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Donne da Nobel
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Donne da Nobel

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Quarantotto donne. Quarantotto storie di vite incredibili, una diversa dall’altra, legate da un unico filo conduttore. Questo libro vuole rendere omaggio a tutte coloro che con le loro scoperte rivoluzionarie e il loro operato hanno cambiato per sempre la storia dell’umanità e che per questo sono state insignite dell’onorificenza più prestigiosa, il premio Nobel.
Scorrendo le biografie si ha la percezione di quanto sia cambiata la società dall’inizio del ventesimo secolo ad oggi, anche dal punto di vista dell’emancipazione femminile. Si comprende quanto sia stato complicato per le nate a inizio del ’900 avere accesso a un’istruzione superiore ed essere considerate dai colleghi maschi. Molte hanno dovuto lottare duramente per affermarsi e far conoscere il loro talento, a dispetto anche della famiglia, che le voleva esclusivamente mogli e madri. Ma credevano in se stesse, avevano un sogno che le portava a superare qualsiasi difficoltà, con un’incrollabile determinazione. Queste donne dimostrano che con la perseveranza e l’apertura verso gli altri si può arrivare dove si desidera e che, come insegnava la grande Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina), “la chiave dell’esistenza umana non è l’amore, bensì la curiosità”.
LanguageItaliano
PublisherSEM
Release dateNov 9, 2012
ISBN9788897093169
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    Donne da Nobel - Massimo di Terlizzi

    donne

    Introduzione

    Quarantotto donne. Quarantotto storie di vite incredibili, una diversa dall’altra, legate da un unico filo conduttore, quello dell’eccellenza, della tenacia e della passione per la propria materia. Questo libro vuole rendere omaggio a tutte quelle donne che con le loro scoperte rivoluzionarie e il loro operato hanno cambiato per sempre la storia dell’umanità e che per questo sono state insignite dell’onorificenza più prestigiosa, il premio Nobel.

    Il riconoscimento fu istituito dopo la morte del chimico svedese Alfred Nobel, inventore della dinamite, che volle destinare l’immenso patrimonio accumulato in vita a un’alta causa. Nel suo testamento indicò che avrebbe dovuto finanziare progetti che contribuivano ad accrescere il benessere comune attraverso l’assegnazione di cinque premi. Tre di questi erano destinati a segnalare, ogni anno, gli autori delle più grandi scoperte nel campo della Fisica, della Chimica e della Medicina. Un altro era destinato a uno scrittore e il quinto a un personaggio o a un’organizzazione che avesse operato in modo particolare per la pace nel mondo e per la fraternità dei popoli. Nel 1969 fu aggiunta un’altra disciplina, l’Economia, mentre, ancora oggi, non esiste un premio dedicato alla Matematica. *

    Ogni anno il 10 dicembre (ricorrenza della morte di Nobel, avvenuta nel 1896) si celebra la cerimonia di consegna del premio, che prevede tra l’altro anche l’elargizione di circa 10 milioni di corone svedesi (pari a poco più di un milione di euro). I primi titoli furono conferiti nel lontano 1901. Due anni dopo, per la prima volta, a vincere fu una donna: la carismatica Marie Curie, figura straordinaria di una genialità che ha pochi pari. Nel giro di non molti anni portò a casa ben due Nobel, il primo per la Fisica, il secondo per la Chimica. L’ultima donna premiata, nel 2013, è stata Alice Munro. In mezzo, più di un secolo denso di cambiamenti e conquiste.

    Scorrendo le biografie si ha la percezione di quanto sia cambiata la società dall’inizio del ventesimo secolo a oggi, anche dal punto di vista dell’emancipazione femminile. Si comprende quanto sia stato complicato per le donne nate a inizio del ’900 avere accesso a un’istruzione superiore ed essere considerate dai colleghi maschi. Purtroppo, in molti settori quest’atteggiamento è più vivo che mai. In proporzione, tuttora, solo un’esigua percentuale ha ricevuto la medaglia svedese, segno che il cammino per l’uguaglianza dei sessi è ancora lungo. Molte hanno dovuto lottare duramente per affermarsi e far conoscere il loro talento, a dispetto anche della famiglia, che le voleva esclusivamente mogli e madri. Credevano in loro stesse, avevano un sogno che le spingeva a superare qualsiasi difficoltà con un’incrollabile determinazione.

    Alcune, come Rosalyn Yalow (Nobel per la Fisica) e Sigrid Undset (Nobel per la Letteratura) provenivano da ambiti familiari economicamente disagiati, ma nonostante questo, con il lavoro e il costante impegno, riuscirono a primeggiare ugualmente. Altre dovettero difendersi dal mondo prettamente misogino e maschilista dell’università (è il caso di Gerty Cori, Nobel per la Medicina, e di Maria Göppert-Mayer, Nobel per la Fisica) che le escluse da alcuni ruoli professionali considerati non femminili.

    In altri casi la spinta e la voglia di cambiare le cose venne da eventi tragici vissuti in prima persona (Mairead Corrigan, Nobel per la Pace, perse la sorella e i tre nipoti in un terribile incidente provocato da un latitante dell’Ira – esercito della Repubblica d’Irlanda, gruppo terrorista che solo nel 2005 ha rinunciato alla lotta armata). A prescindere dal loro mestiere, tutte queste donne, scienziate, scrittrici, organizzatrici o divulgatrici, dimostrano che con la perseveranza e l’apertura verso gli altri si può arrivare dove si desidera e che, come insegnava la grande Rita Levi-Montalcini (Nobel per la Medicina), " la chiave dell’esistenza umana non è l’amore, bensì la curiosità".


    [*] Oslo o Stoccolma? Nobel decise che i premi di Chimica e Fisica sarebbero stati assegnati dall'Accademia svedese delle scienze, quello per la Medicina dall'Istituto Carolino di Stoccolma, quello per la Letteratura dall'Accademia di Stoccolma e quello per la Pace da un comitato di cinque persone elette dal Parlamento di Oslo e consegnato nella stessa capitale norvegese.

    Marie Curie (Polonia)

    Nobel per la Fisica 1903

    Nobel per la Chimica 1911

    La pioniera della scienza

    Prima donna a ricevere il Nobel, prima (finora ineguagliata) a riceverne un secondo. Prima a ottenere un dottorato di ricerca e a insegnare all’università. Un record dopo l’altro. Una storia sorprendente che comincia negli ultimi 30 anni dell’800

    Marie Skłodowska nacque a Varsavia il 7 novembre del 1867. Si provi a immaginare il clima. Era la fine del XIX secolo e alle donne non era concesso avere una vita indipendente con un ruolo attivo all’interno della vita pubblica. L’unica prospettiva loro concessa era quella di essere madri e mogli e occuparsi della casa. In alcuni paesi erano considerate poco più di un elemento decorativo. L’idea poi che potessero studiare confrontandosi alla pari con gli uomini e intraprendere una carriera scientifica era inconcepibile.

    Naturalmente c’erano delle eccezioni. Marie, la più piccola di cinque figlie, convinta fin da subito a coltivare i suoi interessi, a dispetto di tutti cominciò a studiare Fisica fin da giovanissima. Elemento fondamentale fu la sua famiglia. La madre, pianista e cantante, e il padre, insegnante di Matematica e Fisica, le trasmisero l’amore per la ricerca e lo studio. Crescere in un ambiente di questo tipo è certamente un grande stimolo e Marie non sprecò l’occasione.

    Il suo processo di maturazione registrò alcune tappe fondamentali. Una delle più importanti fu la morte della madre, malata di tubercolosi, che le fece perdere la fede religiosa. " La fede non è contro la ragione, ma al di sopra della ragione" recitava San Tommaso d’Aquino. Ebbene, la giovane Skłodowska, non comprendendo il motivo di tanta sofferenza, la ripudiò. Riservò tutte le sue energie alla sua passione, la scienza.

    Voleva capire i meccanismi che regolano la vita dell’uomo, che influiscono sulla sua esistenza e su quella dell’intero mondo. In questa impresa trovò una preziosa alleata, la sorella maggiore Bronia, che voleva studiare per diventare medico. I sogni delle due ragazze si scontrarono immediatamente contro un muro che sembrava insormontabile.

    All’epoca l’Università di Varsavia era tassativamente interdetta alle donne, senza alcuna eccezione. Sia Marie sia Bronia presero una decisione dolorosa: lasciare la Polonia e trasferirsi a Parigi. La Sorbona era il loro nuovo sogno.

    La prima a partire fu la sorella maggiore. Marie si assunse un compito strategico, senza il quale sarebbero andate incontro al fallimento. Da casa, aiutava Bronia come meglio poteva lavorando come istitutrice e precettrice dei rampolli della buona borghesia della capitale polacca e inviando in Francia il denaro necessario per le tasse universitarie.

    Finalmente, nel 1892 Marie raggiunse la sorella. La situazione economica cominciò lentamente a migliorare. Non c’erano molti soldi, ma le due riuscirono a sopravvivere grazie ai primi guadagni di Bronia come medico. All’università, Marie s’iscrisse a Fisica e Matematica. Era appena entrata nel suo regno, ne sarebbe diventata la regina incontrastata seguendo l’unico metodo che il periodo storico le concedeva: lavorare sodo, più dei suoi colleghi maschi, oltre ogni limite. Il risultato? Superò brillantemente ogni esame.

    Qui trovò anche l’amore della sua vita. Divenuta una giovane donna, incontrò Pierre Curie, professore di Fisica, che da subito La affascinò con il suo carattere inusuale. Pierre, infatti, non era andato a scuola, ma era stato educato dalla famiglia. Aveva una formazione insolita e questa si rispecchiava nel suo modo di esprimersi fuori dagli schemi. Il suo interesse per la scienza era totale, come quello di Marie. Giovanissimo, aveva fatto scoperte molto importanti. Nello specifico aveva rilevato che per ogni sostanza esiste una certa temperatura al di sopra della quale si perde ogni proprietà magnetica. Tutt’oggi questa formulazione matematica ha il nome di Legge di Curie.

    Marie e Pierre, un binomio che caratterizzò la ricerca scientifica all’inizio del Novecento, si piacquero subito. Dopo solo un anno di fidanzamento si sposarono. Il viaggio di nozze lo fecero in bicicletta! Un segnale della loro eccentricità? No, una scelta legata alle loro condizioni economiche. Lo stipendio di un docente della Sorbona e di una giovane laureata non permetteva altro.

    Tornati alle faccende quotidiane, iniziarono a lavorare assiduamente insieme. Erano due menti aperte e molto, molto flessibili. Allestirono un laboratorio rudimentale, fondamentalmente una baracca di legno di pochi metri quadrati in cui si concentrarono soprattutto sullo studio delle radiazioni. All’epoca si sapeva ancora poco sull’argomento e proprio per questo rappresentava un settore scientifico particolarmente stimolante per i due coniugi.

    Nel 1885, Röntgen aveva scoperto i raggi X e l’anno seguente Antoine Henri Becquerel ipotizzò l’esistenza di radiazioni invisibili simili ai raggi X prodotte dall’uranio. I Curie adottarono quest’ultima scoperta come base della loro ricerca. La nascita della prima figlia, Irène, non li fermò affatto. Marie si dedicò all’analisi dell’uranio. Scoprì che due minerali (la torbernite e la pechblenda, contenenti uranio) erano ancora più radioattivi e che quindi dovevano contenere un altro elemento chimico fino ad allora sconosciuto. Dopo un lavoro lungo e difficile, Marie e Pierre riuscirono a isolarlo e lo chiamarono polonio, in omaggio alla terra che aveva dato i natali alla scienziata.

    Era il 1889 e nel bollettino dell’Accademia delle Scienze Pierre scriveva: " Crediamo che la sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora segnalato, vicino al bismuto per le sue proprietà analitiche. Se l’esistenza di questo metallo verrà confermata, noi proponiamo di chiamarlo polonio, dal Paese di uno di noi".

    Presto si accorsero della presenza di un altro elemento sconosciuto ancora più radioattivo. Nel 1902 riuscirono a individuarlo e lo battezzarono radio, per l’intensità delle sue radiazioni (oggi lo si usa in medicina per produrre gas radon, utile per la terapia di alcuni tipi di tumore). Pochi mesi dopo, nel dicembre del 1903, Marie e Pierre Curie ricevettero il Nobel per la Fisica. Quel traguardo non placò la loro sete di conoscenza, anzi. Ritirato il premio, ripresero il loro lavoro.

    Gli studi continuarono sino alla formulazione di ipotesi rivoluzionarie sull’esistenza di altri elementi con caratteristiche simili al polonio e al radio. Marie li chiamò radioattivi perché instabili e perché il nucleo moriva con l’emissione di radiazioni. Comprese che tale attività era un fenomeno subatomico a dispetto delle convinzioni scientifiche del periodo che assegnavano all’atomo il titolo di particella più piccola esistente. Era nata la Fisica atomica.

    Nel 1903 Marie ottenne, prima donna in assoluto, il Dottorato di ricerca. Pierre intanto era diventato professore emerito alla Sorbona. Ebbero una seconda figlia, Ève. Fu un momento particolarmente felice per la famiglia, almeno fino all’avvento del 1906, un anno tragico per la coppia. Pierre morì improvvisamente, travolto da una carrozza dopo essere scivolato sulla strada bagnata.

    Fu un colpo dolorosissimo per Marie. Le qualità intrinseche delle persone emergono proprio da situazioni all’apparenza insuperabili. Così avvenne nella scienziata. Non si arrese al fato che le aveva strappato il marito e, superata una forte depressione, si rimboccò le maniche. Decise di tornare al suo primo amore, la ricerca scientifica. Prese il posto del marito all’università, diventando così la prima insegnante donna. Anche in questo caso, però, dovette scontrarsi col muro delle sciocche convenzioni che regolavano anche la vita accademica della liberale, o almeno ritenuta tale dai suoi contemporanei, Sorbona.

    Infatti, i vertici dell’ateneo non le conferirono neanche uno degli incarichi onorifici attribuiti pochi mesi prima a Pierre. Non solo. L’Accademia delle Scienze (di cui il marito era membro) non la volle eleggere a quel soglio. La motivazione? In un documento ebbe l’ardire di sostenere che tutte le scoperte fatte erano da attribuirsi esclusivamente all’operato del signor Curie.

    Marie, come aveva sempre fatto, non si perse d’animo. Nel 1910 pubblicò il Trattato di Radioattività in cui spiegava i meccanismi con i quali era riuscita a isolare il radio e il polonio puro. Il radio (dal latino radius, raggio) era stato ottenuto, nella sua forma metallica, grazie a un processo elettrolitico che prevedeva una soluzione pura di cloruro di radio, un catodo di mercurio e la distillazione in atmosfera di idrogeno. Nel 1911 Marie venne insignita del Nobel per la Chimica. Nessuno, ora, poteva negare i suoi meriti.

    Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e dopo aver vinto due premi così importanti avrebbe potuto rimanere nella sua bella casa di Parigi, lontano dall’orrore di un conflitto di quelle dimensioni. Invece sorprese, ancora una volta, amici e benpensanti del tempo. Decise di partire per il fronte con la figlia Irène. Insieme si adoperarono per alleviare le sofferenze dei feriti. Anche in quest’occasione la genialità intrinseca nella loro famiglia emerse prepotente. Madre e figlia allestirono le celebri Petit Curie, auto attrezzate con apparecchiature a raggi X, antesignane delle attuali autoambulanze.

    Ciò che colpisce della storia di Marie Curie è sì il suo eccezionale talento, ma anche la concezione moderna che aveva della scienza. Con le sue scoperte non si è mai arricchita. Non ha mai speculato su qualcosa che riteneva dovesse essere patrimonio di tutti. Era uno spirito libero e democratico, un’anima generosa che nemmeno negli anni del conflitto mondiale si è tirata indietro.

    " Un gran numero di amici – raccontava – affermano che se Pierre Curie e io avessimo garantito i nostri diritti, avremmo conquistato i mezzi finanziari necessari per la creazione di un Istituto del Radio più che soddisfacente. Tuttavia io rimango convinta che abbiamo avuto ragione. L’umanità ha certamente bisogno d’uomini pratici che traggano il massimo possibile dal loro lavoro e che, senza dimenticare il bene generale, salvaguardino i loro interessi. Ma essa ha anche bisogno di sognatori, per i quali il prolungarsi disinteressato di un’impresa è così affascinante che è impossibile, per loro, consacrarsi ai propri benefici materiali".

    Grazie a lei si sono aperte le porte di una parte, all’epoca ancora inesplorata, della scienza. La radioattività infatti si applica ai più diversi campi del sapere, dalla medicina alla geologia, fino alle tecnologie militari. Qualche esempio concreto? Prima delle sue indagini si credeva, su indicazione della Bibbia, che la Terra avesse alcune migliaia di anni. Si scoprì invece che era molto più vecchia (qualche miliardo).

    Altro esempio, particolarmente attuale, è l’uso della radioattività nella ricerca contro il cancro. Alla fine del conflitto mondiale, Marie fondò l’ Institut du Radium, oggi conosciuto come Institut Curie, dedicato allo studio degli effetti provocati dalle radiazioni. Lo diresse fino al 1932, quando le subentrò la figlia. Ancora oggi il Centro rappresenta un’importante istituzione per la ricerca sui tumori.

    La scienziata morì il 4 luglio del 1934 di anemia perniciosa, conseguenza della lunga esposizione alle sostanze radioattive. Volle un funerale semplice e silenzioso, in un cimitero di campagna, come se la sua vita fosse stata simile a mille altre. Oggi, invece, il suo corpo giace vicino a quello del marito nel Pantheon di Parigi, tra le personalità che hanno reso grande la Francia.

    Bertha von Suttner (Austria)

    Nobel per la Pace 1905

    La baronessa della pace

    Prima donna a ricevere il Nobel per la Pace. Le sue battaglie contro la guerra sono diventate epiche. Grazie al suo entusiasmo, alla sua curiosità e al suo altruismo è riuscita a lasciare un’impronta indelebile nel cammino dell’umanità

    La contessa Bertha Sophie Felicita Kinsky von Chlinic und Tettau nacque a Praga il 9 giugno 1843, in una famiglia che rappresentava la società aristocratica di tradizione militare, molto diffusa in quel periodo nell’impero austro-ungarico. Il nonno era Capitano di cavalleria, il padre un Maresciallo di Campo, mentre la madre, una poetessa. Il suo destino, nelle intenzioni dei genitori, era andare in sposa a qualche aristocratico, meglio se di stanza alla corte di Vienna.

    Il periodo non era dei migliori per quanto riguarda l’autodeterminazione. Sul trono asburgico sedeva Francesco Giuseppe, che non era proprio un liberale. L’impero d’Austria nel 1848 era popolato da 51 milioni di abitanti (Slavi di ogni genere, Boemi, Magiari, Rumeni, Valacchi, Armeni, Greci, Zingari, Musulmani, Veneti, Lombardi, Piemontesi, Turchi) e si estendeva per circa 700.000 chilometri quadrati. Il suo debito pubblico ammontava a 2 miliardi di franchi, le sue rendite annue superavano di poco i 500 milioni di franchi. Con quelle risorse manteneva 300.000 soldati. Le inquietudini che serpeggiavano tra questi popoli non erano considerate per ciò che erano, ovvero malessere sociale, ma l’opera di associazioni più o meno segrete o sette pseudo religiose.

    Le donne, anche all’interno di famiglie considerate progressiste, avevano un ruolo di secondo, quando non di terzo, piano. Bertha, come era in uso nella buona società, studiò sotto la guida di un tutore. La sua educazione fu in linea con i tempi, molto rigida, focalizzata soprattutto su quelle materie che, secondo i suoi, dovevano esserle utili nella sua futura vita, magari a corte: lingue, musica, disegno e filosofia. Avevano, però, fatto i conti senza l’oste. La giovane contessina coltivava prospettive diverse.

    Lettrice molto vorace, aveva un suo sogno segreto: diventare una cantante lirica. Come si addiceva alle nobildonne del tempo viaggiò moltissimo per il Vecchio Continente frequentando cene e feste della nobiltà asburgica e non, ma senza avere alcuna fretta di maritarsi. Ormai trentenne, si rese conto tuttavia che non poteva più sostenersi con la rendita assicuratale dalla madre.

    Prese quindi una decisione che scandalizzò non poco il suo entourage: cominciò a cercare un lavoro. Rispose ad alcuni annunci economici sino a quando non le venne offerta la possibilità di collaborare come segretaria di un certo Alfred Nobel, allora ancora semisconosciuto chimico svedese, di stanza a Parigi.

    Quell’esperienza non sembrò, in quel momento, così importante. Assolto il suo incarico, Bertha tornò nella capitale austriaca dove divenne insegnante e dama di compagnia delle quattro giovani figlie del barone von Suttner. Fu quella la svolta della sua vita. Nella loro casa conobbe il giovane Arthur Gundaccar von Suttner, di cui s’innamorò perdutamente. Per quel sentimento, i due pagarono un durissimo prezzo.

    Prima alle loro famiglie che si opposero con tutte le forze al matrimonio, poi a loro stessi perché furono costretti a lasciare Vienna. Infatti, dopo essersi sposati, Bertha e Arthur trovarono un rifugio per il loro amore addirittura nel Caucaso, dove rimasero per ben nove anni coltivando speranze e sopportando qualche stento. La vita lì non era certo cadenzata da pranzi e cene lussuose. La costante era, anzi, una quotidiana precarietà. Bertha insegnava musica e lingue, mentre Arthur lavorava come ingegnere e dava lezioni di disegno. Vivevano la loro storia secondo il concetto più intenso dell’amore romantico tipico dell’800, ricco di furore creativo e passione, di una elevata intensità sentimentale.

    Lei cominciò a interessarsi alla scrittura trovandola un mezzo efficace di espressione e diffusione delle sue idee. Interpretò l’attività letteraria non come una piacevole evasione, come una fuga dalla realtà, ma come un approfondimento della sua esperienza quotidiana. I risultati non tardarono. Nel libro Inventaruim einer Seele (Inventario di un’anima) raccolse i pensieri suoi e del marito in merito a scrittori e filosofi. Per la prima volta espresse la concezione di una società il cui progresso doveva avere come fondamento il raggiungimento della pace.

    Migliorati i rapporti con la famiglia Suttner, la coppia tornò in Austria. Bertha continuò a scrivere. Si dedicò totalmente alla letteratura sociale. Non solo. Fece proprie le idee dell ’International Arbitration and Peace Association di Londra, fondata da Hodgson Pratt (un’organizzazione che si batteva per la soluzione diplomatica dei conflitti).

    La vita della baronessa e del marito conobbe una svolta. Entrambi i coniugi rimasero affascinati da questa e da altre associazioni simili presenti nel continente, poiché rispecchiavano il loro ideale di società. In quel periodo, in Europa nascevano i primi movimenti pacifisti, alimentati dalle denunce di Henry Dunant sulle sanguinose stragi della guerra di Crimea. A un’analisi storica, la sua opera acquista ancora maggior valore se si pensa che Bertha viveva, anche se ai margini, nella corte di un impero colonialista che voleva espandersi nei Balcani.

    Tornata a Parigi, incontrò nuovamente Alfred Nobel e lo mise al corrente dei suoi progetti. Lo scambio di idee fu proficuo. Per la prima volta il chimico svedese rese pubblico il suo desiderio di finanziare, con gli immensi ricavi prodotti dall’invenzione della dinamite, un premio da destinare alle eccellenze nel campo delle scienze.

    Nel 1889, Bertha pubblicò Das Maschinenzeitalter (L’epoca delle macchine), testo che criticava aspramente molti aspetti della società del tempo e metteva in guardia dai nazionalismi e dalla corsa agli armamenti. L’opera successiva, Die Waffen nieder! (Abbasso le armi!), pubblicato nello stesso anno, era invece il racconto di una storia d’amore che s’intrecciava agli orrori della guerra. Nella sostanza, una vibrante condanna di ogni conflitto che suscitò uno scalpore mondiale, tanto da essere tradotta con successo in molte lingue.

    I riconoscimenti furono unanimi. Lev Tolstoj le scrisse: La pubblicazione del vostro libro è per me un buon segno. La capanna dello zio Tom ha contribuito all’abolizione della schiavitù. Dio faccia sì che il vostro libro serva allo stesso scopo per l’abolizione della guerra.

    Nel 1891 avviò La Società austriaca per la Pace, ne divenne presidente e fu la coordinatrice del primo congresso internazionale. Solitamente a questi incontri la presenza di una donna destava curiosità e sorpresa. Bertha era una signora che, sola tra tanti uomini, aveva una straordinaria passione e coraggio nel manifestare idee così lontane dal sentire dell’epoca. Ovunque andasse suscitava sentimenti contrastanti. Diceva che: La pace dovrebbe essere l’unico sforzo di tutte le donne. Se ognuna si prodigasse su questa via, il mondo prenderebbe in breve tempo un’altra direzione.

    I militari, naturalmente, contestavano il suo pacifismo "inetto e traditore". La definivano la strega della pace, mentre la stampa maschilista la immortalava in vignette satiriche di cattivo gusto. Lei non si fece intimidire. Si impegnò ancora di più. Le donne non staranno zitte. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro stesse, divenne questo il filo conduttore della sua vita.

    Costituì quindi un fondo per la realizzazione dell’Ufficio della Pace a Berna e fondò insieme al giornalista Alfred Fried (vincitore del Nobel per la Pace nel 1911) il quotidiano Die Waffen Nieder in cui commentava fatti d’attualità.

    Nel frattempo teneva Alfred Nobel costantemente informato sugli sviluppi del suo operato. Insieme al marito, che fu sempre un suo grande sostenitore, s’impegnò nell’organizzazione della Conferenza dell’Aia del 1899, voluta dallo zar, in cui i governi europei si adoperavano a porre le basi per una Corte permanente di arbitrato, embrione di una ipotetica Corte di Giustizia europea.

    Nonostante il dolore causato dalla perdita del marito avvenuta nel 1902, decise di continuare il suo lavoro, come lui stesso le aveva pregato di fare. Viaggiò molto tenendo discorsi in Europa e Stati Uniti per diffondere il suo messaggio. Nel 1904 partecipò al Congresso mondiale per la pace di Boston e fu ricevuta anche da Theodore Roosevelt. Ebbe un ruolo chiave nel Comitato d’Amicizia Anglo-Tedesco e denunciò i pericoli della militarizzazione della Cina e dello sviluppo dell’aereonautica come strumento militare. L’Europa è una, sosteneva la baronessa.

    Per lei l’unità era il solo modo di scongiurare un conflitto che avrebbe sconvolto, come poi avvenne, il Vecchio Continente. Criticò duramente l’Italia per la conquista della Libia. Il suo cruccio era il pericolo di una guerra che contagiasse il mondo. Nel 1912 pubblicò L’imbarbarimento dell’aria in cui sosteneva la necessità della nascita dell’Unione europea come unico rimedio ai suoi timori.

    Nel suo testamento Nobel ricordò con affetto la Suttner, designandola Friedensfreitstragerin, ovvero colei cui spettava per impegno e volontà il premio per la Pace. Bertha sarà insignita di tale riconoscimento nel 1905, divenendo insieme ispiratrice e prima donna a riceverlo. Già gravemente malata di cancro, le venne attribuito il titolo di generalissimo del movimento pacifista. Morì nel 1914, due settimane prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, catastrofe contro cui aveva sempre combattuto. Le sue ultime parole furono Giù le armi, giù le armi! Ditelo a tutti.

    Le idee di Bertha von Suttner sono state fonte d’ispirazione per innumerevoli istituzioni mondiali per la cooperazione e il mantenimento della pace. Una donna d’ideologia moderna, straordinariamente umile e intelligente, che aveva compreso come la pace fosse l’unico reale mezzo di progresso nel mondo. Nel 2001 l’Austria ha scelto di riprodurre sulla moneta da 2 euro il suo ritratto.

    La pace è il più grande dei benefici, o meglio l’assenza della maggiore fra le sciagure, è [...] l’unica condizione che permetta agli interessi della nazione di prosperare è il messaggio che

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