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Dell'eccentricità
Dell'eccentricità
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Dell'eccentricità

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Le pagine di questo libro sono state scritte di getto e cercano di esporre la differenza tra una posizione di vita e/o di pensiero egocentrica ed una eccentrica. Con qualche breve accenno iniziale a situazioni extra-bibliche si approda poi a una lettura veloce delle Scritture evidenziando la possibilità di cambiare l'egocentrismo in eccentricità.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 4, 2015
ISBN9788891177773
Dell'eccentricità

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    Dell'eccentricità - Pierluigi Toso

    nell’eccentricità.

    1 Dell’etica-estetica fondata sull’uomo

    Per quanto concerne l’estetica e la bellezza esistono a riguardo molte filosofie. Le riflessioni di queste pagine dedicate all’eccentricità sono possibili grazie al mio personale percorso filosofico-teologico, percorso scelto faticosamente soprattutto in relazione all’interrogativo costantemente presente nella mia vita inerente la bellezza.

    I filosofi che hanno argomentato in merito all’estetica sono moltissimi, anzi credo si possa affermare come ogni filosofo non possa sottrarsi al confronto con la bellezza, confronto che ha portato a formulazioni a volte molto distanti tra loro. Come ho già scritto in altre pagine di libri ancora inediti tutta la storia della filosofia è una ripetizione ciclica della filosofia greca. Una ripetizione a volte metaforica, ma sempre sostanziale nei principi e nelle azioni. Per tale motivo, ma anche per l’incredibile compenetrazione tra tale filosofia e le Scritture credo che il legame tra il buono ed il bello nella filosofia greca, che definisco come etica-estetica, sia l’asse portante di tutta la visione della bellezza dell’uomo che non sia una visione effimera e temporale, nel senso climatico del termine.

    La bellezza greca non a caso viene definita classica, infatti il significato originario di tale aggettivo è relazionato al culmen raggiunto da una disciplina; quindi non c’è da stupirsi se ciclicamente la grecità viene ripresa nella storia dell’arte, di cui è sufficiente citare il neo-classicismo per evidenziare quanto appena enunciato. Grecità che ha influito anche nei filosofi creando il romanticismo, movimento che ha dato a vita ad espressioni musicali ed artistiche tutt’oggi vive e definite ancora una volta classiche.

    Per quanto riguarda le differenze sostanziali tra la bellezza filosofica e la bellezza teologica rimando ad alcune righe che dedicherò a tale confronto nella seconda parte di questo libro; ma soprattutto ad un lavoro da me scritto inerente il concetto di bellezza nella Bibbia. Chiudo con una sottolineatura fondamentale anche in relazione al confronto annunciato, scrivo etica-estetica non solo per motivi eufonici, mentre invece potrei scrivere la bellezza etica. Scrivo d’etica-estetica perché l’estetica non riguarda solo la bellezza, ma i sensi dell’uomo che si relazionano con quest’ultima. Relazione che può crescere in progressione infinita e non effimera solo grazie all’etica, ossia ancora una volta all’ethos greco, ethos legato alla ragione ed al carattere di ogni persona.

    1.1 Dei colori, delle note e dell’armonia

    La storia dell’arte e della musica hanno evidenziato dei caratteri costanti inerenti la bellezza e l’estetica che rappresentano. Tali caratteri sono analoghi, almeno in parte, sia per le arti fondate in qualche modo sul colore che per la musica. I sette colori dell’arcobaleno e le sette note musicali coincidono in quantità solo per motivazioni simboliche, ma non sostanziali. In realtà i colori fondamentali sono tre e si moltiplicano per somma di questi tre, quando sono spettrali (ossia luce colorata), ma al contrario si moltiplicano per sottrazione quando i colori sono materici, infatti ogni colore composto si produce per sottrazione di rifrazione e/o riflessione di luce.

    Per quanto concerne la musica il discorso è analogo, nel senso che le note sono figlie più di una logica matematica che di una realtà. In occidente infatti distinguiamo i toni ed i semitoni, ma in paesi come la Cina sono presenti i quarti di tono, quarti di tono che orecchi come quelli di Mozart, ma non solo, potevano udire.

    Il discorso fin qui esposto serve ad evidenziare il punto di arrivo dell’analisi egocentrica umana in relazione all’estetica musicale ed artistica, analisi che ha dovuto definire, cioè chiudere dentro limiti ben chiari gli elementi fondanti della produzione della bellezza. Tale definizione è figlia della matematica, ma come esporrò in seguito riguardo a tale scienza, si è arrivati a comprendere come nessun modello matematico possa contenere l’universo e questa è anche la ragione per cui l’estetica umana non è universale. L’armonia comunque percepita dai sensi dell’uomo che si relazionano all’arte è un’armonia in qualche modo pre-definita, infatti, come ho detto gli elementi fondanti dell’arte e della musica sono concepiti sulla percezione dei sensi umani, sensi che però sono molto limitati se confrontati con quelli di mammiferi a noi parenti, senza contare la superiorità sensitiva, soprattutto olfattiva e tattile, di specie a noi lontane come quelle degli aracnidi.

    L’uomo però possiede un elemento unico rispetto ai fratelli animali, tale elemento è la ragione. È grazie alla ragione che si può superare la logica definitoria fin qui esposta, facendo, infatti, un salto di ragione si può procedere verso il paradosso, il solo meccanismo che possa contenere la bellezza oltre i sensi. L’arte contemporanea è un tentativo chiaro in tal senso e non è casuale se non venga compresa dalla massa, non bisogna però cadere nell’errore di rifiuto della logica precedente, ossia di rifiuto dell’armonia dei cinque sensi, dei sette colori e delle sette note. Il paradosso, infatti, comprende tale logica, ma la amplia e la supera ridefinendola per mezzo della libertà. Il problema dell’arte contemporanea e del mondo contemporaneo è che ha in gran parte rifiutato la logica precedente senza che sia compresa, cioè presa all’interno, nel paradosso. In tal modo si cade nell’assurdo ed anche l’estetica precedente scompare.

    1.2 Della progressione macro-centrica artistica

    La storia dell’arte, così come ogni altra espressione autenticamente umana, ha seguito un percorso egocentrico, per approdare ad un’eccentricità inautentica, nel senso che l’eccentricità raggiunta è solo apparente in quanto spesso non inglobante l’etica che risulta sempre fondamentale, in quanto fondamento, per ogni espressione che vada verso l’eccentricità. A tale mancanza in molti casi si aggiunge l’assenza di un’origine eccentrica dell’opera ed un apporto sempre presente dell’egocentrismo dell’autore.

    Sin dai primi graffiti l’uomo ha dipinto o meglio disegnato ciò che i suoi occhi vedevano e che la sua mente giudicava degna di essere ricordata, in sintesi ciò che riteneva bello. In tal senso la storia dell’arte non ha fatto grandi passi in avanti, pur tra molteplici espressioni, ma la tensione verso un approdo eccentrico è costante.

    Per comprendere lo sviluppo della storia dell’arte bisognerebbe spiegare lo sviluppo della matematica e di altre scienze, riflessione che sarà oggetto di paragrafi successivi, per ora è sufficiente ricordare come anche la storia dell’arte non abbia potuto sottrarsi alla scoperta delle leggi fisiche che regolano la vita del nostro pianeta ed a quella di altre leggi parenti di scienze come la chimica e la matematica. Tale spinta verso l’universale è ancora viva, anzi è soprattutto nel secolo appena concluso che tale spinta è stata costante e veloce.

    Da Giotto in poi, cioè da sette secoli ad oggi, l’arte si è cibata di tutte le scoperte scientifiche fatte, ma è rimasta ancora egocentrica, in quanto l’espressione manierista dell’artista è tuttora irrinunciabile. In termini hegeliani di autocoscienza ciò è positivo, in quanto vi è una presenza costante di qualcosa di paradossale, ma come spiegherò nei paragrafi successivi, tale paradosso non è autenticamente eccentrico. L’autoritratto che ogni artista compie nelle sue opere non a caso raggiunge le stime più alte in chi non nasconde tali tratti e non è un caso in tal senso se le opere di Van Gogh siano all’apice di tali stime e se tale autore abbia dipinto molti autoritratti. In tal senso non sorprende nemmeno l’incomprensione incontrata nei contemporanei da Vincent, infatti, la vetta di paradosso toccata, purtroppo non autenticamente eccentrica, è e rimane incomprensibile ai più.

    L’arte comunque ha espresso l’autentica eccentricità e ciò è quanto cercherò di argomentare nella seconda parte di questo lavoro, per ora mi interessa evidenziare il punto di approdo e la costante artistica umana, costante d’egocentricità, ma con una chiara tensione e ricerca eccentrica.

    1.3 Della progressione macro-centrica musicale

    La progressione musicale riguardo alla ricerca eccentrica ha seguito un percorso analogo a quello artistico, ma con alcune differenze di tempi, non solo musicali e con un punto di arrivo, che identifico in Schoemberg, assai diverso.

    La musica esiste da sempre in natura e non a caso sono nati i poemi sinfonici, ossia delle musiche composte dall’uomo che imitano eventi naturali quali lo scorrere d’un fiume, i suoni di un bosco od il fragore musicale di un temporale.

    La storia che prendo brevemente in analisi parte però da Guido d’Arezzo, un uomo (non a caso di Chiesa) che inventò il rigo musicale così come lo conosciamo oggi[2]. Dopo di lui la musica ha fatto passi in avanti sostanziali grazie ad autori come Pierluigi da Palestrina che ha portato la polifonia a livelli eccelsi. Successivamente altri uomini come Bach hanno espresso nelle loro opere il passaggio dalla modalità alla tonalità, per poi giungere gradualmente ad una musica più strumentale e sinfonica grazie a compositori come Haydn, Mozart e Beethoven. Non scendo nei particolari riguardo a tali giganti della musica, non solo perché ci vorrebbero interi libri, ma anche perché non è lo scopo di questo breve paragrafo.

    Chi ha cercato l’opera totale è stato infine Wagner, il quale è riuscito in un’impresa poi imitata in parte da altri, è riuscito cioè a scrivere un’opera sia nei testi musicali che letterari[3]; senza contare che riuscì a far costruire un teatro apposito per eseguire le sue opere a Beyreuth.

    I nomi citati sinora servono ad evidenziare la progressione verso la totalità egocentrica musicale, non a caso Wagner compose in proprio l’integrità della sua opera più importante. Però l’approdo definitivo egocentrico e totale inerente la musica lo ha portato Schoemberg attraverso la dodecafonia. È tale uomo, non a caso ebreo, che ha avuto l’intuizione filosofica finale nella musica, intuizione che ha portato a compimento l’egocentricità musicale e che in tal senso ha reso possibile l’inizio della musica eccentrica, inizio che però non vedo con chiarezza negli autori posteriori a lui[4].

    Chiudo solamente con la speranza di poter scrivere alcune righe sulla musica eccentrica anche perché proprio la musica è l’arte più adatta a rappresentare l’eccentricità, in quanto comprende al suo interno anche il silenzio.

    1.4 Della progressione micro-centrica artistica

    Un esempio chiaro di artisti che mostrano una progressione egocentrica fino al limite è rappresentato da Van Gogh e da Rotko. Il primo, già oggetto di una riflessione autenticamente hegeliana di autoritratti, ha mostrato un’evoluzione, inerente il colore, esemplare. Tale evoluzione è ben visibile nel museo che raccoglie alcune delle più significative opere di tale artista non a caso al limite della follia; il museo in questione si trova ad Amsterdam e porta proprio il nome di Vincent.

    Il primo quadro che si incontra in tale esposizione s’intitola I mangiatori di patate, un quadro di un’epoca di poveri, povertà espressa dai colori di terra illuminati però da una luce quasi divina, quasi a preannunciare quale sarà l’evoluzione artistica di Vincent, un uomo che voleva servire il Maestro. Senza soffermarsi sulla descrizione di ogni quadro è sufficiente sottolineare come il colore prenda gradualmente il sopravvento sulle terre scure, così come la gioia sulla tristezza iniziale. Il quadro emblematico in tal senso è La risurrezione di Lazzaro, quadro che però non si trova nel museo in questione. Il punto limite però è raggiunto dal cielo di stelle che circonda la chiesa di Auvers sur Oise, chiesa che vidi di sera e che Vincent ha trasfigurato in una visione parente stretta del quadro di risurrezione di cui ho scritto qualche riga fa. Ad Auvers Vincent si alzava ogni giorno all’alba per non perdere neanche un istante di luce, il che può essere variamente interpretato, ciò che è sicuro è che la luce, cioè la vita ha invaso Vincent in tale ultimo periodo della sua storia.

    Oltre al quadro di chiesa ed al volo di corvi su un campo di grano, a completare in maniera inversa l’esperienza di Vincent è un altro artista, Marc Rotko. Di tale artista, moto da alcuni decenni non a caso in maniera suicida, ho visto un’esposizione antologica a Parigi, al museo d’arte moderna. Così, come per Vincent, il colore mi ha mostrato la vita dell’autore, una vita che al contrario di Vincent è andata verso un egocentrismo sempre più serrato fino ad implodere. Mentre per il pittore di Arles il colore si è imposto gradualmente, per l’autore americano di origine ucraina il colore è scomparso per lasciare posto al nero ed al grigio.

    Nella storia dell’arte molti autori si sono distinti per l’impatto egocentrico che hanno lasciato, ma credo che i due artisti citati meglio di altri abbiano esemplificato con le loro opere e con la loro vita quanto sia possibile raggiungere attraverso il colore, cioè la vita e la morte.

    1.5 Della progressione micro-centrica musicale

    Per parlare del limite egocentrico e del limite paradossale raggiunto nella musica scelgo l’uomo che più d’altri ha mostrato una continua progressione dall’egocentricità ai bordi del paradosso. Tale l’uomo, che amo definire l’uomo della musica, è Ludwig Van Beethoven.

    Per poter analizzare il percorso di Ludwig sono necessari due approfondimenti, l’uno riguardante la sua vita e l’altro riguardante le sue opere. Per argomentare riguardo alla vita di Ludwig sono sufficienti i suoi diari, diari in cui appare tutta la sua fede nella natura, nella musica, nell’amore ed in maestri come Socrate e Gesù Cristo. In tal senso riporto qui un articolo inedito che scrissi qualche tempo fa, articolo atto a descrivere l’etica-estetica ai bordi del paradosso di Beethoven. Le righe che seguono saranno numerose rispetto ai paragrafi precedenti e susseguenti, ma la musica è l’arte suprema e ritengo che sia importante dedicare un’analisi un po’ più approfondita a chi ha cercato il paradosso tramite tale arte.

    1.5.1 Dell’uomo della musica

    Queste pagine provengono in qualche modo dal mio piccolo contributo ad una riflessione estetica legata alla rivelazione ed alla bellezza biblica, riflessione contenuta nella tesi di laurea che mentre scrivo queste righe è sotto esame per un’eventuale pubblicazione[5]. Esse vogliono dare un’indicazione concreta di come si possa incontrare e andare verso la concretezza di un regno dei cieli nel mondo storico in cui ogni uomo vive ovvero come si possa andare verso l’eccentricità.

    Per argomentare riguardo alla bellezza relazionata ai sensi sarebbe sufficiente parlare del mondo naturale esistente e della relazione dei sensi umani col pianeta in cui viviamo. Penso però che tale mondo, che dai testi biblici emerge come creazione di Dio, non veda l’espressione massima di bellezza dell’uomo.

    Lo scopo della mia tesi era stato identificato fin dall’inizio con la volontà di analizzare il rapporto dei sensi dell’uomo con Dio ed in tal senso credo che la mia tesi una risposta l’abbia data; credo però che all’uomo resti una possibilità ulteriore di bellezza, possibilità analoga a quella di Dio creatore.

    Dio crea dal nulla l’universo ed in tal senso è inavvicinabile dall’uomo, però quest’ultimo grazie all’espressione artistica può creare "ex-nihilo", anche se tale creazione comincia ed usufruisce dell’imitazione di ciò che lo circonda, siano essi suoni o colori. Nell’arte comunque l’uomo apporta qualcosa di originale, dunque di genesiaco, che si può per analogia definire come creazione ex-nihilo. Tali creazioni, siano esse i soli di Van Gogh e la bellezza maestosa delle cime nevose o la nostalgia delle Veneri del Botticelli, sono parte del regno di Dio e vi entreranno definitivamente trovando la loro serena pienezza quando la sete dei mondi sarà saziata[6].

    Tenendo conto di quanto analizzato nelle Scritture nel lavoro compiuto ho cercato un artista ed un’opera d’arte che possa incarnare quanto espresso nelle pagine bibliche. Vista l’impossibilità di argomentare in queste poche pagine in maniera soddisfacente riguardo ad un esempio artistico per ogni senso umano, non esiste, infatti, un’arte che si relazioni a tutti e cinque i sensi dell’uomo in maniera paritaria, ho scelto di parlare di un artista inerente la musica; quest’ultima, infatti, tra le arti merita una collocazione speciale in quanto riprodurrebbe la volontà stessa[7].

    Nella storia della musica si incontrano geni e virtuosi strumentali, tra essi ho scelto un compositore, perché la composizione è ciò che più si avvicina alla creazione (com-ponendo si mettono insieme elementi già esistenti, ma apportando qualcosa di originale) ed inoltre l’opera composta resta anche per i posteri. L’autore che ho scelto, per motivi inerenti la sua opera e la sua vita che poi illustrerò, è L.V. Beethoven.

    Credo sia importante anticipare come non sia mia intenzione voler dimostrare la confessionalità cristiana-cattolica o meno di Beethoven, anche se la conclusione di alcune lettere mostra un suo legame con la figura di Cristo; ciò invece che vorrei rendere evidente e visibile è la bellezza relazionata all’estetica che emerge dalla vita e dall’opera di tale autore. A proposito della sua cristianità sarebbe facile per me appellarmi al suo battesimo cattolico oppure cercare di definirlo quantomeno un cristiano anonimo o un uditore della parola così come viene descritto chi come lui rende dei benefici all’umanità ed è filosofo aperto all’ascolto della verità divina[8]. Non voglio però inoltrarmi in una discussione in cui d’altra parte bisogna stare attenti a tale omologazione, infatti, tale cristiano rischia di diventare un ateo anonimo e di ridurre il cristianesimo ad una verità umana[9].

    Il mio scopo dunque non è quello di catalogare temporalmente o escatologicamente la fede di Beethoven, anche se nella nona sinfonia vi è una chiaro telos apocalittico[10] chiaramente avvicinabile per analogia, ma non solo, al telos evidenziato nel libro dell’Apocalisse da me brevemente analizzato. Ribadisco che quanto mi propongo è una breve analisi di quanto vi sia nell’uomo e nella sua opera di paragonabile all’etica, alla bellezza ed all’estetica del paradosso di Cristo e del regno da lui annunciato.

    Non è un caso che nella nona sinfonia morte e risurrezione siano trattate insieme e non separatamente come nella visione romantica,[11] dunque in tal senso Beethoven approda ad una visione che incarna il Kerygma cristiano in cui la risurrezione vince la morte e che nella nona sinfonia è rappresentata musicalmente dalla vittoria della tonalità in re maggiore rispetto a quella in re minore[12]. Le coincidenze o meno, tra tale artista e quanto evidenziato nei cinque capitoli del mio lavoro, che emergeranno non saranno un’apologia o una polemica a favore o contro opinioni diverse, ma vogliono solamente evidenziare quanto personalmente ho scoperto a proposito di L.V. Beethoven e delle sue opere in relazione alla bellezza biblica.

    1.5.2 L.V. Beethoven ed il suo compimento artistico

    Nella storia dell’arte e della musica (quest’ultima distinta perché come già detto coincidente con la stessa volontà) vi sono stati e vi sono autori che hanno prodotto opere con una forte valenza etica oltreché estetica, ma pochi possono dire di aver toccato il paradosso artistico in cui un uomo che vive per la propria arte possa dirsi compiuto.

    In quanto per me arte suprema e superiore a tutte le altre ho creduto utile cercare chi fosse riuscito a compiersi nella musica, incarnando quel paradosso estetico inaugurato da Cristo che solo sulla croce ha potuto dire Tutto è compiuto. Per tale motivo le opere o l’opera che mostra il compimento dell’artista dovrebbe essere l’ultima composta dallo stesso autore ed in relazione alle Scritture dovrebbe incarnare in qualche modo l’esperienza di Cristo che è anche l’esperienza di Dio.

    Mozart è sicuramente un uomo che aveva un particolare rapporto con Dio come scrisse K.Barth. Nelle sue opere è sicuramente presente la bellezza di Cristo, è dunque condivisibile la seguente affermazione secondo cui nella Messa e nel Requiem di Mozart, si ascolta la voce del Cristo, e l’elevazione raggiunge il valore liturgico della sua presenza[13]. Non solo, ma si può affermare come la teologia della musica di Mozart sia parente stretta della teologia Giovannea, proprio per il percorso rivelativo discendente, diretto e senza faticose salite.

    Scelgo però di parlare di Beethoven proprio per il suo percorso compositivo e vitale che risulta più vicino ad una rivelazione progressiva come quella del regno dei cieli nei vangeli sinottici. Inoltre, in relazione a quanto affermato sul compimento artistico, si può notare come l’ultima opera di Mozart Il Requiem dimostri come tale compimento sia stato solo intravisto ma non realizzato dal celebre Amadeus (sebbene proprio il suo nome non sia altro che la traduzione del suo nome originale greco, cioè Teofilo che significa appunta colui che ama Dio). Posto che tale opera sia stata incompiuta dallo stesso Mozart, per poi essere terminata da Franz Xaver Sussmayr 25 anni più tardi, mi pare conseguente poter affermare, per quanto detto finora, come tale fatto mostri l’incompiutezza dello stesso Mozart. Per ciò che riguarda invece Beethoven le sue due ultime opere, la Missa Solemnis e la Nona Sinfonia, mostrano il compimento biblico artistico che ho cercato e che mi ha fatto optare per tale artista.

    Beethoven pensando alla sua malattia ed alla sua morte scrive il 6 ottobre 1802 ai suoi fratelli[14]: "O voi uomini che mi reputate o definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire così. Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e sono stato sempre disposto a compiere azioni generose....sono stato presto obbligato ad appartarmi. Come potevo, ahimé, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima, un grado di tale perfezione quale pochi nella mia professione sicuramente posseggono, o hanno mai posseduto....Ma quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e ancora io nulla udivo. Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte quelle opere

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