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L'Ordine del Triangolo Oscuro
L'Ordine del Triangolo Oscuro
L'Ordine del Triangolo Oscuro
Ebook180 pages2 hours

L'Ordine del Triangolo Oscuro

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About this ebook

Maya è una creatura pura e innocente, ma allo stesso tempo portatrice di un grande dono, a causa del quale la sua vita verrà messa in serio pericolo.
Una dura verità la pugnalerà alle spalle togliendole il fiato.
Maya sarà costretta a scappare dalla sua vita e ricominciare in una nuova città, in una dimensione totalmente diversa da quella in cui era cresciuta.
L'incontro con Lucas, affascinante giovane uomo dagli occhi cerulei, figlio del suo nuovo datore di lavoro, riuscirà a salvare Maya, facendole dimenticare le sofferenze e i torti subiti?
Riuscirà il presente a imporsi su un passato pericoloso e nebuloso?
 
LanguageItaliano
Release dateMar 5, 2014
ISBN9788868859121
L'Ordine del Triangolo Oscuro

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    L'Ordine del Triangolo Oscuro - SERENA VERSARI

    L’ordine del Triangolo Oscuro

    di

    SERENA VERSARI

    Romanzo di

    Serena Versari

    Scritto da ©Serena Versari

    Copertina di ©Violet Nightfall

    Editing a cura di Francesca Giuliani

    Tutti i diritti sono riservati all’Autore.

    Pubblicato a marzo 2014.

    Ogni riproduzione, totale o parziale, e ogni diffusione in formato digitale non espressamente autorizzata dall’autore è da considerarsi come violazione del diritto d’autore, e pertanto punibile penalmente.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia.

    Qualsiasi somiglianza a persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    "Il male esiste

    perché il bene

    possa trionfare"

    CAPITOLO I

    Nel mezzo del cammin

    di nostra vita

    mi ritrovai per una selva oscura

    ché la diritta via era smarrita.

    Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

    esta selva selvaggia e aspra e forte

    che nel pensier rinova la paura!

    Tant'è amara che poco è più morte;

    ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,

    dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

    Lo squillo incessante della sveglia mi destò bruscamente dal sonno profondo. Gli occhi, quel giorno, non ne volevano proprio sapere di aprirsi.

    Allungai il braccio in direzione del comodino per arrestare quel suono fastidioso e lentamente mi misi a sedere sul letto stiracchiando ogni singolo muscolo del mio corpo. Mi alzai controvoglia e, a tentoni, andai ad aprire gli scuri della mia stanza.

    Un tiepido sole invernale invase la camera mentre il gelido venticello di dicembre mi accarezzò la pelle facendomi rabbrividire. Erano cominciate le festività natalizie ma, al contrario di tutti i miei compagni di scuola, non potevo rimanere a oziare nel letto; dovevo farmi trovare alle stalle alle otto e trenta in punto, per la consueta lezione di equitazione.

    A tredici anni avrei sicuramente preferito condurre una vita più simile a quella dei miei coetanei, invece tra le lezioni di pianoforte, equitazione e di bon ton mi rimaneva a malapena il tempo per finire i compiti che mi venivano assegnati a scuola.

    Mi vestii in fretta, scesi le scale e, senza nemmeno fare una colazione veloce, aprii la porta stile inglese che dava sul porticato; con passo svelto mi diressi verso i box attraversando l’immenso parco che circondava la lussuosa villa dallo stile provenzale, dove ero nata e cresciuta.

    Passai di fianco all’enorme piscina dal marciapiede in legno e maiolica che mio padre aveva fatto costruire per il suo primo anniversario di matrimonio; io allora ero nata da poco e non potevo rendermi conto della triste vita cui sarei andata incontro.

    Possedevo una stanza intera piena di giochi, la metà dei quali non avevo nemmeno mai degnato di uno sguardo; anche se ero solo una ragazzina avevo capito che i miei genitori, regista lui attrice lei, in tutti quegli anni avevano tentato di colmare la mancanza affettiva riempiendomi di regali.

    Mi era capitato più volte di invidiare alcune mie compagne di classe che conducevano una vita modesta, con una madre casalinga e un padre che alle cinque del pomeriggio tornava a casa dal lavoro per giocare con loro. Non erano consapevoli di quanto fossero fortunate.

    Per questo, quando potevo, mi rifugiavo nella casa sull’albero che mio padre aveva fatto costruire quando compii cinque anni. In quel luogo, che io consideravo magico e dove riuscivo a sentirmi una ragazzina come le altre, conservavo gelosamente gli oggetti a me più cari, in primis la Bibbia, che mia nonna Ida mi aveva regalato tre anni prima, il giorno in cui era morta e dove, sulla prima pagina, aveva lasciato una dedica tutta per me: Che la luce di Dio illumini sempre il cammino della tua vita.

    Era una donnina minuta, un po’ incurvata a causa del passare degli anni, ma possedeva un cuore enorme e aveva sempre una parola di conforto per tutti. Fin da piccola mi aveva insegnato l’importanza di aiutare le persone meno fortunate di me. Ricordo che mi ripeteva sempre: «Maya, bambina mia, ascolta quello che sto per dirti: la vita ti metterà davanti a numerose prove, più o meno facili, ma tu non devi mai perdere la fede in Dio!»

    Per fare in modo che non dimenticassi mai queste parole mi regalò un ciondolo in oro bianco composto da una croce, un cuore e un’ancora, che rappresentavano rispettivamente la Fede, la Speranza e la Carità da cui non mi separavo mai.

    Anche se Ida era la madre di mio padre, Giorgio, purtroppo lui non aveva ereditato nemmeno una briciola del suo meraviglioso carattere. Per mio padre le uniche cose che contavano nella vita erano la carriera e il denaro.

    Da quando ero nata non aveva mai avuto un gesto affettuoso nei miei confronti, anzi si era sempre mostrato esigente e poco permissivo. Un despota dal cuore arido. Da me pretendeva il massimo, se arrivavo seconda a una gara di equitazione era perché non mi ero allenata sufficientemente. Se non prendevo ottimi voti in ogni compito o interrogazione mi rimproverava. Per quanto mi impegnassi per lui non era mai abbastanza. Mi ripeteva in continuazione che, per diventare qualcuno al mondo, occorreva fare dei sacrifici, ma non si era preoccupato mai di chiedermi se i miei desideri fossero in linea con i suoi.

    E se avessi voluto essere una persona qualunque, sconosciuta al mondo?

    Mia madre Sarah era anche peggio, in quanto viveva all’ombra di mio padre. Da quando ho memoria non ricordo un solo giorno in cui non fosse d’accordo con quello che diceva, forse perché era stato lui a scoprire il suo talento di attrice e, da quello che avevo potuto intuire, lei gli sarebbe stata riconoscente fino alla fine dei suoi giorni. Anche se era un’attrice famosa per me valeva meno di niente. Era bellissima, questo sì, ma la grandezza si limitava al suo involucro.

    In tredici anni non mi aveva mai dato né un bacio né una carezza, si limitava a insegnarmi le regole del bon ton che io, oltretutto, odiavo profondamente.

    Mia nonna era dolcissima, al contrario dei miei genitori, non mi copriva di regali ma d’affetto e devo ringraziare lei se ho imparato il significato delle parole voler bene. Quando Ida se ne andò in Paradiso, io sprofondai nel dolore, consapevole del fatto che nessuno mi avrebbe mai più confortata nei momenti tristi della mia vita.

    Era il ventiquattro dicembre e stavo aspettando in sala, seduta sul divano di pelle beige, il rientro dei miei genitori dal loro solito viaggio di Natale ai Caraibi. Ovviamente non mi portavano mai con loro poiché mi consideravano solo un peso inutile; in realtà a me non dispiaceva affatto, preferivo in assoluto restare da sola piuttosto che in loro compagnia.

    Durante le festività natalizie, non passava nemmeno il maestro di pianoforte, per cui avevo la possibilità rilassarmi un po’.

    Mentre ero intenta a guardare alla televisione un film tipicamente natalizio sentii girare la chiave nella serratura della porta d’ingresso e, poco dopo, il rumore fastidioso dei tacchi di mia madre avvicinarsi al salotto.

    «Maya, io e tuo padre siamo tornati. Non fare la maleducata, vieni a salutarci!».

    Mi alzai malvolentieri dal divano e mi diressi con passo calmo e silenzioso verso l’ingresso. Se avessi corso, mia madre mi avrebbe sicuramente ammonita, perché come diceva sempre lei una brava bambina non corre mai per casa.

    «Ma come sei sciatta!», sbraitò Sarah squadrandomi dalla testa ai piedi.

    Lei invece aveva la pelle dorata per l’abbronzatura ed era avvolta nella sua costosissima pelliccia che io non riuscivo proprio a digerire.

    «Come è andato il viaggio?», chiesi più per dovere che per reale interesse.

    Sarah cominciò a lamentarsi delle camere dell’hotel in cui avevano alloggiato, del servizio scadente, del cibo terribile che aveva mangiato e di tante altre cose. Ormai ero abituata alla sue risposte, tanto non era mai soddisfatta.

    Poco dopo fece il suo ingresso anche mio padre.

    «Maya, hai svolto il tuo dovere durante la nostra assenza o hai fatto la fannullona?», chiese con il suo solito tono severo.

    «Il maestro di pianoforte ha detto che sono migliorata e l’altro giorno ho preso dieci in storia», risposi evitando di incrociare il suo sguardo.

    «Non ti aspetterai dei complimenti, spero! Hai fatto solo il tuo dovere», così dicendo si mise a sedere sul divano e si accese la sua pregiata pipa zigrinata.

    Mia madre nel frattempo aveva già dato disposizioni alla cameriera di disfare i bagagli e, visto che quella sera avremo avuto ospiti importanti a cena, mi ordinò di seguirla in camera da letto per scegliermi un vestito adeguato, ovviamente qualcosa che non l’avrebbe fatta sfigurare.

    Mi tolsi quello che avevo indosso, in attesa della sua decisione.

    «Ecco, mettiti questo», mormorò uscendo dal guardaroba e adagiando un vestito a tulipano rosa sul mio letto.

    Mentre si avvicinava a me non potei non notare la smorfia di disgusto che le si dipingeva sul volto mentre mi osservava.

    «Peccato che tu non abbia ereditato nulla da me», borbottò mentre si accarezzava i suoi lunghi e lisci capelli biondo miele.

    «Guardati! Alla tua età io cominciavo ad avere già le mie curve, mentre tu sembri fatta a tubo! Forse è meglio che ti metti un po’ a dieta», concluse uscendo dalla mia stanza.

    Mi avvicinai allo specchio e constatai che, in effetti, non assomigliavo per niente a mia madre. Lei era alta e longilinea, aveva dei meravigliosi capelli che le stavano sempre alla perfezione e i suoi occhi erano di un verde chiaro brillante.

    Io, invece, non ero molto alta, anche se a tredici anni avevo ancora la speranza di acquistare qualche centimetro. I miei capelli erano lunghi e mossi di un color castano ramato e gli occhi, che da piccola assomigliavano a quelli di Sarah, avevano assunto in seguito una gradazione verde veleno. Infine, come se non bastasse, negli ultimi anni mi erano spuntate alcune lentiggini sul naso.

    Mi vestii e scesi nuovamente in salotto, in attesa dell’arrivo degli ospiti. Arrivarono alle venti in punto e, come ogni anno, mia madre fece la sua discesa trionfale dalla scale, fasciata da un fazzoletto di vestito di raso rosso che metteva in risalto il suo fisico statuario. La trovavo veramente patetica.

    Ci sedemmo a tavola, apparecchiata in modo impeccabile, e cominciammo a degustare le numerose portate che erano state preparate con cura dalla nostra cuoca. Gli argomenti della serata furono i soliti, incentrati sull’ultimo film che aveva interpretato mia madre o sull’ultimo che aveva girato mio padre. Le loro conversazioni mi annoiavano terribilmente ma purtroppo avevo il divieto assoluto di alzarmi da tavola; la maggior parte del tempo la mia mente vagava al di fuori di quella casa ma, quando tornavo alla realtà, rimanevo disgustata dai complimenti eccessivi fatti da quella schiera di falsi amici, che si trovavano in quel luogo solo perché i miei genitori erano dannatamente ricchi e famosi.

    Finalmente scoccò la mezzanotte, che per me era sinonimo di liberazione, e dopo il brindisi e gli auguri gli ospiti si congedarono da noi per tornare alle loro case.

    Visto che nella mia famiglia era tradizione aprire i regali, la mattina del venticinque diedi la buonanotte ai miei genitori e, con mia grande gioia, mi diressi con passo veloce verso la mia stanza.

    Rimpiangevo gli anni in cui nonna Ida era ancora in vita, quando la sera della vigilia s’infilava di soppiatto sotto le coperte insieme a me e, prima di dormire, leggevamo insieme qualche passo della Bibbia.

    I miei genitori, al contrario, non erano credenti e se non fosse stato per mia nonna, che aveva organizzato tutto di nascosto, non avrei preso nemmeno i sacramenti del battesimo, della comunione e della cresima.

    Per questo nascondevo la Bibbia nella casetta sull’albero, certa che così nessuno me l’avrebbe mai portata via.

    Essendo quella una sera speciale, al pomeriggio ero andata a recuperarla e l’avevo nascosta con cura sotto il cuscino.

    M’infilai completamente sotto le coperte calde e accesi una torcia per poter leggere. Aprii la Bibbia in una pagina a caso e cominciai: In principio Dio creò il cielo e la terra, ora la terra era informe e deserta, e le tenebre ricoprivano gli abissi…

    Un rumore improvviso proveniente dalla mia porta, mi distrasse dalla lettura. Chiusi velocemente la Bibbia, spensi la torcia e mi posizionai su un fianco facendo

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