Grosso guaio al cimitero
By Chiara Cini
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Book preview
Grosso guaio al cimitero - Chiara Cini
Chiara Cini
Grosso guaio al cimitero
Autore: Chiara Cini
Titolo: Grosso guaio al cimitero
Copertina: Ylenia Mariotti
Credits: Maks08 e mythja per Depositphotos
Realizzazione digitale: Mariateresa Perrella
Prima edizione 2015
© 2015 Lazy Book
ISBN 9788898833214
Per contatti e informazioni sull'opera e sui diritti:
barbara@lazybook.it
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Lazy Book© è un marchio registrato da
Mariantonietta Barbara e Donato Colafiglio
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Giorgio è un ragazzino di tredici anni, nato e cresciuto nella casa concessa in uso al custode tuttofare di un piccolo cimitero di campagna. Condurrebbe una vita quasi tranquilla se non fosse che parla, fin dalla nascita, con i vari fantasmi che vivono in quel fazzoletto di terra. Trascorre le sue giornate così, tra la scuola ed i racconti di questi strani personaggi, che aspettano da lui un aiuto per passare definitivamente nell’aldilà. Innamorato di una compagna di classe, finisce nei guai dopo averla fatta seguire ad una cena di società proprio da un’amica fantasma. Come Orfeo con Euridice, dovrà scendere fino agli inferi per salvarne la vita e consegnare alla giustizia una pazza assassina che vive in quel piccolo paese.
Capitolo 1
Speriamo che papà smetta di lavorare presto, sono stanco, non ce la faccio più ad aspettare che torni. Non capisco proprio perché pretendano che i loro bisogni passino sempre avanti a quelli degli altri. Alzano il telefono, ti chiamano e noi via, dobbiamo correre senza protestare. Sono affranti, sia che si scontrino con il dolore vero per la prima volta o per la millesima, altre volte sono solo annoiati. Il comune denominatore per tutti è che la faccenda deve chiudersi velocemente, in modo da potersi lasciare le disgrazie alle spalle facendo scongiuri. E noi restiamo là, a spalare la terra, nel piccolo cimitero del paese, qualunque sia il tempo, togliendo le tracce di un passaggio che forse sarebbe stato dimenticato senza troppi pensieri, tra i fiori secchi e la terra ormai battuta, nell’arco di una settimana.
È il nostro lavoro, per carità, però c’è modo e modo di chiedere qualcosa, quando si ha bisogno non costa nulla un po’ di cortesia. Oltretutto stasera fa freddo, è umido, la classica giornata del cavolo. Papà mi ha imposto di restare a casa per evitare che mi prenda un raffreddore, domani devo andare a scuola e non ho bisogno di giustificazioni macabre che affossino, se mai ce ne fosse bisogno, la mia fama già discutibile. Però da solo ci mette di più a finire, per questo lo sto aspettando alla finestra e non vedo l’ora di sedermi a cena.
Avete idea di cosa significhi essere il figlio del custode tuttofare del cimitero e vivere oltretutto nella casa all’ingresso del cimitero stesso? Ho iniziato fin da piccolo ad accorgermi che le persone facevano strani gesti al nostro passaggio. Ero piccolo ma di sicuro né scemo né cieco. Poi sono arrivati alle mie giovani orecchie i primi commenti poco educati, del tipo ecco i becchini
, toccati, arrivano i Solles
, cosa mangeranno per cena, ossa fritte?
E così via, in un ricco ed articolato copione abbellito dalla famosa vena umoristica dei toscani. Il fatto poi che mio padre avesse un cognome straniero copriva il tutto con un velo di oscura ambiguità difficile da interpretare. Siamo nel nuovo millennio ma la somma di becchino più straniero dà, come risultato finale, la definizione di strano parecchio.
A lui non interessavano quei commenti. Essendo figlio d’arte aveva fatto il callo a freddure ben peggiori, era difficile sconvolgerlo con una battuta. Nonno Solles era nato qua perché suo padre aveva deciso di trasferirsi dalla Scozia in Italia per cercare lavoro, si raccontava in famiglia. Ho sempre pensato che ne abbia combinata una grossa veramente per scappare su due piedi dalle Orcadi e finire in Toscana, però non ho mai chiesto conferma a papà. Meglio non approfondire, se non si è sicuri di accettare la verità. Comunque sia, aveva conosciuto poi quella che è diventata la mia bisnonna, la figlia del custode del cimitero, ed era rimasto imparando il mestiere. E così via, di generazione in generazione. Forse avrei mantenuto anch’io quella strana tradizione ma era troppo presto per dirlo, studiare mi piaceva abbastanza e non potevo escludere che mi appassionassi a qualche altra professione. Al cimitero però, in tutta sincerità, ero affezionato.
Mio padre ripeteva continuamente che il suo era un lavoro onesto, con uno stipendio decoroso e la casa assegnata, dalla quale non poteva sfrattarci nessuno. Essendo poi un bell’uomo, tipico scozzese, alto e ben piazzato sulle gambe, non aveva avuto alcuna difficoltà neanche a trovare una moglie che lo seguisse là senza storcere troppo la bocca. Volevano schernirlo? Non c’erano problemi, non avrebbero trovato terreno fertile. Ci voleva ben altro per vederlo arrabbiato.
Fu la sua voce ad interrompere il flusso dei miei pensieri.
«Mi è passata la fame – sbottò papà entrando in casa con passo pesante – quelli di stasera non li sopportavo proprio. Secondo me al morto gli è andata di lusso a levarsi dai piedi quell’isterica della moglie. Faceva finta di piangere, si vedeva lontano un chilometro che fingeva, mentre mi stava col fiato sul collo. Per fortuna che a seguire la bara c’era padre Enrico, sono bastate un paio di occhiate per far durare il saluto al caro estinto non più di cinque minuti. Poi loro se ne sono andati così ho finito il lavoro senza trombe piangenti nelle orecchie. Ma dico io, se sei distrutta perché ti è morto il marito, dove le trovi le forze per truccarti ed ingioiellarti? Non sei coerente, no? Una vedova affranta ha gli occhi gonfi, la pelle bianca e tirata, indossa i vestiti stropicciati del giorno prima. Ne ho viste tante, in vita mia, che a stento si reggevano in piedi. La befana di stasera sembrava uscita da una sfilata di moda a Milano!»
«Dai Philip, ti prego, vai a lavarti e vieni a mangiare – lo interruppe mia madre – non ho fatto la tua zuppa di patate preferita per buttarla nel water. Lo sai che le vedove sono quasi tutte uguali. Noi donne abbiamo sempre un motivo valido per piangere e per metterci i vestiti migliori, figurati di fronte ad un cadavere!»
Povera mamma, era sempre così accomodante con il suo modo di porsi sereno riusciva a far scorrere le nostre esistenze come se fossimo la famiglia più normale del mondo. Innamorata da sempre di papà, era riuscita ad adattarsi a quella vita così bislacca con la semplicità con cui le altre mamme si abituano ad un nuovo cellulare.
Le diedi manforte: «Forza papà, la cena è buonissima, ha ragione la mamma. Ti prometto che se domani torna la vedova per chiedere le informazioni sulla luce perpetua, la permanenza in terra e sugli altri dettagli la accolgo io, così non ci pensi più. Sono proprio curioso di vederla da vicino, miss eleganza, visto che dalla finestra mi sono sfuggiti tutti i dettagli!»
Il compito di fornire informazioni sui servizi mi era stato affidato da poco, da quando ero stato promosso alle scuole medie. Le persone accettano di parlare di questioni tecniche con me senza porsi troppe domande perché sembro più grande. Sono molto alto, una testa almeno in più rispetto ai coetanei, grazie alle mie origini in parte nordiche. I clienti poi solitamente hanno parecchia fretta di andarsene, sebbene il nostro piccolo ufficio sia arredato con uno stile volutamente moderno e minimale: soltanto una scrivania con il computer e qualche quadro