La donna Farfalla
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About this ebook
L’autore nasce nel 1965 a Cagliari, dove trascorre la sua adolescenza esplorando le tombe fenicio-puniche della necropoli di Tuvixeddu. Per anni ha svolto la professione di burattinaio e animatore esibendosi nelle scuole e nelle piazze della Sardegna. Le sue pubblicazioni sono “Il giocattolaio e altri racconti” (2012), “Baci di laguna” (2014). È comparso nell'antologia del concorso Carta Bianca nelle edizioni dal 2011 al 2013. È autore di un racconto sulla pericolosità dell'amianto e un altro, “Trucioli di cuore”, scritto con Emanuela Imprescia, presidentessa Dell’ADMO Alto Adige e fondatrice del gruppo Polì Ale “Un midollo per la vita” . “La donna Farfalla” è la sua nuova opera.
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Book preview
La donna Farfalla - Roberto Brughitta
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ROBERTO BRUGHITTA
LA DONNA
FARFALLA
AmicoLibro
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Roberto Brughitta
La donna Farfalla
Proprietà letteraria riservata
l'opera è frutto dell’ingegno dell'autore
© 2014 AmicoLibro
via Oberdan 9
75024 Montescaglioso (MT)
www.amicolibro.eu
info@amicolibro.eu
Prima Edizione Digitale: dicembre 2014
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A Monica, che ci osserva dalle nuvole
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Sei
dovuta cadere
per
poterti liberare.
Poggiavi
i tuoi piedi
su lunghi fili d'aria
Il sole
in una mano
la luna nell'altra
l'armonia
dolce delle acque
nel cuore.
Leggera
come foglia
di vento
lasciavi nella notte
un profumo
come di rose
dopo la pioggia.
Erano
le tue catene
fatte
di chiare stelle
e spuma marina.
Giorgio Peddio
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Prefazione
Lamadrò è un piccolo paesino, protagonista di una storia che racconta altre storie.
Si narra di girovaghi che da sempre portano l’antica arte dei circensi, di saltimbanchi, teatranti che arrivano prima dell’imbrunire a bordo di tre carri.
Il primo trainato da due cavalli, uno bianco e l’altro maculato, con la scritta su un fianco multicolore Compagnia dei Campanelli. Sulla fiancata del terzo carro, l’unico con il tetto in tela, c’è dipinta una splendida farfalla azzurra poggiata su una corda.
Lamadrò è il paese con le case dalle tegole larghe, quel paese dove Riccardo, il figlio del maniscalco non parla ma ascolta, dove Gianluca è il garzone che sa innamorarsi dopo un solo bacio sulle labbra, dove il vento spettina i riccioli di Manuel, dove Monica sa leggere le nuvole.
Il lavoro di Roberto Brughitta, La donna Farfalla, ha la forza della bella narrazione, ovvero quella forza che serve per scrivere una bella storia. Un’opera questa che contiene semplicità, una dose essenziale di incanto e tanta voglia di prendersi sul serio giocando.
Carmen Salis
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Presentazione
È la prima volta che trovo l’ardire di scrivere una presentazione
.
Me l’ha chiesto l’amico Roberto Brughitta e non potevo assolutamente sottrarmi a tale incombenza, data la reciproca stima e amicizia.
Ho accettato benché consapevole della mia scarsa predisposizione a usare frasi ricercate, elogi altisonanti - ammesso che ne sia capace - come solitamente si legge nelle dotte prefazioni e presentazioni.
Me la cavo dicendo che già avevo letto i primi due libri di Roberto Brughitta, Il Giocattolaio e Baci di laguna.
Li avevo letti entrambi una prima volta divorandoli letteralmente. Tanto che ho dovuto rileggerli per gustarli ancora meglio, E così è successo pure per La donna Farfalla.
E allora non resta che affermare che prerogativa principale di un romanziere è quella di avvincere il lettore.
Prerogativa della quale Roberto è ampiamente dotato.
Per cui, a mio modestissimo parere La donna Farfalla non ha bisogno di nessuna presentazione o prefazione.
Tanto meno della mia.
Giampaolo Loddo
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Capitolo 1
Nessuno si sarebbe mai aspettato un inverno così piovoso.
Non nella zona più arida della provincia almeno.
Il paese di Lamadrò era situato al centro di un territorio collinare nel cui sottosuolo c’erano tanti di quei sassi che quando il sole picchiava si surriscaldavano fino a far spaccare la terra.
Per questo motivo in tutta l’area si coltivavano solo olivo, vite e melone a secco. Dai pozzi si attingeva acqua solo da novembre a maggio e i pochi alberi servivano unicamente da ricovero per le greggi. Solitamente, quando pioveva, odori e profumi uscivano improvvisamente e in modo del tutto particolare.
Per esempio, quando risuona un allarme antiaereo e tutti corrono verso il rifugio, nessuno è vestito come se stesse per uscire. Le persone arrivano al rifugio abbigliate come le ha sorprese la sirena. Così succedeva a Lamadrò per le strade, le piazze e i viottoli del paese quando pioveva dopo un lungo periodo di siccità. Gli abitanti non avevano spazzato o lavato il pezzetto di strada davanti alla loro abitazione e nessuno aveva ancora raccolto i rifiuti sparsi un po’ ovunque.
Quando improvvisamente arrivava la pioggia, ne scaturivano odori nuovi e penetranti. L’odore acre dell’urina dei cani veniva lavato, a suo modo esaltato, e portato a spasso dai rigagnoli che andavano formandosi tra le stradine solcate dai carri. Persino il lentisco e il cisto profumavano in modo speciale e l’aroma della lavanda diventava insopportabile. Gli intonaci si scrostavano e piccoli pezzi, staccandosi andavano ad abbracciare il selciato che per anni avevano osservato dall’alto. Le donne scrutavano dietro i vetri il ritmo assillante delle gocce che rimbalzavano sui consunti davanzali di pietra.
In alcune case purtroppo erano presenti ormai solo gli scuri. I bombardamenti non avevano toccato Lamadrò, ma una breve incursione delle truppe nemiche venute a rastrellare uomini abili al lavoro aveva provocato una breve rappresaglia. In quell’occasione, una decina di lanci di granate aveva mandato in frantumi diversi vetri.
La guerra era finita da circa due anni e gli uomini sopravvissuti pian piano stavano rientrando nei loro paesi d’origine, il tenore della vita cominciava finalmente a migliorare. Il pane, tanto desiderato nel periodo bellico, da qualche tempo era ricomparso nelle tavole di quasi tutte le famiglie. Persino il caffè, diventato a lungo un lusso per pochi, diffondeva il suo aroma tra le case dalle tegole larghe. Quelle case, sì quelle con le tegole larghe, abbracciavano la grande piazza del paese fino a formare un cerchio perfetto.
La maggior parte di quelle tegole venivano fabbricate nel vicino convento di San Francesco di monte Rasu. La forma concava veniva ricavata ponendo un rettangolo d’argilla sulla coscia di un monaco seduto su una seggiola. Questa poi si poggiava delicatamente per terra e lì era lasciata ad asciugare. Quando un numero considerevole era pronto e asciutto, si procedeva alla cottura nell’antico forno del convento.
Quando furono richieste le tegole per le nuove case a ridosso della piazza, accadde un imprevisto. Il monaco, la cui coscia ne era lo stampo, si era ammalato e fu sostituito da un altro confratello. Questo però era un omone grande e grosso, e le sue cosce erano almeno il doppio di quelle del suo predecessore. Ci si accorse del problema solo un mese dopo, giusto il tempo per ricoprire le case intorno alla piazza con quelle tegole enormi.
Da quel periodo la zona prese il nome di piazza dalle tegole larghe. Proprio al centro della stessa, quella mattina fece la sua comparsa una piccola compagnia di saltimbanchi. Dalla fine della guerra era diventata un’abitudine piacevole vedere arrivare qualsiasi tipo di carro.
La maggior parte di questi erano venditori ambulanti dei prodotti più vari, ma spesso arrivavano anche saltimbanchi, teatranti e una volta anche un piccolo circo accompagnato da un vivace corteo di elefanti.
Le automobili erano rare in un paese di contadini e pastori, mentre carri e cavalli non mancavano, essendo più adatti ad attraversare quelle strade polverose e piene di