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Il colore giusto
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Ebook112 pages1 hour

Il colore giusto

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Dove si colloca, per ognuno di noi, la linea di demarcazione che divide l’attesa del futuro, con le sue possibilità ancora intatte, dal rimpianto per un passato che non abbiamo saputo vivere?
In questo dilemma si muove, sebbene in maniera non del tutto consapevole e, soprattutto, senza riuscire a decidersi, il protagonista del romanzo, Ivan Sollima.
Sarà Costanza, una vecchia amica incontrata per caso dopo tanti anni, a metterlo irrimediabilmente di fronte a questa inevitabile scelta.
LanguageItaliano
Release dateAug 21, 2013
ISBN9788868551537
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    Book preview

    Il colore giusto - Mira Salvadore

    srl


    Gli eventi narrati in questo libro sono frutto di invenzione. Ogni riferimento a fatti accaduti o a persone realmente esistite è quindi da ritenersi assolutamente casuale e del tutto involontario. A quei lettori che crederanno di potersi identificare in parte o totalmente nei personaggi o nelle situazioni presenti nella storia, vorrei dire che la vita di ognuno di noi si ripete all'infinito nelle vite degli altri ed è per questo motivo che la fantasia ci appare, quasi sempre, irrimediabilmente reale.

    A Mattia

    Vivrò per dimenticarmi

    Tahar Ben Jelloun „Creatura di sabbia"

    I

    La chiave di lettura di tutta la sua vita era in quella ruga che portava, non senza imbarazzo, in mezzo alla fronte e che gli dava un'espressione perennemente corrucciata e intenta, di modo che tutti venivano a sapere al primo sguardo che la sua lontananza dal mondo era abissale. Quel distacco veniva accentuato dal languore dello sguardo, tipico di certi occhi chiari, così acquosi da sembrare vuoti, e più ancora dalla barba, sebbene rada e corta, tenuta come ulteriore schermo nei confronti degli altri. La stanchezza si era da tempo impadronita di lui, molte cose gli apparivano ormai superflue se non addirittura inutili, tutto quell'affaccendarsi e correre, andare e venire, chiedersi, reagire, controbattere. Era tardi e faceva freddo. Di lì a poco sarebbe cominciata la sua ennesima lunga nottata. Da quanto tempo faceva quel lavoro? diciannove anni ormai, pesanti come macigni, pieni zeppi di ripensamenti e rimorsi, di tristi rinunce, come amava ripetersi non senza un minimo di compiacimento. Iniziava quando tutti dormivano e andava avanti tutta la notte, fumando una sigaretta dopo l'altra e cercando di non pensare ad altro se non al lavoro. Com'era finito lì e perché non era facile da spiegare.

    La sua vita avrebbe potuto prendere una piega completamente diversa, le premesse c'erano tutte. Aveva studiato sociologia a Trento, era quasi laureato a dire il vero, gli mancavano solo un paio di esami. Non che gli studi lo avessero mai coinvolto interamente: aveva scelto Trento quasi per caso, alcuni amici sarebbero andati lì a studiare e l'idea di partire insieme e condividere l'appartamento e la vita da studenti lo allettava. In casa si erano manifestate perplessità per questa scelta.

    «Sociologia? Ma non è una materia di studio, sono chiacchiere. Una serie infinita di banalità, elevate, per chissà quale insondabile mistero, e chissà da chi, a dignità di scienza. Fare il sociologo non è un lavoro, è un modo di passare il tempo a discutere sul nulla, come al bar. O come sulle testate di alcuni giornali, di cui è meglio non parlare.» Le decisioni importanti passavano attraverso il vaglio e l'approvazione di Alberto, suo padre, e quest'ultimo l'avrebbe voluto ingegnere – o almeno architetto, come soleva concludere le discussioni sull'argomento, ritenendo di dimostrare con quest'ultima concessione il massimo della condiscendenza possibile. Ma alla fine aveva capitolato. Ivan era il suo prediletto, quello che più di tutti tra i suoi figli gli assomigliava e comprendeva ogni suo gesto senza dover sprecare troppe parole; lo aveva messo a parte, poco più che bambino, di molti suoi pensieri e dei problemi di lavoro e gli aveva affidato incombenze di ogni tipo, poiché lo riteneva già maturo. La sua professione – era un imprenditore edile e aveva cantieri sparsi in mezza Italia – lo teneva per lunghi periodi lontano da casa e così il ragazzo si era trovato senza volerlo a essere considerato dagli altri un punto di riferimento, la persona alla quale tutti, soprattutto sua madre, si appoggiavano quando il padre era via. Nessuno del resto lo aveva mai detto apertamente, era successo e basta. Qualsiasi cosa si dovesse decidere in assenza di Alberto era naturale che in famiglia si rivolgessero a lui. Dal canto suo, Ivan aveva tacitamente accettato questo ruolo senza rendersene conto e senza che gli pesasse più di tanto.

    Era il maggiore dei due figli maschi, più grande di Lorenzo di due anni, ma più giovane di sua sorella Bea, che aveva cinque anni più di lui. Ivan era estremamente legato a entrambi. A guardarla dal di fuori, la famiglia Sollima doveva in effetti dare l'impressione di un blocco granitico, compatta e unita com'era e come si era sempre dimostrata in ogni frangente. Sembrava che fossero in qualche modo intercambiabili, ciascuno assumeva un ruolo diverso a seconda delle circostanze e mai, in nessun caso e per nessuna ragione, qualcuno di loro era stato lasciato solo nelle decisioni da prendere o aveva dovuto affrontare il benché minimo problema senza l'aiuto degli altri. Questa rete di mutuo soccorso e assoluto sostegno reciproco che si era venuta a formare negli anni veniva supervisionata, gestita e diretta dalla figura paterna, il patriarca, come tutti affettuosamente, ma con grande rispetto, lo chiamavano.

    Gli ritornò in mente di quando se l'erano portato via, il patriarca. Due carabinieri alla porta, recitando la formula di rito, lo avevano prelevato per accompagnarlo in caserma.

    Ivan non aveva fiatato, neanche una parola. Aveva guardato la scena in silenzio, ben sapendo in cuor suo che da quel momento sarebbero cominciati i ricordi. E in effetti la figura di suo padre, in tutti quegli anni trascorsi dall'accaduto, gli era tornata spesso alla memoria, ma – stranamente, pensava Ivan – mai in modo diretto, come persona fisica; al contrario, quasi sempre sotto forma di pure sensazioni, ancorché concretamente avvertibili: il senso di protezione e sicurezza, ad esempio, che da sempre Alberto aveva saputo infondere in lui e in tutti gli altri membri della famiglia, almeno fino a quel maledetto giorno; e poi la certezza di sapere sempre come comportarsi, qualunque fosse la situazione da affrontare, la facilità nell'intrattenere i rapporti sociali e nel procurarsi la considerazione degli altri, il successo personale in campo professionale. E negli anni, se ne rendeva conto soltanto adesso, non gli era accaduto ciò che di solito succede a tutti i figli a partire dall'età della ragione: quel guardare da lontano e da tutte le angolazioni possibili i propri genitori, per analizzarne comportamenti e azioni, giudicarli, a volte anche spietatamente, affrancarsi da loro completamente per poi ritornare ad amarli semplicemente per quello che sono. Ivan non si era mai allontanato da suo padre, né lo aveva mai messo in discussione. Era come se questa presenza paterna fosse stata da sempre vissuta in forma sublimata, in ciò che lui stesso era e faceva.

    II

    Aprì gli occhi prima della sveglia, come spesso gli accadeva, e scivolò fuori dal letto senza far rumore. Antonia, la moglie, dormiva già profondamente accanto a lui e non si mosse. Cominciò a vestirsi lentamente, con movimenti impacciati dal sonno, passò davanti alla camera dei figli e li guardò per un attimo dormire; poi si diresse come un automa in cucina. Sul tavolo giacevano ancora i resti della cena consumata qualche ora prima, scenario al quale era del resto da tempo abituato. La moglie, il più delle volte piuttosto stanca dopo un'intera giornata di lavoro al poliambulatorio di zona dove era medico di base, con tutta l'organizzazione della casa e della vita dei figli sulle spalle, non era solita riassettare la cucina prima di andare a dormire, lasciando generalmente quell'incombenza per la mattina seguente. Meccanicamente aprì lo stipo vicino al frigorifero e ne trasse la caffettiera. Riempì lentamente il filtro, avvitò la parte superiore e la pose sul fornello. Era quello il primo caffè che avrebbe dato il via alla lunga serie necessaria per arrivare in fondo alla notte. Lo bevve in piedi, appoggiato al lavandino, guardando senza interesse i piatti sporchi impilati sullo scolatoio e fissandosi casualmente sul profondo graffio che correva lungo la superficie di uno degli sportelli davanti a lui; gli venne in mente

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