Celeste nostalgia: Romanzo sul calcio
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About this ebook
Undici storie che hanno per lo più il loro filo conduttore nel ricordo del passato formano questa nuova raccolta di racconti di Pierluigi Felli. Gli ingredienti, per chi conosce l’autore, sono quelli di sempre, quelli che ci rammentano come il mondo giri anche grazie o per colpa di uomini che alla fine si ritrovano uniti dall’essere, chi in un modo chi in un altro, solo dei perdenti. Il tutto con il solito finale a sorpresa, marchio di garanzia di Felli, che sovverte ogni certezza cresciuta durante la lettura.
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Book preview
Celeste nostalgia - Pierluigi Felli
Celeste nostalgia
Racconti ultras
di Pierluigi Felli
Copyright Fuoco Edizioni – http://www.fuoco-edizioni.it
1^ Edizione Maggio 2013
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A Daniele Lembo
«La storia della Lazio ci ha insegnato questo: momenti di prosperità
e benessere rovinati improvvisamente da una mazzata. Da
cui bisogna riprendersi e ripartire. La Lazio ci è sempre riuscita.
Ed essere laziali finisce poi con il diventare uno stile di vita, un
modo di sopportare e superare ogni tipo di difficoltà senza soccombere.
La Lazio è la vita. E io ho preso la storia della Lazio
come modello per costruirmi la mia».
Paolo Di Canio
Indice
Celeste nostalgia
Legione Straniera
Il palo
D-herbie
La classe è acqua
Compà
Il prezzo dell’amore in tempo di guerra
Enigma
Le risate
Matador
L’ultima lettera
Biografia dell’autore
Celeste nostalgia
14/11/2010 Lazio-Napoli
Per festeggiare il mio compleanno torno in curva dopo dieci anni e in mezzo al tifo organizzato dopo diciannove, per essere esatti. Mi infilo di nuovo la testa d’aquila d’oro degli Eagles al collo, mentre un’aquila vera - a cui hanno dato il nome di Olimpia perché i colori della Lazio derivano da quelli della Grecia, culla delle Olimpiadi - vola prima del fischio d’inizio ammutolendo tutti. Compresi i tifosi partenopei, che smettono di cantare e di colpo si mettono a fotografare la regina dei cieli come tanti giapponesini.
Fa caldissimo, forse per colpa del buco dell’ozono, e io indosso pure una felpa tutta nera, ad eccezione di una bandiera dell’Argentina cucita all’altezza del petto, con tanto di cappuccio incorporato. Sto con Peppe Zinato, detto Vecchio Satana, e con uno che abbiamo fatto salire in macchina anche per dividere in tre i soldi per la benza. Decidiamo di chiamarlo Evasio anche se non si chiama così.
Il biglietto per la curva costa sedici euro, anzi euri, che fa più romanesco, e nel prezzo è compreso un giornale che si intitola Cittaceleste, tutto attaccato. Sono dispiaciuto che non sia un quotidiano, pur avendone la forma e la consistenza delle pagine, perché ci scriverei tutti i santi giorni. Sono invece contento di averlo tra le mani, perché mi ricorda i tempi di Olimpico Lazio, di Lazio Club (la rivista a cui sono più affezionato), del Biancazzurro, di Eagles’ Supporters e di quando anche Lazialità, ora un patinato mensile da edicola, veniva venduto da Bongo per duemila lire fuori dalla Curva Nord.
All’entrata vorrei comprare a mio figlio una bandierina con su stampata l’effigie di un’aquila imperiale romana e il nome S.S.Lazio, ma non c’ho ‘na lira. La bancarella vende anche sciarpe riportanti la scritta, leggo testualmente: ODIO LA ROMA.
È passata una vita ma non c’è nulla da fare, la riconosco sempre: è la mia gente.
Sul giornale leggo un articolo firmato dall’ex calciatore e idolo Paolo Di Canio, il quale sostiene che il presidente della Lazio Lotito era un romanista che vendeva biglietti il giorno dello scudetto della Roma. È tutto molto surreale.
Una brevissima parentesi: io sto sempre dalla parte di Di Canio, anche quando parla male della Lazio, perché lo fa da innamorato tradito. In lui c’è l’odio di chi troppo ha amato, e quindi lo capisco.
Nello zainetto stile militare ho una sciarpa di lana scolorita, una mela, un succo di frutta e tre panini preparati a casa con rigorosa ritualità.
Oramai allo stadio vanno così pochi spettatori che la Curva Sud neanche l’aprono. Per risparmiare sugli steward, i presume, come dicono a Fulham.
All’entrata sembro un ritardato mentale: credo che sia come nel sotterraneo della metropolitana e m’impappino col biglietto digitalizzato. Ma del resto, qualche giorno prima, una ragazza davanti ad un locale mi aveva chiesto la cortesia di fotografarla insieme a delle sue amiche: io le dico di sì e, ricevuta la macchinetta, me la posiziono davanti agli occhi, senza sapere che da un pezzo va per la maggiore la macchina digitale, quella che per inquadrare l’obiettivo non va avvicinata al volto. Lo sapevano tutti tranne me.
Il tifo sembra tornato quello degli anni ’60, per quel che se ne sa: spontaneo e senza striscioni. I gruppi ultras comunque ci sono - forse ancora gli Irriducibili e certamente la Banda Noantri, detta anche In Basso A Destra - ma a distanza è praticamente impossibile distinguerli. Cammino in mezzo a loro nella speranza di riconoscere qualche faccia - così, per sentirmi meno solo, non per altro - ma niente: non c’è più nessuno.
Mi viene da pensare al fatto che secondo me frequentano lo stadio due tipi di individui: i sereni, per i quali la squadra del cuore è un mezzo per stare ancora meglio (in questo caso si consiglia però di scegliere la Juve o il Milan), e gli infelici, per i quali la curva, o meglio l’aria di illusoria fratellanza che lì dentro si respira, serve a colmare i vuoti di una famiglia che è tale solo di nome, di un lavoro che non soddisfa o di un