Assassino made in Italy
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Book preview
Assassino made in Italy - Anthony Black
v'appartiene.
I
Fuori il mondo stava morendo.
Io non vedevo altro che desolazione, silenzio e buio oltre i finestrini di quella vecchia fiat.
La pioggia stava diventando neve, e a poco a poco le folate di vento si erano fatte sempre più violente e fredde.
La natura non fa alcuna differenza, punisce tutti perchè giusta, giusta e perfetta.
Me ne stavo li seduto in macchina ormai da un paio d’ore, all’angolo di una via che affacciava sul vecchio palazzo del comune. Oltre il marciapiede c’èra una piccola libreria con l’insegna chiusa per ferie
ormai da un paio di giorni. Non ne capivo bene il motivo, era quasi natale e avrebbe dovuto essere aperta. Il genere umano non finirà mai di stupire se stesso.
C’èra poi una sudicia lavanderia a gettoni, era inquietante la sua piccola stanza mal illuminata da una luce giallastra, vuota, con le lavatrici ferme e le sedie di plastica blu sporche e vuote. Non c’èra altro, solo la strada bagnata ed enormi palazzi popolari.
Sospirai, accesi l’ennesima sigaretta e alzai un po’ il volume della radio. C’èra una speaker che adoravo, adoravo la sua voce, e da come parlava dava tutta l’impressione di essere terribilmente bella. Ogni volta che l’ascoltavo me la immaginavo sempre nello stesso modo, capelli castano scuro, occhi sottili e furbi.
Sbuffai via il fumo e tornai a fissare dall’altra parte della via. La persona che stava aspettando non era ancora arrivata.
Maledetto…
Mormorai, e quando guardai l’ora m’accorsi che erano ormai le dieci di sera.
La speaker, Chiara, continuava a parlare. Mi stava distraendo dai miei impegni.
Spensi la radio allora, avevo bisogno di pensare ed escogitare un altro piano. Tolsi dalla tasca interna del trench il bigliettino che avevo. Lo spiegai e lessi velocemente.
<
Sospirai, presi la sigaretta tra le mani e bruciai il foglio con la punta infiammata. Poco prima che il fuoco mi toccasse le dita lo lasciai cadere fuori dal finestrino. L’acqua si sarebbe portata via tutto quanto.
Sbuffai ancora, stavo cercando di prendere tempo nella speranza che il mio obbiettivo arrivasse, rendendomi le cose molto più semplici.
Perché la morte è quanto di più semplice ci sia, bisogna solo lasciar scorrere le cose in maniera naturale, per l’appunto. Senza mai forzare.
Guardai di nuovo l’orologio.
Mi convinsi dopo un quarto d’ora che non sarebbe arrivato per un po’, e constatai ancora una volta che i miei informatori erano poco affidabili. Come sempre.
Non pensavo fosse un lavoro facile, semplicemente avevo poco tempo e mi ero fidato.
Passò ancora un minuto, poi presi i guanti dal cruscotto. Mi guardai allo specchietto.
Era assurdo, avevo appena trent’anni ma ne dimostravo almeno dieci di più. Un assassino riesce a guardarsi allo specchietto tutte le volte che vuole. Ma le persone tendono a sentirsi più sicure se il male ha dei difetti, se credono che il male puro non esista e che tutti, senza alcun eccezione, siamo marchiati dalle debolezze.
Una vittima spera sempre che il suo carnefice possa redimersi, e che possa provare l’umana illusione della compassione.
<
Accesi il quadro, chiusi il finestrino e poi scesi.
La pioggia era fatta di piccoli coltelli. Scontata e tagliante, e terribilmente fredda. Mi guardai intorno e notai il silenzio, il riflesso dei lampioni sulle pozzanghere dell’asfalto divelto. Un gatto nero che frugava in un sacchetto accanto al bidone dell’immondizia. Ma c’èra silenzio, nonostante l’enorme confusione dell’universo.
Alzai il colletto del trench, mi infilai i guanti di pelle e sfiorai il fianco. Sentì il manico della beretta e mi incamminai.
Le auto parcheggiate lungo la via erano li ferme come me da quando ero arrivato. Per quanto ne sapevo molti degli abitanti di quei palazzi lavoravano quasi tutti nella