Tra due giorni è già Natale
By A Cura Di Tonino Scala and AA.VV.
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Tra due giorni è già Natale - A Cura Di Tonino Scala
Libera.
Una rondine non fa primavera
(Gaetano Amato)
Una rondine non fa primavera
spiegava un vecchio detto.
Una luce non fa Natale
dico io. 24 dicembre.
L’albero è pronto. È pronto anche il presepe.
Mi sono fatto fare quei pastori da un artigiano. I vestiti cuciti a mano.
Il Bambino Gesù, San Giuseppe, la Madonna, i Re Magi e 4 contadini.
Dovrei essere allegro, ma non so perché non riesco più a gioire delle festività.
O meglio, lo so: sono cambiati i tempi.
Ricordo da bambino che i festeggiamenti cominciavano alla chiusura della scuola.
Fino al 6 gennaio.
Festività inutile la Befana, se non perché prolungava il periodo di assenza a scuola.
Mi sono sempre chiesto perché i regali non ce li davano a Natale, almeno avremmo avuto 10 giorni per giocarci.
Le strade illuminate, le bancarelle coi giocattoli, e i dolci, e i profumi nell’aria, e i banchi dei pescivendoli che solo a guardarli ti mettevano allegria, con vongole, cozze, taratufi, telline, capitoni, saraghi, orate. E per i più ricchi che potevano permetterselo, aragoste e astice. Immancabile il pesce spada, con la lunga lama e l’abito nero. Mi ricordava Zorro. E nell’acqua a bagno, il baccalà!
Non erano da meno i fruttivendoli. Con i broccoli di Natale, i friarielli
, i mandarini, la frutta secca e con i meloni da balcone, quelli che appendevi fuori due mesi prima fino a maturazione completa, che doveva poi coincidere con il periodo 24 dicembre - 1º gennaio. Poi c’erano le luci. A migliaia, ovunque. Alberi di Natale e intermittenze nelle vetrine, attraverso i vetri delle case.
Luccichio continuo.
Tutto questo c’è ancora.
Quello che manca però è lo spirito di allora.
Mi auguro che non sia accaduto anche a chi legge quello che è accaduto a me.
La vera festa era la preparazione.
Si mangiava dai nonni. Tutti.
Tavolate di 14 - 15 persone.
E risate, abbracci.
Rientravano i parenti emigranti. Zii e cugini.
Le cognate in cucina a preparare.
E le liti sull’eventuale presenza di pomodoro nel vermicello a vongole.
«Ma quello se ce lo metti, dà più condimento!»
«A mme nun me piace! Se mi devo mangiare ’a pummarola tanto vale che fai o ragù
!»
«Ma nun se po fa’ ’o ragù alla vigilia. Si mangia pesce!»
«E io ’o pesce voglio mangià, perciò nun ce mettite ’a pummarola ca nun m’ ’o mmangio!»
E la lite andava avanti all’infinito se non interveniva il nonno.
«’O guaglione ave ragione. Pure a me me piace in bianco, senza pummarola. Facite accussí a nuje ce lo togliete prima di mettere il pomodoro, e a voi ve lo fate comme vulite vuje!»
E finiva che aiutato dal nonno mangiavo come piaceva a me.
Solo che ogni anno e a ogni vigilia si ripeteva la scenetta.
Ovviamente io aspettavo che fosse presente il nonno prima di manifestare le mie ragioni.
Ricordo un anno che però restai fregato.
Mia mamma aveva capito il giochetto e prima che arrivasse il nonno ci mise i pomodorini.
Non me ne ero accorto.
Quando cominciai il mio siparietto, sicuro della protezione di nonno Gaetano, mi guardò con un sorriso tra lo sfottò e il dispiacere.
«Uh, Madò… e io ho già messo i pomodorini. Che ne sapevo!»
Mangiai a patto che non si ripetesse più.
E l’antipasto con l’immancabile insalata di mare, polipo e sedano, e cozze e vongole.
Poi ci fu l’evoluzione.
Scoprimmo il salmone affumicato, servito con olive e un filino d’olio con cipolline novelle tritate e una noce di burro.
E il pane caldo che andava via manco fosse l’acqua.
E poi frittura di gamberi e calamari con accompagnamento di insalata verde, insalata di rinforzo, e chiusura con baccalà fritto prima che arrivasse frutta e frutta secca.
Quando si aprivano i vassoi di dolci già stavamo pieni come un otre, ma un posticino per una frolla o un babà si trovava sempre.
Ci ho provato a rifarli quei pranzi, ma mancavano degli ingredienti.
Per quanto amore ci mettessi non riuscivo proprio a ridargli lo stesso sapore di allora, fino a che, capito cosa mancava, ci ho rinunciato.
Mi mancavano e mi mancano i miei nonni, i miei zii, i miei cugini, e tutti quelli che per età o per altro, non sono più tra noi.
Mi manca mio padre.
Mi manca il sapore della grande famiglia, del riunirsi in tanti intorno allo stesso tavolo.
Puoi provarci a rifarlo, ma non riesce.
Abbiamo troppo da fare tutti.
Chi parte, chi ha preso impegni, chi non sa cosa farà.
E ci si è ridotti a fare il pranzo di Natale con lo strettissimo nucleo familiare.
Riducendo finanche le portate perché, tanto, festività religiosa a parte, per me è tristemente un giorno come un altro.
Non voglio tediarvi però. Solo un consiglio.
Se avete ancora una famiglia numerosa, riunitevi.
Vedrete che sarà tutto molto più saporito.
24 dicembre, è quasi mezzanotte.
Do un bacio alle mie figlie e riguardo l’ora.
Manca davvero poco.
Preparo una bottiglia per un brindisi.
Caro Gesù Bambino, tra poco nascerai, o almeno così ci hanno sempre fatto credere.
E noi abbiamo accettato questa convenzione.
L’abbiamo accettata perché questo ci permetteva di vivere dei momenti sereni con i nostri cari, perché tutti intorno sembravano più disponibili nei confronti degli altri, perché anche se solo per qualche giorno sembravano dimenticati rancori e odi, perché il sorriso di un bambino che riceve un regalo era un regalo fatto a noi stessi che regalavamo.
Ora tu dirai che non eravamo disinteressati.
Si, te lo confermo, non eravamo disinteressati.
Avevamo bisogno di quella serenità e di quei momenti e abbiamo approfittato.
Ci siamo lasciati andare a quel credo che era di convenienza.
Tutto questo, però, accadeva in passato. Oggi purtroppo per tanti non è più cosi. I momenti sereni non ci sono più. Hanno lasciato il posto alle preoccupazioni, ai pensieri e agli affanni, e sempre più spesso nemmeno i bambini si vedono sorridere.
Ed è per questo che ti parlo.
Una nascita è un evento che dovrebbe portare gioia nel posto dove si verifica, nella famiglia che la vive.
E se è vero che noi tutti siamo la tua famiglia, allora ti chiedo, se non gioia, almeno un po’ di serenità. Portala a chi ha perduto il lavoro, a chi è solo, a chi deve sopravvivere con poche centinaia di euro, a chi soffre, a chi è malato. Portagliela perché non fa bene al cuore sapere che c’è chi si consuma lentamente, mentre una nuova vita, seppur convenzionale, viene al mondo. Portagliela perché abbiamo bisogno di sorrisi, di leggere negli occhi degli altri almeno un attimo di spensieratezza, di sentirci vivi, e non solo di passaggio.
Ti chiedo troppo?
Forse sì, ma, per convenzione, almeno provaci, che ti costa!
Sperando che la convenzione non sia tale e che tu possa ascoltare davvero queste mie parole, ti saluto e ti auguro un…
… Benvenuto su questo mondo. Prosit!
Un Natale senza regali...
(Marcella Amato)
Un Natale senza regali non è Natale!
La frase del libro che ho tanto amato, letto e riletto da bambina risuonava nella mia mente ad ogni Natale.
Quando ero bambina, la nostra casa si riempiva di voci, letti, piatti... e sotto il grande albero di Natale che, borbottando e litigando, mamma e papà facevano sempre, c'era un gran numero di pacchi e pacchetti. Arrivavano gli zii e i cugini da Milano allora e tra Natale e Capodanno era tutto un chiacchiericcio, passeggiate per i vicoli, mangiate, tavole perennemente apparecchiate e giocate, risate. Non era ricca la mia casa, ma a me sembra non mancasse nulla. Mai sono stata delusa, alzandomi presto la mattina di Natale con i miei fratelli, perché sempre c'era una sorpresa per me, per tutti noi. Ricordo i giocattoli di bambina, come la bambola grande quanto me e quelli di ragazza adolescente e un po’ vanitosa, desiderosa di quella minigonna di renna che tante mie amiche indossavano; che gioia quando la trovai nascosta in un improbabile pacchetto!
Un Natale senza regali non è Natale!
A questo ho sempre pensato anche quando sono nati i miei figli. Ogni anno, il solo pensiero di rivedere nei loro occhi un po’ di quella stessa gioia che provavo io da bambina, mi faceva girare tutta la città in cerca di quella Barbie, di quel castello, di quelle scarpe, la maglia della Juve...
Un Natale senza regali non è Natale!
Oggi più che mai la frase di Jo, una delle mie amatissime Piccole donne
è attuale! Siamo all’8 Dicembre e mi accingo ad addobbare il grande albero di Natale che era la gioia dei miei figli durante la loro gioiosa infanzia e quel presepe che amo tanto io, quello con i pastori scelti uno per volta, ogni anno a San Gregorio Armeno, la via dei presepi di Napoli, bella, magica. Sembra che nessuno senta più il calore di queste usanze, pare un’abitudine, mi sento sola quando apro ad uno ad uno i pastori di terracotta per non romperli. Amo guardarli, toccarli, mi compiaccio degli ultimi acquisti e alla fine, dopo una gran fatica, mi siedo lì, sul divano e guardo le luci dell’albero, il presepe che sembra vivo e sento di aver fatto qualcosa di antico, di dolce, che fa bene al cuore.
«E’ bello mamma, brava!» dice Michi entrando in casa e guardando il mio capolavoro
.
«L’ anno prossimo lo facciamo viola anziché rosso e oro, che dici?» mi propone Fede.
«Dove ceniamo la Vigilia e il 25? Dalla nonna? C’è anche lo zio?»
«Certo che sì» e mentre rispondo penso alla preparazione del cenone: è da me che aspettano quella sera gli antipasti, l’insalata di mare, gli spaghetti a vongole... con qualche novità, ogni anno, ma restando nel complesso legati alle tradizioni di famiglia, ma il baccalà no! Non mi piace proprio! Non ne sopporto nemmeno l’odore! Per il resto cucinare mi piace e mi piace vedere le facce soddisfatte di tutti quelli che sono a tavola! È un atto d’ amore la cucina!
«Cosa regaliamo alla nonna quest’anno?» chiede Fede.
«Bah, non so, sentiamo cosa propone zio Bruno!»
E poi quei giorni a trovare il tempo per comprare qualcosa ad ognuno, budget basso, ma l’importante è far felici chi ami, non è così? Ultimi frenetici giorni anche nella mia scuola, c’è lo spettacolo di Natale! I bambini sono felici, emozionati e non vedono l’ora di esibirsi. Mi piace quest’atmosfera, ogni volta, da più di trent’anni, anche io mi emoziono, quando li preparo, li dirigo nei canti, nei balli, nelle scene... Quest’anno è il Natale napoletano, dall’eduardiano Natale in casa Cupiello
alle poesie di Viviani, fino ai canti del gruppo Zezi, ai balli di scugnizzi.
Mi gonfio di orgoglio nel guardare i miei ragazzi, mi amano ed io li amo, gli applausi e i loro visi gioiosi sono un bellissimo regalo per me!
«Grazie maestra!»
«Che pazienza hai avuto!»
«Buon Natale e Buon Anno» così mi salutano le mamme, i papà, un po’ come direbbe un mio caro amico Buona fine e buon principio!
Ecco, questo vorrei, un nuovo buon principio. Davvero. Perché anche alla mia età si vorrebbe un Buon Principio
nuovo, diverso, come una sorpresa sotto l’albero che non c’è più da tanti anni, un desiderio che per una volta si avveri, non dico tanti, ma solo qualcuno! Semplice, non da lampada di Aladino.
Un Natale senza regali non è Natale!
È l’incipit di quel libro amato che mi torna in mente la mattina di Natale,