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Il Nuovo Quarto - Mondo 2.1
Il Nuovo Quarto - Mondo 2.1
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Il Nuovo Quarto - Mondo 2.1

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About this ebook

"Amico mio, viviamo tempi proficui. La guerra imperversa nei Quarti e ottenebra le menti dei regnanti. Poveri stolti! Dalla Fortezza di Askeen, prigione del Mago folle Isyl, i Guardiani lanciano i loro disperati moniti, ma Aria-Acqua-Terra e Fuoco sono troppo impegnati nelle rispettive battaglie per dar loro retta. E intanto nuovi culti inneggianti alla Dea della Pace attraggono orde di diseredati in cerca di cibo e vane speranze. Quante occasioni ci si offrono! La Centuria, la migliore unità mercenaria di Alenna, della quale ho l'orgoglio di far parte, è appena stata assoldata dal Duca Savio. Non mi importa se i timori del borioso padrone dell'Isola di Roskeim siano fondati o meno. A missione ultimata ci ricoprirà d'oro e questo è ciò che conta. Quindi bando alle ciance, è giunto il momento di partire per il Nuovo Quarto!"

Il Nuovo Quarto è il I° Volume della Trilogia di Alenna (Mondo Due della serie InfinitiMondi).
LanguageItaliano
Release dateMar 17, 2014
ISBN9788890723056
Il Nuovo Quarto - Mondo 2.1

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    Il Nuovo Quarto - Mondo 2.1 - Andrea Zanotti

    giunta.

    I. Quarto dell’Acqua - Il Traghettatore dei Mondi

    «Fetore di sepoltura.» sibila il Maestro d’Ossa e sputa al suolo un grumo di catarro verdastro.

    «L'olezzo proviene da quel sacco fetido che ti ostini a trascinarti appresso, vecchio.» lo redarguisce Deifobo.

    Infuriato, lo stregone gli pianta addosso gli occhi iniettati di sangue

    «Non rivolgerti così al Santo, giovinastro privo di credo!»

    Le ossa dipinte sul suo corpo d’ebano paiono vibrare a indicarne la rabbia, i capelli bianchi, riuniti in sudice ciocche, si muovono al vento come serpi.

    Io non sento nessun odore in effetti, solo il profumo del grano.

    Il campo nel quale ci ha fatto piazzare il Traghettatore dei Mondi è una distesa dorata, a perdita d'occhio.

    Il moto delle spighe, cullate dalla brezza, lo fa apparire come un mare dal colore alieno.

    Certo, Deifobo ha ragione, quell’ammasso di ossa e sterco che il Maestro chiama Santo, è l’unica fonte di odore sgradevole, eppure qualcosa di sbagliato nell’aria colpisce anche me, come se gli elementi si stessero preparando a un evento inconsueto.

    Aria-Acqua-Terra e Fuoco, tutti col fiato sospeso.

    Il campo di grano nel quale siamo immersi è rigoglioso e florido come pochi se ne vedono nel resto dei Quarti.

    Si deve ammettere che il Templare Savio ha amministrato la sua Isola Feudo in modo eccellente. Impossibile pensare che questa terra si trovi nel bel mezzo di una guerra che dura ormai da un secolo.

    È questa ricchezza, questo ordine perfetto che quell’uomo è riuscito a imporre alla propria terra, a lasciarmi perplesso, a impedirmi di capire perché si voglia imbarcare nell’impresa.

    Sono tante le cose che non mi tornano a ben giudicare.

    «Zitti tutti!» tuona Rovers, scuro in volto.

    Il capitano della Centuria non è molto loquace questa sera. Meno del solito.

    Se ne sta lì, ingobbito, avvolto nella mantella scura che cela la sua armatura completa.

    Fiuta l’aria, come una belva apprensiva.

    Il sole sta calando all’orizzonte e la flebile luce penetra a stento fra le spighe alte come giganti.

    In lontananza riusciamo ancora a intravedere il Traghettatore dei Mondi inerpicarsi su per l’angusto tratturo scavato nella pietra della collinetta.

    Le sue movenze sono scattose, il logoro saio che lo riveste pare rigido, come fosse ghiacciato.

    Non dimenticherò mai i suoi occhi, due tizzoni ardenti, e lo sguardo, un vuoto fatto di fiamme inespressive.

    Il Duca dell'Isola Feudo di Roskeim, Savio Palwen III, il nostro committente, forte della sua recente conversione al folle culto dell'Unica Dea, pare essere tranquillo.

    La sua nomina a Candido Templare di Lena gli dona una risolutezza invidiabile.

    Povero folle.

    L'unica cosa importante è che la montagna d'oro che ci ha promesso sia concreta e reale, ben più di qualsiasi fantasticheria misticheggiante.

    La Centuria è al tuo servizio Savio, ma presto dovrai chiarirci diverse cose, che tu lo voglia o meno.

    Intanto cerchiamo di portare a termine questo dannato viaggio.

    «Il Santo dice che non dovremmo fidarci, e mi chiede se la mia vita valga meno dell'oro che ci ha promesso il Duca.»

    «E tu rispondigli, no?» lo rimbrotta Deifobo.

    Il Maestro d'Ossa lo fissa con aria interrogativa, la bocca sdentata aperta come un allocco.

    «Dannazione, vecchio, certo che quell'oro vale più delle tue misere ossa!» gli ride in faccia il Biondo.

    Rovers lo raggiunge, il muso austero solcato da rughe di rabbia, e lo solleva di peso dal bavero del mantello.

    «Ho detto di tacere.»

    Bisognerebbe mozzargli la lingua, per riuscire nell’impresa di zittirlo.

    Dietro di lui il resto della Centuria è in silenzio, gli occhi puntati sulla sommità della dolina.

    Nonostante l'imbrunire, la figura del Traghettatore spicca come una macchia più nera dell'oscurità circostante, quasi le tenebre al suo cospetto si svilissero, lasciandogli il primato.

    «Il Maestro ha ragione.» interviene quieto il Templare «Un tempo questa era terra di sepoltura.»

    «Il Santo non mente.» ribadisce orgoglioso quello.

    Elyn, pallida come uno straccio, lo scruta di sbieco.

    Le leggo in viso la quantità di domande che vorrebbe porre: Chi è il Traghettatore? Perché dobbiamo viaggiare? Perché in questo modo? Verso dove? E mille altre.

    L’indole da studiosa non l'abbandona neppure in questo momento di massima tensione. I suoi occhi brillano di curiosità e intelligenza. Una donna splendida.

    «Vale anche per te Duca. Silenzio e ascoltate tutti.»

    Ancora il capitano, monolitico nelle decisioni, come sempre.

    Ora la sento anch'io: una litania aspra ci viene consegnata dalla brezza che spira dalle spalle del Traghettatore.

    Porto lo sguardo sulla figura ammantata di tenebra e vedo i gesti che l'uomo misterioso sta compiendo con le mani. Traccia nell'aria dei glifi dalle linee perfette, che rimangono visibili per secondi, lasciandosi dietro una scia cremisi.

    Al mio fianco Morte sembra sul punto di parlare, la bocca spalancata in un’espressione di stupore che mai avrei immaginato potesse assumere.

    Lo immagino a proferire le sue prime parole da quando lo conosco, mezza dozzina d’anni oramai.

    Siqquara bestemmia i suoi dei, il tozzo corpo muscoloso che freme dall’ansia, come si trovasse in procinto di combattere un avversario invisibile.

    «Cosa diavolo sta facendo quello?» chiede Zitara rompendo lo stallo imposto dal comandante e rimediando da questo un’occhiataccia furiosa.

    Il nostro esploratore Fëanor Miratur, dotato di sensi acutissimi, è spiazzato, osserva la scena ma brancola nel buio, come tutti noi.

    Questa volta neppure la sua vista d’aquila riesce a dissipare l’ombra che ammanta la cima della collina.

    Il Maestro d'Ossa è già partito a cantilenare in quella lingua che nessuno ha ancora capito se sia di sua invenzione, oppure appartenga a qualche luogo sperduto di questo mondo.

    Scuote con vigore il sacco che chiama Santo, spargendone tutt’attorno il fetore e accennando un passo di danza sgraziata.

    Ci stringiamo in formazione, senza nessuna ragione oggettiva, spinti da una sensazione di pericolo incombente.

    «Non temete, l'Immacolata ci protegge.» tenta di rassicurarci Savio.

    ReCorvo, Morte e Siqquara hanno impugnato le armi.

    Poi la voce del Traghettatore dei Mondi irrompe sul campo rotolando dalla collina come una valanga.

    Penetrante e imperiosa ci arriva direttamente nella testa.

    Inintelligibili, ma dal sapore di un’invocazione arcaica, proibita e pericolosa, le parole ci pungolano la mente.

    «Il tributo in anime è stato versato, buon viaggio.»

    In risposta ai suoi gesti, linee e segmenti si tracciano nel campo di grano sottostante, piegando con delicatezza le spighe e dando origine a un pittogramma composto da simboli geometrici complessi.

    Cerchi dalle curve perfette, in cui si inseriscono armoniosamente ottagoni e stelle stilizzate.

    Non abbiamo neppure il tempo di interrogarci sul loro significato che crolliamo al suolo, privi di sensi.

    Rumori concitati mi strappano dal sonno.

    Mi guardo attorno, cercando di individuare le fiere capaci di emettere quei ragli. La testa mi duole e la vista stenta a rischiararsi, le palpebre che si muovono asincrone.

    Sono nel fitto intrico di una foresta, anche se non riesco a riconoscere la specie degli alberi che mi circonda.

    Il verde scuro domina tutto, mozzandomi il respiro. Non solo quello, anche l’umidità opprimente fa la sua parte. Mi sento soffocare, mentre l’ansia incalzante spazza via i torpori del sonno.

    I rumori comunque provengono da quel marasma di giunchi, liane e fogliame dalle dimensioni gigantesche.

    L’ambiente mi è sconosciuto, totalmente.

    Una luce blanda illumina la zona, penetrando a stento fra le chiome di quelle piante dalle fattezze anomale. Sottili raggi che filtrano tra il fogliame come schegge di luce proiettate da un diamante.

    Fanghiglia e putredine tappezzano il suolo in uno strato di fogliame misto a acquitrino, a perdita d’occhio, lasciando nell’aria un odore di terra in decomposizione.

    Improvvisamente riesco a focalizzare ciò che mi sta accanto.

    Li vedo, i miei compagni, i membri della Centuria, e un briciolo di speranza si fa largo nel mio animo.

    Il Maestro d’Ossa, Rovers, ReCorvo, Zitara e Siqquara, Fëanor Miratur, Morte, Deifobo e Elyn.

    Ci sono tutti.

    Appaiono disorientati. Anche i loro occhi vagano nel vuoto, persi in quella coltre di verde rigoglioso, alla ricerca di qualcosa di familiare.

    Come me, non trovano nulla.

    Morte fiuta l'aria inalando ampi respiri che gli gonfiano il collo tatuato. Le fiamme verdi che ne avvolgono la metà paiono guizzare in risposta a quella ricerca.

    «Stringetevi a me, saranno qui a momenti.» afferma con calma il Templare, sguainando la spada benedetta dalla lama candida come avorio.

    Chissà se è affilata, o è solo uno stucchevole oggetto di culto?

    Il comandante pare riprendere il controllo. Getta a terra l’elmo, quasi volesse liberarsi con quel gesto dai fumi che gli annebbiano la mente.

    «Di che diavolo parlate, Duca? E dove ci ha portato quel maledetto Traghettatore?»

    Già, il Traghettatore manca all’appello. Quella canaglia ha assolto al proprio compito e si è dileguato. Si starà già godendo la ricompensa.

    Solo ora mi accorgo che il pittogramma composto dall’uomo misterioso nel grano, ha segnato anche quella giungla, aprendo varchi dalle linee geometriche in quell'intrico di vegetazione. Noto che anche Fëanor lo sta analizzando.

    Il ringhio animalesco che mi ha risvegliato si fa più vicino, più pressante.

    «Siamo nel Nuovo Quarto, Capitano Rovers. Le nostre indagini partiranno da qui. Non c’è nulla da temere. Lena è con noi!» afferma sbrigativo Savio, muovendo la lama con gesti misurati e precisi e intonando una preghiera che mi suona familiare.

    Il Nuovo Quarto?

    Non riesco neppure ad articolare quel pensiero che qualcos'altro attira la mia attenzione: qualcosa turba gli elementi, lo percepisco all’istante.

    Visto che nessuno nella Centuria, oltre me, è in grado di interagire con essi, non può che trattarsi del Duca.

    L’Acqua, ovviamente, sta chiamando l’Acqua in nostro aiuto! Il suo potere è forte, e cresce rapidamente.

    Dalla bruma che aleggia fra la vegetazione, compaiono dozzine e dozzine di occhi luccicanti.

    Eccoli i nostri aggressori, finalmente si fanno avanti. Bastardi!

    Con la coda dell’occhio vedo Zitara e Fëanor incoccare frecce nei rispettivi archi, Rovers armare la balestra e Deifobo estrarre un dardo duwan.

    «Non vorrai sprecare uno di quelli per dei luridi cagnacci?» lo ammonisce Rovers.

    «Non ci tengo a essere sbranato da un branco di sciacalli.» si difende il Biondo, abbassando comunque il quadrello di polvere elementale.

    «Deve ancora nascere l’animale capace di accopparmi!» barrisce ReCorvo mulinando le sue asce gemelle.

    Torno a concentrarmi sul rituale del Templare, mentre le belve, con circospezione, affiorano dalla nebbia fiutando i confini del pittogramma tracciato dal Traghettatore.

    Più d’uno degli sciacalli ci piscia sopra.

    Il Duca, oltre a essere un ministro della Dea Buona, è un Rabdomante o un Rabdomastro. Non riesco a capire perché abbia celato la richiesta, come se si vergognasse del proprio gesto.

    Forse la sua antica arte è in conflitto con la nuova fede? Non è questo il momento per pensarci, ma quando arriverà vorrò delle risposte da Savio.

    Sguaino la spada bastarda e mi tengo pronto, cercando di allontanare quel dubbio dalla mente. Ad ogni modo le conoscenze del Templare sono superiori ai rudimenti che appresi a suo tempo all'Accademia di Askeen.

    La Cortina d'Acqua compare improvvisamente, come se provenisse da molto lontano. Ne percepisco l’irruenza e da questa comprendo che la foresta è dotata di un’anima resistente, capace di opporsi al suo arrivo.

    Il Maestro d’Ossa si stringe il Santo al petto, invocando i propri protettori.

    È uno spettacolo vedere l'Elementale dell’Acqua avvolgerci in spire protettive, disponendosi tutt'attorno a noi poco prima che l’assalto del branco abbia inizio.

    La Cortina è cristallina come l’acqua di una fonte di montagna, ma il suo potere è smisurato.

    Nulla potrà attraversarla, fintanto che ci concederà protezione.

    Le bestie non possono saperlo. Ignare, e folli, si scagliano sulle pareti trasparenti venendone respinte in un coro di latrati furibondi, i turbini d’acqua affilati come lame che ne incidono le carni facendole a brandelli.

    Le belve sbavanti e fameliche non si arrendono cercando un pertugio che permetta loro di raggiungerci. Percorrono con foga il perimetro del cilindro protettivo come una massa informe di pelo e canini sporgenti, compiendo rapidi attacchi, fortunatamente inefficaci.

    Sono un branco numeroso e determinato.

    «Tu, saputella, ma gli sciacalli non sono bestie solitarie? E soprattutto non si nutrivano di cadaveri? Ci hanno scambiato per delle carcasse forse?» chiede Siqquara a Elyn, passandosi l’ascia da una mano all’altra, i muscoli del corpo tornito pronti a scattare.

    La studiosa la fissa, gli occhi ricolmi di stupore.

    Nel comportamento degli animali non vi è nulla di naturale. Mossi da una furia cieca che li fa sragionare e li spinge a comportamenti contro natura, annichilendo l’istinto che avrebbe dovuto avvisarli della pericolosità della Cortina d’Acqua.

    L’uomo non è una loro preda abituale, per sapere questo non ci vuole certo l’erudizione di Elyn, la quale abbozza ugualmente una spiegazione, non capendo che la donna barbaro la stava solo prendendo in giro.

    Rovers sta elaborando un piano, glielo leggo in quei suoi occhi cerulei che ben pochi riescono a penetrare. Probabilmente Fëanor Miratur ha già scandagliato la zona circostante, valutando le vie di fuga.

    Prima che il capitano possa esporci le direttive, gli animali si fermano. Improvvisamente guardinghi drizzano le orecchie, le fauci sbavanti che per un attimo si serrano in attesa.

    Sibili e schiocchi precedono una gragnuola di colpi.

    Dal profondo del coacervo di vegetazione proviene una salva di frecce.

    Fra latrati e guaiti, numerosi sciacalli finiscono riversi al suolo, mentre i sopravvissuti contrattaccano tuffandosi nella selva.

    Osservo la scena, tentando di capire chi sia giunto in nostro soccorso.

    Il Traghettatore dei Mondi, forse? Ne dubito…

    Colgo delle ombre aggirarsi fra le piante, ma non riesco a carpirne l’identità: sagome erette che ricordano dei ragazzini, data la loro scarsa altezza.

    Corrono fra le frasche ingaggiando combattimenti feroci con gli animali ed emettono grida altrettanto belluine.

    «Indigeni.» sentenzia il Duca Savio Palwen III, allentando il controllo sulla Cortina d’Acqua.

    Qualcosa mi dice che stia già rimpiangendo di aver lasciato la sua ordinata Isola Feudo.

    II. Nuovo Quarto – Il clan dello Sciacallo

    «Ancora quelle maledette navi di cristallo.»

    C’era odio nella voce gutturale del guerriero ombra.

    «Tha-ho, purtroppo anche questo arrivo era previsto.»

    L’ombra osservò Kiquathu con aria pensierosa.

    «Lo so, Divinatore, ma provo una forte rabbia.»

    Dal costone roccioso sul quale si erano posizionati, godevano di una visuale eccellente.

    Sotto di loro sorgeva quello che era stato il primo campo eretto dagli invasori: Nuova Cadolia.

    Alte palizzate erano sorte a protezione del nucleo centrale di quell’insediamento che andava assumendo sempre più i connotati di una vera e propria città.

    Tutt’attorno la vegetazione era stata rasa al suolo per concedere agli abitanti, e ai loro maledetti difensori dalle vesti candide, di non farsi sorprendere dagli attacchi dei clan.

    «Siamo stati folli a non sterminare quegli stranieri, quando eravamo ancora a tempo.»

    Kiquathu ricordava tutto.

    Riviveva ogni giorno il primo sbarco come monito a non dimenticare mai l’errore commesso.

    Con i suoi modi gentili e affabili, colei che si faceva chiamare la Sorella di Lena, Agape, aveva chiesto la possibilità per la sua gente di sbarcare e di posare il campo in riva alle acque cristalline.

    Un’aura lucente incorniciava il suo volto splendido, i lunghi capelli bianchi che scendevano dolcemente sulla tunica immacolata.

    Né Kiquathu, né i suoi fratelli avevano mai udito una voce così armoniosa. Mai avevano posato gli occhi su una creatura tanto splendida.

    I primi ad averla vista, l’avevano creduta l’incarnazione stessa della Dea Madre Nulla.

    Avevano così acconsentito senza remore alle richieste, offrendo a lei e alla gente che l’accompagnava tutto ciò di cui necessitavano.

    Il Divinatore doveva ammettere di esserne rimasto affascinato. D’altronde non c’era nulla di paragonabile, fra il suo popolo.

    Mentre i maschi degli stranieri differivano da loro solo per la maggiore altezza e per la peluria che ne ricopriva capo, volto e torace, le femmine erano curiosamente diverse, in tutto, soprattutto la Sorella di Lena, che li comandava.

    Solo l’innata diffidenza di Kiquathu l’aveva tenuto lontano dagli insediamenti degli stranieri e quella era stata la sua salvezza.

    Anche gli sciamani e i saggi dei clan non avevano avuto da ridire, in quanto la Madre stessa non sembrava nutrire ostilità verso i nuovi venuti e non aveva dato alcun segno di disapprovazione.

    Così nuove navi di cristallo avevano fatto la loro comparsa all’orizzonte e gli sbarchi si erano susseguiti.

    I suoi fratelli, incuriositi e attratti da quelle magnifiche creature che gli stranieri chiamavano donne, si erano prodigati in tutti i modi pur di poter venire a contatto con i nuovi venuti.

    Questi ne avevano approfittato spudoratamente, fino a giungere a insidiarne la libertà.

    «Riesci a percepirla, Tha-ho?»

    «Che cosa, Divinatore?»

    «L’empietà che muove quelle navi. Non vi è nulla di naturale nel loro incedere arrogante. Vedi come infrangono le onde? Vedi come fendono i marosi senza subirne la forza? Qualcosa di malefico le muove e le governa e, se osservi con attenzione, potrai vedere il volto del mostro che le dirige far capolino sopra di esse. I suoi occhi sono tizzoni ardenti.»

    Il guerriero ombra fissò lo sguardo sugli scafi affusolati delle imbarcazioni.

    Le pareti traslucide rendevano le sagome dei membri dell’equipaggio simili a spettri baluginanti, eppure non riuscì a scorgere ciò di cui parlava Kiquathu.

    Ugualmente non dubitava della veridicità delle parole del Divinatore.

    Non più.

    Nonostante il mare fosse agitato, le navi procedevano spanne sopra il pelo dell’acqua, senza beccheggiare né mutare rotta.

    Le vele bianche, innalzate su alberi vertiginosi, non erano smosse dal vento quasi fossero un semplice abbellimento e non gli strumenti che concedevano alle imbarcazioni di muoversi.

    «Anche questa volta sono comparse dal nulla. I guerrieri di vedetta garantiscono di non essersi mai distratti, eppure dove un istante prima c’era solo mare, giurano siano comparsi quei cinque scafi. Dal nulla, come fossero le acque stesse ad averli partoriti.»

    «Non rimproverarli Tha-ho, forse i tuoi guerrieri dicono il vero.» considerò accigliato Kiquathu grattandosi il mento liscio.

    «Come possono essere comparse dal nulla?»

    «Gli avvenimenti di questi tempi non trovano spiegazione razionale, prima lo accetterai e prima riusciremo a liberare il nostro popolo.»

    Il Divinatore osservò l’insediamento. Per le vie che tagliavano il villaggio creando una griglia ordinata, c’era fermento. Mercanzie di tutti i generi venivano caricate e scaricate dalle navi alla fonda, nella baia.

    Quelle genti erano indubbiamente operose, ma il ruolo affidato ai suoi simili non poteva concedergli di guardare a questa loro attitudine con bonarietà: schiavizzati e vessati, trattati come esseri inferiori, ai suoi fratelli toccavano i lavori più miserabili ed estenuanti.

    Il guerriero gli lesse nei pensieri.

    «Perché la Regina Madre permette tutto questo?»

    Kiquathu lo colpì al volto con violenza, senza preavviso.

    «Nulla ci ha abbandonati, stolto! Anche questo è bene che tu lo capisca sin da subito. Sciacal è la nostra nuova guida e in cambio di fedeltà ha promesso di salvare il popolo.»

    Il guerriero ombra abbassò il volto glabro sul quale stava comparendo una chiazza rossa, causata dal colpo subito.

    Le navi di cristallo avevano gettato l’ancora nella baia antistante e sciami di scialuppe venivano calate fuori bordo. Coloni invasati e soprattutto soldati della Dea Buona, Lena, così la chiamavano quei dannati.

    Le loro corazze lucenti lanciavano barbagli accecanti, le criniere bionde che garrivano al vento: Cavalieri della Concordia, e per ognuno di essi almeno venti immacolati.

    Altre imbarcazioni cariche di oro, ferro e cibo, partivano dal pontile in senso opposto per raggiungere le navi all’ancora: risorse che gli stranieri rubavano alla loro terra.

    Infinite tonnellate di selvaggina sotto sale, come se la patria di quegli stranieri fosse un deserto arido, incapace di fornire loro sostentamento.

    I viaggi si facevano sempre più frequenti e numerosi e la terra in cui lui e i suoi fratelli da sempre abitavano, stava iniziando a portarne i segni.

    Nuove colonie venivano fondate sulla riva del mare e sempre nuove zone di foresta venivano date alle fiamme e spianate.

    Anche i buchi nel ventre della terra, che i nuovi arrivati chiamavano miniere, venivano scavati sempre più all’interno, turbando la quiete della vita della giungla con l’andirivieni di carri e merci. Intere specie animali venivano annientate, sia per procacciare cibo ai nuovi venuti, che per soddisfarne i capricci venatori.

    Tonnellate di carcasse venivano spolpate e messe sotto sale per essere imbarcate e riportate nella terra nativa di quei maledetti.

    «Guarda le nuove leve degli invasori. Nuove spade pronte a mietere vittime, nuovi stivali chiodati con cui calpestare l’onore dei nostri fratelli e deturpare il suolo della nostra terra.»

    La voce del Divinatore era incrinata. La consapevolezza della difficoltà dei tempi in cui si trovava a vivere e delle responsabilità che gravavano sulla sua persona lo facevano apparire ancora più vecchio.

    Tha-ho lo guardò con ammirazione.

    «La rabbia di Sciacal non darà loro scampo. Raderemo al suolo anche questa città.»

    «No, non ancora, non è il momento propizio. I clan ribelli non sono abbastanza forti per condurre una guerra. I Nuovi Dei sono giovani e inesperti. Dobbiamo muoverci con astuzia. Sciacal ha detto che un evento capace di mutare il sentiero della storia è prossimo ad accadere e qualcosa mi dice che non manchi poi molto.»

    Lo sguardo del Divinatore corse all’entroterra.

    Sorvolò gli ordinati campi di lavoro dove i suoi fratelli erano costretti a sudare per le vesti bianche, a compiere strage di palme e banani per far spazio ai nuovi venuti e alle loro colture, fino allo sfinimento.

    Oltrepassò le miniere dove i propri simili sputavano sangue ogni giorno, ammalandosi e morendo, per arricchire gli invasori, chini sotto il peso di carrelli colmi di minerali. Li trascinavano tirando catene che penetravano loro nella carne, sfigurandoli al pari delle frustate che i padroni dalle vesti bianche infliggevano loro.

    Disgustato per una resa così vergognosa, distolse lo sguardo e proseguì oltre, sondando le distese di giungla vergine, ancora preservata dalle mire espansionistiche degli stranieri.

    La Madre, la Dea Nulla che sempre li aveva guidati e protetti, si aggirava furtiva nei meandri della selva. Abitava ancora le piramidi-tempio che avevano innalzato in suo onore.

    Kiquathu riusciva a percepirne la presenza, eppure essa non interveniva in soccorso dei propri figli.

    Il Divinatore si allontanò da lei, lasciandola sola con i propri dubbi e con i propri rimpianti, forse. Lui non era in grado di comprenderlo.

    Percepiva la rabbia di Nulla, trattenuta a stento, ma non comprendeva verso chi questa fosse pronta a deflagrare.

    Giunse infine al pittogramma che aveva marchiato la selva, tracciando solchi nei quali non sarebbe mai più cresciuta vegetazione alcuna.

    Quel simbolo arcano era carico di potere. Impossibile passasse inosservato.

    «Sono giunti.» sbottò sbalordito.

    «Chi, saggio Kiquathu?»

    «Stranieri, che non hanno utilizzato le navi di cristallo.»

    «Devo mandare i guerrieri a ucciderli, Divinatore?»

    «No, forse sono diversi da quelli che stanno schiavizzando i nostri compagni.»

    «Diversi? Vuoi trattare con loro?»

    Tha-ho vide gli occhi di Kiquathu perdere l’abituale luce e farsi vacui mentre sondavano l’orizzonte. Le pupille iniziarono a muoversi da destra a sinistra, le palpebre che si socchiudevano conferendo al saggio un’espressione ebete.

    Un’ombra comparve sul viso del Divinatore e gli occhi della testa di sciacallo che portava come copricapo brillarono di una luce vermiglia.

    «Sciacal è interessato a questi uomini, guerriero ombra. Dobbiamo prenderli, sottrarli ai nostri nemici.» la voce di Kiquathu pareva provenire da un pozzo.

    Tha-ho si inchinò.

    «Se questo è il desiderio di Sciacal, andrò subito a cercarli.»

    Passarono secondi senza che nessun altro rumore all’infuori del respiro accelerato del guerriero ombra disturbasse i due, poi Kiquathu scosse con violenza il capo, tornando nel pieno delle proprie facoltà.

    «L’irruenza del Dio si è nuovamente impossessata del mio corpo…» disse il Divinatore con un filo di voce, stremato, il corpo scosso da fremiti incontrollati.

    «I tuoi presagi, saggio Kiquathu, sono stati confermati. Gli stranieri interessano a Sciacal. È meglio mettersi in marcia.»

    «I nostri fratelli a quattro zampe sono già sul posto, sento i loro ululati furiosi. Purtroppo la scia di potere lasciata dai nuovi venuti è stata così grezza da attrarre anche altre attenzioni.»

    «Credi ci saranno rischi?» domandò il guerriero ombra, la cui vita era dedicata alla protezione del Divinatore.

    «Sarà meglio allertare i guerrieri.»

    «Così sarà fatto.»

    Tha-ho si voltò e si incamminò giù per il declivio che lo avrebbe portato nella radura dove si era accampato il clan dello Sciacallo.

    «Ancora una cosa» gli urlò dietro il Divinatore «manda dei messaggeri agli altri clan ribelli. È giunto il momento di riunirsi.»

    Se la sua interpretazione delle parole arcane di Sciacal era corretta, fra quegli stranieri si nascondeva colui che avrebbe potuto liberarli dalle vesti bianche, e dalla cagna adoratrice di Lena che li guidava.

    III. Cuore dei Quarti - La Fortezza di Askeen

    Il Rabdomastro Malet ripose con delicatezza il volume che stava leggendo.

    La lettura era il suo unico rifugio da quando, due lune prima, lo avevano sorteggiato come nuovo rappresentante del Quarto dell'Acqua per la carica di Guardiano di Askeen.

    Quella fortezza, tetra e scura, sembrava permeata dalla malvagità del prigioniero che custodiva.

    Non c'era da stupirsi che neppure i più ambiziosi fra i Mastri, si offrissero volontari per quell'incarico, e che i più maledissero la scelta operata millenni prima da Re Kevlan.

    Inoltre lo stare a stretto contatto con le genti degli altri Quarti non poteva certo essere considerato un piacevole passatempo.

    Per quanto ampia fosse la fortezza di Askeen, gli spazi sembravano angusti, dovendoli dividere con degli stranieri.

    Si era fatto tardi e Malet doveva andare a dare il cambio a Keter.

    La spocchia del giovane Aeromante non gli piaceva, ed era convinto che tale ritrosia non fosse solo dovuta al fatto che i loro Quarti di appartenenza fossero in guerra da più di un secolo. C'era qualcosa

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