Il piccolo Lord
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About this ebook
Frances Hodgson Burnett
Frances Hodgson Burnett (1849–1924) was an English-American author and playwright. She is best known for her incredibly popular novels for children, including Little Lord Fauntleroy, A Little Princess, and The Secret Garden.
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Book preview
Il piccolo Lord - Frances Hodgson Burnett
Il piccolo Lord
Frances Hodgson Burnett
In copertina: Luigi Troubetzkoy, ritratto di bambino, 1875-76, Milano, Collezione Privata
© 2015 REA Edizioni
Via S. Agostino 15
67100 L’Aquila
www.reamultimedia.it
redazione@reamultimedia.it
www.facebook.com/reamultimedia
a cura di Antonella Finucci
Questo e-book è un’edizione rivista, rielaborata e corretta, basata su una traduzione del 1952 reperita tramite il Servizio Bibliotecario Nazionale. La casa editrice rimane comunque a disposizione di chiunque avesse a vantare ragioni in proposito.
Indice
IL PICCOLO LORD FAUNTLEROY
SORPRESE
GLI AMICI DI CÉDRIC
GIOCHI
GLI ADDII DI CÉDRIC
II. FAZZOLETTO ROSSO
IN ALTO MARE
IN INGHILTERRA
IL CASTELLO DEL CONTE DI DORINCOURT
IL VECCHIO E IL BIMBO
I DONI DEL NONNO
LA MAMMA ASPETTA
ALLA MESSA
CÉDRIC CAVALLERIZZO
PASSEGGIATE
UNA LETTERA VARCA L’OCEANO
LA CORTE DEL CONTE
LA SORELLA DEL CONTE DI DORINCOURT
UNA SERATA DI GALA
NOTIZIE IMPREVISTE
NOSTALGIE DEL SIGNOR HOBBS E DI DICK
IL SIGNOR HOBBS PERDE LA BUSSOLA
DICK SCOPRE LA CONGIURA
NUVOLE SUL CASTELLO DI DORINCOURT
DUE VISITE DEL CONTE
IL SOLE RITORNA
CUORI IN FESTA
IL COMPLEANNO DEL PICCOLO LORD
IL PICCOLO LORD FAUNTLEROY
Cédric, all’inizio della nostra storia, aveva sette anni, ed era un amore di bimbo: roseo, biondo e ricciuto. Era nato a New York, ma suo padre, il capitano Errol, era d’origine inglese. Quando il Capitano morì il bimbo aveva appena quattro anni e di lui ricordava solo che era alto, forte, biondo e bello; che aveva lunghi baffi e occhi azzurri dallo sguardo dolcissimo, e che spesso gli faceva fare il giro della stanza a cavalluccio sulle spalle.
Durante la malattia del capitano, Cédric era stato allontanato da casa e al suo ritorno tutto era finito... il papà non c’era più e la mamma, ch’era pure stata malata e che ricominciava appena ad alzarsi, era seduta sulla poltrona, pallida, dimagrita, senza le sue allegre fossette nelle guance e tutta vestita di nero.
— Diletta — disse il bimbo, chiamandola con lo stesso tenero nome con cui la chiamava il padre.
— Diletta mia, come sta il papà?
La mamma non rispose, ma i suoi bellissimi occhi color della viola si riempirono di lacrime; il bimbo allora le balzò sulle ginocchia e, viso contro viso, ripeté la domanda :
— Sta bene il papà?
— Sì, sta bene ora, sta tanto bene... ma se n’è andato per sempre! Ci ha lasciati soli e noi non lo vedremo più — rispose la povera donna, soffocata dai singhiozzi, stringendo disperatamente al cuore la sua creatura.
Il piccino non fece altre domande e non chiese il perché di quelle lacrime, ma si dette ad accarezzare e baciare la madre con più tenerezza che mai. Aveva capito... il suo caro papà, grande e bello, forte e buono, era morto! Veramente che cosa significasse esser morto non lo comprendeva bene, ma capiva che il papà non sarebbe tornato più e che questa era una gran disgrazia. Sentì, piccolo com’era, che toccava a lui consolare la povera mamma, e si ripropose di essere sempre buono, di volerle sempre tanto bene e di non farle mai più domande indiscrete. La guardò a lungo: era pallida, sciupata, eppure ancora tanto bella, col viso dolce incorniciato dai capelli biondi e con la corporatura esile e slanciata; i suoi occhi viola erano ancora gonfi di lacrime e continuò ad accarezzarla e baciarla.
Il capitano Errol aveva sposata quella donna contro la volontà del padre, il nobile e ricco conte di Dorincourt. L’aristocratico gentiluomo, collerico, austero, egoista ed autoritario, aveva altri due figli, maggiori del capitano. Secondo la legge inglese, il titolo e l’eredità sarebbero spettati al maggiore; in caso di morte del primo l’erede sarebbe stato il secondo, e così via. Per il capitano non c’era nessuna probabilità di ereditare: egli sarebbe stato quasi povero rispetto ai fratelli.
Ma la natura era stata prodiga di doni per l’ultimogenito del conte, mentre s’era mostrata avara e quasi matrigna con gli altri due.
Come si è già detto, Errol era alto, biondo e bello, aveva occhi azzurri espressivi e dolci e l’aspetto attraente. Nel gesto signorile, nell’inflessione della voce, nella parola e in ogni suo moto s’indovinava la nobiltà dei sentimenti e la generosità del cuore. Ed era anche intelligente. I fratelli in-vece sembrava facessero a gara per aumentare le deficienze naturali: negligenti negli studi, sgarbati, egoisti, non pensavano che a scialacquare. Il primogenito poi, l’erede, era un vero inetto di cui il conte padre arrossiva, e quando faceva il paragone fra lui e il capitano si diceva che solo quest’ultimo
avrebbe portato con onore il suo nome. Queste riflessioni però lo irritavano oltremodo, tanto che, in un accesso di collera aveva fatto partire Errol per l’America. Ma dopo sei mesi la nostalgia di quel suo figliuolo buono e bello gli attanagliò tanto il cuore, tanto che gli scrisse richiamandolo in Inghilterra. Nello stesso tempo il capitano aveva scritto al conte annunziandogli il fidanzamento con l’orfanella che poi aveva fatto sua. Le lettere s’incrociarono e alla notizia così imprevista, così inattesa, il conte andò su tutte le furie; rispose subito al figlio dicendogli che non voleva più saperne di lui e che gli proibiva di scrivere anche ai fratelli.
Il capitano ne fu addoloratissimo; amava la patria, il castello e suo padre, ma per nessuna ragione avrebbe abbandonato la sua Diletta che, sola al mondo, aveva fiducia nel suo amore.
Si erano conosciuti per caso: la giovinetta era damigella di compagnia d’una vecchia signora ricchissima che la trattava molto male. Un giorno s’erano incontrati per le scale; piangeva, la povera figliuola, per un rimprovero immeritato, e il giovane ne ebbe compassione. Cercò di consolarla, si videro spesso, e la compassione si tramutò in un sentimento più profondo e vivo, tanto che Errol se ne innamorò.
Il diniego del conte, la sua collera, lo addolorarono senza dubbio: conosceva il padre, lo sapeva autoritario, orgoglioso e inflessibile, sapeva che mai avrebbe ottenuto il suo consenso e che doveva lavorare per vivere. Ma non mutò pensiero; cercò un impiego a New York, lo trovò senza troppa fatica, e andò ad abitare con la sua dolce compagna in una graziosa casetta.
Lì era nato il loro bimbo, atteso con tanto amore. Cresceva a vista d’occhio, forte, sano e allegro : aveva la robustezza e l’audacia del padre e della madre i capelli biondi e ricciuti, i grandi
occhi viola e la grazia pensosa. Vispo e sorridente, ricambiava la tenerezza di cui era circondato con altrettanta tenerezza, e quando cominciò ad uscire con la bambinaia in carrozzella, non c’era nessuno che, incontrandolo, non si fermasse ad accarezzarlo.
Tutti l’amavano; perfino il droghiere che aveva bottega sull’angolo della strada, l’essere più scontroso e intrattabile di questo mondo, era felice quando poteva accarezzare quel bimbetto roseo e biondo. Fra il papà e la mamma, cortesi per principio e per educazione, Cédric cresceva come un fiore. Non aveva mai sentita una parola sgarbata, e non supponeva che ne esistessero, né avrebbe saputo essere scortese con nessuno. Non aveva mai visto un gesto che non fosse affettuoso in quella sua casetta dove regnava sovrano l’amore.
Quando Cédric capì che il suo papà affettuoso e caro non sarebbe più tornato, si propose di consolare ad ogni costo la mamma e faceva di tutto per riuscire nel suo intento. Le stava sempre vicino, non la lasciava sola nemmeno un momento, giocava ai suoi piedi, le leggeva il giornalino dei piccoli, l’accompagnava a passeggio e quando riusciva a farla sorridere si sentiva il cuore colmo di gioia.
— Mary — disse un giorno la signora Errol alla vecchia domestica, che le era rimasta fedele dopo la sua disgrazia — Mary, io credo che, nonostante sia così piccino, questo bimbetto capisca il mio dolore e faccia di tutto per consolarmi e rallegrarmi.
— E come non ridere — diceva poi Mary parlando con gli amici — come non ridere quando con un faccino serio, come fosse un giudice, s’imbarca in quei suoi discorsi tanto buffi? La sera dell’elezione del presidente, per esempio, mi è entrato in cucina tutto preoccupato e mi ha detto, con la più grande serietà di questo mondo, — Mary, io mi sono interessato molto a queste elezioni, io sono repubblicano, anche Diletta mia è repubblicana, e voi Mary?
— Signorino mio — rispondo io — me ne dispiace tanto tanto per voi, ma io sono democratica. — Come ci restò male! Mi guardò a lungo, poi disse: «Oh! Mary,