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Un lunedì senza ombrello
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Fino a che punto una donna ferita può sopportare il dolore senza reagire? Paola si ritrova sola e senza sapere perché. Federico l’ha lasciata, a Natale, sostenendo che ormai il loro rapporto è naufragato nell’abitudine e che entrambi meritano qualcosa di meglio. Non dice altro a lei e non dice nulla alla propria famiglia. Semplicemente se ne va e nessuno sa più niente di lui. Paola non si è ancora ripresa quando scopre di essere incinta. Ferita, arrabbiata, disillusa, decide di non portare a termine la gravidanza. Non sopporta di avere in sé una parte di Federico né di metterla al mondo. Solo a seguito di un incidente comprenderà che quel bambino ha un valore indipendente dalla relazione appena conclusasi. Quello che ancora le sfugge è la scena (sognata? immaginata? ricordata?) di lei che brandisce un martello e fa capire a Federico, finalmente, come si sente una donna ferita.
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Un lunedì senza ombrello - Susanna Trossero
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Un lunedì senza ombrello
Susanna Trossero
Una nebbia suggestiva avvolge e strangola la via che porta a casa, rendendola quasi sospesa nel nulla. I passi sul selciato sono reali, ma ogni contorno galleggia morbidamente in questo grigio quasi gommoso. È come se Roma, stanotte, fosse stata inghiottita dal mistero di un’epoca sconosciuta, e non mi stupirei se incontrassi in pieno 2014 un gentiluomo con cilindro e mantello, di rientro da un incontro clandestino.
Non c’è luogo né tempo in queste notti senza luna; mi illudo che tutto si fermi, che non sia solo suggestione, o che il Tevere possa rapire ogni male trascinandolo sul fondo del suo letto per non riportarlo mai più in superficie.
Cigola, il portone, e nell’androne si respira muffa e fiori in agonia; salgo i vecchi gradini di marmo logorati dagli anni, riflettendo su quante e quali storie racconti ogni più piccolo angolo – palazzo – balcone – marciapiede o via della città eterna. Quante di queste storie invece non sono mai state raccontate? La mia, per esempio, che non è residuo di antiche civiltà né testimonianza di grandi uomini, bensì una delle tante che restano celate dalle finestre chiuse. A chi mai potrebbe interessare, se annoia gli stessi protagonisti?
Ho vagato da sola nella notte a cercare risposte, ma la nebbia ha fatto sì che non le vedessi e sono ancora qui, più confusa di prima, sul divano di casa che ha uno strappo nascosto e mal ricucito.
Se solo lo volessi, tutto sarebbe più semplice: ogni cosa al suo posto, un posto per ogni cosa. Ma dovrei io essere più semplice, e il non riuscirci è la mia dannazione, ora più che mai.
Mi basta l’assenza del tuo ombrello a ricordarmi che te ne sei andato: non eri la parte di me migliore, il completamento della vita, la metà che tutti ci affanniamo a cercare. Non eri il valore aggiunto, eppure sei la mia mutilazione perché ti eri trasformato – nel tempo – nel mio punto fermo, quello che si crede eterno e immortale. E ora sei eterno e immortale per qualcun’altra. Lo so, dovrei esserne sollevata, eppure vederti andar via, è stato come aver freddo e non trovare nulla che funga da riparo: una coperta, un cappotto, qualcosa con cui avvolgersi o rannicchiarsi, a cancellare il brivido, a mitigare il disagio.
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