per essere caricati in macchina. Le sembrava un lavoro infinito ed era molto affaticata, ma tutto sommato era a buon punto. 

    Ma aveva il cuore in gola. Ed una strana sensazione. Si sentiva in colpa nonostante tutto. Si sentiva come una ladra che scappa, con l'adrenalina in ogni fibra del suo corpo a muoverla e darle la carica, ma sapeva bene che una volta fermatasi avrebbe avuto un crollo. E si sentiva come una ladra perché stava derubando il suo compagno della sua presenza per un tempo indefinito ed indefinibile. E stava scappando.  perché non solo non gli aveva fatto intuire nulla nelle settimane precedenti, ma non gli aveva detto nulla nemmeno quella mattina.

    Lo aveva salutato come ogni mattina, o almeno come nelle mattine in cui riuscivano ad incrociarsi, dati i turni in ospedale che lei sosteneva. Anche quel giorno lui non sarebbe rientrato per il pranzo, come spesso accadeva da quando era stato investito di una carica ulteriore in azienda, che gli portava via molto tempo ma che lo avrebbe aiutato nella carriera, così le aveva spiegato quando Sofia informata del tutto, aveva provato a dirgli che si sarebbero visti sempre meno. Sofia  aveva preso un giorno di permesso in ospedale, per preparare la partenza, ma a Lorenzo  per giustificare il fatto che aveva spento la sveglia e non avrebbe dovuto andare al lavoro, aveva spiegato che era di riposo. 

    Avrebbe avuto tutto il tempo necessario per preparare i bagagli. Così quella sera, lui sarebbe rientrato a casa ma  lei non ci sarebbe stata. Al solo pensiero le si stringeva il cuore, ma ormai aveva deciso, era fatta. Poteva anche metterci dei mesi per decidere, ponderava scervellandosi fino all'inverosimile, ma poi partiva a razzo.

    Riusciva a figurarsi innanzi agli occhi il suo Lorenzo entrare in casa, stanco, nervoso. Lo vedeva realizzare che la casa era vuota, che i fuochi erano spenti, che lei non c'era. Poteva sentire come fossero sue le sensazioni che lui avrebbe provato: sgomento, sorpresa, incredulità...lo sentiva chiamare il suo nome nelle stanze piene di cose ma vuote della sua presenza. Lo vedeva poi realizzare che lei non c'era, e ne percepiva la delusione, la disperazione,  la mancanza di reale comprensione sul perché della assenza di Sofia. Il solo pensiero di tutto questo, le faceva male. Tanto che in quegli attimo rivedeva la sua decisione, cercando di capire se fosse quella giusta. 

    Ma poi ricordava che nelle settimane precedenti, aveva trascorso tante notti insonni, aveva pianto di nascosto, era stata con lui più fredda, più algida. Che aveva gli occhi tristi e il viso spento, come oramai le dicevano quasi tutte le persone che incontrava e che la conoscevano. Era stata molto diversa, e lui non se ne era nemmeno accorto. Così tutte le motivazioni, che lei sola conosceva bene e fino in fondo, che l'avevano spinta a decidere per quella sorta di pausa di riflessione, le tornavano in mente, convincendola sempre più che quella fosse la sola strada da percorrere nella speranza di risolvere la cosa...

    Si asciugò il sudore che le imperlava la fronte e si stese sul letto per riprendere fiato. Mani dietro la nuca, sguardo al soffitto. Ma la stanza le girava intorno, così con cautela si mise a sedere, prese la testa tra le mani, cercando di regolarizzare il respiro perché aveva il fiato corto spezzato non tanto dalla fatica fisica ma dall'ansia che la soffocava.  

    Aveva legato i lunghi capelli color miele di castagno, leggermente mossi da boccoli naturali, in un morbido chignon fermato, come quando era studentessa e giovanissima, da una matita. Ma  alcune ciocche le scendevano ribelli sulla nuca e con il leggero sudore che inumidiva la sua pelle, le facevano il solletico. 

    E questo la snervava ancora di più. Corse in bagno a sciacquare il viso e il collo, a mani aperte gettava acqua fredda sulle guance, negli occhi, accarezzando il collo, massaggiando le tempie. Ma nulla sembrava darle sollievo.

    Aveva tante cose da fare e sistemare, ed in effetti era già abbastanza tardi, ma non poteva stancarsi, né esagerare come invece sentiva che stava facendo, alzare pesi poi men che meno: i primi tre mesi di gravidanza sono i più delicati ed avrebbe potuto perdere il bambino! 

    Nonostante fosse una donna molto forte, da un po' di tempo si sentiva distrutta, completamente a terra, ogni piccolo sforzo le costava una immensa fatica e questo non era assolutamente da lei, era depressa? Che cosa le stava accadendo? Il fatto stesso di sentirsi così, le procurava ancora più fastidio, ben conoscendo le proprie capacità, le sue attitudini. L'energia che normalmente pervadeva il suo corpo, il benessere fisico e mentale che la rendevano quasi indistruttibile, dove erano finiti? Cosa era accaduto? Cosa aveva potuto consumare in quel modo la sua essenza vitale?

    E poi, non riusciva a credere di non essere in grado da un po' di tempo, di reggere ritmi sostenuti: era così allenata fisicamente! Era una vera atleta, poco le mancava per trasformare la sua passione per alcuni sport addirittura in competizioni a livello agonistico, alle quali non si era dedicata per non tralasciare gli studi amatissimi di medicina. 

    Nuotava tre volte a settimana almeno per un'ora, in una struttura sportiva che le consentiva di praticare il nuoto libero, senza istruttore e senza corsi e ciò che più contava, con elasticità di orari: appena poteva e i turni in ospedale glielo consentivano scappava lì. 

    Adorava nuotare, ma non le piaceva farlo in mare, preferiva l'acqua ferma e  calma della piscina, che come  una culla le consentiva di regolare il proprio ritmo e lo sforzo in base alle sue esigenze: respiro regolare, acqua-aria-acqua, braccia e gambe in sincrono. In solitudine perfetta. Lontana anche dalla forza del mare stesso, dai suoi movimenti, dai suoi capricci.

    Il mare, per quanto la attraesse, la inquietava, soprattutto quando non ne vedeva il fondo, e poi lo considerava una creatura viva, e comer qualunque creatura poteva improvvisamente cambiare umore: un'onda anomala, la marea...tutto molto affascinante, bello da guardare, ed anche da vivere...ma dalla spiaggia, o al massimo con un andamento di nuoto parallelo alla riva.

    Nell'acqua della piscina invece si sentiva a suo agio, libera e in pace con l'universo intero, scaricava tutto lo stress, svuotava i polmoni, lentamente arrivava al limite fisico della resistenza, poi defatigava. Usciva dall'acqua con un po' di rammarico, e dopo una doccia calda si sentiva forte come un leone, ma rilassata e tranquilla.

    Ogni giorno poi, riusciva con costanza a ritagliarsi un quarto d'ora per fare yoga, una passione che le aveva trasmesso sua madre, come quella per il thai-chi che avrebbe voluto praticare ma per il quale non c'erano palestre o corsi nelle vicinanze di casa o lavoro. 

    Anche in ospedale, nella sue brevi pause, toglieva per un po' il camice, dedicandosi alla costruzione lenta e meditata delle figure yoga: il controllo su ogni singola fibra del suo corpo coinvolta nella disciplina, il doversi concentrare per cercare l'accordo perfetto tra il movimento corporeo e la respirazione erano ciò che dello yoga adorava.  

    E così tra un armadietto di medicine, una poltrona letto usata per fare i turni di notte e su cui dormicchiava sempre all'erta e con il camice addosso pronta ad intervenire, ed alzando gli occhi sulle decine di disegni coloratissimi e spesso incomprensibili che i suoi piccoli pazienti le lasciavano in dono, si dedicava un po' di tempo per ricaricarsi. 

    E quanto autocontrollo doveva avere quando gli occhi, mentre curvava la schiena o girava la testa durante le asana del saluto del sole, dell'albero, dell'arco, del guerriero, si posavano sul ricordo lasciatole da un piccolo angelo volato in cielo troppo presto, sconfitto da una malattia che era stata più forte della voglia di vivere. 

    Dopo aver trascorso oltre tre anni alla scuola di un maestro cinese, ultrasettantenne ma ancora flessuoso come un giunco e depositario di una profondissima ed antica saggezza, aveva raggiunto un grado di autosufficienza che le consentiva di continuare gli allenamenti da sola. 

    Non era riuscita però a sposare profondamente  il cuore di quella filosofia. La calma interiore, l'uso sapiente delle energie, legare insieme corpo ed anima, muscoli e spirito, non sempre le riusciva. Troppa differenza tra il modo di vedere e sentire la vita occidentale ed orientale. 

    Ed il suo maestro, Chan, glielo diceva spesso: nel tuo cuore, troppa energia, tu devi canalizzare energia in altri cuori, o tuo cuore arriva esausto e lascia te!. Lei sorrideva di sottecchi a quell'uomo saggio, così piccolo, rugoso, sul cui viso poteva leggersi la tranquilla consapevolezza della conoscenza a cui era arrivato, ed il valore del senso della vita: cose che egli non rivelava a nessuno in via diretta, ma solo dava gli strumenti per poterci arrivare con la propria esperienza attraverso la lettura delle cose con occhi nuovi, come amava dire a chi tentava di seguirlo, e ricordare a chi invece, pur se nella disperazione, pretendeva da lui e dalla sua cultura risposte come fossero noccioline. Formule matematiche con cui risolvere le difficili equazioni del cuore, della vita, del quotidiano.

    Sofia con tenerezza e stima, nonché profonda ammirazione per un uomo che definiva una enciclopedia vivente, gli rispondeva che il suo cuore stava benissimo, e che apparteneva alle centinaia di bambini che aveva incontrato sino ad allora e avrebbe incontrato in futuro. Allora lui borbottava qualcosa di incomprensibile in cinese con il dito indice puntato contro il viso bellissimo di Sofia, ma guardandola negli occhi, sempre con lo sguardo severo, non poteva fare a meno di sorriderle ed infine dirle: Oh Sofia, fare ciò che dice tuo cuore, sempre.

    I tour de force, cui si era abituata per via dei turni in ospedale, l'avevano temprata e resa piena di energie, facendole scoprire risorse che non pensava di avere. Ma stavolta era arrivata allo stremo delle forze e non riusciva a perdonarselo. Nonostante tutto.

    Poiché conosceva bene i suoi limiti, sapeva fermarsi non appena il fisico iniziava ad inviarle segnali di stop, si ricaricava e ricominciava. Ed erano giorni ormai che accadeva, ma da giorni pur fermandosi, non riusciva a ricaricarsi in nessun modo. Stanca, prosciugata, inaridita della linfa vitale, per quanto arrivasse alla fine delle sue lunghe giornate, desiderosa di riposare e rilassarsi,  aveva la mente così occupata da pensieri e problemi, che stentava a prendere sonno. 

    Le saltavano i nervi per un nonnulla ed aveva la sensazione di non riuscire ad organizzare nulla. Scendeva a fare un po' di spesa dimenticando cosa comprare, o acquistando cose inutili, perché magari aveva anche già cucinato per la sera. Cercava i detersivi in frigo ed una mattina nello sparecchiare la tavola della colazione, aveva tentato di mettere una bottiglia di latte in lavatrice! Andava di stanza in stanza in casa senza ricordare né perché si era recata in una camera in particolare né cosa dovesse fare! Sentiva di essere emotivamente provata. 

    Era diventata una spirale senza via d'uscita, non solo stanchezza e stress, ma anche nervosismo, ansia e senso di irrisolto stavano minando la sua lucidità e la sua capacità di restare ben salda di fronte alle cose da affrontare, alle decisioni da prendere, ai problemi quotidiani: innanzitutto quelli che le si presentavano al lavoro. Ma questo non poteva assolutamente permetterselo, un suo errore sarebbe costato molto caro ai suoi piccoli pazienti. 

    I pensieri le si stavano nuovamente affollando nella testa, senza darle tregua, nemmeno il fatto che ormai aveva deciso di andare via per un po' le stava dando la serenità agognata. 

    Respirò profondamente per riacquistare raziocinio e capacità di programmazione, chiuse gli occhi, istintivamente toccò il suo ventre ancora perfettamente piatto e teso, pensando per un attimo con rammarico che non sarebbe più stato lo stesso, che a distanza di qualche settimana sarebbe stata un balena goffa e grassa, ma anche che ce l'avrebbe messa tutta per riacquistare la forma perduta non appena avesse partorito. E poi sua madre era così magra e tonica nonostante un parto gemellare, dunque qualche speranza c'era, il DNA non mente!

    Poi scosse la testa. Questi pensieri non erano da lei. Aveva sempre guardato le donne in attesa di un figlio con ammirazione, considerandole di una bellezza sovraumana. Addirittura talvolta le era accaduto che, affascinata da quel mistero ancestrale della vita che germoglia nel ventre fecondo, le guardava con tale insistenza che queste quasi infastidite, cambiavano posto in autobus, direzione in strada, o le facevano capire che stava esagerando, ricambiandole lo sguardo con un'aria interrogativa del tipo: Embè? Che hai da guardare?

    Quando riaprì gli occhi, guardò fuori dalla vetrata a tutta altezza che si apriva direttamente sul terrazzo, innanzi alla quale aveva posizionato il letto matrimoniale. Ogni mattina i raggi di sole penetravano nella stanza illuminandole il volto: notò immediatamente che erano già fioriti il roseto e i gelsomini del parco in cui viveva con oltre un mese d’anticipo. 

    Gli occhi godevano di quella bellezza e l'olfatto ne annusava i sentori. Quei profumi le erano così cari. Quando era bambina la avvertivano che era arrivata la bella stagione e  per questo poteva stare nel parco a giocare fino a tardi, e quando era più ragazza le comunicavano che poteva scendere a chiacchierare con le amiche con un fresco pantalone di lino ed una canotta anche a mezzanotte, in quell'aria densa di essenze e note speziate di tutti i fiori presenti nelle curatissime aiuole, quei profumi che navigavano nell'umidità della sera. 

    Non se ne era resa ancora conto, che in un attimo si poteva già annusare la primavera inoltrata, e sembrava che la natura avesse fretta di arrivare all’estate, un po’ come lei, che avrebbe voluto la bacchetta magica per far volare via almeno un mese o due e sentirsi finalmente libera da quell’angoscia che le attanagliava il petto e da quel peso che le impediva di sorridere ormai da tempo. 

    Perché forse in un mese o due sarebbe stata in grado di prendere una decisione. O almeno di capirci qualcosa...

    Era confusa e combattuta, doveva raggiungere sua madre, stare un po’ con lei, parlarle, farsi consigliare. Perché Rossella era una donna eccezionale, che aveva conquistato la stima dei suoi figli, una donna che sapeva ascoltare, che rifletteva su ciò che le veniva detto ed infine si esprimeva: una di quelle rare persone con il dono dell'accoglienza e dell'ascolto. 

    Fin da quando Sofia era una bambina, non aveva mai sentito sua madre darle dei consigli di quelli che iniziano con devi fare così, o secondo me dovresti. E non lo faceva con nessuno: tutti gli amici di sua madre la adoravano per la sua cortesia, generosità, gioia di vivere e di stare in compagnia, per la sua grande disponibilità verso tutti. Una porta sempre aperta, un caldo e rassicurante abbraccio per tutti.

    Rossella ascoltava il cuore della persona che aveva di fronte, lasciava che l'intimo venisse fuori, i dubbi, le paure, i progetti, le aspirazioni, e pur essendo una donna passionale e viscerale, non si lasciava prendere dall'istinto che pure in tante occasioni l'aveva guidata, ma  utilizzava tutto il potere della comprensione umana. Prima di aprir bocca per dire la sua, doveva esser certa di avere il quadro completo della situazione, doveva essere certa che chi aveva bisogno del suo consiglio le avesse detto tutto. 

    Talvolta accadeva che le persone avessero solo bisogno di sfogarsi un po', che parlassero solo per parlare, chiarendo le idee a mano a mano che venivano fuori. E tanto bastava. E tanto accadeva semplicemente perché lei, occhi negli occhi del suo interlocutore, gli si poneva di fronte come fosse un grande recipiente in cui versare tutto il liquido che veniva fuori dalla mente e dalla bocca di chi parlava.

    Solo quando Rossella ne aveva tirato fuori tutto ciò che quegli aveva necessità di dire, solo allora esprimeva il suo parere e cercava di fare in modo che la risposta alle domande che le venivano poste, nascesse spontaneamente nel cuore dell'altro.

    Anche con i suoi figli il dialogo era sempre stato così, ed in particolare con Sofia: la mamma parlava lei assorbiva, poi dopo ore, giorni, settimane, o meglio, quando il cuore era pronto, era come se arrivasse un’illuminazione, come se si diradasse la nebbia nella sua mente: le si chiariva il quadro della situazione, sapeva benissimo come doveva agire e le sembrava che sua madre glielo avesse detto fin dal principio. 

    Questo poteva succedere grazie alla enorme fiducia che riponevano nella loro mamma, e viceversa. Nella consapevolezza che nulla poteva sgorgare essere detto o fatto che non fosse dettato dall'amore infinito sul quale nessun dubbio mai era sorto nel cuore dei suoi ragazzi. 

    Pur essendo una donna severa, tutta d’un pezzo, inflessibile sulle sane abitudine e sulla educazione dei ragazzi, l'unica vera autorità genitoriale che i suoi figli riconoscessero, era un implacabile giudice con se stessa ma non con gli altri, ai quali le era capitato di perdonare fin troppo. Anche quando umanamente le veniva spontaneo dire la sua su qualche argomento, lo faceva senza sentenziare: per questo era naturale confidarsi con lei per Sofia, ma per lo stesso motivo temeva sempre di poterla deludere e si sforzava di non lasciare mai che accadesse. 

    Intanto, inseguendo pensieri, cercava di costruire nella sua mente un discorso sensato da fare con la madre, che d'improvviso si sarebbe vista la sua bambina arrivare in montagna stracolma di angoscia – e di valigie -  e per chissà quanto tempo. 

    Sofia continuava ad aprire e chiudere freneticamente cassetti, ante, armadi, girava per casa raccogliendo le cose da portare con sé, ma senza un progetto. La camera da letto era diventata un caos totale. Sembrava fosse stata interessata dal passaggio di un uragano. 

    Effettivamente era una donna con molti pregi, ma tra i suoi difetti più terribili c'era di certo il disordine. 

    Il problema che andava ad aggravare la sua mancanza di organizzazione nel preparare bagagli, stavolta era che non aveva idea di quanto tempo si sarebbe trattenuta sugli Altipiani di Arcinazzo dove da qualche anno la mamma si era trasferita, pertanto aveva bisogno di avere con sé quante più cose possibile. 

    In montagna poi, il tempo era decisamente più fresco anche ad agosto, soprattutto dopo il tramonto, quindi doveva portare con sé abbigliamento estivo e qualcosa di più caldo e pesante. Una valigia quattro stagioni! Comode tute, qualche felpa un po' più larga, magliettine a maniche lunghe. E se poi avesse deciso di trascorrere lì anche l'inverno? A questo non aveva pensato...ma del resto, se così fosse stato, avrebbe fatto un po' di shopping con la sua mamma, in un posto che per l'inverno era molto ben attrezzato.

    Nel frattempo pregustando serate silenziose sul terrazzo, con gli occhi fissi ad un cielo nero, a scrutare l'infinito, prese il suo plaid preferito, quasi una coperta di Linus, che utilizzava quando trascorreva del tempo a leggere o studiare sul divano: quel plaid l'avrebbe protetta dal fresco e dall'umido. 

    Avevano una tradizione infatti lei e sua madre, alla quale non avrebbe rinunciato per nulla al mondo: durante le vacanze estive, quando si viveva un mese o due in quel nido caldo dove tutto sembrava più facile e naturale, dopo cena si stendevano sulle chaises longues del terrazzo dal quale si accedeva al giardino tramite pochi gradini e mentre respiravano aria pura di montagna, intrisa di profumo d’erba bagnata di rugiada, guardavano le stelle.

    Il resto della famiglia organizzava giochi con le carte, o si dedicava alla visione di un qualche film o spettacolo in televisione. 

    Rossella e Sofia invece si annoiavano e preferivano sgattaiolare fuori ad osservare il cielo. Da quando era piccola sua madre le aveva insegnato a riconoscere le costellazioni. Osservavano e ricostruivano l'Orsa maggiore, Cassiopea e Andromeda, il Cigno detto anche Croce del Nord, in antitesi alla ben più luminosa Croce dle Sud, e Sofia sognava di navigare su una caravella e farsi guidare dalle stelle, e Rossella le raccontava i miti legati ad esse, come quello di Andromeda e Cassiopea, o di Perseo. E dopo aver cercato di ricostruire le costellazioni dei segni zodiacali visibili in estate nel nostro emisfero ed a quelle latitudini,  facevano a gara a chi ne inventasse di nuove, unendo le stelle con linee immaginarie, creandone di ogni forma e dando loro anche i nomi più fantasiosi e strampalati. Talvolta nel buio assoluto di quel cielo non inquinato dalle luci e dallo smog della città, il loro sguardo incrociava una stella cadente. Quelle piccole scie luminose, velocissime, effimere, esercitavano un fascino assoluto su Sofia, che restò addirittura delusa quando sua madre le spiegò cosa fossero in realtà: materiale detritico lasciato dalle comete, in cui la Terra incappa ogni anno seguendo la sua orbita e che a contatto con l'atmosfera terrestre si incendia lasciando una scia luminosa nel cielo. 

    Quella volta le si riempirono gli occhi di lacrime, e Rossella ci restò malissimo, perché vide l'infrangersi di un pezzo dell'infanzia di sua figlia innanzi ai suoi occhi, cosa da cui avrebbe voluto preservarla sempre. Come quando Sofia scoprì l'inesistenza di Babbo Natale, e nonostante tutte le scuse e l'invenzione da parte di Rossella di storie incredibili riguardanti i vari marchingegni fantastici creati dal Babbo per costruire giocattoli, un saggio posizionamento nel tempo della distribuzione dei doni grazie alle migliaia di suoi piccolissimi aiutanti, non riuscì a sconfiggere la razionalità che ormai sull'argomento Sofia aveva sviluppato...e ci stette malissimo. 

    Ciò nonostante la sua piccola continuò a cercare le stelle cadenti e ad esprimere tantissimi desideri...alcuni dei quali si erano avverati...e lo faceva ancora.

    Poi Sofia crebbe ed iniziarono i discorsi da adulti, quella era la situazione in cui dialogavano in intimità lei e sua madre, era il loro momento, discorrevano su tutto: sui suoi primi amori, le prime delusioni, le amicizie tradite e quelle vere, ed ancora la religione, la politica, i fatti di cronaca, il passato, le esperienze di vita, le scelte di vita. 

    Scelte importanti, discusse sempre in estate, nella casa di famiglia in montagna, tra lei e la sua adorata madre, sotto un cielo stellato... 

    La magia di quei momenti era tale che solo con sua madre accanto riusciva a stare stesa con gli occhi che frugavano avidi in quel cielo immenso tremendamente bello e un po' spaventoso: la piccolezza dell'uomo davanti all'infinitamente  grande la turbava e quando Rossella non era accanto a lei, Sofia guardava in su, senza indugiare con lo sguardo, in quelle occasioni la sua non era una ricerca, non era un fondersi con quel mistero brillante. 

    Ancora bambina Sofia sedeva in braccio a Rossella, e la ascoltava. La sua mamma che le ripeteva di non aver paura di quell’immenso. Pur consapevole che in quel momento sua figlia non avrebbe capito Rossella le parlava come ad un adulto suo pari. 

    Le diceva sempre:  Noi siamo una parte del tutto, viviamo di una vita universale, immersi in essa, e non devi averne paura, anzi, questo deve rassicurarti, perché anche tu sei una briciola d’immenso. Di esso avrai coscienza in rari e preziosi attimi in cui sentirai l’infinito in te, ed in esso un giorno torneremo a fonderci. In questo troverai Dio, qualunque nome tu voglia dar Lui, conoscerai l'essenza della vita, avrai scintille di energia. Sentirai sulla tua pelle la Gioia assoluta, il Dolore perfetto, la Speranza vera. Saranno attimi, inafferrabili come le stelle cadenti, brevi ed effimeri, che ti sembrerà di non poter cogliere, ma si costruiranno in te come mattoncini di una casa, edificando il tuo essere, fortificando la tua anima, nutrendo la Donna che è in te, se sarai brava a coglierli senza lasciarli andare, conservando sempre la capacità di stupirti, che hai adesso che sei bambina....

    Sofia era troppo piccola, ma il tono di voce sereno della mamma, il fatto di trovarsi in un caldo e sicuro abbraccio che profumava di lei, la tranquillizzavano. Forse nemmeno oggi capiva fino in fondo, ma in lei c’era un’intuizione, una sensazione di aver compreso, che a spiegarla a parole non era possibile, restava nel cuore come esperienza condivisa e comprensibile solo da chi come lei l’aveva provata, ma nulla più. 

    Di certo non avrebbe rinunciato a quelle serate sul terrazzo con la mamma! Sognante e rincuorata dal solo immaginarle, mise in valigia tirandoli fuori dagli scatoloni dell'abbigliamento autunnale ed invernale i capi che riteneva più utili allo scopo... 

    Terminò le valigie, organizzò la borsa del computer, prese alcuni dei suoi film preferiti, tra cui quello di quel vampiro gentiluomo tanto affascinante che ancora oggi la faceva sentire innamorata come una quindicenne, raccolse i suoi cd preferiti, prese il lettore mp3, scelse i libri da portare con sé, un po’ di make up, e il test di gravidanza…sua madre sarebbe svenuta!

    Sofia non aveva detto a nessuno di aspettare un bambino, nemmeno a Lorenzo, il suo compagno, l’uomo conosciuto cinque anni prima a casa di amici che scoprirono poi di avere in comune. 

    Lo aveva incontrato ad una di quelle serate in cui non si ha nemmeno voglia di partecipare ma che poi riservano sorprese splendide, come il conoscere l'uomo della tua vita...o quello che credevi esser tale.

    Le era accaduto spesso che quando aveva partecipato ad una serata tra amici, una festa, una gita o un viaggio, qualunque cosa, controvoglia, aveva avuto invece piacevolissime sorprese. Aveva incontrato una persona speciale che le piaceva molto, aveva rivisto vecchi amici persi di vista da tempo, o aveva trascorso comunque del tempo divertendosi contro ogni più rosea aspettativa. 

    Si era domandata molte volte, specie nell'ultimo anno, se in realtà non fosse un segno del destino avverso, se quella voglia di non andare in certi posti in realtà non dovesse essere assecondata, perché poi in fin dei conti succedeva, come adesso con Lorenzo, che le cose non fossero poi così belle come promettevano di essere. Cose che poi in fondo si dimostravano fuochi di paglia, o alla lunga risultavano deleterie.

    Te l'avevo detto di non andare quella sera da Gianni e Giorgia, cavolo, la sensazione era stata nettissima, sarebbe accaduto qualcosa. E se avessi dato retta una volta all'istinto, non avresti conosciuto Lorenzo, e oggi non soffriresti così.. Aveva detto a se stessa. Chi poteva saperlo? Andare contro voglia, fare una cosa che si aveva la netta sensazione di non dovere iniziare, significava seguire il proprio destino o forzarlo sbagliando strada e perdendo dunque tempo prezioso? Magari il destino stava scherzando, e voleva tenerti lontano da quello che doveva essere il tuo percorso di vita, depistando.

    Ormai, Lorenzo faceva parte

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1