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Alcibiade maggiore
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Alcibiade maggiore

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L’"Alcibiade maggiore" è un dialogo di Platone nel quale Alcibiade ha una conversazione con Socrate. La sua attribuzione a Platone è controversa tra gli studiosi. La datazione del testo è anch'essa variabile, ma viene collocato con buona probabilità nella prima metà del IV secolo a.C. Esso contiene una sintesi completa della prima dottrina platonica dell'anima e, data la sua tematica rilevanza nelle opere giovanili di Platone, forma una sorta di introduzione alla lettura dei dialoghi.

L'autore

Platone (in greco antico Πλάτων, traslitterato in Plátōn; Atene, 428 a.C./427 a.C. – Atene, 348 a.C./347 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele ha posto le basi del pensiero filosofico occidentale

Traduzione a cura di Francesco Acri (1834 – 1913), filosofo e storico italiano.
LanguageItaliano
PublisherPasserino
Release dateJan 25, 2015
ISBN9788898925933
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    Alcibiade maggiore - Platone

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    Alcibiade maggiore

    I. SOCRATE: O figliuolo di Clinia, credo che ti meravigli ch'io primo tuo amatore, gli altri ritraendosi, io solo non mi ritragga; e che allora quando t'affollavan gli altri co' loro ragionamenti, io, è tanti anni, non t'abbia mai detto nulla. Questo fu, non per alcuna umana cagione, ma sì per un cotale divieto del Demone; la possanza del quale udirai e saprai tu dopo. Dacché ei non me ne fa più divieto ora, io mi sono accostato a te: e spero che non me ne vorrà fare divieto né anche poi. Ma t'ho avuto l'occhio quasi tutto questo tempo, e bene io ho notato come ti contenevi co' tuoi amatori: ché non fu nessuno di quelli, ed eran pure molti e così orgogliosi, che, umiliato dal tuo orgoglio, non fuggisse da te. E te lo vo' dire perché li hai in dispetto.

    Tu credi non abbisognar di niuno uomo al mondo, in nulla; perché cose grandi hai tu, a principiar dal corpo, fino all'anima. La prima cosa ti pensi d'essere un gran bel giovine, bello assai; non pensi falso, è si vede a occhio: e poi di fiorente casa, qui nella città tua, la più ragguardevole delle città elleniche: e per padre aver qui moltissimi amici e congiunti, assai nobili, i quali sé a ogni tuo servigio offrirebbero, se tu avessi bisogno; e, né meno né da meno, quelli per madre: e pensi che assai maggior possanza, che non da tutto quello che detto è, tu la ritragga da Pericle, il figlio di Santippo, il quale tuo padre lasciò tutore a te e a tuo fratello; perocché, non solo in questa città qui, ma sì in tutta l’Ellade e appresso a molte e grandi genti barbare, ei fa ciò ch'è vuole. Ti vo' dir più là, che se' un de' ricchi; ma tu, mi pare, non imbaldanzisci per cotesto. Ecco perché, rizzando tu il collo, su i tuoi amatori hai tiranneggiato; e, perché da meno, si son lasciati tiranneggiare quelli: lo sai tu! E però intendo come ti abbi a meravigliare e abbi a dire entro te medesimo: «Che s'è messo in capo quest'uomo, che non è ancor stanco di volermi bene? Che spera? Ché, gli altri fuggendo, egli se ne sta lì?».

    II. ALCIBIADE: Sai, o Socrate? D'un poco mi sei tu venuto avanti. Ch'io avea in mente d'accostarmi prima io a te, per cotesto, per domandarti che vuoi, che speri, ché non mi lasci avere riposo e, dove che io sia, ci se' anche tu? Oh il fatto tuo mi fa specie, e, se me ne chiarissi, io ti udirei assai volentieri.

    SOCRATE: Ci credo che mi udirai volentieri, se tu desideri conoscere la mia intenzione, come dici; e io ti parlerò come a un che ha voglia di stare a udire.

    ALCIBIADE: Sì, desidero; ma di' tu.

    SOCRATE: Ma bada che non sarebbe da farne caso, se, come stentai a principiare, così stentassi io a finire anche.

    ALCIBIADE: O buono uomo, parla pure, che t'ascolterò io.

    SOCRATE: E' sarebbe ora. Malagevol cosa certo è a un che ama, stare a ragionar con giovine che degli amatori se ne ride; nondimeno bisogna che io mi faccia animo e ti palesi quello che ho dentro. Odi, Alcibiade: se ti vedeva io dilettare in quelle cose mentovate dianzi, e avere opinione che in quelle convenisse consumare la vita, da un pezzo m'era già bello e disamorato di te, ne son persuaso io. Ma ben altri disegni hai nella mente, e te lo mostro; e conoscerai da questo se ti ho mai levato occhi d'addosso. Io credo che se ti dicesse un Iddio: - Vuoi, o Alcibiade, così vivere, con quel che tu hai ora, o, se non ti fosse lasciato avere maggiori cose, morire subitamente? - Morire, - io credo risponderesti tu. E in quali speranze tu viva, io telo dirò. Tu fai ragione che non sì tosto ti sarai appresentato al popolo ateniese; sarà di qua a pochi dì; gli mostrerai che tu sei degno di onore come né Pericle né alcun altro mai al mondo; e dopo questo avere tu ad acquistare grandissima possanza nella città;

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