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Ottobre: Unione Sovietica: storia di un paese e della sua Rivoluzione
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Ottobre: Unione Sovietica: storia di un paese e della sua Rivoluzione

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Correva l'anno 1917 e il calendario giuliano segnava la data del 24 ottobre. Quella notte il Comitato rivoluzionario di Pietrogrado entra in azione e, in rapida successione, occupa tutte le tipografie, per impadronirsi, nei giorni seguenti, delle poste, del telegrafo, delle stazioni ferroviarie, delle banche e dei principali ministeri, arrivando, il 26 ottobre, ad assaltare il Palazzo d'inverno, sbaragliando gli ultimi fuochi di resistenza tenuti in vita dai controrivoluzionari. Lo stesso giorno, a Mosca, un'incontenibile insurrezione popolare arriverà a stringere d'assedio e quindi a impossessarsi del Cremlino e, a macchia di leopardo, tutto il territorio russo si unirà alla rivolta che segnerà il trionfo del Soviet dei commissari del popolo presieduto da Lenin, vale a dire il primo governo rivoluzionario dell'Unione Sovietica. Viktor Buganov, partendo dalle radici del malessere sociale russo, ripercorre le tappe di un evento capace di segnare per sempre la storia del XX secolo: primo tentativo - riuscito - di dare concretezza alle teorie di Marx ed Engels, dimostrando come il tanto sospirato "assalto al cielo" fosse non soltanto possibile ma addirittura necessario.
LanguageItaliano
Release dateApr 13, 2014
ISBN9788867180455
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    Ottobre - Viktor Ivanovic Buganov

    Rivoluzione

    Inizio del movimento rivoluzionario

    e fine della servitù della gleba

    Il XVII secolo è entrato nella storia della Russia non soltanto al clamore delle vittorie militari e al bagliore degli incendi delle sommosse popolari. Nelle viscere della società russa si erano andate accumulando forze tendenti a rivoltarsi contro l’ordine costituito. fu proprio verso la metà del secolo che il movimento di liberazione russo fece i suoi primi passi. Sebbene già nel secolo precedente fossero balenate all’orizzonte politico russo alcune correnti di opposizione, tuttavia soltanto nella seconda metà del XVIII secolo per la prima volta, forse, l’opinione pubblica si dichiara a piena voce. Con Radiščev la Russia ebbe il suo primo nobile rivoluzionario, precursore e ispiratore dei decabristi. Inizia allora nella nazione un processo di formazione di un’intelligencija democratica, precorritrice di un’altra generazione di russi rivoluzionari raznocincy¹, pronta a dischiudere le ali verso la metà del XIX secolo.

    Il 1812

    Il secolo XIX, secondo le parole dello scrittore decabrista Aleksandr Bestužev², sorse per la Russia «non come una rosea aurora, ma con il bagliore degli incendi della guerra». Il paese aveva subito un’altra invasione straniera e stavolta da parte delle armate napoleoniche.

    Le cause delle guerre russo-francesi si riallacciano al tempo in cui Caterina II, ormai sulla via del tramonto, apprendendo con orrore le notizie sulla rivoluzione in francia, pose subito la Russia a fianco delle potenze europee intervenute contro gli odiati giacobini (Prussia, Austria, Svezia, Inghilterra).

    Paolo I (1796-1801), suo figlio e successore, che odiava profondamente sua madre, una volta salito al trono si affrettò, fin dai primi giorni di regno, a mutare indirizzo alla politica russa. In particolare fece liberare dal carcere e ritornare dall’esilio Novikov e Radiščev. Tuttavia la battaglia contro la negativa influenza della rivoluzione francese rimase sempre l’obiettivo principale della politica estera del suo governo. fu vietata l’importazione di libri stranieri «e così anche della musica»: l’imperatore e i possidenti russi avevano paura dei libri dei filosofi francesi e della Marsigliese. fu anche vietato l’uso delle parole cittadino e patria.

    Durante dieci anni, dall’inizio della rivoluzione francese fino al famoso passaggio delle Alpi di Suvorov nell’anno 1799, continuò la guerra della Russia contro la francia, a fianco dell’Austria, dell’Inghilterra e della Turchia. Importanti vittorie furono ottenute dai marinai russi al comando dell’ammiraglio Ušakov e dai soldati del feldmaresciallo Suvorov. I primi assalirono i bastioni dell’isola di Corfù, da cui scacciarono i francesi, liberando così l’Arcipelago ionico, dove nasce la «Repubblica delle sette isole». Nell’estate del 1799 occupano Napoli ed entrano poi a Roma con l’esercito napoletano. Suvorov, dal canto suo, sconfigge i migliori generali napoleonici sull’Adda, a Novi e sulla Trebbia, scacciando i francesi dall’Italia settentrionale. Si era in attesa di iniziare la marcia su Parigi quando inaspettatamente giunse l’ordine di Paolo di trasferire le truppe russe in Svizzera, e i soldati di Suvorov, a tappe forzate, attraverso il San Gottardo in condizioni di estrema difficoltà (il freddo dell’inverno, la fame, i percorsi di montagna, la feroce controffensiva francese) sconfissero il nemico sui passi e nelle gole alpine.

    Poco tempo dopo la conclusione della spedizione alpina la coalizione si disfece, Paolo concluse un’alleanza con Napoleone che lo portò ad accordarsi con i francesi per intervenire contro la Prussia, alleato di ieri. Per ordine di Paolo I nel gennaio del 1801 quaranta reggimenti di cosacchi del don furono mandati attraverso la steppa nevosa per marciare sull’India!

    La mancanza di criterio e le stravaganze dell’imperatore, che aveva improvvisamente rotto con l’Inghilterra, utile partner commerciale, fecero traboccare la pazienza dei più altolocati nobili russi. Sebbene egli soffocasse spietatamente le rivolte contadine, che durante il suo regno si erano estese su ben trenta governatorati, e malgrado le munifiche donazioni fatte ai nobili (in quattro anni aveva concesso loro 500.000 contadini di proprietà dello Stato, mentre Caterina II ne aveva distribuiti 850.000 in trentaquattro anni di regno), viene ordito un complotto contro di lui tra la nobiltà della capitale al quale partecipa anche l’ambasciatore inglese Whitworth. durante la notte del 12 marzo 1801 i congiurati penetrarono nel castello di Michajlovsk da poco costruito, e soffocarono il monarca. Il figlio ed erede al trono di Paolo, Alessandro, era a parte del complotto³, ma quando fu fatto scendere nel cortile del castello dove apprese la morte del padre restò inebetito: «C’est assez fair l’enfant! Allez regner!» furono le parole con cui il conte Pëtr von Pahlen, uno dei più attivi congiurati, governatore generale di Pietroburgo, rincuorò il nuovo imperatore, smarrito per la paura e in lacrime.

    Alessandro I (1801-1825), cresciuto in un’atmosfera di ostilità tra la nonna e il padre, fin dalla prima infanzia fu abituato alla furbizia e all’ipocrisia. dal padre aveva ereditato l’amore per le parate e per l’addestramento militare e dal suo istitutore, lo scrittore svizzero de La harpe, alcune idee, o per meglio dire alcune frasi, liberali. Intorno a lui si raccolse una piccola cerchia di amici, che venne chiamata da alcuni il comitato segreto, da altri più timorosi delle novità, la cricca giacobina⁴. Il comitato studiava piani di riforma, ma in un anno di lavoro giunse soltanto a creare dei ministeri in sostituzione dei vecchi collegi di Pietro.

    Altrettanto infruttuose furono altre sue iniziative. Un ordine dello zar vietava di pubblicare sui giornali avvisi di vendita di contadini senza terra, mentre con la terra veniva considerato normale e decente proporlo pubblicamente. Ma anche questi avvisi proibiti furono pubblicati sotto altre forme. L’ordine dell’anno 1803 «Sugli agricoltori liberi» consentiva ai possidenti di liberare i servi mediante riscatto; esso portò alla liberazione di soli 47.000 contadini.

    Nel 1810 fu istituito un Consiglio di Stato, ma le sue funzioni furono puramente consultive.

    Nel 1805 e negli anni 1806-1807 la Russia insieme con l’Austria mosse guerra alla francia, ma senza fortuna. Con la pace di Tilsit del 1807, la Russia aderì al blocco continentale⁵ contro l’Inghilterra, imposto da Napoleone. Il commercio e le finanze del paese subirono per questo gravi tracolli. Al confine occidentale della Russia sorse il ducato di Varsavia, piazza d’armi di Napoleone. Inebriato dal successo, Napoleone sta già pensando di sottomettere la Russia che considera alla stregua di uno stato vassallo. «Tra cinque anni sarò il padrone del mondo; resta solo la Russia, ma io la schiaccerò» proclamava nel 1811.

    Nella notte del 12⁶ giugno 1812 l’armata di Napoleone forte di quasi mezzo milione di uomini attraversò il Neman e penetrò nel territorio russo. oltre ai francesi, nella Grande Armée, erano rappresentati quasi tutti i popoli dell’Europa occidentale conquistata. I soldati di Napoleone erano molto ben armati ed equipaggiati, avevano alle spalle un passato di vittorie ed erano guidati da un condottiero che adoravano e che s’era guadagnata fama di invincibilità.

    «Non passerà un mese e saremo a Mosca» ripeteva Napoleone che sognava di sconfiggere rapidamente l’esercito russo in alcune battaglie campali, di prendere Mosca e di concludere la guerra vittoriosamente con la capitolazione di Alessandro.

    Le forze russe che si opponevano a Napoleone erano di tre volte inferiori a quelle francesi e suddivise in tre armate: di Barclay de Tolly, di Bagration e di Čičagov, disposte lon tane una dall’altra. Al tentativo di Napoleone e dei suoi marescialli di imporre un combattimento generale, le truppe russe si ritirarono dai confini occidentali verso il cuore della Russia proteggendosi con combattimenti di retroguardia. La popolazione si ritirava nei boschi bruciando le izbe, disperdendo il bestiame. Gli effettivi di Napoleone diminuivano, cominciava a subire perdite in battaglia, le città occupate richiedevano presidi e consistenti reparti militari dovevano esser distaccati per requisire vettovaglie e foraggi. Le comunicazioni si facevano sempre più difficili.

    Come ebbe a dire Bagration⁷, «la guerra non è più una campagna qualsiasi è una guerra nazionale». Contro il ne mico si levò tutto il popolo russo.

    A Smolensk si riunirono le armate di Barclay e di Bagration. A occidente della città la divisione di Neverovskij, chiusa in una morsa mortale, sostenne l’assalto delle armate napoleoniche; i suoi soldati, secondo quanto disse uno dei francesi, «si batterono come leoni», gran parte perirono, ma riuscirono a trattenere il nemico il tempo sufficiente per dare alle truppe russe la possibilità di consolidare la loro posizione nella città. Sotto le antiche mura di Smolensk in fiamme si svolsero accaniti combattimenti e alcuni corpi russi coprirono la ritirata del grosso delle forze. Ma anche qui Napoleone non ottenne la sospirata battaglia risolutiva. L’eroismo e il coraggio dei soldati russi sembra che servisse a far tornare un barlume di ragione a Napoleone che offrì all’imperatore russo la pace. Non ebbe alcuna risposta.

    L’esercito russo si muoveva verso oriente. Nei pressi di Carevo zajmišče ricevette il suo nuovo comandante supremo. Barclay de Tolly fu sostituito dal feldmaresciallo Kutuzov, allievo del grande Suvorov che lo stimava molto, ingrigito nelle battaglie e le spedizioni militari. L’imperatore, che non lo amava e lo invidiava per il suo talento militare, consentì a malincuore alla nomina di Kutuzov, costrettovi dalle circostanze.

    Ma i soldati la pensavano diversamente e una ventata d’entusiasmo percorse gli accampamenti quando si apprese la notizia della sua nomina. «È arrivato Kutuzov per battere i francesi», fu il grido che echeggiò tra le truppe. Tutti si aspettavano un combattimento decisivo. Esso avvenne presso il villaggio di Borodino⁸ in una pianura a occidente di Možajsk. Napoleone aveva qui 135.000 soldati, Kutuzov 120.000 (comprese le truppe territoriali, a gran parte delle quali non erano stati distribuiti i fucili). Quando all’alba del 26 agosto 1812 il sole si levò dietro le postazioni russe, Napoleone indicandolo ai suoi soldati esclamò soddisfatto: «Ecco il sole di Austerlitz!». I primi aspri scontri si ebbero per il possesso della ridotta di Sevardino. Quindi le colonne francesi si riversarono l’una dietro l’altra sulle flèches⁹ di Bagration che proteggevano Semënovskoe e sulla batteria di Raevskij, disposta su un’altura al centro dello schieramento russo. Napoleone gettò su queste posizioni le sue forze migliori e le divisioni fresche dei marescialli Ney, Murat e davout, ma tutti gli attacchi si infransero contro la salda resistenza dei reggimenti russi che spesso passarono al contrattacco respingendo i francesi sulle posizioni di partenza.

    Alla fine le truppe di Napoleone riuscirono ad attestarsi su alcune posizioni dell’esercito di Kutuzov ma senza che fosse infranta la resistenza dello schieramento russo. I marescialli supplicarono l’imperatore di far intervenire nel combattimento anche la Guardia, ma Napoleone non seppe decidersi ad arrischiare le sue truppe migliori e fece ricondurre i soldati sulle posizioni di partenza¹⁰. Alla fine della giornata la sua armata aveva subito una perdita di 58.000 uomini contro i 45.000 dell’esercito di Kutuzov. Qualche anno dopo, a Sant’Elena Napoleone scrisse nelle sue memorie: «Di tutte le mie battaglie, la più terribile fu quella ch’io detti vicino a Mosca. I francesi si mostrarono degni di riportare la vittoria, ma i russi hanno meritato di non essere vinti».

    Il mattino seguente, l’esercito russo, che aveva conservato il grosso delle sue forze, si ritirò. Il 1° settembre al consiglio di guerra tenuto a fili, Kutuzov espose ai generali la sua decisione di abbandonare Mosca: «Con la perdita di Mosca la Russia può ancora essere salvata, ma con la perdita dell’esercito la Russia sarebbe perduta». Nella notte, come poi raccontò il suo aiutante, il vecchio feldmaresciallo pianse come un bambino.

    Austere file di soldati abbandonarono la città di Mosca, seguite da interminabili colonne di profughi, dai carri e dalle salmerie. Presto le prime avanguardie nemiche apparvero alla periferia della città. Sul monte Poklonnaja Napoleone, attorniato dai suoi marescialli in uniforme da parata, attese invano che una deputazione delle autorità moscovite venisse a consegnargli le chiavi della città. A Mosca fu accolto da un pugno di franchi tiratori annidati nel Cremlino. Ebbero inizio gli incendi, appiccati dagli stessi abitanti e dalla soldataglia che si era abbandonata al saccheggio.

    Napoleone comprese ben presto che con la presa di Mosca non solo non aveva vinto la guerra ma, in sostanza, era caduto in una trappola. Una popolazione ostile circondava i resti delle sue truppe. Cominciarono i primi freddi e le difficoltà di approvvigionamento (le campagne intorno a Mosca erano deserte), né si poteva facilmente sperare di ottenere alcunché dai pochi abitanti rimasti. L’esercito russo era sparito e nessuno ne conosceva la dislocazione.

    Kutuzov si era ritirato da Mosca, dapprima in direzione sudest verso Rjazan’, ma subito dopo, in tutta segretezza aveva compiuto un’ampia deviazione dirigendosi verso ovest andando a porre il campo presso il villaggio di Tacutin a sud-ovest di Mosca, proprio sul fianco delle armate napoleoniche. Con questa accorta manovra strategica il generale russo aveva precluso a Napoleone la possibilità di raggiungere le ricche province meridionali e le fabbriche d’armi di Tula. Intanto l’esercito russo si era giovato della tregua per ricostruire i suoi ranghi e prepararsi ai combattimenti futuri.

    Ebbe ampio sviluppo anche il movimento partigiano che attaccava i convogli delle vettovaglie e i reparti militari, bloccando la stessa Mosca, dove risiedeva l’affranto Napoleone che per tre volte, e sempre invano, era tornato a chiedere ai russi di concludere la pace. Iniziatore della guerra partigiana fu un tenente colonnello degli ussari, il poeta e patriota denis davydov¹¹.

    Ai primi d’ottobre, dopo un mese di permanenza nella città incendiata ma non conquistata, Napoleone, non avendo ottenuto né la pace, né il riconoscimento della sua effimera vittoria, abbandonò Mosca.

    L’imperatore francese contava di ritirarsi non già per la strada ormai distrutta di Smolensk, che lo aveva condotto nel cuore stesso della Russia, ma per quella più a sud, di Kaluga, che attraversava regioni ancora non toccate dalla guerra. Ma il cammino gli fu sbarrato dall’esercito russo. L’avanguardia napoleonica, comandata da Murat, fu dispersa da Kutuzov a Tarutin. Una battaglia ancora più accanita si svolse a Malojaroslavec, che passò per otto volte da una mano all’altra. Questi sanguinosi combattimenti mostrarono chiaramente a Napoleone che la strada per Kaluga gli era preclusa, per cui dovette rassegnarsi a ripiegare verso Smolensk.

    Il suo esercito era letteralmente tallonato da quello russo e assalito ai fianchi dalle bande partigiane. Kutuzov distruggeva il nemico, pezzo per pezzo; nei pressi di Vjaz’ma i cosacchi di Platov e la cavalleria di Miloradovič sgominarono completamente le forze di davout, vicino a Krasnoe, fu accerchiata e distrutta la divisione Ney. dopo altri combattimenti e scontri i resti di quell’armata, che solo qualche mese prima era stata definita «Grande», venivano distrutti e

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