Sotto il cappuccio
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Quando la cittadina, all’alba del giorno dopo, si risveglierà dai bagordi, il corpo senza vita di un appartenente alla neo razza dominante degli zombi viene rinvenuto in strada con la testa fracassata da un colpo di mazza. È la prima vittima del Golfista.
Hot Dog è un licantropo con deficit d’apprendimento, The Owl una spia col vizietto delle lettere anonime, Scott Mulder un agente dell’Fbi decisamente azzimato, Manitù Smith un pellerossa direttore di quotidiano che tuttavia non disdegna di ospitare sul proprio giornale la voce dei visi pallidi, Christo Cobb uno scrittore in odore di premio Nobel e Little Tony Manero è il capo dell’ala perdente dei Pilgrim Fathers Fans. In mezzo a questi ed altri strambi personaggi sono costretti a muoversi lo sceriffo Bad Fatty e il suo Vice Miami. Loro il compito di scoprire chi si cela sotto il cappuccio del colpevole.
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Sotto il cappuccio - Pierluigi Felli
AUTORE
PROLOGO
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All’inizio erano tutti la stessa immondizia: truffatori, rapinatori, spacciatori di droga, estorsori, usurai. Poi hanno deciso di prendere ad ammazzarsi gli uni con gli altri, dividendosi di conseguenza in clan malavitosi. E nacque così la raccolta differenziata.
La venuta alla luce di un nuovo e ben diverso clan ˗ anzi klan ˗ fu dovuto quindi non solo ad una volontà ecologista, diciamo così, ma anche all’esigenza di rigenerare il Paese e di riscattare la razza bianca dall’umiliante condizione in cui era precipitata negli ultimi anni.
L’onore è come il falco. A volte ha bisogno del cappuccio.
Immaginate il pianeta Terra in un prossimo futuro.
Problemi di sovrappopolazione e di invecchiamento avranno di sicuro prodotto le conseguenze già immaginate dall’economista e filosofo inglese Malthus nel 1815, proprio quando i rappresentanti di tutti gli Stati europei erano in congresso a Vienna, nel suo Saggio sulla rendita. Teorie che tuttavia non allarmarono nessuno e vennero condivise nei secoli successivi solo da pochi illuminati.
I cinque continenti che nel 1870 venivano calcati complessivamente da un miliardo di persone ne hanno progressivamente ospitate: il doppio nel 1920, quattro miliardi nel 1970, otto nel 2020 e sedici nel 2070. Gli Stati più avanzati del pianeta, dunque, in ragion del fatto che la popolazione mondiale raddoppiava ogni cinquant’anni esatti, si sono visti costretti, di conseguenza, a porre dei rimedi per non subire il collasso totale e finale. Mentre le migrazioni partivano in gran parte dall’Africa, dove l’età media degli abitanti si era attestata sui venti anni, per raggiungere l’Europa, Continente Vecchio per antonomasia, nel quale il maggior numero degli esseri umani aveva quasi cinquanta primavere sulle spalle, le tecnologie più avanzate furono chiamate a risolvere il problema di rendere completamente abitabili zone pressoché deserte da secoli, quali in particolare la Terra del Fuoco, i Poli, il Nord˗Est del Canada, l’Alaska, la Groenlandia, la Siberia e il Sahara.
Nel frattempo, però, le razze avevano preso a combattere tra di loro.
Alcune, nel corso del XXI secolo, si sono quasi del tutto estinte; altre si sono spostate; altre ancora si sono rafforzate; mentre una o due, per resistere, per tenere botta, si sono viste costrette a mutare, ad adattarsi. A sopravvivere come i camaleonti nel mondo delle serpi.
Da Palusville, nella Florida, dove sono accaduti i fatti che stanno per essere raccontati, la razza negra era scomparsa da quando i loro componenti, i Neri appunto, decisero di raggiungere luoghi che più gli si confacevano quanto a compagnia e ad opportunità lavorative. Stranamente non si registrarono violenze statisticamente rilevanti e anche i traumi ricevuti dai singoli a causa dello sradicamento dal nido furono limitati nel numero. Al contrario, quasi tutti i movimenti furono soltanto il frutto di una contagiosa influenza che i primi a partire trasmisero agli altri fratelli che li avrebbero seguiti nel cammino e raggiunti nelle varie destinazioni.
Quanto invece agli amerindi Seminole, ai cosiddetti Rossi, va ricordato che costoro erano stati quasi interamente cancellati dalle mappe già da un paio di secoli. Benché vantassero con orgoglio il fatto di non essersi mai formalmente arresi ai Bianchi ˗ il loro capo più famoso, Manetola, si rifiutò sempre di firmare trattati (forse però anche a causa del conclamato analfabetismo che lo attanagliava) ˗ nella sostanza si erano lasciati morire o al più andare, rinchiudendosi nelle poche riserve sparpagliate anche negli Stati limitrofi, concentrando quindi tutte le loro energie residue nelle danze tribali, nelle esibizioni di lacrosse, sport di cui si parlerà in questa storia, e in qualche fumata di gruppo col calumet ad uso e consumo dei turisti paganti. Solo alcuni riuscirono a far soldi con l’apertura e la gestione dei casinò, ma anche tale attività non poté certo far risvegliare in loro né la fierezza né la coscienza di appartenere ancora ad un popolo che era stato guerriero e che mai si era fatto domare dalle armi, dalla civiltà e dal progresso dei Bianchi invasori. A Palusville ne sopravvivevano alcuni rappresentanti, circa mezzo migliaio, per lo più solitari, dediti all’alcolismo e al mendacio.
Anche i Bianchi di razza caucasoide, lì stanziatisi sin dal diciottesimo secolo a seguito delle prime migrazioni di gente ispanica proveniente dall’Europa, hanno visto ridurre la loro leadership ad alcuni campi, lasciando diversi settori della vita produttiva e sociale dello Stato in mano ad altri. Ai Bianchi, ad esempio, è rimasta la gestione della Sanità, della Giustizia e dell’Istruzione, mentre quella relativa alla Finanza, all’Economia, all’Ambiente, all’Urbanistica e allo Sport è passata di mano, è controllata da una neo razza, dominante ed interamente composta da un’accozzaglia, un guazzabuglio, un minestrone, una paella, o ancor meglio un pot˗pourri (letteralmente putrida pentola) di individui chiamati dall’uomo di strada semplicemente Zombi.
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I.
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La festa scoppiò a metà pomeriggio. Era giugno inoltrato, il sole ancora alto, a Palusville, quando la locale squadra di lacrosse, i Pilgrim Fathers, avevano appena vinto l’ultima partita di campionato, quella per l’accesso nella massima serie.
Il lacrosse, uno sport violento a metà strada tra l’hockey su prato e il football americano, rappresentava l’ultimo ricordo della popolazione residente di ciò che c’era prima dell’arrivo dei coloni pionieri. Quando in palude viveva soltanto la nazione dei Seminole, dedita alla coltivazione del mais, alla caccia, al baratto e appunto al gioco del lacrosse. In fondo, per realizzare una partita, bastava un campo incolto, quattro pali e una certa abilità manuale nel costruire le racchette, con annessa retina per catturare la pallina ˗ o le farfalle, se si era scarsi ˗ e passarsela fino a lanciarla oltre i legni per la segnatura del punto.
Ora gli indigeni, i rossi, non ci sono praticamente più, ma il lacrosse, paradossalmente giocato, apprezzato e seguito solo dai bianchi e dagli zombi, è rimasto come principale attività sportiva della zona, addirittura più diffusa del baseball e del basket. Facile dedurre, di conseguenza, quanto grandi e coinvolgenti siano stati i festeggiamenti di quel giugno 2071.
Innanzitutto va presentato il presidente del club: Obi Kalergi.
Espadrillas bianche, pantaloni di tela candida e camicia color neve sbottonata a vu sul petto marrone, aveva fatto posizionare attorno a tutto lo stadio da seimila posti decine e decine di bocche ferrose, pronte a far schizzare verso la luna piena razzi di fuochi d’artificio che si sarebbero aperti ad ombrello per poi sparire nello Spazio. Attorno a lui solo Yes Men, zì buana, che gli stringevano la mano e lo riempivano di pacche sulle spalle possenti, di baci sulle guance o di virili abbracci gorilleschi più di quando, non più di tre anni prima, era stato eletto primo cittadino di Palusville.
Quanta strada abbiamo fatto, noi Kalergi! pensò un attimo soltanto, con orgoglio, nella bolgia, ricordando ˗ e concentrando varie vite in un flash ˗ la storia sua, dei genitori e degli avi di cui non poteva che aver solo sentito raccontare.
Dai tempi dell’arrivo del primo della schiatta, che era giunto là nel 1923, poco dopo il ritiro del grosso dei Seminole nella riserva di Hard Rock, e che schiattò presto (impiccato per un crimine che non aveva commesso), erano passati molti oceani sotto i ponti prima di arrivare a lui, ad Obi Kalergi. Il quale poi, con il sopraggiungere della laurea, della ricchezza e della fama, riuscì pure a far dimenticare all’intera Palusville ˗ anzi all’intera Daltonville ˗ di essere uno zombi.
I risultati parlavano per lui: in tutta la città non c’era uomo che dal nulla, come si dice, fosse riuscito a scalare la vetta in così breve tempo. Praticamente sconosciuto ai più fino al 2064, se non per una mediocre carriera tra le fila dei Pilgrim Fathers quando questi vivacchiavano tra i dilettanti, esplose quell’anno, in tutta la sua straordinaria beltà, quando la sua faccia di bronzo apparve in una sola notte riprodotta su migliaia di manifesti elettorali, ovviamente affissi fuori dagli spazi consentiti. Palusville invasa in poche ore poté, a seconda, conoscerlo o riconoscerlo sopra un’infinità di palloncini gonfiati con l’elio, di penne a biro, di coccarde bicolori e di spille tonde. I point di sostegno a Kalergi aspirante al titolo di consigliere comunale spuntavano come funghi dopo una pioggia scrosciante, mentre centinaia di adolescenti dalla faccia pulita, e soprattutto rigorosamente bianca, distribuivano in ogni dove dollari finti con su stampato il volto del candidato al posto di quello di George Washington. Qualche maligno vi colse un messaggio subliminale, ma le minoranze dissenzienti, si sa, spesso parlano a voce bassa e in tribunale non confermano mai.
Sulle poltroncine accanto a lui, il giorno dell’ultima di campionato, si ritrovò tutto il gotha della Palusville bene, oltre al governatore della Florida, venuto apposta dalla capitale Tallahassee con tanto di inutile scorta.
L’evento, del resto, aveva in sé i connotati della straordinarietà: nessun club di lacrosse era stato capace sino ad allora di infilare sei promozioni di categoria in sei anni consecutivi, senza mai un periodo d’appannamento, uno stop fisiologico o un momento di stanca. Poco importava, alla maggior parte dei cittadini di Palusville, se questa