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Seguirà buffet
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Seguirà buffet

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Romanzo incentrato sulle velleità artistiche di alcuni personaggi (una poetessa, uno scrittore, un pittore e un saldatore-scultore) che si lasciano coinvolgere nelle dinamiche dell’arte “con contributo dell’autore”.


QUESTO LIBRO

Ognuno di noi, nel corso dell’esistenza, si trova a doversi misurare con qualche genere di velleità artistica e spesso l’idea che si tratti appunto, soltanto, di una velleità (parola pericolosamente simile a vanità) può risultare inaccettabile.
Seguirà buffet racconta le storie di quattro personaggi: Angelo Capezzuto, dipendente comunale con l’hobby della pittura che s’imbatte in Guido Delli Colli, sedicente critico d’arte desideroso di promuoverlo sul proprio canale televisivo; Sara Gabrielli Pettinicchio, poetessa del basso lodigiano della quale si dice che non solo non abbia mai lavorato in vita sua, ma non abbia neppure preso in mano una scopa o un aspirapolvere; Ruggero Biancon, detto Roger “lo sciamano elettrico”, saldatore veneto al quale la trilogia cinematografica di Mad Max ha donato un’epifania scultorea e Andrea Amodio, calciatore e modello, che cerca nella scrittura una diversa profondità della vita, come testimoniato dal suo primo romanzo pubblicato dalla Sondrio Libri. Le vicende di questi personaggi confluiranno in un picaresco finale comune dai risvolti tragicomici: la prima edizione del premio Artista dell’anno.
Quelle di Seguirà buffet sono storie che riguardano ognuno di noi, nelle quali ciascuno potrà ritrovare una piccola parte di sé, perché insomma, diciamocelo, alla fine, tutto considerato, siamo o non siamo tutti un po’ artisti?


“Le recensioni incrociate, o mai negative, nell’ambiente dell’editoria partecipata erano una sorta di regola non scritta, e rispettata da tutti, frutto di una lunga consuetudine. Perché così come in un club di scambisti nessuno oserebbe lamentarsi dell’inadeguato livello estetico dei propri partner, nel mondo degli editori partecipati nessuno si sarebbe mai permesso di parlar male del libro di una casa editrice affine, col rischio di subire una reazione di pari intensità e innescare magari una spirale negativa che avrebbe portato a una inutile corsa al massacro. Attraverso il sistema delle recensioni mai negative, invece, si era instaurato un ciclo virtuoso in cui la sfida, dal piano delle critiche, si era trasferita in maniera proficua a quello delle lodi."
LanguageItaliano
PublisherAlberto Forni
Release dateJan 8, 2014
ISBN9788898285082
Seguirà buffet

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    Seguirà buffet - Alberto Forni

    QUESTO LIBRO

    Ognuno di noi, nel corso dell’esistenza, si trova a doversi misurare con qualche genere di velleità artistica – scrivere, dipingere, cantare, ballare, recitare – e spesso l’idea che si tratti appunto, soltanto, di una velleità (parola pericolosamente simile a vanità) può risultare inaccettabile.

    D’altra parte l’affermazione di se stessi in campo artistico passa necessariamente attraverso l’altrui riconoscimento, che è soggetto a numerosi fattori, dal gusto personale allo spirito dei tempi, al facile opportunismo, agli inevitabili criteri, spesso presunti, di commerciabilità.

    La verità è che nell’arte non esiste un metro di giudizio oggettivo, e per quanto la distinzione fra competenza e dilettantismo sia quasi sempre lampante, fra questi due estremi esistono numerose sfumature difficili da classificare, tanto che un artista incompreso potrà sempre appellarsi a mille spiegazioni e giustificazioni, più o meno valide, continuando ad affidarsi con autoindulgenza all’idea tardoromantica che dentro ognuno di noi alberghi un artista.

    Seguirà buffet racconta le storie di quattro personaggi animati da ingombranti velleità artistiche: Angelo Capezzuto, dipendente comunale con l’hobby della pittura che s’imbatte in Guido Delli Colli, sedicente critico d’arte desideroso di promuoverlo sul proprio canale televisivo; Sara Gabrielli Pettinicchio, poetessa del basso lodigiano della quale si dice che non solo non abbia mai lavorato in vita sua, ma non abbia neppure preso in mano una scopa o un aspirapolvere; Ruggero Biancon, detto Roger lo sciamano elettrico, saldatore veneto al quale la trilogia cinematografica di Mad Max ha donato un’epifania scultorea e Andrea Amodio, calciatore e modello, che cerca nella scrittura una diversa profondità della vita, come testimoniato dal suo primo romanzo Stelle Fiumanti pubblicato dalla Sondrio Libri. Le vicende di questi personaggi confluiranno in un picaresco finale comune dai risvolti tragicomici: la prima edizione del premio Artista dell’anno.

    Quelle di Seguirà buffet sono storie che riguardano ognuno di noi, nelle quali ciascuno potrà ritrovare una piccola parte di sé, perché insomma, diciamocelo, onestamente, alla fine, tutto considerato, a voler ben vedere, siamo o non siamo tutti un po’ artisti?

    ALBERTO FORNI

    SEGUIRÀ BUFFET

    Seguirà buffet

    Copyright © 2013 little BIG Books

    ISBN 978-88-98285-08-2

    Copertina: Costanzo Colombo

    alberto.forni@me.com

    www.iltuoebook.it

    INDICE

    Aperitivo

    Ce n’est qu’un début

    Poetesse con i tacchi

    Il Comma 22 della ristorazione

    Intervista ad Andrea Pablo Amodio

    Pausa sigaretta

    Antipasti

    Credere, non chiedere

    Del coniglio non si butta niente

    Crash test

    Outlook

    Primi piatti

    Periplo vertiginoso

    Polvere siamo

    FF

    Appunti per un romanzo (Cambia-menti)

    Pausa sigaretta

    Secondi piatti

    Accademia Caravaggio

    stronzate.doc

    Nuove fondamenta

    Uffi, che noia

    Dolce

    Wannabe

    Il pane & lo strutto

    Amorestremo

    Un pomeriggio con Katia e Pablo

    Pausa sigaretta

    Frutta

    L’asse vincente critico-pittore

    Isole comprese

    Il più grande premio dopo il Pulitzer

    Outlook 2

    Caffè

    Mancia

    Chi sono

    Altre pubblicazioni

    Chiamatemi senza cuore. Chiamatemi insensibile. Chiamatemi Samael.

    Io sono il vostro nemico, il vostro flagello, la spina nel cuore.

    Io vi conosco, bestie tenaci, a volte impaurite, ma pronte a graffiare.

    Non incrociate il mio sguardo, non calpestate la mia ombra, non attraversate la mia scia.

    Voi siete sciacalli, siete avvoltoi, remore siete.

    Vivete nell’ombra e anelate alla luce.

    Sanguisughe vanagloriose. Tronfi vampiri.

    Avverto il vostro odore pungente.

    Sento i vostri lugubri guaiti.

    Io non vi temo, apostoli del sospetto, cavalieri delle recriminazioni.

    Il mio nome è capace di farvi tremare.

    La mia parola è Verbo che annienta.

    Paradiso a cui tendete la pargoletta mano.

    Io sono Editore, Critico, Agente.

    Io sono Gallerista. Sono Consulente.

    E voi non siete nulla.

    Aspiranti artisti.

    Razza dannata nasceste.

    Aperitivo

    Ce n’est qu’un début

    Il telefono squillò alle sette e quattro minuti di sera, un orario tattico. Un orario in cui le persone di solito sono a casa, di solito non hanno ancora iniziato a preparare la cena, un orario vestito di casualità dai quattro minuti eccedenti l’ora tonda; minuti eccedenti e non precedenti, nessuna premeditazione quindi ma anzi un pensiero spontaneo, improvviso, quasi irrefrenabile.

    «Buonasera, vorrei parlare con Angelo Capezzuto.»

    La voce era priva di inflessioni, il tono professionale ma non distante.

    Angelo Capezzuto, dipendente comunale in odor di pensione, ebbe un lieve sussulto, un attimo di strisciante delusione. All’altro capo del telefono, evidentemente, c’era qualcuno che non conosceva. Chi poteva essere? Un’agenzia immobiliare? Una compagnia telefonica? Ma il pensiero non ebbe neanche il tempo di formarsi, rimanendo sparso e leggero sulle sensazioni come un’étoile durante un riscaldamento pomeridiano.

    «Sono io, chi parla?» rispose l’uomo con una certa titubanza.

    «Salve, sono il critico d’arte Guido Delli Colli, volevo dirle che ho visto in rete alcuni sui quadri e sono rimasto molto, molto colpito.»

    Capezzuto ebbe un altro sussulto ma di natura opposta al precedente, un sottile colpo di frusta emotivo, un piccolo calore alla base del collo.

    «Dai miei quadri?»

    «Sì, lei dipinge no?»

    «Sì, ho fatto anche delle mostre» disse l’uomo prendendo un po’ di guardinga confidenza.

    «Si vede. Il tocco si vede. Guardi di solito non mi succede, ma quando ho visto le sue opere ho capito subito di trovarmi di fronte a un artista vero, un artista libero.»

    Capezzuto non sapeva cosa dire, non era abituato ai complimenti: «Be’, io nei miei quadri esprimo sempre quello che sento».

    «Si vede che lei è un artista a tutto tondo, uno capace di usare i colori, di piegare la geometria delle linee. Se lei è d’accordo, mi piacerebbe promuoverla. C’è tanto bisogno di artisti come lei in questo mondo dell’arte, c’è tanto bisogno.»

    «Certo… io sono disponibile» rispose l’uomo quasi colto alla sprovvista.

    «Bene, questo è il primo passo: essere disponibili, disponibili a mettere la propria arte al servizio degli altri. Per il resto lasci fare a me, è il mio lavoro. Adesso studio una strategia, muovo qualche pedina, ci sentiamo fra qualche giorno.»

    «Va bene, la ringrazio.»

    «Sono io che la ringrazio. È un privilegio raro. A presto.»

    Angelo Capezzuto rimase col telefono in mano aspettando altre parole, una conferma, un rumore anche piccolo; avvicinò il ricevitore all’orecchio quasi fosse una conchiglia capace di restituire sempre e comunque il rumore del mare. Chiuse gli occhi e pensò all’universo, a quanto era grande, e immaginò di tuffarsi in quello spazio immenso come fosse una piscina primordiale. Ebbe una lieve vertigine. Allora aprì gli occhi e appoggiò il telefono sul tavolo. Poi guardò l’orologio. Era quasi ora di preparare la cena.

    Poetesse con i tacchi

    Biondiccia, nervosa, ossuta. A prima vista Sara Gabrielli Pettinicchio non ispirava certo una grande simpatia. Aveva sempre quell’aria annoiata, irritata e litigiosa che hanno certe impiegate alle quali l’essere al di là di un bancone, o scrivania, conferisce un’aggressività che s’intuisce pronta a sfociare in litigio sulla base del nulla: uno sguardo, un’intonazione, una virgola.

    Sara Gabrielli, Gabrielli Pettinicchio per favore, si era presentata alla ragazza che si occupava di spuntare i nomi dei partecipanti. La ragazza indossava un vestito che la faceva somigliare a una cameriera di un albergo sudtirolese – uno di quei coloratissimi patchwork che diventano all’improvviso incomprensibili una volta giunti in prossimità del casello di Trento – e masticava svogliatamente una gomma. Il suo sguardo, appena partecipe, confermava che avrebbe preferito trovarsi da qualche altra parte.

    Sara Gabrielli Pettinicchio entrò nella sala simulando un incedere maestoso che voleva parere leggiadro, ma doveva tuttavia scontrarsi col tentativo di contenere la spinta verso i lati proveniente dagli altissimi tacchi sollecitati da qualche chilo di troppo.

    Il posto era male illuminato da alcune lampadine a risparmio energetico le cui temperature colore giocavano su spettri differenti e le sedie, almeno a partire dalla terza fila, sembravano uscite da un inventario scolastico del 1967.

    Secondo la donna, la specie alla quale lei si vantava di appartenere, quella delle poetesse – per quanto a volte una definizione così limitata le sembrasse irrimediabilmente stretta – poteva essere divisa in due categorie: le poetesse con i tacchi e le poetesse dalle scarpe basse, che lei chiamava poetesse ballerina con un certo sarcasmo e sicuro fastidio.

    Le poetesse con i tacchi amavano la vita e i suoi impeti, i moti ondosi, l’Orient Express, le copertine di cuoio; le poetesse con i tacchi si innamoravano in maniera furiosa e avrebbero atteso, gelose, D’Annunzio sotto la pioggia solo per scaraventargli un colpo di pistola dentro al cuore.

    Le poetesse dalle scarpe basse invece si circondavano di libri dalle copertine color pastello, cucinavano dolcetti sempre carenti di zucchero e spolveravano di continuo vetrinette laccate di bianco piene di fragili soprammobili; le poetesse dalle scarpe basse amavano sempre con riserva ed esitazione e avrebbero magari atteso D’annunzio sotto la pioggia, sì, ma solo per cadere ai suoi piedi colpite da una tisi fulminante.

    Quello che Sara Gabrielli Pettinicchio temeva sopra ogni altra cosa era che il primo premio del concorso Poeti dell’Adda Sud, che negli ultimi due anni si era aggiudicata grazie alla sua particolare bravura e sensibilità, le fosse stato sottratto proprio da una poetessa dalle scarpe basse.

    Quel pensiero era davvero insostenibile, tutto sarebbe andato bene tutto, persino che il premio venisse hollywoodianamente assegnato a una persona con qualche handicap curioso, purché non le venisse fatto l’affronto di arrivare dietro a una poesia che parlava di boschi alpini e nonne che cuciono.

    Alcide Gentiloni, presidente dell’Accademia Penne d’Oro nonché organizzatore del premio letterario, andò incontro alla donna allargando le braccia: «Carissima» disse mellifluo, «anche quest’anno non possiamo non riconoscere la sua bravura e vorrei dire, se mi permette, anche la sua bellezza».

    «Gentiloni, da quando la palma d’argento è un riconoscimento alla bravura ma soprattutto alla bellezza di una donna?»

    «Suvvia, non faccia così, come dice il proverbio? Non sempre si può vincere

    «Certo, come vede sono qua, pronta a bere l’amaro calice.»

    «E noi siamo onorati di averla fra noi. E vedrà che sarà una coppa di champagne. Si preannuncia una serata straordinaria. Abbiamo Attilio Scipioni, il critico di Poesia Avvenire, e anche l’editore Crosta che con la collana Cantori Moderni sta ottenendo uno straordinario successo.»

    «Certo certo…»

    «Allora a dopo, con permesso» disse Gentiloni defilandosi da una conversazione che rischiava di diventare fastidiosa e dirigendosi, con un largo sorriso, verso un uomo dal papillon colorato.

    Alcide Gentiloni, con la barba bianca e le sopracciglia incolte, poteva sembrare uno di quei rubicondi e paciosi professori di Lettere delle Scuole Medie; si trattava infatti di un professore di Lettere delle Scuole Medie. La vita con lui era stata abbastanza generosa da donargli alcune capacità intellettuali un po’ sopra la norma, ma si era ripresa tutto sul versante dell’aspetto fisico. Inoltre Gentiloni amava tanto e talmente i libri da averne assunto, nel corso del tempo, la capacità motoria. Perduto il padre in giovane età, si era dedicato alla cura della madre sacrificando in tutto e per tutto la propria vita, compresa quella sentimentale. E una volta che anche la madre se ne era andata, aveva deciso di fondare l’Accademia Penne d’Oro allo scopo di diffondere le Belle Lettere nella società contemporanea, con un occhio di riguardo nei confronti della Poesia di cui lui stesso era da lungo tempo cultore e interprete. Da sempre stimato da tutti come un ottimo professore, Alcide Gentiloni amava la sua professione di uno di quegli amori a scartamento ridotto dei quali risulta impossibile sul breve periodo cogliere il cambiamento e che tuttavia, come la cinghia di un giradischi, continuano a perdere giorno dopo giorno una minuscola frazione di potenza in grado sul lungo periodo di produrre una stonatura di fondo netta pur se inquantificabile, come un quarto di giro a perdere, come una eco sdrucciola. Autore di numerose sillogi poetiche, Gentiloni amava sopra tutte la composizione Mater, da lui composta il giorno della morte della madre: Mater, nel passato. Madre, nel presente. Sempre, nel futuro. Una poesia che gli sembrava talmente significativa, da averla fatta incidere sulla lapide mortuaria. Omettendo per modestia il nome dell’autore.

    Sara Gabrielli Pettinicchio prese posto in seconda fila, quanto meno per l’evidente comodità delle sedie. Secondo la sua lunga esperienza di premi letterari, il posto migliore era costituito da un giusto compromesso tra la vicinanza con l’evento e una posizione un po’ defilata, che permettesse di controllare la situazione. La quarta fila era l’ideale, ma nel caso in questione la sola idea di prendere posto su una di quelle sedie che parevano trasudare umori di chewing gum alla liquirizia e jeans chi mi ama mi segua Jesus, l’aveva convinta a sedersi un po’ più avanti.

    La sala era ancora semivuota. Dalla parte opposta alla sua erano seduti un quarantenne con la faccia da norcino, che sudava vistosamente, e un ragazzo abbastanza giovane che portava occhiali piuttosto larghi e dalla montatura in finta bachelite. In prima fila invece, davanti a lei ma un po’ defilate, sedevano un’anziana signora che teneva in mano un libro dalla copertina leggermente rovinata e una donna magrissima e dallo sguardo vacuo che avrebbe potuto essere la redattrice di una rivista di settore tipo Apicoltori oggi o Tutto punto e croce (Ci dica signor Aleardi, qual è il segreto dei suoi alveari ecosostenibili?, Speciale carnevale: lo schema extra facile dell’orsetto Winnie the Pooh). La donna continuava a guardarsi intorno come in cerca di una qualche rassicurazione. Molto probabilmente si trattava della vincitrice, sia per l’anticipo con cui era arrivata, sia perché aveva preso posto davanti a tutti.

    Sara Gabrielli Pettinicchio lasciò cadere il programma della serata per avere conferma di ciò che temeva. Il dépliant fece una mezza curva nell’aria come sollevato da una corrente invisibile, toccò terra appoggiandosi su un angolo e si adagiò delicatamente sul pavimento mettendo in mostra il lato su cui stava scritto a grosse lettere SEGUIRÀ BUFFET. La poetessa si chinò, ma prima ancora di avere la risposta definitiva sentì una certezza penetrare dentro di lei. Quando volse lo sguardo verso la donna in prima fila tutto divenne improvvisamente chiaro: la donna calzava un paio di scarpe basse.

    Il Comma 22 della ristorazione

    Vruuum. Vruuuuuum. Vruuuuuuuuum. Rumori. Spari. Spitfire che spruzzano Spritz. Un coccodrillo meccanico che addenta giochi in scatola e grandi classici. Donne vampiro provenienti dai Balcani. Antenne paraboliche e radio a valvole. Gitani usati come scudi umani. Comunicati stampa inviati come spam. E poi gadget. E poi gonfiabili. E prodotti per la cura del corpo e giochi in plastica per la spiaggia. E alla fine un’onda, una grandissima onda, un’onda smisurata e a perdita d’occhio, un’onda-mondo capace di spazzare via ogni cosa riconducendo il tutto al suo nulla iniziale, al nocciolino di partenza.

    Così il saldatore artista scultore Ruggero Biancon, meglio conosciuto con il nome d’arte di Roger lo sciamano elettrico, immaginava la prima scena di un dramma teatrale distopico e futuritmico che aveva iniziato a scrivere, anzi per meglio dire a pensare, una sera in un locale di Lignano Sabbiadoro ma la cui scrittura, anzi pensiero, era stato costretto a interrompere per via del passaggio di una creatura femminile che lo sciamano elettrico aveva sapientemente apostrofato come grande figa salvo poi correggersi con un grandissima figa.

    «Ma papà!» era sbottata Samantha, la figlia quindicenne che stava trascorrendo con lui uno dei due weekend al mese che gli erano concessi.

    «Tesoro, l’uomo è cacciatore, la carne è debole, non te le fanno studiare queste cose a scuola? Latino, non lo fai il latino?»

    «Faccio l’alberghiero…»

    «Embè, che c’entra, il latino è sempre il latino. Non serve a un cazzo ma è come la Storia, è per imparare, è per sapere le cose no?»

    Samantha gli lanciò uno di quegli sguardi che di solito riservava ai bimbiminkia dodicenni e persino Ruggero, che pure aveva qualcosa come tre cocktail in corpo e di solito alle donne, quando non era in modalità di caccia, rivolgeva un quarto dell’attenzione che gli serviva per leggere la pagina del baseball sulla

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