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Alcyone
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Alcyone

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Alcyone è il titolo di una raccolta di liriche di Gabriele D'Annunzio pubblicata nel 1903, composta tra il 1899 e il 1903 ed è considerato il terzo libro delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi.
LanguageItaliano
Release dateMay 16, 2013
ISBN9788867559404
Alcyone
Author

Gabriele D'Annunzio

Gabriele D’Annunzio (1863-1938) was an Italian poet, playwright, soldier, and political figure. Born in Pescara, Abruzzo, D’Annunzio was the son of the mayor, a wealthy landowner. He published his first book of poems at sixteen, launching his career as a leading Italian artist of his time. In 1891, he published his first novel, A Child of Pleasure, followed by Giovanni Episcopo (1891) and L’innocente (1892), which earned him a reputation among leading European critics as a member of the Italian avant-garde. By the end of the nineteenth century, he turned his efforts to writing for the stage with such tragedies as La Gioconda (1899) and Francesca da Rimini (1902). Radicalized during the First World War, D’Annunzio used his experience as a decorated fighter pilot to spread his increasingly nationalist ideology. In 1919, he spearheaded the takeover of the city of Fiume, which had been ceded at the Paris Peace Conference. As the leader of the Italian Regency of Carnaro, he sought to establish an independent authoritarian state and to support other separatist movements around the globe, but was forced to surrender to Italy in December 1920. Despite his failure, D’Annunzio inspired Mussolini’s National Fascist Party, which built on the violent tactics and corporatist system advocated by the poet and his allies. Toward the end of his life, D’Annunzio was named Prince of Montenevoso by King Victor Emmanuel III and served as the president of the Royal Academy of Italy.

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    Alcyone - Gabriele D'Annunzio

    Alcyone

    di

    Gabriele D'annunzio

    Cenni Biografici

    CENNI BIOGRAFICI

    Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.

    Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).

    Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.

    Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.

    Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).

    Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).

    Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.

    Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).

    Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.

    Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione  all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del Vittoriale degli Italiani. Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.

    LETTERA AI FRATELLI TREVES

    (estratto)

    «Ho passato questi giorni in una quiete profonda, disteso in una barca al sole. Tu non conosci questi luoghi: sono divini. La foce dell'Arno ha una soavità così pura che non so paragonarle nessuna bocca di donna amata. Avevo bisogno di questo riposo e di questo bagno nel silenzio delle cose naturali. Ora sto molto meglio; [...]. Non so se alla Capponcina> mi attenda qualche tua lettera. Non so più nulla di nulla. Nessuno sa che io son qui, fortunatamente, ed ho evitato di avere la corrispondenza cotidiana e i giornali. Ho scambiato qualche parola con un marinaio ingenuo, che è la sola persona umana cui io mi sia accostato. - Come si può vivere dunque nelle città immonde - io mi chiedo - e dimenticare queste consolazioni? Credo che finirò eremita, su un promontorio. Penso all'ora in cui dovrò riprendere il treno, con un rammarico indicibile. Vorrei rimanere qui, e cantare. Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei dalla mia anima come le schiume delle onde. In questi giorni, in fondo alla mia barca, ho composto alcune Laudi che sembrano veramente figlie delle acque e dei raggi, tutte penetrate di aria e di salsedine. Sento che in un mese o due potrei d'un fiato, comporre tutto il volume. Ma bisognerà purtroppo che mi rimetta alla mola della prosa, e per un'opera che partorirà tante pene! Libertà, libertà, quando mi coronerai per sempre? Le allodole sulle prata di San Rossore cantano ebbre di gioia [...]. Bada che per le Laudi voglio un'edizione speciale, e degna della poesia. Verrò io stesso a Milano per curarla. Ho pensato una innovazione graziosa. [...] Se tu potessi immaginare le bellezze di questa marina!»

    7 luglio 1899

    Gabriele D'Annunzio

    Manoscritto di La pioggia nel pineto

    (1902)

    Alcyone

    LA TREGUA

    Dèspota, andammo e combattemmo, sempre

    fedeli al tuo comandamento. Vedi

    che l'armi e i polsi eran di buone tempre.

    O magnanimo Dèspota, concedi

    al buon combattitor l'ombra del lauro,

    ch'ei senta l'erba sotto i nudi piedi,

    ch'ei consacri il suo bel cavallo sauro

    alla forza dei Fiumi e in su l'aurora

    ei conosca la gioia del Centauro.

    O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!

    Dàgli le rive i boschi i prati i monti

    i cieli, ed ei sarà giovine ancóra

    Deterso d'ogni umano lezzo in fonti

    gelidi, ei chiederà per la sua festa

    sol l'anello degli ultimi orizzonti

    I vènti e i raggi tesseran la vesta

    nova, e la carne scevra d'ogni male

    éntrovi balzerà leggera e presta.

    Tu 'l sai: per t'obbedire, o Trionfale,

    sí lungamente fummo a oste, franchi

    e duri; né il cor disse mai Che vale?

    disperato di vincere; né stanchi

    mai apparimmo, né mai tristi o incerti,

    ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.

    O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti.

    Ma greve era l'umano lezzo ed era

    vile talor come di mandre inerti;

    e la turba faceva una Chimera

    opaca e obesa che putiva forte

    sí che stretta era all'afa la gorgiera.

    Gli aspetti della Vita e della Morte

    invano balenavan sul carname

    folto, e gli enimmi dell'oscura sorte.

    Non era pane a quella bassa fame

    la bellezza terribile; onde il tardo

    bruto mugghiava irato sul suo strame.

    Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo

    tutt'oro gli giungea diritto insino

    ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!

    E tu dicevi in noi: "Quel ch'è divino

    si sveglierà nel faticoso mostro.

    Bàttigli in fronte il novo suo destino".

    E noi perseverammo, col cuor nostro

    ardente, per piacerti, o Imperatore;

    e su noi non potè ugna nè rostro.

    Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore

    la vena inestinguibile e gioconda

    del riso, che sonò come clangore.

    E ad ogni ingiuria della bestia immonda

    scaturiva più vivido e più schietto

    tal cristallo dall'anima profonda.

    Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,

    sfumato con le miche del convito,

    lungi rauco latrava il suo dispetto;

    e l'obliqio lenone, imputridito

    nel vizio suo, dal lubrico angiporto

    con abominio ci segnava a dito.

    O Dèspota, tu dài questo conforto

    al cuor possente, cui l'oltraggio èlode

    e assillo di virtù ricever torto.

    Ei nella solitudine si gode

    sentendo sé come inesausto fonte

    Dedica l'opre al Tempo; e ciò non ode.

    Ammonisti l'alunno: "Se hai man pronte,

    non iscegliere i vermini nel fimo

    ma strozza i serpi di Laocoonte".

    Ed ei seguì l'ammonimento primo;

    restò fedele ai tuoi comandamenti;

    fiso fu ne' tuoi segni a sommo e ad imo.

    Dèspota, or tu concedigli che allenti

    il nervo ed abbandoni gli ebri spirti

    alle voraci melodíe dei vènti!

    Assai si travagliò per obbedirti.

    Scorse gli Eroi su i prati d'asfodelo.

    Or ode i Fauni ridere tra i mirti.

    l'Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.

    (Romena, 10 luglio 1902)

    IL FANCIULLO

    I.

    Figlio della Cicala e dell'Olivo,

    nell'orto di quel Fauno

    tu cogliesti la canna pel tuo flauto,

    pel tuo sufolo doppio a sette fóri?

    In quel che ha il nume agresto entro un'antica

    villa di Camerata

    deserta per la morte di Pampínea?

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