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Mi trasferisco a Milano
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Mi trasferisco a Milano

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About this ebook

Carmela è un'ambiziosa ragazza siciliana che sogna di frequentare l'università e costruirsi una carriera di successo, anche se ciò vuol dire andare contro il volere di amici e parenti.
Riuscirà a convincere i genitori a trasferirsi a Milano e ad affrontare le difficoltà che un tale salto nel vuoto comporta?
LanguageItaliano
Release dateSep 22, 2015
ISBN9788893152419
Mi trasferisco a Milano

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    Mi trasferisco a Milano - Veronica Todesco

    NEVE

    1. VOTAZIONE

    Va bene, ancora qualche passo, posso farcela.

    Non è così difficile.

    Basta solo camminare verso i tabelloni scolastici con i risultati, un passo dopo l’altro. Su, avanti. Un due, un due.

    Mi fermo e mi volto, in preda a un attacco d’ansia. Lo so, è ridicolo, ma il voto che leggerò su quel maledetto tabellone deciderà per sempre della mia vita. Ho sgobbato per cinque lunghi anni per riuscire ad ottenere la votazione massima di fine liceo, affinché mi accettassero alla prestigiosa Università di Milano di Economia, il mio unico e segreto sogno da sempre. Senza quel voto, non potrò ottenere la borsa di studio necessaria per pagarmi le prime costosissime rate.

    Faccio un profondo respiro e riprendo a camminare verso il tabellone, pieno di ragazzi urlanti ed esaltati, che si spintonano a vicenda. Bè, a loro è andata bene, penso.

    Ci siamo, è il momento della verità: o questi cinque anni sono stati un passo importante per il mio futuro, oppure un fiasco totale. Ma si, cosa vuoi che sia! Cercando di tenere a bada le pulsazioni impazzite del mio cuore, mi posiziono davanti al tabellone e, respirando forte per l’ansia, cerco il mio nome.

    Non oso respirare, non oso muovermi.

    Rimango impietrita a fissare il mio nome con a fianco la votazione, e piccole e calde lacrime iniziano a rigarmi il viso.

    Carmela Castelli, votazione 100/100.

    Il massimo.

    Oh mio Dio, oh mio Dio, OH MIO DIO! Ce l’ho fatta!

    Una calda sensazione d’orgoglio mi infiamma il corpo. Non posso più stare ferma, così inizio a saltare e urlare, senza rendermi conto delle altre persone intorno a me, che mi guardano divertite. Ho finalmente raggiunto il mio obiettivo principale, il primo di tanti, quello fondamentale, che ha aggiunto un tassello importante al raggiungimento del mio sogno.

    Mi fermo con il cuore il gola, e respiro profondamente, appoggiata al muro. Con la vista annebbiata dalle lacrime, mi guardo intorno per raggiungere l’uscita, quando sento qualcuno che mi tira per il braccio.

    -Carmela, te ne scappi così, senza nemmeno farti fare le congratulazioni?

    Rosy, la mia più cara amica, nonché compagna di banco per tutti e cinque gli anni di liceo (se escludiamo scuole medie ed elementari), mi abbraccia forte. Lei è l’unica a sapere veramente tutto di me, i miei progetti, i miei sogni, le mie ambizioni, l’unica con la quale posso essere davvero me stessa. È la sorella che non ho mai avuto.

    -Non ci posso credere, ce l’ho fatta! – esclamo, ricambiando il suo abbraccio.

    -Ne ero convinta, nessuno si meritava quel voto più di te – mi guarda con gli occhi che le brillano – ora possiamo finalmente confermare gli appuntamenti per vedere un po’ di appartamenti a Milano! – la sua voce trema dall’emozione e io le faccio un sorriso raggiante.

    L’idea è quella di trasferirci insieme a Milano, per dividere le spese di affitto ecc., in una zona non molto distante dall’università, anche se l’ambizione di Rosy non è frequentare l’università e trovare un lavoro appagante (a malapena è uscita con 60/100), ma più che altro divertirsi e godersi la vita. Per lei Milano rappresenta la svolta, la possibilità di cambiare vita e mettere radici in un posto diverso, stimolante e ricco di sorprese. Una volta trasferite, si sarebbe trovata un lavoro qualsiasi, e insieme avremmo fatto faville.

    -Dovremmo prenotare il volo il prima possibile – osserva, su di giri – più aspettiamo e più sarà costoso – fa una pausa – Anche se forse, prima, è meglio che tu ti decida a fare la cosa più difficile.

    Un violento vuoto allo stomaco mi fa sussultare. Rimaniamo a fissarci per qualche momento, immobili.

    Ha ragione, ora mi aspetta davvero il compito più difficile: dirlo ai miei.

    Vi chiederete come mai la prospettiva di informare i miei genitori sui miei progetti sia per me così terribile, per cui riassumo in poche righe la mia vita.

    Sono nata e cresciuta in un piccolo paesino in provincia di Siracusa, che ha poco più di 2.000 abitanti, con una madre casalinga ed un padre falegname. Viviamo in una piccola ma deliziosa casetta un po’ fuori mano, poco lontano, comunque, dal principale negozio di alimentari di cui si serve tutto il paese, gestito da Maria, una donna allegra e simpatica, che conosce tutto di tutti e intrattiene volentieri i clienti con i pettegolezzi più succosi; d’altronde, se nasci in un paesino così piccolo, dai per scontato che la gente del posto conosca più cose di te della tua migliore amica, praticamente ce l’hai scritto sul certificato di nascita. NOME: CARMELA, COGNOME: CASTELLI, AFFARI PERSONALI: A CONOSCENZA DI TUTTI.

    Ma la cosa che purtroppo io non riesco ad accettare di questo paesino, è che la gente sembra sia rimasta ferma agli anni ’60, quando la mentalità comune era che la donna, nel ruolo di moglie e madre, restasse a casa a badare alla famiglia. Che fosse una scelta, o forse un’imposizione, l'idea corrente era che la donna dovesse pensare unicamente a crescere i figli ed a curare la casa. La maggior parte delle mie coetanee si sono fermate alle scuole medie, e ora quasi tutte sono sposate, alcune hanno anche già dei figli. Senza aver compiuto ancora il ventesimo anno d’età. Io credo di essere l’unica in paese, insieme a Rosy, ad essere ancora nubile. Ed è per questo che i miei genitori non la vedono di buon occhio, e cercano disperatamente di farmi frequentare quelle-brave-ragazze-sposate-con-la-testa-sulle-spalle.

    Non fraintendetemi, io adoro i miei genitori, mi hanno sempre dato tutto quello che potevano, non mi hanno mai fatto mancare nulla e posso dire, senza ombra di dubbio, di aver vissuto un’infanzia piena e felice. Però, crescendo, ho iniziato a chiedermi, sempre più frequentemente, come sarebbe vivere in una grande città, avere il lavoro dei propri sogni e diventare una persona importante, appagata, che nella vita fa esattamente quello che ha sempre voluto fare. Non ho mai parlato di questo con i miei genitori, ma non perché credo che non possano capire, ma perché ho voluto avere prima la certezza di prendere la borsa di studio, per evitare di creare una discussione per nulla.

    Okay, un po’ è anche perché non credo che possano capire.

    Il fatto è che per i miei genitori, sarà sicuramente una bella doccia fredda. Andare a vivere a Milano con Rosy e frequentare l’università. Non la prenderanno affatto bene. Mi fermo in mezzo alla strada, colta da un attacco di panico. E se mi proibissero di andare? Scuoto la testa e cancello quel pensiero inquietante. Ho vent’anni e loro non possono più vietarmi niente. Poi, forse, in fondo hanno sempre voluto che io facessi nuove esperienze. Magari, dietro la loro rigida facciata un po’ all’antica, hanno un lato nascosto che non vede l’ora di uscire!

    Mmm. Poco probabile.

    E comunque, non posso rimanere ferma in mezzo alla strada in eterno. Devo darmi una mossa e comunicare loro la notizia. So che non la prenderanno bene, ma sono sempre la loro unica figlia e, se quello che vogliono è il mio bene, lo capiranno. Certo, forse quello che preferirebbero è che io rimanessi qui e mettessi su famiglia, ma il nostro legame è forte e, se magari sulle prime saranno sconvolti, poi appoggeranno la mia scelta. Ne sono convinta.

    Con rinnovata determinazione, riprendo a camminare verso casa.

    Apro la porta, un po’ in apprensione, e trovo la casa buia e silenziosa.

    -Mamma? – chiamo, dirigendomi in cucina – C’è qualcuno? – esclamo, mentre spalanco la porta.

    -Sorpresa!

    Sussulto per lo spavento, di fronte a tutta quella gente ammassata nella nostra cucina.

    Potevo aspettarmi tutto, meno che questo.

    -Congratulazioni! – mia mamma mi viene incontro e mi abbraccia calorosamente – il massimo dei voti! Bravissima!

    Questo intendo quando dico che in paese non ci sono segreti. Probabilmente i miei genitori sapevano il mio voto finale ancora prima dei professori.

    -Grazie mamma – la abbraccio a mia volta.

    Dopo è il turno dei miei zii, i cuginetti più piccoli e i miei adorati nonni. Ripeto un sacco di grazie e di finalmente è finita, mentre mia mamma sta già tagliando a grosse fette una torta fatta in casa tutta panna e crema. Ogni occasione è buona per mangiare e sfornare dolci, penso un po’ seccata. Non fraintendetemi, io sono una buona forchetta e trovo che mangiare sia uno dei piaceri della vita, ma ho sempre avuto questa fissa del peso, dal momento che da piccola ero cicciottella e, per questo, scherno di battute e risate. Certo, non potevo aspettarmi diversamente, dal momento che mia madre mi ha cresciuta praticamente a pasta e polpette, con la ferma convinzione che mangiare bene e regolarmente fa bene alla salute. Certo, ha perfettamente ragione, io sono piena di energia e la mia salute è ottima, e questo è dovuto senz’altro al mio mangiare sano e nutriente, ma quando hai 13 anni e la gente ti chiama Gas gas (come il topolino grasso di Cenerentola), capisci che forse un po’ di dieta non ti farebbe male. Fortunatamente, crescendo, il mio corpo si è snellito e il grasso in eccesso si è accumulato nei punti giusti, lasciandomi un’insperata taglia 42, che difendo con le unghie e con i denti. Per questo, non appena vedo mia mamma tagliare la torta in fette a dir poco enormi, ripeto il mio mantra quotidiano:

    -Mamma, per me poca.

    Lei, come al solito, ignora le mie parole, e si rivolge a mio padre:

    -Giuseppe, abbraccia tua figlia! Oggi per lei è un giorno importante – mio padre si alza impacciato dalla sedia e viene verso di me.

    Per lui le manifestazioni d’affetto sono più uniche che rare. Non perché non ci tenga, semplicemente non fanno parte del suo modo di essere. So che mi vuole bene e che è orgoglioso di me, ha solo un modo tutto suo di dimostrarlo. È sempre stato timido e riservato, esattamente il contrario di mia madre, cosi calorosa ed esuberante. Per questo confido che la notizia che le darò non la sconvolgerà più di tanto. Almeno, questo è quello che spero.

    -Brava, Carmè – esclama mio padre abbracciandomi goffamente.

    -Grazie papà – rispondo, ricambiando l’abbraccio.

    Ci sediamo tutti a tavola e iniziamo a chiacchierare piacevolmente, mangiando la torta.

    D’un tratto si sente bussare alla porta.

    Guardo mia mamma sorpresa, chiedendomi chi possa essere, dal momento che siamo già tutti qui, e intercetto uno sguardo d’intesa tra lei e mio padre.

    Ma che sta succedendo?

    Mia mamma apre la porta e fermo li sulla soglia con un mazzo di fiori in mano, e un’aria vagamente imbarazzata, c’è Salvatore.

    -Salvatore, che sorpresa – esclama mia mamma, con voce teatrale – entra pure, accomodati.

    Io rimango ammutolita a fissarlo, mentre una domanda mi sorge spontanea: cosa ci fa lui qui?

    Salvatore è stato il mio primo (e unico) ragazzo, con il quale sono stata fidanzata circa un anno, dopodiché l’ho piantato, dal momento che la considerazione che aveva di me era la stessa che riservava alle sue pecore.

    In realtà, la nostra storia era segnata fin dal principio, avrei dovuto capirlo subito. Vicini di casa, siamo cresciuti insieme e ci siamo considerati sempre dei buoni amici, finché siamo diventati adolescenti ed abbiamo iniziato a guardarci con occhi diversi. Cosi, in una delle nostre tante serate passate a chiacchierare nel fienile dei suoi, ci siamo dati il nostro primo bacio. Ma la nostra storia non poteva durare, io ero presa dagli studi e sempre più attratta dalle diverse prospettive future che il mondo del lavoro poteva offrirmi, mentre lui non ha nemmeno finito le scuole medie, e a 12 anni ha iniziato a lavorare all’allevamento di suo padre. E così ho capito che con lui non potevo avere il futuro che stavo cercando e dopo un annetto di tira e molla ci siamo lasciati definitivamente, seppur rimanendo in buoni rapporti.

    -Grazie Teresa – dice lui a mia madre, entrando e salutando tutti - Congratulazioni Carmelina – continua, porgendomi il mazzo di fiori e baciandomi entrambe le guance.

    -Grazie – balbetto, leggermente spiazzata.

    -Vieni a mangiare una fetta di torta – per fortuna mia mamma interrompe questo momento imbarazzante e io ne approfitto per rimettermi a sedere.

    Prendiamo posto nuovamente al tavolo e segue un altro momento di silenzio imbarazzato. Tutti hanno la testa china sulla loro fetta di torta, quasi volessero evitare il mio sguardo. Tutti tranne mio padre che, invece, ha lo sguardo fiero e sereno, come se avesse appena vinto un terno al lotto.

    Improvvisamente provo paura. Cosa stanno confabulando i miei genitori?

    -Allora, Carmela – finalmente mio padre rompe il silenzio – ora che la scuola è finita e non hai più il pensiero dello studio, potrai finalmente dedicarti al tuo futuro – fa una pausa ad effetto e lo fisso ancora più confusa.

    Cosa vuole dire? A quale futuro si riferisce?

    Poi ho l’illuminazione. Che sappia già del mio trasferimento a Milano? Forse Rosy li ha già informati. Ma certo, dev’essere cosi! Probabilmente è venuta qua un giorno che io non c’ero e li ha messi al corrente dei nostri piani. O, più probabilmente, lei con i suoi genitori, che invece non sono cosi all’antica come i miei e hanno preso la notizia molto bene.

    Mio padre e mia madre mi stanno guardando con un’aria talmente felice e serena che mi sento subito meglio. Grande Rosy!

    Sto per esclamare, sorridendo, che sono estremamente sollevata che l’abbiano presa cosi bene, quando mio padre riprende a parlare.

    -Ecco perché abbiamo invitato anche il tuo fidanzato – mi guarda con entusiasmo – ha una cosa importante da dirti. Noi lo sappiamo già – aggiunge, strizzandomi l’occhio.

    Cosa?!

    Cosa sono tutte queste sciocchezze che stanno uscendo dalla bocca di mio padre?

    E poi perché il tuo fidanzato? Io e Salvatore ci siamo lasciati almeno quattro mesi fa e lui lo sa bene. Gli lancio un’occhiata e lo vedo irrigidirsi e arrossire.

    -Su su, Salvo, non fare il timido – lo esorta mio padre, con un sorriso a 32 denti – ripetile quello che mi hai detto l’altro giorno.

    Okay, devo fermare questa conversazione immediatamente prima che sia troppo tardi.

    -Papà, credo ti sia sfuggito un dettaglio… – inizio, ma vengo interrotta da Salvatore, che, si alza dal tavolo e viene verso di me.

    Con gesti un po’ impediti, prende dalla tasca della tuta una scatolina rossa e si inginocchia davanti a me.

    Oh mio Dio.

    Ditemi che non è quello che penso.

    Vorrei fermarlo, scappare, urlare, fare qualsiasi cosa, ma dalla mia bocca non esce nulla. Sono impietrita sulla sedia, inerme.

    Con gesto teatrale, Salvatore apre la scatolina e mi guarda negli occhi.

    -Carmelina, vuoi sposarmi?

    Nella piccola cucina cala il gelo.

    Non mi sono mai sentita cosi in imbarazzo in vita mia. È tutto sbagliato.

    Indietreggio lentamente, e cerco di respirare in modo normale, come se non ci fossero almeno 10 paia di occhi puntati su di me.

    -Certo che vuole sposarti, Salvo – mia mamma si avvicina e ci abbraccia calorosamente.

    I miei parenti iniziano ad applaudire, contenti. Sento qualcuno che stappa una bottiglia di spumante, mentre mia mamma mi guarda con le lacrime agli occhi.

    -Tesoro, quanto ho aspettato questo giorno – mi sussurra.

    Oddio, sta succedendo tutto troppo in fretta. Devo parlare immediatamente.

    -No mamma – mi divincolo immediatamente dal suo abbraccio – no, io non voglio.

    -Cosa? – mi guarda incredula.

    Tutti smettono immediatamente di parlare. Sento gli occhi di mio padre puntati su di me come due raggi laser. Guardo Salvatore, che tiene ancora in mano la scatolina.

    -Salvatore, io ti voglio bene, ma non potrei mai sposarti – gli prendo la mano – noi ci siamo lasciati mesi fa – lancio una breve occhiata di rimprovero a mio padre e mia madre – la nostra storia non poteva avere futuro, pensavo che lo avessi capito – mi guarda, lo sguardo triste, ferito.

    -Con il tempo sono sicuro che saremmo riusciti ad andare d’accordo – ribatte lui, ostinato – nessuna coppia è perfetta, bisogna venirsi incontro e fare dei sacrifici.

    -Esattamente – approva mio padre – Pensi che sia tutto rosa e fiori? Alla tua età devi iniziare a capire certe cose – mi sorride – Salvatore è un bravo ragazzo, ti vuole bene e insieme sarete felici. E poi – continua, con lo sguardo acceso dall’emozione – ho un’altra bella notizia da darti.

    Un’altra? Non credo di poter sopportare oltre.

    -Papà, ascoltami… – lo imploro, ma lui mi interrompe.

    -Io e Salvatore siamo andati a vedere una casetta, poco distante da qui, che per voi sarebbe perfetta, c’è solo qualche lavoretto da fare, ma la vendono ad un prezzo davvero buono e ho pensato che…

    -Basta! – sento dire alla mia voce.

    Nella stanza scende un silenzio di tomba.

    Non mi sono mai permessa di zittire mio padre. Mia mamma mi guarda con crescente costernazione.

    -Forse noi è meglio che andiamo – mia zia lancia un’occhiata veloce a mio padre, scioccato, e capisce che è meglio darsela a gambe.

    Nel giro di 10 secondi la cucina è vuota. Rimaniamo noi tre, e un silenzio che sembra squarciare l’aria.

    -Cosa c’è che non va tesoro? – mia mamma mi guarda preoccupata – Cosa c’è che non va in Salvatore? È un così caro ragazzo. Qual è il problema?

    -Mamma, io non lo amo, e non voglio sposarlo – sbotto, senza preamboli – non voglio questa vita per me. Voglio essere libera di fare le mie scelte.

    -Carmela, nessuno ti obbliga a sposare Salvatore se non è la persona che vuoi al tuo fianco – esclama mio padre, cercando di stare calmo, ma si vede che è agitato.

    -Ma certo, tesoro – mia mamma mi guarda rassicurante – pensavamo che con lui ti trovassi bene e che tra di voi ci fosse un sentimento reciproco, ma evidentemente ci siamo sbagliati. Nessuno ti mette fretta. Arriverà quello giusto per te – mi sorride, rassicurante, e io mi sento morire.

    Li guardo in silenzio. Devo parlare, ora o mai più.

    Guardo prima mia madre, poi mio padre. Faccio un lungo sospiro.

    -Non è solo questo – sospiro – C’è una ragione se ho studiato cosi tanto negli ultimi cinque anni – attacco guardandoli attentamente – e il motivo è che cosi sono riuscita a uscire con il massimo dei voti e ottenere una borsa di studio.

    -Cosa? – mia mamma è allibita – e a cosa ti e una borsa di studio?

    Faccio un respiro profondo, e mi preparo a lanciare la bomba. Il cuore mi batte all’impazzata.

    -Mi serve per trasferirmi a Milano con Rosy e iscrivermi all’università di Economia.

    I miei genitori non si muovono per almeno 60 secondi. Non li ho mai visti tanto attoniti. Neanche avessi detto che li lascio per andare a fare la guerra in Iraq.

    -E quanto dura questa università? – chiede mia mamma, confusa.

    -Cinque…

    -Cinque mesi? – esplode, mio padre – Carmela ma sei matta? A cosa serve tutto questo? Te ne stai per cinque mesi a Milano e poi quando torni cosa pensi che sarà cambiato? Speri di trovare un lavoro qui?

    -Papà non sono cinque mesi – lo interrompo, tremando come una foglia – ma cinque anni.

    -Cinque anni? – mio padre pronuncia la parola come se fosse una bestemmia.

    -Io non riesco a capire – mia mamma si intromette – a cosa serve buttare via cinque anni cosi? Quando tornerai qua ti sposerai e avrai dei figli, e a cosa ti servirà una laurea?

    Oddio, è più difficile di quanto pensassi. Faccio un profondo sospiro.

    -Io non conto di tornare qui – sibilo, guardando per terra – voglio trasferirmi definitivamente a Milano e trovare un lavoro la.

    Mia mamma si lascia cadere su una sedia vicino, mentre mio papà mi guarda come se non riuscisse a inquadrarmi.

    -Non puoi dire sul serio – sussurra mia mamma, dopo un po’.

    -Mamma è il mio sogno – lacrime violente spingono per uscire – voglio fare carriera e lavorare per una grande società, magari specializzarmi nel marketing oppure seguire il ramo della gestione del personale…

    -Adesso basta – mio padre mi interrompe con un tono che non ammette repliche e, mio malgrado, inizio ad avere paura – Questa è pura follia. È la tua amica Rosy che ti mette in testa queste stronzate? – sussulto nel vederlo cosi fuori di sé – Ti proibisco categoricamente di vederla. Ti ha fatto il lavaggio del cervello, e tu nemmeno te ne rendi conto.

    -Papà, non è cosi – sono praticamente in lacrime – lei non c’entra niente, sogno di frequentare quell’università da quando avevo 14 anni, e tutti i sacrifici che ho fatto li ho fatti per questo. Per potermi trasferire a Milano e studiare Economia – respiro profondamente e cerco di calmarmi – vi chiedo solo di capirmi e di appoggiare le mie scelte. Nient’altro.

    Mio padre abbassa la testa e fa un profondo sospiro.

    Io non oso muovermi, non oso respirare.

    Infine, quando alza la testa, la sua espressione mi spezza il cuore. Senza dire una parola esce sbattendo la porta.

    Io e mia mamma rimaniamo in silenzio, finché anche lei fa per lasciare la stanza.

    -Mamma ti prego – la prendo per il braccio – almeno tu cerca di capirmi.

    -No, Carmela – il suo sguardo è duro – non posso accettare una cosa del genere. Io e tuo padre abbiamo fatto tutto per te, e questo è il tuo ringraziamento – fa per lasciare la stanza, poi si volta e mi guarda – se questo è quello che vuoi fare della tua vita, io non te lo impedirò. Ma non ti appoggerò mai, Carmela. Mai.

    Mi accascio su una sedia, in lacrime. Sapevo che l’avrebbero presa male, ma non credevo così.

    Vogliono che rinunci ai miei sogni per realizzare i loro? No, non lo farò. Non posso farlo.

    Lentamente, mi alzo dalla sedia e vado in camera. Mi sdraio sul letto, e cerco di pensare con razionalità. Non potevo sperare che i miei genitori prendessero la notizia con semplicità, sono troppo legati alle vecchie tradizioni e la loro mentalità è abbastanza chiusa. Devo dar loro il tempo di digerire la notizia. È normale che ora siano sotto choc, d’altronde io non mai parlato con loro dei miei progetti, quindi è stata una bella doccia fredda. E poi, devo anche ricordarmi che io sono la loro unica figlia ed è normale che siano restii ad accettare che io mi trasferisca dall’altra parte d’Italia.

    Devo dargli tempo, penso, devo farli sbollire. E, dopo, mi ascolteranno con più calma e razionalità. Deve andare così. Per forza.

    Prendo il cellulare e digito un messaggio per Rosy: Fatto! Possiamo iniziare a vedere i voli!.

    L’idea di prendere l’aereo mi inquieta e non poco. Non l’ho mai preso in vita mia, dal momento che non sono mai uscita dal territorio siciliano, per cui, anche questa, sarà una nuova esperienza.

    Mi addormento pensando alla mia nuova vita, a come sarà Milano e al cambiamento radicale che, a breve, dovrò affrontare.

    2. PRIMI OSTACOLI

    Mi sveglio di soprassalto, leggermente sudata, la stanza ancora buia. Deve essere molto presto.

    Guardo la sveglia sul comodino, le 05:45. Provo a girarmi e cercare di riprendere sonno, ma ormai sono sveglia, e migliaia di pensieri mi invadono la mente, dandomi il tormento. I miei genitori saranno ancora arrabbiati? Devo andare a parlargli? Rosy avrà trovato il volo?

    Prendo in mano il cellulare per vedere la sua risposta, e noto che non ci sono nuovi messaggi. Strano. Mi sarei aspettata una risposta spassosa, come le sue solite. Magari ha il cellulare scarico, penso. Poi la chiamerò.

    Mi alzo a sedere e sento il mio stomaco brontolare per la fame. Ieri, alla fine, non ho nemmeno cenato. Scendo in cucina a farmi una tazza di tè, stando attenta a non fare rumore. Noto la stanza dei miei aperta, con il letto fatto e i pigiami piegati e riposti nella cassettiera a fianco, come sempre.

    Quindi sono già svegli.

    Sento un vuoto allo stomaco e, improvvisamente, non ho più fame. Mi siedo sullo scalino e mi ripeto quanto mi sono detta ieri. Devo dargli tempo, non c’è altra soluzione. E, quando avranno sbollito (possibilmente nei prossimi giorni) dovrò parlargli, nel bene e nel male, e affrontare la situazione, per quanto difficile. È la cosa giusta da fare.

    Faccio un respiro profondo e scendo in cucina. Mia mamma è ai fornelli, sta facendo il pane.

    Mmm. Brutto segno.

    Mia mamma ha sempre detto che fare il pane è un ottimo antistress. Mentre impasti mi diceva immagina di avere tra le mani i tuoi peggiori nemici. Non potrà uscire pane più buono. Oggi immagino che sfornerà pagnotte degne di un ristorante quotato Michelin.

    Faccio un respiro profondo e prendo coraggio. Lei si volta, sentendo una presenza. Ci guardiamo per un attimo in silenzio.

    -Buongiorno mamma.

    -Ciao Carmela – riprende a impastare vigorosamente – dormito bene? – la sua voce è flebile.

    -Si, abbastanza – mi siedo sulla sedia a fianco a lei – voi?

    -Io non molto – sospira – tuo padre non è tornato a dormire. Credo sia rimasto tutta la notte in rimessa a lavorare.

    -Cosa? – sono scioccata.

    Adesso si rifiuta persino di mettere piede in questa casa? Una rabbia improvvisa mi assale, facendomi venire le lacrime agli occhi. Calma. Devo stare calma.

    -Mi dispiace – esclamo, alla fine – ma tutto quello che ho detto ieri è la verità. Non rinnego niente.

    Mia mamma smette di impastare. Con un sospiro, si siede su una sedia vicino a me.

    -Perché non ce ne hai mai parlato?

    -Mamma, avrei tanto voluto parlarvene, ma prova anche a metterti nei miei panni: come potevo affrontare un discorso del genere, sapendo che tu e papà siete così legati alle vecchie tradizioni? – la guardo, seria – mi avreste detto di no, senza nemmeno ascoltarmi, e non volevo che il vostro rifiuto potesse in qualche modo influenzarmi – mi tormento l’unghia del pollice, leggermente scheggiata – non volevo darvi un dispiacere. So che avete fatto grossi sacrifici per me, e io li apprezzo tutti. Ma il mio futuro non è qui – mi si affievolisce la voce – voglio vedere posti nuovi, voglio vedere come si vive in una grande città, cosa c’è al di fuori di questo piccolo paesino.

    -Una grande città? Pensi che sia bello? Ma non le senti le notizie al telegiornale? – mia mamma si prende la testa tra le mani – Carmela, il mondo fuori è pericoloso. Due ragazze ingenue come voi non possono che finire in qualche guaio. Voi siete cresciute nella calma e tranquillità di una piccola cittadina, la gente è amichevole, ci si conosce tutti, ci si aiuta a vicenda – mi prende una mano – a Milano non sarà cosi. Sarete solo voi due, in una città piena di pericoli, di criminalità – percepisco l’ansia nella sua voce, e cerco di tranquillizzarla.

    -Mamma, stai tranquilla. Staremo attente, te lo prometto – le stringo la mano – non andremo in giro di notte da sole e non daremo confidenza agli sconosciuti – le dico, sapendo per certo che queste sono le cose che le fanno più paura. Me le ripete fin da quando sono piccola.

    -Non sparirò dalla faccia della Terra. Potremo sentirci e vederci quando vorrete.

    Mia mamma mi guarda con gli occhi accesi di preoccupazione, la fronte segnata da piccole rughe.

    Ma in fondo so che lei l’ha accettato. Ha capito. D’istinto l’abbraccio forte e le sussurro:

    -Devo farlo mamma. Lo rimpiangerei tutta la vita.

    -Mi raccomando, Carmela, state attente. Ti chiedo solo questo. Non fidarti di nessuno, la gente non è buona come pensi.

    -Te lo prometto, mamma.

    Faccio colazione molto più leggera. Mi sento come se mi avessero tolto un grosso peso dalle spalle. Non è contenta, lo so, ma in fondo ha capito. E lo stesso sarà per papà, anche se per lui ci vorrà molto più tempo. L’ha presa davvero male. Mia mamma è andata a portargli la colazione nella rimessa, ma lui non ha mangiato niente.

    Devo avere molto tatto e mantenere la lucidità, se voglio avere la meglio con lui. Ma non sarà facile.

    -Ma quando avete intenzione di trasferirvi? – mia mamma ha ripreso ad impastare.

    -Tra un paio di settimane credo – mangio un biscotto – abbiamo tre appartamenti da vedere, che sono liberi da subito e sono abbastanza economici – mi blocco, sperando che non mi chieda il prezzo.

    Sono rimasta scioccata anche io quando ho visto l’importo mensile da versare. Anche diviso due, è tantissimo. E parlo di monolocali, con veramente poco spazio vitale. Ma non è un problema, mi adatterò. Poi Rosy non è una persona invadente, per cui sono sicura che riusciremo a convivere senza problemi.

    -Appartamenti? – mia mamma è sorpresa – non stareste meglio in una casa, con un po’ di giardino? Voi siete cresciute all’aria aperta, non siete abituate a stare chiuse tra quattro mura – mi guarda ansiosa, e io trattengo una risatina.

    Una casa con giardino a Milano.

    -A noi serve un posto vicino al centro – ribatto – le case sono tutte in periferia – e, in ogni caso, avranno degli affitti esorbitanti, penso.

    -Ho capito – mia mamma non è convinta – e Rosy cosa farà a Milano? Non credo l’università... – esclama,

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