La scelta di Lorenza
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Book preview
La scelta di Lorenza - Giulia Volpi Nannipieri
L’autrice
Prologo
Paolo pronunciò ‘sì’ ad alta voce. In quello stesso momento gli sembrò che la chiesa si fosse svuotata di tutti i fedeli, si fosse spogliata di tutti i suoi ornamenti. Esisteva soltanto, inginocchiata alla sua destra, una figura vestita di bianco, verso la quale il sacerdote si era rivolto. Perché quella figura taceva? Pensò terrorizzato: ‘Che cosa succede? Perché non risponde?’ Ma ecco che sentì una voce lontana, esile, quasi irreale. Lorenza aveva detto ‘sì’. Il cuore gli rimbalzò, improvvisamente leggero, nel petto.
Da un quarto d’ora rispondeva alle domande che gli venivano rivolte, senza rendersi ben conto di quello che diceva e di quello che faceva. Gli pareva di vivere fuori dal mondo. Aveva infilato l’anello nuziale nell’anulare della mano di Lorenza, e lei aveva fatto altrettanto. Il sacerdote li aveva benedetti, pronunciando parole in latino che Paolo non comprendeva. Sapeva solo che per tutta la vita sarebbero stati marito e moglie.
Per tutta la vita?
‘Forse non mi ama’ pensò, facendosi il segno della croce al momento della benedizione. Poi implorò ‘Signore, fa’ che mi ami… che mi ami per sempre. Non mi basta che mi voglia bene, fa’ che mi ami.’
Si girò verso la moglie. Trattenne un gesto di tenerezza, intrecciando le dita con forza. Le mormorò semplicemente: Ti adoro.
Lei sorrise tra le pieghe del velo bianco che l’avvolgeva come in una nube.
‘Perché non dovrebbe amarmi?’ pensò ancora Paolo, porgendo la mano a Lorenza. ‘Perché?’
Firmò il registro dei matrimoni con bella grafia falsando completamente la sua firma abituale, quasi illeggibile. Quella di Lorenza, sottile e leggera, pareva una linea retta. Anche quella non gli piacque: ‘Troppo modesta.’ Era così inquieto che quasi si sentiva male.
Per fortuna siamo alla fine…
disse sottovoce alla suocera che lo guardò come si guarda uno che sragiona.
Perché?
gli chiese.
Non lo so, mamma. Ho bisogno di star solo con Lorenza, la gente mi disturba.
Arrossì perché temette un’errata interpretazione delle sue parole.
In carrozza, seduto accanto a Lorenza, la sua ansia si acquietò.
Sei contenta?
le domandò, prendendole una mano. Sentì fra le dita l’anello matrimoniale, e sorrise, rassicurato.
Certo…
M’è piaciuto molto il discorso di don Piero
la interruppe lui, ripensando alle esortazioni alla fedeltà e all’amore che il sacerdote aveva rivolto a entrambi.
Anche a me
disse Lorenza. Verso la fine avevo la gola chiusa per l’emozione.
Vorrei sapere se mi ami…
La sua ansia aveva avuto il sopravvento.
Sono tua moglie e mi sono sposata… per amore
rispose lei, dopo una lievissima esitazione. Aveva avuto paura, per un momento, d’essere contagiata dalla stessa agitazione che sembrava avesse catturato il marito.
Grazie.
Quando arrivarono a casa, la mamma di Lorenza avvertì che s’era fatto tardi, che dovevano cambiarsi in fretta e partire subito per arrivare a Ginevra prima che facesse buio.
Ma il rinfresco, i parenti… gli invitati…
protestò Lorenza che ci teneva a fare la sposina, specialmente davanti alle cugine.
Lascia stare invitati e parenti. Ti scuseranno. Preferisco sapervi arrivati che è ancora giorno, piuttosto che immaginarvi in viaggio sulle Alpi di notte. Che ne pensi, Paolo?
Sarò pronto in dieci minuti
rispose lui allegramente, e abbracciò la suocera, sua complice in quella fuga.
Lo so
ribatté la signora. Se affrettava la partenza della figlia, lo faceva unicamente per rasserenare l’umore inquieto di Paolo. Voleva che Lorenza vivesse un sereno inizio di vita matrimoniale. Mise un braccio attorno alle spalle della sposa e la sottrasse all’assalto dei parenti.
Sorveglia Paolo che non corra troppo
raccomandò aiutandola a togliersi l’abito bianco. Oggi per lui è una giornata eccezionale, ma è nervoso…
Si abbracciarono senza dire più nulla. E quando scesero nel salone dov’erano radunati gli invitati, tutte e due avevano le lacrime agli occhi.
Che cosa c’è?
chiese il papà andando incontro alla figlia Non sono più di moda le lacrime il giorno del matrimonio.
Hai ragione… Ma è più forte di me.
Un brindisi, almeno…
pregò sua zia, che senza chiedere il permesso a nessuno aveva preparato un aperitivo.
Grazie, no
rifiutò Paolo. Devo guidare e voglio avere le idee chiare.
Lorenza uscì in giardino. Indossava un abito a giacca blu che destò l’invidia delle cugine più dell’abito bianco da sposa.
Lorenza prese un fazzoletto e lo agitò nell’aria. Voleva salutare i suoi genitori sino all’ultimo momento. Uscirono dal cancello della casa dove lei abitava da nubile. Prima di arrivare all’incrocio successivo, disse al marito: Salutali… salutali anche tu.
Paolo si girò e sollevò la mano. Sorrideva.
L’urto fu improvviso. Lorenza credette, in un primo tempo, che qualche cosa le fosse piombato addosso dal cielo. Poi le giunse un’eco confusa di grida e di pianti. ‘È finita!’ si disse. Poi chiamò il marito, ma non sentì la propria voce. Precipitò quindi in una voragine senza fine, con l’idea che quella fosse la via scelta per lei perché salisse al cielo.
Cap I
Quando si riebbe, era nella sua camera, distesa nel suo letto, immobilizzata. Era sola. Le persiane chiuse lasciavano entrare una vaga luce crepuscolare. La madre entrò nella stanza, si avvicinò al letto e si piegò su di lei. Lorenza finse di dormire. Voleva rendersi conto di quello che era accaduto, senza pietose menzogne.
È tutto finito
disse una voce che Lorenza riconobbe subito. Era entrato il padre. In punta di piedi si era avvicinato alla mamma. Entrambi piangevano. Ci sono i fratelli che vorrebbero salutarti.
‘Fratelli di chi?' pensò Lorenza, rialzando leggermente le palpebre. Il padre era vestito di scuro, e la madre indossava il vestito di maglia nera che andava bene per i funerali.
Vengo subito…
disse la mamma asciugandosi gli occhi. E uscì col papà.
Lorenza girò il capo verso la finestra. ‘I fratelli?’ I fratelli di Paolo, certamente… ‘Ora capisco, mio Dio…’ Voleva piangere, ma non ci riuscì. ‘È colpa mia. Sono stata io a dirgli di salutare e lui s’è voltato senza più guardare la strada.’
Come si fa a dirglielo?
sentì la voce della madre che stava rientrando seguita da qualcuno.
Se non chiede nulla, è meglio tacere per ora.
Lorenza si voltò verso la porta e sorrise. La madre accorse al suo capezzale.
Come ti senti… come ti senti?
Non lo so… Bene… credo. Le gambe non vanno benissimo…
Guardò lo sconosciuto e chiese: Chi è?
Il dottore… il dottore.
Che cos’è che non sapete come fare a dirmelo?
domandò.
Nulla d’importante, lei deve pensare solo a guarire.
La ragazza tacque per un momento, poi disse ad alta voce, lentamente, come se qualcuno parlasse al suo posto e lei ascoltasse: Lo so che cosa volete dirmi. Si tratta di Paolo… quanto tempo è passato dall’incidente?
Tre giorni.
Paolo ha detto qualche cosa… qualche cosa per me…?
Non ha potuto dir nulla…
la madre cominciò a singhiozzare.
Lorenza si sentì soffocare. Era disperata. Cominciò a sudare. Svenne.
Troppo scossa e ancora troppo debole per sopportare un dolore così grande
disse il medico. Conviene lasciarla sola a riposare.
Lorenza riaprì gli occhi.
Scusatemi
disse sono ridotta male…
Zitta…
ordinò il medico. Nemmeno una parola finché non lo permetterò io. Mi ascolti solo. Deve nutrirsi, anche se non ne ha voglia, deve dormire, deve dormire per forza… magari con un sonnifero… e non deve pensare. A nulla e a nessuno. A qualunque cosa pensi, i suoi pensieri non possono rimediare nulla. Ritornerò domani… Ha capito quello che le ho detto?
Sì.
Ubbidirà?
Tenterò.
Così va bene.
L’accarezzò sui capelli e uscì seguito dalla madre.
Lorenza tentò di muovere le gambe. L’immobilità la terrorizzava. Le gambe si rifiutarono di ubbidirle. Fu colta dalla disperazione e si morse le labbra per non gridare. ‘Non potrò più camminare…’ pensò. ‘Passerò tutta la vita a letto o su una poltrona. Meglio morire, mio Dio, meglio morire… voglio morire.’
Due grosse lacrime si formarono agli angoli degli occhi e ricaddero sul guanciale. Erano lacrime di pietà, per se tessa. Soffocò i singhiozzi. Ancora non si rendeva conto con precisione del suo stato. Fu assalita dal pensiero di Paolo, di Paolo che non c’era più. Allora pianse in silenzio.
Sentì dei rumori attraverso la porta rimasta aperta. Gente che mormorava, gente che salutava, gente che se ne andava.
‘I fratelli se ne vanno e non chiedono nemmeno di vedermi… Non volevano che sposassi Paolo… Se Paolo avesse sposato un’altra, forse non sarebbe accaduto quel che è accaduto.’ Scosse il capo per liberarsi del peso di quella responsabilità che a tratti la faceva impazzire e che la schiacciava.
Entrò la madre. Va meglio…?
le domandò. Se ne sono andati tutti, finalmente.
Distese il risvolto del lenzuolo con un gesto leggero. Hai sonno?
No… Ti dispiace portar via quel mazzo di rose?
Credevo che le rose ti piacessero.
Non è per le rose… ne avevo un mazzo in macchina. Quando ho perduto i sensi, nel momento dell’urto, m’è rimasto in gola il sapore delle rose schiacciate.
Oh, scusami, non potevo immaginare…
Sono passati tre giorni soltanto
disse e il mio matrimonio mi pare così lontano… l’abito bianco e Paolo… Dove l’hanno portato?
Il dottore ha detto che non devi pensare, che devi soltanto dormire
fu la risposta. I suoi parenti lo hanno voluto portare al loro paese…
Perché non hanno chiesto il mio permesso? Non conto proprio nulla io?
Che cosa vuoi contare… di fronte a gente che s’è occupata subito di tutto meno che di piangere? L’importante sei tu… tu devi a poco a poco ritornare a vivere.
È difficile.
Ma è possibile.
A un tratto Lorenza sollevò il capo e guardò per qualche momento la madre senza dir nulla.
Che cosa c’è?
le chiese lei.
Le mie gambe… non sento le mie gambe
sottolineò Lorenza, temendo che la madre confermasse tutte le sue sensazioni negative.
Il dottore ha detto che per il tuo compleanno potrai alzarti.
Ne sei sicura?
domandò dubitando della sincerità della risposta.
Ti reggeranno benissimo e potrai saltare e correre come prima.
Lorenza sospirò, l’incubo forse si sarebbe dissolto.
Ora voglio dormire, mamma…
Ma non dormì, né durante il giorno, né durante la notte. S’addormentò dopo ventiquattro ore di vaneggiamenti. A quelle prime ore di semi incoscienza seguirono giornate di incubi, di visioni di Paolo morto, di lei bloccata su una sedia a rotelle. Sentiva l’odore del sangue, il profumo delle rose schiacciate. Le facevano venire la nausea. Un pensiero la tormentava: ‘Paolo è morto per causa mia.’ Delirava.
Il tempo è il miglior medico, anche delle peggiori malattie. Anche dei peggiori tormenti.
Dopo due mesi di sofferenze indicibili, come promesso, il giorno del suo compleanno Lorenza si alzò dal letto. Non si reggeva bene in piedi, ma poteva muovere qualche passo, appoggiandosi ai mobili. L’estate stava finendo. Un acquazzone caduto il giorno prima aveva portato via il caldo afoso di agosto. Il giardino di casa ne aveva beneficiato. Scese la scala afferrandosi alla ringhiera e s’affacciò all’aperto. C’era il sole! Barcollando, giunse fino alla poltrona di vimini che la madre le aveva preparato sotto il pergolato. Si sedette e chiuse gli occhi. Aveva portato con sé un libro, ma non aveva alcuna voglia di leggerlo. Desiderava soltanto rimanere sola. Guardò la strada oltre il pergolato verso l’incrocio maledetto e si disse: ‘Siamo partiti per un viaggio di nozze che è durato due minuti.’
Durante le ultime giornate trascorse a letto, era riuscita a soffocare dentro di sé la disperazione. S’era rassegnata al suo destino e al tormento indistruttibile d’un rimorso che era impossibile cancellare. Un rimorso cupo, segreto, sordo che la rodeva alle radici.
Ti sei affaticata? Sei scesa da sola? Chi ti ha aiutata a venire fin qui?
Nessuno, mamma. Sono scesa da sola.
Dopo qualche settimana di sole al Lido di Venezia, sarai perfettamente guarita, ha detto il dottore. Sabbia e sole. Ti sentirai rinascere.
Non ho nessuna voglia di lasciare Milano per andare a Venezia, mamma. A Venezia dovevo andarci con Paolo…
Non importa che tu non abbia voglia di muoverti da Milano, proprio non importa. Tu e anch’io abbiamo un solo dovere, ubbidire al dottore. E ubbidiremo.
Le sistemò i cuscini dietro le spalle.
Hanno telefonato le tue amiche
le svelò Gianna. Vorrebbero venire a trovarti.
Preferisco non vedere nessuno. Non voglio che mi guardino con finta compassione. Mi faccio abbastanza compassione da sola…
Ti vogliono bene fin da quando eri bambina
insistette la mamma. Forse, una loro visita potrebbe distrarti un poco.
Non ho bisogno di distrazione, e non desidero vedere persone che mi vogliono bene. Paolo mi adorava, e Paolo non c’è più. Meglio non volermi bene…
Ma tu che c’entri?
La domanda rimase senza alcuna risposta.
Vorrei andarmene…
disse Lorenza, scrutandosi le mani con attenzione, come se non le conoscesse. …Vorrei vivere lontano, molto lontano da tutto e da tutti… per qualche tempo. Se resterò qui non potrò mai dimenticare… mai…
Capisco…
mormorò la madre. Ma non capiva. E lo dimostrò. Dopo due settimane di pace al Lido, a Venezia, lontana da tutto, ti sembrerà di rivivere.
No. Non si tratta di una sosta a Venezia dove tu possa o debba accompagnarmi. Voglio andare lontano…
fece un ampio gesto con il braccio lontano… oltre il mare.
Che idea! E se non t’accompagno io, chi può accompagnarti?
Nessuno, voglio partire sola.
‘È impazzita’ pensò Gianna già in preda all’ansia. ‘Sola, lontano, addirittura oltremare, lei che non s’è mai mossa da casa…’ ma non disse nulla per non provocare la reazione della figlia.
Questo non lo capisco
sottolineò dopo qualche minuto di silenzio, stringendosi nelle spalle e abbracciandosi come se volesse difendersi da un pericolo.
Eppure non è difficile.
Ma non lo capisco ugualmente. Adesso non dobbiamo parlare di progetti futuri. Abbiamo tanto tempo per riprendere questa conversazione…
D’accordo
approvò Lorenza.
Inattesa, entrò nel giardino una giovane ragazza. In mano aveva una valigia. Si fermò in mezzo del viale, senza avere il coraggio di proseguire. Lorenza non la riconobbe, poi le fece cenno di avvicinarsi. Solo quando le fu accanto, capì chi era.
Sei Nina, vero? Ti avevo dimenticata. Di chi è quella valigia?
È mia, signora.
Lorenza sentì un colpo sordo. Il cuore le prese a martellare il petto. ‘Signora!’ Per quindici giorni prima del matrimonio, la madre aveva voluto che Nina, la cameriera di Lorenza, la chiamasse ‘signora’ per evitare che, dopo sposata, la chiamasse ancora ‘signorina’.
Cosa stai facendo?
Nina porse a Lorenza un mazzo di chiavi.
Sua madre mi ha licenziata… me ne torno al mio paese. Lei non ha più bisogno di me… e non ho trovato un altro lavoro, e poi… dopo quello che è accaduto, preferisco tornare a casa.
Intervenne la mamma, rossa in volto per la confusione.
Mi sono permessa
si difese, incerta senza chiedere la tua autorizzazione… Mi sembrava una spesa inutile. L’appartamento è chiuso, tu abiti con noi… Allora…
Capisco…
Il viso di Lorenza si rabbuiò.
Secondo le decisioni che prenderai… Nina potrebbe tornare, chiamandola… vero?
la madre cercò l’approvazione della domestica, che non arrivò.
Non lo so
rispose brevemente la ragazza che non perdonava ancora il licenziamento ricevuto per interposta persona.
Lorenza rifletté per qualche secondo. Poi si rivolse alla madre: Ti dispiace se Nina rimane al mio servizio ancora per un mese? Ho bisogno d’una cameriera.
Se acconsente a rimanere, per me… non ci sono problemi, ma non capisco che cosa intendi fare.
Certamente, signora, rimango
si affrettò a dire Nina. E aggiunse guardando negli occhi Lorenza: Lo faccio solo per lei.
Riprendi le chiavi, allora. E prepara la mia camera. Da domani, verrò ad abitare nel mio appartamento.
Quando madre e figlia rimasero sole, tra di loro calò il silenzio. Tutte e due sapevano che quello strappo era irrimediabile. Entrambe avevano voglia di piangere. Ma riuscirono a ricacciare indietro le lacrime.
Vuoi andare ad abitare in quell’appartamento?
È la mia casa, mamma, la casa che tu e papà mi avete regalato per il mio matrimonio. Voglio provare a diventarne la padrona, voglio provare a vivere in una casa mia.
Sola? Non potrai resistere.
Chi lo sa? Può darsi che mi abitui alla solitudine.
Ma non rinunceremo a Venezia…
aggiunse la madre. Era convinta che quel breve soggiorno al mare fosse la sola ancora di salvezza alla quale era possibile aggrapparsi. Avrebbe portato entrambe in salvo?
Lorenza si alzò. La madre si mosse per aiutarla.
"Grazie, non occorre. Posso camminare da sola. Voglio camminare da sola."
Arrivò fino al cancello, senza barcollare e senza appoggiarsi alle piante. Le gambe si comportavano bene, nonostante l’indolenzimento dei muscoli. Gocce di sudore le imperlavano la fronte e le inumidivano le mani. ‘Ora cado, ora cado…’ pensò, ma non cadde. Non volle cadere. Si afferrò alle sbarre del cancello con tutte e due le mani e guardò fuori.
La madre gioiva e si disperava. La figlia ricominciava a camminare, a camminare da sola, ma era pronta ad andarsene, chissà dove e chissà per quanto tempo.
È vero che vai ad abitare nell’appartamento?
le domandò la vecchia cameriera quando Lorenza rientrò in casa.
È vero, Lisa. Faccio male?
Lisa guardò verso la porta per assicurarsi che nessuno la potesse sentire, poi si avvicinò a Lorenza: Fai benissimo
le disse. È la tua casa. Sei sposata. Prova a essere la signora Lelli per qualche tempo.
Grazie, Lisa.
Non dire alla mamma che ti approvo. Ho sentito quello che avete detto, e immagino quello che tua madre pensa. In fondo la capisco. Credi che mi faccia piacere saperti sola in un appartamento dove dovevi essere felice con tuo marito e dove vivrai con una cameriera che ancora non ti conosce? Non mi fa piacere. Ma è bene che tu provi.
Qualunque sia il risultato della prova, non tornerò mai più qui.
Ci sei stata tanto male?
Sono stata felice, ma devo camminare da sola. Ho il dovere di pensare col mio cervello e di vivere secondo la mia volontà. Sarà difficile, ma proverò.
Possedeva abbastanza denaro per vivere senza chiedere aiuto a nessuno, abbastanza per realizzare il progetto del suo viaggio. Certamente non la sgomentava l’idea di lavorare, se fosse stato necessario.
A tavola Gianna cercò di evitare l’argomento ‘voglio andar via, sola, al di là del mare’ per