Cavalletti e cavalli: Una sfida fra artisti con due braccia e quattro zampe
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Una fiaba avvincente, che insegna a inseguire le proprie passioni, anche se le difficoltà appaiono insormontabili. L’amore per l’arte aiuta a superare le barriere per realizzare i propri sogni: solo così si può dare senso alla propria vita e a quella di chi ti sta vicino.
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Book preview
Cavalletti e cavalli - Carlo Salvoni
Edizioni
Capitolo 1
CAVALLETTI, PASSIONI
È normale che a metà autunno l’erba di un prato sia molto umida: non è il caso di mettersi a fare un pic nic. Può anche capitare che sopra l’erba aleggi un basso strato di nebbia. Infatti non fa caldo e l’umidità non riesce a dissiparsi. Se poi consideriamo che è mattina, abbiamo un tipico paesaggio autunnale: l’erba è verde, ma non di quello bello splendente primaverile; è un verde cupo, i fili d’erba sono appesantiti dalle goccioline e, anche se si rifiutano di appassire e diventare gialli, sappiamo che si stanno preparando per l’inverno.
È normale anche che su quel prato corrano dei cavalli. Magari non troppo consueto, ma comunque normale. Non ci metteremo a pensare che si tratti di cavalli selvatici: sarebbe come spingersi un po’ troppo in là con la fantasia, però sono pur sempre animali che corrono e pascolano liberi su un ampio prato che confina con un boschetto di conifere. Ce ne sono diversi, di tanti colori. Sembrano non patire il freddo del mattino, anche se dalle loro narici esce a volte qualche sbuffo di fumo. È proprio una bella scena, niente da dire. Potremmo stare qui ad ammirarla per ore senza annoiarci.
Fin qui, quindi, tutto normale. Allora che cosa ci fa una fila di cavalletti, per la verità non troppo ordinata, al limitare del prato? Anche questa è normale? Sono quel tipo di cavalletti che sostengono le tele sui cui si dipinge. E in effetti ai cavalletti sono appoggiate delle tele non più bianche. Non sono quadri compiuti, ma qualcosa di abbozzato c’è già: sfondi omogenei, linee colorate, tratti neri. Questo è possibile perché dietro ogni cavalletto c’è un pittore.
L’avevo detto io che potevamo ammirare quella scena senza stufarci! Il prato, la nebbiolina, i cavalli: tutto troppo bello per non trarne qualcosa di buono.
Ma perché quei pittori stanno dipingendo? Non si fa prima a scattare una fotografia? La risposta è piuttosto semplice: se ne stanno lì perché hanno una passione. La passione è ciò che ci dà la forza per vivere, che ci rende ciò che siamo. Noi siamo le persone che siamo non per i nostri capelli, la nostra statura o i nostri vestiti. Sono le nostre passioni a darci una personalità, e più ne abbiamo più questa sarà interessante.
Le cose per cui vale la pena di vivere sono l’amore e le passioni. Però, se troviamo i due termini accostati, possono nascere dei problemi: ci verrebbe da pensare alla passione amorosa, che è una cosa completamente diversa. A volte l’amore è esclusivo, le passioni invece sono tante ed è bene che ci siano sempre. Chi non coltiva delle passioni esiste, ma non vive, e sicuramente si annoia. Non sono semplici passatempi, sono cose in cui si crede, che in un momento della nostra vita ci hanno colpito, quasi obbligandoci a seguirle. E se sono vere, non ci lasceranno mai indifferenti: sono le uniche cose in cui ci impegniamo con piacere, per le quali siamo disposti anche a faticare.
C’è gente che mette al primo posto le cose materiali, ma qui c’è poco da scherzare: una volta soddisfatti i bisogni primari (mangiare, bere, dormire) è bene coltivare qualche passione, se vogliamo continuare a essere uomini e non bestie. Ma forse anche le bestie hanno qualche passione. Allora diciamo: uomini e non piante. Però anche le piante sono esseri viventi, non vorrei si offendessero. Proviamo così: uomini e non sassi. Non che io ce l’abbia con i sassi. Va bene, lasciamo perdere!
Per esempio, dipingere è una bella passione. Richiede studio, esercizio, tecnica, ma anche tenacia, costanza. Chi dipinge deve provare e riprovare, ha il difficilissimo compito di suscitare delle emozioni con quello che esce dal suo pennello. Deve creare un mondo su uno spazio limitato in modo tale che, se qualcuno lo guarda, dica: «Questo mi piace!». Un pittore ha a che fare con una delle cose più difficili da capire: la bellezza.
Evidentemente questi pittori, che se ne stanno in piedi da ore all’umidità del mattino, pensano che in un prato autunnale con dei cavalli ci sia molta bellezza. Ma a loro non interessa la bellezza del paesaggio, che può essere facilmente ritratta da una fotografia. Vogliono mostrarci una bellezza fatta di colori, forme e linee che vengono da loro. Dai loro cuori, più che dai loro occhi. Loro hanno visto i cavalli sul prato, ne sono rimasti colpiti, e adesso cercano di restituirci questa emozione dipingendola sulla tela. Mica facile fare il pittore!
I cavalli gironzolano nel prato e non sembrano preoccuparsi di quello che sta succedendo: evidentemente sono abituati alla presenza umana e i cavalletti non intralciano i loro programmi. Però, se guardiamo con più attenzione (cosa che i pittori sanno fare molto bene), si nota una coppia di cavalli che si comporta un po’ stranamente. Guardano i pittori, ma poi distolgono lo sguardo, come colti da improvviso imbarazzo. Si avvicinano, ma molto lentamente, come se volessero comunicare che il loro avvicinamento è casuale. Evidentemente non è così. Io forse non me ne sarei mai accorto, ma i pittori, o almeno i migliori di loro, hanno capito che quei due cavalli sono incuriositi. Vogliono capire che cosa fanno quegli uomini in piedi dietro ai cavalletti. Ci vogliono ore perché si avvicinino, ma finalmente raggiungono il loro scopo e capiscono. Già, perché i cavalli sono animali, ma mica sono scemi. E vedono che sulle tele c’è qualcosa che assomiglia a loro: capiscono benissimo che il verde sta per l’erba, anche se non ha lo stesso odore e non proverebbero mai a mangiare della tempera. Osservano e sono molto interessati: si fermano, si fanno cenni, parlottano fra di loro, forse scambiandosi opinioni sulle opere. È difficile capire cosa ne pensino, ma i pittori migliori distinguono bene uno sguardo attratto da uno indifferente, capiscono la differenza fra una smorfia di disgusto e un sorriso compiaciuto. E se uno non sa cogliere queste espressioni sul muso di un cavallo, non è un granché come pittore.
Quando si coltiva da tempo una passione, a volte si può fare l’errore di credersi bravi, mentre invece si ha sempre qualcosa da imparare. E lì nel prato ci sono tanti pittori, vestiti da pittori, che parlano come pittori e si comportano da grandi pittori. Però quando hanno visto i cavalli dietro di loro uno ha riso e ha tirato fuori delle zollette di zucchero, un altro si è arrabbiato, perché nessuno aveva il diritto di stare lì a guardare il suo quadro finché non era finito, uno ha addirittura provato a imitare un nitrito, ma ne è uscito un versaccio osceno che ha spaventato gli altri animali. Non avevano capito, poveretti, che quei due cavalli erano i loro primi spettatori.
Prospero, invece, l’aveva capito benissimo e proprio per questo faceva finta di niente. Sapeva infatti che se qualcuno ti guarda mentre stai dipingendo, non ha interesse solo all’opera, ma anche al processo: vogliono vedere come lavori per capire come da una tela bianca si passi a un quadro finito. Roba da intenditori o da grandi curiosi. Ma solo chi è curioso può amare l’arte, quindi merita il massimo rispetto.
In effetti Prospero ha capito bene: i due cavalli sono particolarmente incuriositi da quello che sta facendo; sulla sua tavolozza ci sono colori strani, che nel prato non si vedono. L’erba non è verde, i cavalli non sono né marroni, né bianchi, né neri. Tutto sembra stravolto e anche le forme sono anomale. Gli alberi per esempio: sullo sfondo si vedono degli abeti, mentre questo qui dipinge alberi spogli con i rami che si protendono verso un cielo grigio uniforme. L’erba ancora non c’è, si può sperare che la metterà, ma i cavalli non sono così. Si sono specchiati più volte nel laghetto e non sono così, nessun altro pittore li ritrae in quel modo.
«Questo qui non ci vede bene» sbottò a un tratto Harold, visibilmente infastidito «oppure ha qualche rotella fuori posto.»
«Ssst! Se gridi così ti sente!» Fuska, preoccupata, cercò di zittirlo.
«E che mi importa? Io non sono così brutto!» proseguì il cavallo avvicinandosi alla tela.
«Be’, non sei certo Mr. Equino 2012!» lo prese in giro Fuska.
Prospero, che fino ad allora li aveva ignorati, non riuscì a trattenere un risolino per la battuta.
«Che c’è da ridere?» chiese Harold con fare un po’ scorbutico.
«Quanto a bellezza, le femmine hanno sempre ragione, purtroppo» rispose il pittore, lanciando al cavallo uno sguardo ironico ma anche pieno di comprensione, come a dire: «Ti capisco, amico, sono maschio anch’io. Ma se te la prendi, per te è finita!».
Capitolo 2
I CAVALLI HANNO POCO DI CUI LAMENTARSI!
«E poi» riprese Harold, che evidentemente non aveva finito tutte le sue cartucce, «chi ti ha detto che stava dipingendo proprio me?»
«Vorresti dire che io sono brutta?» tuonò Fuska.
A questo punto è meglio ricordare sempre il detto fra moglie e marito non metterci il dito
. I proverbi saranno pure ripetitivi, ma dicono la verità. Per questo è meglio conoscerli e quando si fa un viaggio, la prima cosa da fare è prepararsi bene sui proverbi del luogo che si va a visitare (infatti, non si possono tradurre).
Prospero, però, era uno che i proverbi non li ascoltava affatto, e commentò: «Errore da principiante!». La voce era bassa, ma non abbastanza per le orecchie di una cavalla infuriata.
«Insomma» riprese Fuska «i cavalli non sono così brutti, quindi o ti metti gli occhiali o impari a dipingere, va bene?» Le femmine arrabbiate sono incredibili: possono prendersela con te e un minuto dopo difenderti, come se niente fosse. Fuska, per esempio, si era arrabbiata con Harold, ma dopo l’intervento inopportuno del pittore, era passata dalla sua parte. No, meglio non farle arrabbiare mai, credetemi!
Tutto sommato, però, anche gli artisti sono permalosi, soprattutto se andiamo a toccarli nel vivo della loro passione. Magari, se sono loro a parlare, faranno gli umili, dicendo che quello che fanno non è poi un granché. Ma prova tu a lanciare una critica negativa!
Nella fattispecie, Prospero era un pittore che sapeva il fatto suo e non poteva stare zitto dopo la frecciata di Fuska: «Eh, no! Nessun cavallo mi viene a dire se dipingo bene o male! Che cosa pensate, non è mica fotografia, questa! Ma che sto facendo, parlo di pittura con dei cavalli! Via, da bravi, tornatevene a mangiare l’erbetta!».
I due cavalli sentirono l’offesa nel profondo e il cuore di un cavallo è più grande di quello di un uomo. Abbassarono la testa e se ne andarono sconsolati, non sapendo cosa rispondere.
Tuttavia anche il cuore degli artisti è particolare: è molto sottile, sanguina più facilmente degli altri. Così, se magari, spinti dall’impeto, offendono qualcuno senza volerlo, poi ci rimangono malissimo e si sentono terribilmente in colpa, quando invece la cosa migliore sarebbe fregarsene di tutti e andare per la propria strada. Di fatto Prospero non riusciva più a combinare niente. In fin dei conti quei due cavalli erano gli unici che avevano mostrato un qualche interesse per quello che stava facendo, ma con la sua risposta acida non aveva dato loro l’opportunità di capire. Non tutti sono esperti di pittura, anche gli esseri umani ne dicono di cavolate in proposito!
Così il pennello rimase fermo sulla tavolozza per un bel po’, finché Prospero, messo da parte l’orgoglio, corse a chiamare Fuska e Harold. «Hei, amici,» disse, battendo degli affettuosi colpetti sulle possenti schiene «che fate, andate via? Ascoltate ancora le stupidaggini di un pittore che non sa neanche quello che dice? Cercate di capirmi, non avevo mai visto dei cavalli interessati a un mio quadro...»
«E neanche ne vedrai, se reagisci sempre così...» disse Harold, ancora ferito.
«Lo so, lo so, scusate. È che questa critica me l’hanno fatta in tanti e adesso non la posso più sentire. Vedete, io non sono qui per riprodurre la realtà, altrimenti farei fotografie, no? L’arte è un’altra cosa. È libera...»
«Libera quanto vuoi, amico, ma tu sei qui a ritrarre dei cavalli, e io vedo degli animali che, sì, assomigliano a noi, ma hanno un colore viola pallido e delle narici spropositate. Uno sbuffa addirittura