Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente
Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente
Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente
Ebook462 pages6 hours

Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Un libro sconvolgente. Con un linguaggio chiaro, con le parole stesse dell’Assemblea Costituente, pone interrogativi gravissimi. Una lucida messa a punto delle funzioni e disfunzioni dei tre organi primari dello Stato. Un libro utilissimo a tutti i cittadini molto spesso raggirati, che farebbe molto bene ai politici e ai costituzionalisti, che devono disporsi a cambiare. Di uno Stato ben funzionante al servizio del Popolo sovrano c’è bisogno sempre, ma ancor più nei momenti di crisi.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateNov 29, 2012
ISBN9788891101112
Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente

Related to Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente

Related ebooks

Related articles

Reviews for Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Rispettare la Costituzione. Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica secondo l'Assemblea Costituente - Fedele Dattiroli

    Fedele Dattiroli

    R I S P E T T A R E

    L A

    C O S T I T U Z I O N E

    PARLAMENTO GOVERNO

    PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

    SECONDO

    L’ A S S E M B L E A

    C O S T I T U EN T E

    Copyright © 2012

    Youcanprint Self-Publishing

    Via roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    Tel. 0832.1836509

    Fax. 0832.1836533

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | Rispettare la Costituzione

    Autore | Fedele Dattiroli

    Illustrazione di copertina | © al62 - Fotolia.com

    ISBN | 9788891101112

    Prima edizione digitale 2012

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941

    PRESENTAZIONE

    Che scopo ha questo libro? Puntualizzare alcune statuizioni della Costituzione, che gli organi fondamentali dello Stato pare abbiano un po’ dimenticato a scapito della sovranità popolare.

    Quanto è scritto ha soltanto due fonti: la Costituzione e gli Atti dell’Assemblea Costituente.

    I continui richiami ai suoi lavori preparatori sono citati ogni volta, di proposito, scrivendo sempre: Atti Assemblea Costituente, ecc. ecc.… Lo faccio apposta, perché intendo portare ogni volta il lettore alle sedute plenarie e a quelle delle commissioni dell’Assemblea Costituente e ricordargli ad ogni passo di chi sono certe affermazioni o certe delibere, e riuscire forse, evidenziando le lucide indicazioni dei costituenti, a mettere in crisi, posto che siano vulnerabili, quei politici e quegli studiosi che si sentono invece autorizzati a ritenere i costituenti poco preparati e incongruenti, al punto che, lo scrivono apertamente, certe locuzioni vanno ritenute sbagliate, addirittura certi articoli della Costituzione sono reliquati senza valore. Incredibile! Sono decenni che va avanti la commedia di persone che si profondono in elogi e poi tradiscono la Costituzione e irridono nella dottrina e nei fatti i costituenti.

    Il linguaggio usato è accessibile a tutti; quando è il caso, ritorno tranquillamente su qualche discorso già fatto, anche se ciò non è in uso presso i saggi ( Paganini non ripete, ma io non sono Paganini ); così posso spiegarmi bene a tutti e forse alla fine qualcuno comincerà a domandarsi come mai circolano certe idee tanto contrastanti con ciò che è stabilito dal testo della Costituzione, che dovrebbe essere sacro, finché non è abrogato attraverso la regolare procedura di revisione.

    Non sono certo in grado, io, di arrestare un andazzo serioso di teorie e prassi poco conformi alla Costituzione. Ma c’è solo un modo per obbligare ad un riesame delle loro opinioni gli studiosi e i politici che se ne servono: fare opera di divulgazione documentata, obbligandoli idealmente a rendere conto al Popolo sovrano e a giustificarsi, perché mai osino fare carta straccia di certe statuizioni costituzionali, che sono l’espressione della volontà sovrana del Popolo. Nella cerchia dei politici e dei costituzionalisti ci sono pure quelli che cantano bene, ma altri li lasciano cantare e continuano a leggere A e dire che significa B. Se invece si comincia a metter la pulce nell’orecchio ai cittadini, che certa riverenza al sapere è ingiustificata e certi discorsi di politici e di baroni universitari sono incredibilmente in contraddizione con la Costituzione, le cose forse possono cambiare. E devono cambiare, perché certe prassi anticostituzionali deviate possono avere avuto delle conseguenze dirompenti e possono continuare a causare dei veri enormi disastri, su cui non conviene proprio sorvolare.

    Il mio potrebbe essere anche un ridicolo allarme, ma potrebbe anche segnalare la presenza, in un certo punto dell’ ordinamento statale, di una crepa tale, che minaccia la stabilità stessa di certi piloni del diritto pubblico repubblicano.

    Non sono un vacuo presuntuoso che si crede il detentore della verità, sono invece semplicemente uno che non si adegua all’ipse dixit di altri e non sopporta più che ragionamenti illogici siano talmente efficaci da riuscire a manipolare ( in buona o cattiva fede, poco importa ) la Costituzione e così giustificare prassi politiche offensive per la sovranità popolare. Perché, chi vorrà leggere lo constaterà, è proprio la sovranità popolare, che è stata troppo spesso raggirata.

    In occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia si è tanto inneggiato pure alla Costituzione. Forse è anche necessario osservarla.

    L’autore

    Introduzione

    Sono trent’anni che in Italia si discute per apportare riforme più o meno incisive alla Costituzione della Repubblica. Un po’ tutti sono d’accordo e le ragioni che spingono ad una tale impresa, sono molteplici; però sono ben poco condivise dai vari schieramenti politici – ognuno ha le sue, molto divergenti dalle altre − e ciò spiega perché siano abortite tutte le commissioni istituite a tale scopo dal Parlamento. Ultimamente poi si comincia anche a gridare: La Costituzione non si tocca . Così tutte le posizioni sono in campo, l’una contro l’altra, con poche possibilità d’intesa.

    Non serve molto entrare in questo ginepraio: è quasi impossibile registrare la varietà delle singole reali motivazioni, i fini espliciti, i fini voluti e non dichiarati, i comportamenti decisi o oscillanti delle varie parti politiche, dei vari attori di volta in volta sulla scena consapevoli che qualcosa bisogna cambiare: impossibile insomma registrare il complesso intreccio di spinte diverse manifestatesi in una ormai intera generazione di italiani scontenti e impotenti.

    Naturalmente occorrerebbe precisare bene ciò che si deve modificare. Le riforme, che tutti dicono di volere, dovrebbero essere un cambio epocale della forma della Repubblica Italiana o solo un qualche ritocco migliorativo qua e là?

    1. Per intanto però c’è una necessità diversa, che è non so lo urgente, ma anche segnata dal richiamo alla legalità, che gli esaltatori, e talora anche un po’ esagitati difensori del testo attuale, dovrebbero essi per primi desiderare: per intanto attuare la Costituzione.

    Il progetto di Stato, disegnato dal Popolo italiano per mano dei costituenti, non è tuttora realizzato interamente e in parte lo è stato in maniera deformata.

    Perciò, prima di pensare a riforme, è necessario – e non occorrono interventi straordinari, ma la semplice volontà di non accettare l’illegalità rispettare e osservare pienamente la Costituzione in vigore, completandone l’attuazione e ponendo fine ai piccoli o grandi tradimenti perpetrati da Parlamenti, Governi, Magistratura, Presidenti della Repubblica e studiosi del diritto. La fedeltà alla Costituzione in vigore non ammette ritardi e migliorerebbe già molto le cose e soprattutto realizzerebbe, ecco la prima grande riforma, la dovuta sottomissione alla sovranità popolare, piuttosto presa in giro.

    2 Purtroppo alcune norme della Carta relative agli organi nevralgici dello Stato alla prova dei fatti sono risultate incapaci di piegare la possibile mala volontà degli uomini; così è mancata la realizzazione di una vera democrazia, che la maggioranza dell’Assemblea Costituente aveva voluta. Se si discute spesso di riformare l’organizzazione dello Stato, è proprio perché i funzionamenti degli organi nevralgici della Repubblica, creduti ben costruiti, sono spesso inceppati grazie a troppo olimpiche statuizioni, che tendenze contrarie all’effettiva sovranità del Popolo, annidate in ambiti della politica, della cultura, dell’economia hanno saputo aggirare.

    3. Per spiegarci alcune carenze della Costituzione, e carenze e deviazioni della prassi successiva, occorre ricordare che la sua redazione avvenne in un periodo molto turbolento ed è un po’ idealizzata da troppi studiosi posizionati ideo

    logicamente e indotti a ritrarla in modo onorevole alla propria parte. Sopra si è parlato di ‘vera democrazia voluta dalla maggioranza dell’Assemblea’, perché è bene sfatare subito una credenza, la quale diventa un paravento, che, nascondendo l’atteggiamento ostile alla Costituzione tenuto dalla sinistra estrema durante la sua elaborazione – continuato nella pratica successiva –, permette ai loro eredi di presentarsi tra i suoi genuini interpreti e diventa ostativo a qualsiasi decisione ad essi sgradita. Difatti si vorrebbe oggi che qualunque pur ordinaria delibera, se leggermente strutturale, fosse approvata sempre a larga maggioranza partitica, quasi che, in caso contrario, certi cambiamenti finirebbero per essere arroganti e per turbare alle fondamenta lo spirito della Costituzione, come se la Costituzione fosse stata il prodotto di larghe convergenze di tutte le forze politiche.

    Intanto, la Costituzione è turbata solo se le decisioni sono di danno alla comunità e offensive della sovranità popolare; invece non c’è offesa alcuna ai diritti del Popolo sovrano, se si rispettano i principi e le procedure costituzionali. Inoltre non è detto che le migliorie, per essere tali, debbano essere necessariamente condivise da una larghissima convergenza dei parlamentari, come attesta appunto la storia dell’elaborazione della Carta, che volle essere espressione del volere sovrano del Popolo, noi dei partiti.

    Essa fu sicuramente interprete fedele del volere della larghissima maggioranza degl’Italiani, ma non fu il risultato della convergenza di tutte le forze politiche, non certo della larga convergenza dei parlamentari costituenti.

    Si sente dire che la nostra Costituzione è il risultato degli apporti ‘propri’ delle tre culture più rappresentative della nazione italiana, liberale cattolica marxista. Invece essa è il prodotto di una larghissima accettazione formale finale, ma non lo fu né di una eguale condivisa elaborazione né tanto meno di un’accettazione interiore dei partiti, anche se registrò ( e registra ) una ben più larga condivisione del sentire degl’Italiani, compresa tanta parte della base popolare dei partiti contrari alle statuizioni risultate infine vincenti.

    Nessuno potrebbe citare un solo articolo della Costituzione che proponga una ‘proprietà’ della cultura marxista o un valore assente dalla cultura liberale e cristiana. Dai verbali dei lavori preparatori emerge con evidenza che non si è affatto proceduto con una sintesi di larghe convergenze tra tutte le componenti dell’Assemblea, come si vuol far credere. Togliatti vedeva uno scontro tra solidarismo e antisolidarismo ( cfr. Atti Assemblea Costituente, II, p. 1997 ), invece fu tra marxismo e liberalismo, comprendendo in esso, in quanto confluiti in un unico orientamento ad ampio spettro, gli apporti della cultura liberale e cristiana variamente interpretati da liberali, democristiani, repubblicani, radicali, sinistre non marxiste, destra non fascista. Larghe intese tra le tre diverse culture? No, una vera leggenda, che nasconde l’effettiva estraneità dei marxisti alla linea costituente, ma utile ai comunisti per non dichiararsi sconfitti e farsi accreditare tra i genuini interpreti della Carta; una lettura dei fatti già proposta nell’aula stessa della Costituente da chi aveva posizioni astrattamente unitarie nel richiamarsi alla sovranità popolare, ma antitetiche nel volerla in concreto. ¹

    In realtà la Costituente partì con un progetto di stampo liberale e procedette sempre a colpi di maggioranze e fu sempre la maggioranza delle forze democristiane e liberali che prevalse e fece valere la sua impostazione. Quale la partecipazione delle sinistre marxiste? Da un lato un forte appoggio alle istanze, talora formulate equivocamente, di sostenitori idealisti del solidarismo cristiano e dall’altro lato un’azione frenante per svigorire l’efficacia dei principi affermati e la funzionalità degl’istituti. a loro poco congeniali, che si stavano creando.² Veramente in assemblea plenaria avevano dichiarato sia Togliatti, in maniera più scaltra, sia Nenni, in maniera più esplicita: per loro urgeva guardare al futuro, quando le norme della Costituzione sarebbero state tradotte in fatti concreti dal Popolo dopo il verdetto delle future elezioni politiche… Di questa disponibilità prendeva comunque atto con piacere pubblicamente il Presidente della Commissione per la Costituzione, perché in tal modo la Costituzione poteva comunque vedere la luce ufficialmente con il beneplacito generale.³

    4. Così pure altro chiarimento. La Resistenza armata viene spesso presentata in maniera equivoca come elemento generatore dei ‘principi’ fondanti della Costituzione repubblicana. Veramente questo non è mai detto in modo crudo, ma si parla spesso di Repubblica ‘uscita’ dalla Resistenza.

    Però così si fa un discorso equivoco, perché si sovrappongono vari piani, che non coincidono affatto, come subito si constata sol che si individuino e si mettano in evidenza. Una cosa fu il fatto storico militare, che portò alla sconfitta dello Stato monarchico italiano, e ad esso contribuì in massima parte la vittoria degli angloamericani e in parte molto marginale, anche se non del tutto simbolica, la resistenza armata, comunista socialista democristiana liberale. Altra cosa fu l’ elemento fondante della ‘Repubblica’, che si sostanziava del patrimonio di ideali repubblicani ereditati dal Risorgimento e dell’ opposizione diffusa alla monarchia dei Savoia, ormai associata sia al conservatorismo antipopolare, da lei sempre tenuto di fronte ai movimenti operai e sociali, sia alla dittatura fascista, l’avversione alla quale, fortemente cresciuta e maturata nella coscienza popolare, aveva coinvolto nella condanna la monarchia, con essa connivente nel volere la guerra e in tante altre scelte che urtarono troppo l’anima popolare. Però il vero alimento della Costituzione fu essenzialmente tutto il sostrato culturale della gente italiana, che si nutriva di sentimenti, di desideri, d ideali e di voleri comuni; sono piuttosto questi gli elementi determinanti, che hanno strutturato la neonata Repubblica e hanno dato un volto specifico alla sua Costituzione secondo certi principi e impegni etici, sociali e politici, sono essi che hanno voluto la Repubblica ordinata con uno Stato di una certa forma secondo certe aspirazioni, interpretate dalla sensibilità di quella che divenne la maggioranza dei costituenti e che le fissò in norme scritte nella Carta costituzionale.

    Insomma la Resistenza armata, mossa da ideali di giustizia e libertà, non costituì la genesi della coscienza libertaria e repubblicana della gente, fu piuttosto il risultato logico determinato da una presa di coscienza: urgeva accogliere l’ appello alla libertà proveniente dagli eventi tragici del momento, i quali chiedevano alle volontà di agire prontamente per essere più artefici del proprio destino. Però lo spirito comune a tutti gl’interpreti della Resistenza, armata e non armata, che voleva libertà e giustizia, era incarnato senza inquinamenti piuttosto dalle forze, diciamo in modo molto generico e approssimativo, di ispirazione liberale, ma non da quelle ispirate alle sinistre estreme, che per gl’ideali di giustizia e libertà intendevano purtroppo quanto era realizzato a Mosca: per fortuna inutilmente, perché di fatto il loro celebrato antifascismo non era per la vera libertà del Popolo, ma per quel tipo di libertà che si sostanziava della dittatura del partito unico comunista e per quel tipo di giustizia che, senza la libertà, era un’ingiustizia generalizzata in partenza.

    Siccome il disegno di Repubblica democratica, delineato da quella maggioranza, era davvero improntato alla libertà e alla giustizia, cosa che oggi tutti decantano, significativamente nell’Assemblea Costituente contro il disegno della Repubblica che abbiamo oggi, lottavano in parallelo alle sinistre, ovviamente con motivazioni e scopi opposti, le forze che si ispiravano a concezioni conservatrici di destra.

    Perciò, quando oggi ( più si allungano i tempi, più i falsi miti si stabilizzano ) le sinistre parlano di Repubblica uscita dalla Resistenza con il loro contributo – dicono anche determinante , giocano piuttosto sulle parole, perché la Repubblica uscita dalla Resistenza fu molto diversa e la Costituzione che il Popolo stabilì per mezzo dei costituenti, fu molto diversa da quella che essi volevano.

    5. A complicare l’elaborazione di un diritto pubblico adeguato alle necessità, c’era anche un sentimento che attraversava tutti i partiti ed era stato alimentato dall’ostilità contro il centralismo dello Stato monarchico, il quale aveva trapiantato in tutte le regioni italiane, senza i necessari adattamenti, l’organizzazione politicoamministrativa piemontese. Insieme con la libertà conquistata erano vivissimi i fermenti autonomisti. Ebbero una soluzione molto contrastata, con la costituzione di alcune Regioni come autonome a statuto speciale e con la sola progettazione dell’autonomia delle altre Regioni italiane, stante che si fronteggiavano accentuate tendenze autonomiste specie nelle aree meridionali, contrapposte titubanze di alcuni partiti e il rifiuto dichiarato dei comunisti, che accettavano solo il decentramento amministrativo. Era un sottofondo che influenzò, indebolendole, varie statuizioni della Costituzione, sicché risultò solo parziale la successiva realizzazione completa del progetto di Stato composto da Regioni effettivamente autonome, mentre ne rimandò la piena realizzazione in un futuro, più o meno ravvicinato; purtroppo conteneva anche l’innesco di ulteriori dinamiche contrastanti e debilitanti.

    Troppo complessa e travagliata è stata infatti l’attuazione del regionalismo, ostacolata soprattutto dallo stravolgimento dell’ideale, che escludeva antagonismi e revanscismi locali, invece subito emersi e coltivati dalla miopia di partiti interessati a costruirsi dei feudi di potere opposti al Governo centrale, provocando inevitabili ritorsioni; il progetto prevedeva invece un’autonomia armonizzata con la solidarietà e la collaborazione vicendevole tra Regioni tutte attive e tutte operose e tra le Regioni e lo Stato centrale, alacre prestatore di servizi comuni. Stiamo ancora attendendo.

    6. Un altro fattore frenò la maggioranza dei costituenti, ripeto, d’ispirazione democratica liberale e cristiana, e l’indusse a formulazioni non molto marcate, specialmente nella regolamentazione del bilanciamento tra i poteri fondamentali dello Stato. In particolare molti erano combattuti, dopo l’esperienza fascista e non solo, tra l’esigenza di un Governo saldo e autorevole e il timore del suo potere: speravano ( o fu giocoforza sperare? ) da un lato di rendere più accettabili a tutti le statuizioni della Carta, che doveva essere fondante del nuovo Stato e quindi non apertamente osteggiata da una parte ( in questo riuscirono ), e dall’altro lato ( in questo s’illusero ) confidavano che le statuizioni, risultando poi alla prova dei fatti effettivamente consone al bene comune, sarebbero state alla fine condivise più largamente o anche migliorate e che il genuino interesse per la collettività avrebbe spinto anche i recalcitranti alla loro applicazione fedele e non a tentativi ( invece attivati in vario modo con successo ) di aggirarle con tutti i mezzi.

    7. Purtroppo la prova dei fatti non arrivò mai. Promulgata la Costituzione, quella stessa maggioranza, che l’aveva disegnata, non si dimostrò sempre all’altezza dei suoi compiti e non agì sempre in sintonia con le norme stabilite e ne svisò anche certi indirizzi; le minoranze a loro volta rimasero ostinatamente legate agli orientamenti loro, anche se contrapposti alla Costituzione e, non potendo fare altro, cercarono in tutte le sedi e in tutti i modi, in Parlamento, nelle università, nelle fabbriche, sulle piazze, di farli riemergere, piegandola ai loro intenti.

    La politica seguita immediatamente alla promulgazione della Costituzione fu anche subito radicalizzata da molte tensioni fortissime per l’insieme dei rivolgimenti politici che, proprio in coincidenza con l’entrata in vigore della Costituzione agli inizi del 1948, sconvolsero l’Europa con la violenta imposizione del comunismo nelle aree d’influenza sovietica ed ebbero un riflesso enorme sull’intera vita politica, economica e sociale anche in Italia. Il Partito Comunista Italiano, il primo nell’Europa occidentale, era in rapporti stretti e di sudditanza con l’Unione Sovietica di Stalin e portava la lotta politica in maniera violenta sulle piazze ( i cortei con la bara di De Gasperi li ricordano bene quanti non vogliono far finta di niente) o in Parlamento ( come lo sfascio, nel senso letterale della parola, dell’aula di Montecitorio alla delibera dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico ), mentre urgeva d’altro canto l’impresa immane della ricostruzione dopo una guerra che aveva ferito in vario modo, nella materia e nello spirito, l’Italia intera.

    8. Così, per un concorso di molteplici cause, variamente intrecciate, purtroppo in oltre mezzo secolo dalla promulgazione della Costituzione troppe cose sono andate in direzione divaricata rispetto ai principi di vita pubblica in essa stabiliti, e si ebbe come risultato una vita democratica incompiuta, perché al Popolo sovrano si sostituirono le varie forze politiche che mal intesero e manipolarono e deviarono il cor so della vita repubblicana e il Popolo non fu il vero sovrano che determinava e controllava la politica nazionale.

    Lo Stato stesso con tutto il suo apparato istituzionale non fu realmente al suo servizio: questo era lo scopo dichiarato, almeno a voce, da tutti i costituenti, ma non si realizzò in misura soddisfacente e tuttora attende.

    Come un virus, che sconvolse tutto il sistema, penetrarono pure nel corpo statale e si sono stabilizzate le deviazioni di giuristi ideologizzati: hanno inoculato nelle menti gravi deviazioni dottrinali sul Parlamento, sul Governo, sul Presidente della Repubblica, le quali hanno giustificato, se non addirittura indotto, prassi deviate nel funzionamento di questi organi fondamentali dello Stato. Guarda caso, è proprio in quei settori che oggi si registrano più forti le disfunzioni e s’invocano riforme.

    9. Per essere aderenti alla realtà, è evidente che alcune riforme costituzionali sono sicuramente necessarie, ma si dovrebbe riconoscere che molte attese di rinnovamento potrebbero trovare già risposta senza cambiamenti radicali: basterebbe il ritorno alla Costituzione integrale.

    Prima tappa: ritorno alla Costituzione vigente. Questo significa ottemperare agli obblighi già vincolanti per tutti, correggendo fin da subito le prassi e le teorie introdotte a dispetto della Costituzione. In una seconda tappa, a quel punto più agevole e più lucidamente definibile, completare nella sostanza il progetto iniziale, a) portando lo Stato repubblicano ad essere autenticamente regionalista, e b) eliminando le utopie e c) correggendo le anomalie e d) sulla base delle esperienze negative del passato, introducendo qualche sanzione per i rappresentanti infedeli dello Stato, senza più troppa fiducia nella buona volontà degli uomini, e anche, forse d) trascrivendo certe formulazioni tipiche dei sistemi parlamentari storicizzate, ma ciò nonostante manipolate, in altre più esplicite e comprensibili anche ai non giuristi, rese pertanto più immunizzate da patologiche applicazioni, sempre possibili, dovute a immancabili errori e purtroppo anche alla, sempre in agguato, malizia degli uomini.

    Situazioni preoccupanti

    Le note che seguiranno intendono portare un contributo al primo tratto del cammino: ritornare alla Costituzione già ora vigente.

    Prima di passare alla fase positiva, è utile, senza la minima pretesa di fare una diagnosi esauriente, indicare alcune situazioni critiche, che rivelano gravi distorsioni nella dottrina o nella prassi degli organi fondamentali dello Stato che, offendendo la sovranità popolare, creano condizioni di illegittimità sostanziale generalizzata.

    a) Una prima severa riflessione va portata sul funzionamento del Parlamento, che è l’unico organo, i cui membri sono eletti, in forza delle norme costituzionali, direttamente dal Popolo sovrano con effetto immediato. Ha adempiuto bene il suo compito secondo la Costituzione?

    Può bastare, per far riflettere e rimanere preoccupati, una constatazione. Ben presto si consolidò non la democrazia, ma la partitocrazia, che aveva il suo tempio nelle aule del Parlamento e propinò all’Italia uno spettacolo indecente per mezzo secolo. Dal 1948 fino al Governo di Craxi iniziato nel 1983, l’Italia ebbe sempre compagini governative di durata breve o addirittura brevissima, alle quali il Parlamento talora dava la fiducia già preventivamente limitata anche a pochi mesi, in vista di un Governo che di nuovo, al primo spiffero di vento contrario soffiato dai parlamentari, cadeva e tutto si cambiava senza vantaggi per l’Italia. Solo dopo quarant’anni con Craxi, più per sua abilità che per mutato atteggiamento dei partiti e dei parlamentari, si ebbe il primo Governo che durò per oltre quattro anni; ma subito, finito il suo Governo, si ricadde nella palude, e soltanto venti anni dopo fu il ‘secondo’ Governo Berlusconi che riuscì, per la prima volta, a durare in carica fino alla scadenza naturale, vale a dire per il periodo previsto dalla Costituzione come necessario per svolgere un lavoro serio. Poi nuovamente sia l’on. Prodi sia l’on. Berlusconi si sono trovati a fare i conti con la volubilità parlamentare determinata da tendenze interessate di questo o quel gruppo. La volontà dei costituenti sperava ( o, meglio si augurava ) di aver garantito un Parlamento sottomesso al Popolo, non rissoso e volubile e non autorizzato a fare quel che voleva una volta eletto, e sperava di aver congegnato un Governo non in balìa di ogni stormir di fronda mosso dai parlamentari. No, in questo ha subìto scacco, ma non per le deficienze in sé della Costituzione, bensì per la malizia degli uomini, di ogni orientamento politico: eletti, partiti, costituzionalisti, organizzazioni varie, operatori di mass media, ciascuno per la propria parte, troppi furono gl’ interpreti infedeli della Costituzione, teorizzando, rivendicando, esercitando diritti e poteri inesistenti e legittimando prassi poco o nulla legittime.

    Carenza fatale nella Costituzione è l’assenza di adeguati antidoti a fronte dell’infedeltà dei parlamentari. Un insulso correttivo, che badò non alla sostanza della devianza, ma piuttosto soltanto alle malefatte del sottobanco, introdotto nel 1993 dopo lo scandalo, cosiddetto, di ‘tangentopoli’, invece che un antidoto al malgoverno, fu un ulteriore elemento d’instabilità e incentivo ad un parlamentarismo deteriore: ridicola incongruenza sottoporsi non ad un più efficace controllo del Popolo, ma a quello della magistratura, che può farsi mandarinato, che fa professione di giustizia, ma può deragliare ancor più facilmente dei parlamentari, dovendo rendere conto solo a se stessa e non al Popolo, neppure ogni tanto, come devono fare invece i parlamentari.

    La Repubblica Italiana non è, come si suol dire, una repubblica parlamentare in assoluto, « non si conforma al tipo di regime parlamentare puro, ma invece realizza un tipo di regime parlamentare misto, o semidiretto… per la presenza di due istituti: lo scioglimento (delle Camere) e il referendum »; così precisava l’on. Mortati nella relazione della Commissione per la Costituzione all’Assemblea Costituente ( Atti Ass. Cost., II, p. 302 ); anzi una repubblica « che si potrebbe chiamare popolare, più ancora che parlamentare», precisava ulteriormente l’on. Ruini, presidente della stessa ( Atti Ass. Cost., II, p. 347). Infatti repubblica pienamente parlamentare può dirsi più esattamente quella in cui il Parlamento ha poi di fatto il potere sovrano, come era nelle Repubbliche comuniste dell’Est, chiamate invece ‘popolari’ e additate presuntuosamente come l’emblema della democrazia; invece in Italia, diversamente da esse, il Parlamento è soltanto uno strumento del Popolo, il quale per principio rimane costantemente il sovrano anche operativo ed esercita la sovranità tramite tutti gli organi statali, Parlamento in primis, a lui sempre obbligatoriamente sottomessi.

    Riportare Parlamento e parlamentari ad essere ossequienti servitori del Popolo, è essenziale. Essenziale nel senso pieno della parola, perché, quando un parlamentare o addirittura il Parlamento non lo serve, si cade nell’illegalità sostanziale e i parlamentari responsabili delinquono moralmente, anche se per principio fu e rimane sempre vigente l’immunità legale primariamente proprio per tale delitto, e delinquono insieme con loro anche gli altri organi dello Stato che li assecondano. Ma, è chiaro, offendono il Popolo sovrano non solo i tradimenti vistosi, ma molto più spesso eventuali pratiche quotidiane in dissonanza con la volontà del Popolo.

    Illustrarne diritti e doveri sarà il tema del primo capitolo.

    b) Il Governo, come organo dotato di autorevolezza, stabile, motore potente della politica nazionale, non in balìa di un Parlamento litigioso, in Italia non è ancora esistito. Fin dall’inizio della vita repubblicana fu continuamente oggetto di violenti attacchi, condotti per principio, per motivi ideologici e pragmatici, da più parti: dalle sinistre, che avrebbero voluto un Governo non solo controllato, ma anche diretto operativamente dalle Camere; dalle destre, che lo avrebbero voluto controllato e sottomesso anche al Presidente della Repubblica; dagli esclusi del momento, che lo detestavano per frustrazione e interesse di parte: tra le stesse file della maggioranza costituzionale circolavano indecisioni sull’entità della forza da accordargli⁵.

    Dopo la promulgazione della Carta la plurivalenza ideale e strutturale del partito della Democrazia Cristiana, che si poneva al centro degli schieramenti politici, ma con tre anime, una rivolta a destra, l’altra a sinistra, una terza intenta a mediare, portò i Governi a ondeggiare di continuo e ciò favorì l’instaurarsi di una prassi distorta dannosissima: una prassi che, minata la saldezza del Governo anche dalle contraddizioni interne della maggioranza, finì per celebrare fino all’esagerazione il centralismo del Parlamento a danno del Popolo e del Governo e insieme attribuire di fatto al Presidente della Repubblica poteri propri del Governo, in sintonia con il progetto della lunga marcia del partito comunista verso il potere in Italia, conclusasi però quando, negli altri Paesi d’ Europa, del comunismo rimanevano le macerie, che costrinsero quello italiano a cambiare pelle.

    E così abbiamo avuto Governi sempre più fragili ad opera dell’interdizione continua di un parlamentarismo esagitato, ma anche di Presidenti della Repubblica sempre più interventisti, di una Magistratura, Corte Costituzionale compresa, sempre più protagonista politica. Ovviamente anche una massa erratica di forze economiche intrallazzatrici ha sempre dato vigore ad ogni azione che indebolisse il Governo. Sicché, come si è detto appena sopra, la Repubblica Italiana offrì lo spettacolo deludente della deriva ( non ancora per nulla scongiurata ) di Governi sballottati, detestati per principio, resi definitivamente impotenti dal balletto continuo di compagini di durata risibile, senza prestigio e incapaci, e anche impossibilitati, di dar corpo a programmi coerenti di ampio respiro e poi anche di farli attuare; al più, nei momenti di emergenza, capaci di sfruttare con ‘apparenti’ risultati le deboli forze di reazione dei partiti, ma privi di una base popolare che potesse essere una pista di lancio per il futuro.

    Questo appunto è uno specifico negativo della vita politica italiana: in sessant’anni di vita repubblicana, tranne due o tre casi, tutte le compagini governative seguite al voto sono state subito combattute con astio rancoroso, anche con le falsità e il dileggio continuo, dalle opposizioni ( di sinistra ) che si dicevano democratiche, ma in realtà agivano come forze antinazionali: ai tempi di De Gasperi remavano contro l’Italia sognando il crollo del capitalismo, poi remarono contro, molto più meschinamente, sperando solo che dallo scontento per l’improduttività del Governo, da esse stesse favorita se non proprio provocata, arrivasse il consenso degli elettori. In sessant’anni, poi, ogni volta che arrivavano momenti turbolenti per difficoltà economiche o sociali, interne ed internazionali, di fronte a Governi ovviamente in maggiori difficoltà per i maggiori problemi emergenti, ecco le opposizioni politiche ed economiche, divenute moraliste, ad ingigantire gli allarmi, aggravando così essi stessi le cose, sperando di affermarsi sui resti della parte avversa, anche se allo stesso tempo avrebbero dovuto operare su rovine da loro stesse provocate alla Nazione. Miseria di chi pensa a interessi di parte ( privati o del partito son sempre interessi faziosi ) e non cerca il bene della Nazione e provoca a tutta l’economia danni enormemente maggiori dei più spregiudicati malfattori di tutte le tangentopoli messe insieme. ( Chi ne dubita, vada a controllare gli andamenti dei mercati finanziari e i danni giganteschi recati all’economia italiana nelle contingenze in cui i vantati ‘onesti’ combattevano i ‘disonesti’ con l’allarmismo di esagerati pericoli e di falsi moralismi). L’Italia in sessant’anni ha subìto di continuo questi sovvertimenti antinazionali.

    Insomma i politicanti italiani hanno sempre guardato con un atteggiamento demolitore al Governo che usciva vincitore dalle elezioni. Il programma della parte vincente non fu mai democraticamente accettato, ma sempre combattuto per principio. Pone un problema molto serio la deficiente sensibilizzazione su questo tema basilare da parte degli ‘eletti’ e anche dell’opinione pubblica, spesso portata a deviare dalla partigianeria di certi operatori della comunicazione che si presentano con presunzione come neutrali e sinceri.

    Purtroppo, e qui veniamo ad una responsabilità specifica dei parlamentari, il sistema elettorale di tipo proporzionale, non demandando direttamente al Popolo la definizione dei programmi di Governo, ma lasciandola ai successivi accordi tra i partiti, per mezzo secolo fece dimenticare del tutto il principio base del retto funzionamento della democrazia: le votazioni servono, perché « tutti i cittadini » possano essi

    « determinare la politica nazionale » ( art. 49 Cost. ) e a tal fine eleggono i loro rappresentanti, i quali, di maggioranza e opposizione, ciascuno a suo modo, devono metterla in atto.

    Insomma non sono pochi e non secondari i principi democratici e costituzionali da mettere in evidenza.

    c) La funzione del Presidente della Repubblica: altro punto dolente, appena toccato. Per la verità, resistendo ai tentativi delle sinistre, che volevano un Presidente della Repubblica subordinato al Parlamento, e ai tentativi delle destre, che lo volevano un potere in troppi casi autonomo, nel testo della nostra Carta costituzionale le funzioni del Presidente della Repubblica risultano chiare: è colui che presiede come moderatore alla vita della Repubblica e che rappresenta la Nazione, portavoce dei bisogni e delle esigenze provenienti dal basso dai cittadini, dotato a tali fini di autorità esercitabile in ogni settore della vita pubblica, ma autorità solo morale; inoltre come Capo dello Stato, ha la funzione di ultimo anello nell’esercizio della sovranità che lo Stato compie attraverso il Parlamento o il Governo, esercitando il suo potere soltanto formale, perché qualunque atto del Capo dello Stato esprimente un atto d’imperio con validità legale può essere sempre e solo un atto consistente nel porre il sigillo formale (la firma) ad atti, dei quali il proponente e il responsabile è il Governo. Questo volle con costanza e chiarezza l’Assemblea Costituente e questo è scritto nella Costituzione, e anche questo lo esamineremo bene.

    Ma questa figura, così com’è fissata nella Costituzione e astrattamente tanto ben definita dai costituenti che l’hanno immaginata, è già per se stessa praticamente impossibile da incarnare.

    In più si aggiunse anche l’opera di deformazione. Da una parte le destre mantenevano il loro atteggiamento ostile allo ‘scandalo’ di un Capo di Stato privo di poteri sostanziali legali; dall’altra le sinistre guardavano con orrore alla prospettiva che il Governo, un Governo, poi, sempre democristiano, funzionasse bene e fosse il motore dell’attività politica dell’ Italia e promotore principe delle iniziative più importanti dello Stato. Quindi ambedue le opposizioni, che trovavano partigiani occasionali e meschinamente interessati anche negli schieramenti governativi, osservavano con piacere e sfruttavano le baruffe interne della maggioranza centrista pluripartitica, ricomposte spesso con l’intervento del Presidente della Repubblica, per attribuire alla sua figura un’autorevolezza nuova a scapito del Governo. Dal punto di vista delle sinistre era un’autorevolezza utile per un futuro in cui sarebbe arrivato al Quirinale un Presidente a loro vicino, in forza del principio ‘anticostituzionale’, fatto circolare con insistenza, della necessaria alternanza tra Presidenti di ispirazione cristiana o laica, di maggioranza e di minoranza.⁶ In mezzo c’erano i Presidenti della Repubblica e quasi tutti, ora per una personale concezione del proprio ruolo ora per temperamento ora per senso del dovere o per quel che si vuole, non si rassegnavano alla discrezione imposta dalla Costituzione e non disdegnavano di farla consistere nella discrezionalità, tanto più pericolosa perché in buona fede, ostativa di corretti rapporti tra i poteri dello Stato.

    Comunque gli oppositori da sinistra e da destra, ben contenti che fosse depressa l’autorità del Governo (dal quale ap

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1