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GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà
GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà
GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà
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GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà

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Giulia Farnese fu una delle donne più belle e più potenti del suo tempo. Discendente da parte della madre del papa Bonifacio VIII, fu sorella di un altro papa, Paolo III, amica di Lucrezia Borgia e amante del padre, il famoso Rodrigo Borgia, diventato papa con il nome di Alessandro VI.
Fu la vera artefice della fortuna dei Farnese, che, per mezzo del suo ascendente sul pontefice, da piccoli nobili di provincia diventarono una delle più grandi famiglie italiane del Rinascimento.
Conobbe i più grandi artisti e letterati dell’epoca e diventò amica d’influenti uomini politici e religiosi, ma fu condannata, nei secoli, ad essere ricordata con gli appellativi blasfemici di “Sposa di Cristo” e di“Venere Papale”.
Nell’ultimo periodo della sua vita, più matura, ricca e indipendente, diventò la signora di Carbognano, un piccolo centro rurale con castello, in provincia di Viterbo. Le cronache dell’epoca raccontano che fu un’abile, energica e giusta amministratrice, generosa con la popolazione e dotata di un grande senso di carità verso i poveri, ma soprattutto verso le ragazze e le donne del suo piccolo feudo.
LanguageItaliano
Release dateOct 19, 2015
ISBN9788892509146
GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà

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    GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà - Caprio Bonaventura

    Caprio Bonaventura

    GIULIA FARNESE LA BELLA. Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà

    Titolo: Giulia Farnese La Bella.

    Amori, potere, storia, arte e mito in antica nobiltà.

    Immagine in copertina: Castello di Carbognano (VT). Camera di Giulia Farnese. Lunetta con fanciulle che indossano vesti gigliate e che dissetano i liocorni. Al centro una pressa che schiaccia il fuoco.

    Ad eccezione di alcune indicate, tutte le foto del libro sono state realizzate da Bonaventura Caprio.

    Prima edizione digitale: 2015

    Opera protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    ISBN

    UUID:

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    Introduzione

    I Farnese

    La famiglia di Giulia

    L'infanzia e l'adolescenza di Giulia

    Il matrimonio di Giulia

    Il castello di Bassanello

    I Borgia protagonisti della storia

    Rodrigo Borgia

    Un sottile gioco di potere

    Le tre donne del cardinale Borgia

    Habemus Papam!

    La corte di Alessandro VI

    La nascita di Laura

    Il palazzo di Santa Maria in Portico

    Progetti matrimoniali

    Relazioni di parentela e accordi segreti

    Le nozze dell'amica Lucrezia

    Alessandro Farnese è eletto cardinale

    Un'incandescente situazione politica internazionale

    Giulia e Lucrezia alla corte di Pesaro

    Una singolare gara di bellezza

    Giulia a Capodimonte per la morte del fratello Angelo

    La ribellione di Orsino

    Julia ingrata et perfida

    Giulia prigioniera dei soldati francesi

    Lo splendore che stupì Carlo VIII

    Ritorni e trame in casa Borgia.

    L'uscita definitiva di Giulia dal Vaticano

    Il Giubileo del 1500

    La morte di Orsino

    La morte di Alessandro VI

    Nuove trame per l'elezione del successore di Alessandro VI

    Il crudele assassinio di Girolamo Farnese

    Giulia signora di Bassanello e Carbognano

    Il matrimonio di Laura Orsini

    Il castello di Carbognano

    Iconografia del castello di Carbognano

    Il secondo matrimonio di Giulia

    La morte di Giulio II e l'elezione di Leone X

    La grave malattia di Giulia e il miracolo della Madonna della Quercia

    La morte di Giovanni Maria Capace Bozzuto

    Giulia al matrimonio del nipote Pier Luigi Farnese

    Il testamento di Giulia

    Il triste epilogo

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    A Emanuela, figlia amatissima

    e al piccolo Brian,

    che ha cambiato la mia vita,

    perché ricordino l'Italia

    e il suo straordinario passato

    e perché imparino 

    a non giudicare mai le persone

    senza conoscere bene

    la loro storia.

    Introduzione

    Giulia Farnese fu una delle donne più belle e più potenti del suo tempo e, per oltre un decennio, a cavallo tra il XV e il XVI secolo, un’importante protagonista della storia italiana. Discendente da parte della madre del papa Bonifacio VIII, fu sorella di un altro papa, Paolo III, amica di Lucrezia Borgia e amante del famoso Rodrigo Borgia, diventato papa con il nome di Alessandro VI. Fu la vera artefice della fortuna dei Farnese, che, per mezzo della sua influenza e del suo ascendente sul pontefice, da piccoli nobili di provincia diventarono una delle più grandi famiglie italiane del Rinascimento, con autorità e prestigio anche sullo scenario politico europeo. Conobbe i più grandi artisti e letterati dell’epoca e diventò amica d’influenti uomini politici e religiosi, ma fu condannata, nei secoli, a vedere associati il proprio nome e la propria bellezza alla relazione scandalosa con il Borgia, che le procurò gli appellativi blasfemi di "Sposa di Cristo e di Venere Papale".

    Nell’ultimo periodo della sua vita, più matura, ricca e indipendente, diventò la signora di Carbognano, un piccolo centro rurale con castello, in provincia di Viterbo. Le cronache dell’epoca raccontano che fu un’abile, energica e giusta amministratrice, generosa con la popolazione del paese e dotata di un grande senso di carità verso i poveri, ma soprattutto verso le donne e le ragazze del suo piccolo feudo.

    La più bella

    Gli storici, gli scrittori e gli ambasciatori dell’epoca la chiamarono "Giulia la bella" enessuno, tra i personaggi di casa Farnese, ha suscitato e continua a suscitare, come lei, tanto interesse e curiosità, tanta passione e invidia, tanta ammirazione e maldicenza, sia da parte dei lettori che degli studiosi.

    I motivi di ciò sono probabilmente molteplici, ma il principale è rappresentato sicuramente dalla sua straordinaria e persistente bellezza, che è diventata, nel tempo, parte integrante del suo nome.

    Della sua decantata avvenenza e soprattutto dell’aspetto scandalistico della prima parte della sua vita si è parlato tantissimo e si continua a parlare anche ai nostri giorni, ma, in realtà, se ripercorriamo, con più attenzione, la sua breve esistenza, ci rendiamo conto che di lei sappiamo ben poco. Non conosciamo con precisione né il luogo, né la data di nascita, non sappiamo dove ha trascorso gli anni dell’infanzia, qual’era il suo vero aspetto, come e quando divenne l’amante di Rodrigo Borgia, che ruolo ebbe durante il papato più sconcertante di tutti i tempi, che genere di rapporto ebbe con i mariti, con la figlia e con i suoi familiari. Non sappiamo nemmeno, dove fu sepolta e perché il suo testamento non fu rispettato.

    Di lei hanno parlato in tanti: ambasciatori, storici, poeti (Gabriele D’Annunzio) e scrittori (Stendhal), ma sono giunti a noi solo pochissime descrizioni. I cronisti dell’epoca la descrissero con un fascino seducente e con una grazia incantevole, di altezza media e ben proporzionata, di corporatura snella e slanciata, di pelle chiara e lucente, con un volto piccolo e arrotondato, in cui brillavano, come diamanti, due occhi neri e vivaci [1]. 

    Il naso era proporzionato e diritto. I capelli erano vaporosi, lucidi e scuri all’origine, fatti poi diventare biondi, secondo la moda del tempo, per mezzo di lavande e lozioni. Giulia era solita intrecciarli con alcuni fili d’oro, per aumentarne lo splendore e la lucentezza.

    Lorenzo Pucci, fratello di Puccio, marito della sorella Girolama, in una lettera indirizzata all’altro fratello Giannozzo, la descrisse con queste parole di ammirazione, passate alla storia:

    Madonna Giulia [dopo la maternità] si è ingrassata e fatta bellissima. In mia presenza si sciolse i capelli e li fece acconciare. Nulla di simile vidi mai. Ha la più bella capigliatura che possa immaginarsi. Portava in capo un cuffione di rensa [tessuto di lino candido e di grana molto fine], con sopra una reticella leggera come il fumo, con certi profili d’oro; pareva davvero un sole;[…] [2].

    Il notaio Camillo Beneimbene, estensore delle "Tavole del suo matrimonio con Orsino Orsini, la definì […] magnificam, honestam puellam Juliam"[3].

    Carlo Fornari ha riassunto la sua vita con queste parole:

    In età giovanile ella fu la donna più bella di Roma, la favorita del pontefice Alessandro VI Borgia, la fedele collaboratrice del fratello Alessandro nella scalata al potere che, in un clima denso di trame, sottese fra sesso, religione e politica, lo condurrà a diventare il glorioso papa Paolo III. In età matura fu madre accorta e solerte, impegnata a gestire con saggezza il destino della piccola Laura; e quando gli anni iniziarono ad offuscare lo splendore dei suoi occhi, accanto a un oscuro marito, seppe essere la saggia e illuminata domina di una piccola comunità agricola, alla quale volle donare una parte delle proprie fortune [4].

    Dalla maggior parte degli Autori fu, infine, descritta come una donna determinata e sensuale, obbediente al volere della famiglia, generosa e dotata di una profonda umanità.

    Giulia Farnese rappresenta certamente un personaggio controverso, ma anche una donna offesa e umiliata, sia dagli stessi Farnese, che da molti storici della sua epoca e dei secoli successivi, che hanno spesso basato le loro accuse su notizie frammentarie o su pregiudizi politici o religiosi.

    È necessario, infatti, ricordare, che fino alle due grandi biografie: "La venere papale: di Angelo La Bella e Rosa Mecarolo e Giulia Farnese, una donna schiava della propria bellezza", di Carlo Fornari, entrambi del 1995 e che rappresentano a tutt’oggi il riferimento bibliografico principale per conoscere la vita della bella Farnese, si conoscevano solo pochi particolari della sua esistenza. La maggior parte delle informazioni che la riguardavano, erano nascoste sotto forma di cenni o di brevi note, sparse in libri o articoli riguardanti altri personaggi della famiglia Farnese, Rodrigo o Lucrezia Borgia. 

    Alcuni studiosi farnesiani del passato hanno volutamente sorvolato su certe vicende e situazioni scabrose della vita di Giulia, quasi per una sorta di candido pudore, per non affrontare il suo conclamato ruolo sacrilego o, forse, per non oscurare la fama della sua seducente bellezza. Altri storici hanno, invece, messo principalmente in rilievo gli avvenimenti scandalistici della prima parte della sua vita, evitando di approfondire il ruolo determinante, che ella rivestì nella grande ascesa della sua casata, distorcendo, così, la vera realtà storica, anche se disonorevole.

    Per contare gli accusatori e i difensori di Giulia e del fratello Alessandro, non bastano le dita di entrambi le mani ma, in molti casi, studiosi e biografi farnesiani, seguendo più le loro personali convinzioni, che la realtà storica, hanno perduto gran parte della loro imparzialità e indebolito l’onestà del proprio giudizio. 

    Dopo le due fondamentali biografie del 1995, sono stati pubblicati, nel corso degli ultimi vent’anni, numerosi articoli e parecchi romanzi, più o meno fantasiosi e più o meno connessi alla realtà storica, che, in verità, hanno poco contribuito a colmare le nostre numerose lacune.

    Nel 2011, l’insegnante Maria Guelfa Vittori ha pubblicato un breve saggio, ma chiaro, onesto e obiettivo, intitolato: "Giulia Farnese. Luci e ombre, dove emerge una Giulia, molto donna, con una straordinaria personalità e sensibilità, che riesce a superare i confini della sua leggenda. Nel 2012, infine, è stato pubblicato da Danilo Romei e Patrizia Rosini, l’importantissimo: Regesto dei documenti di Giulia Farnese", uno scrupoloso e prezioso lavoro di ricerca, che ha messo a disposizione degli studiosi, gran parte dei documenti originali riguardanti la vita di Giulia. Documenti riportati fedelmente e tradotti in modo rigoroso, che rappresentano un affidabile materiale di consultazione, sul quale basare le nostre conoscenze e impostare le nostre riflessioni.

    Sulla guida di queste fonti bibliografiche citate e di altre numerose pubblicazioni, passate e contemporanee, ho cercato di farmi un’idea abbastanza precisa del mondo che girava intorno a Giulia, ricostruire, per alcuni periodi, le sue giornate, cogliere, dove è stato possibile, alcuni suoi aspetti più intimi, come donna e come madre, i suoi stati d’animo, i suoi turbamenti e le sue più intime emozioni.

    A venti anni di distanza dalla pubblicazione delle prime due fondamentali biografie, ho ritenuto opportuno ripercorrere la particolare esistenza di Giulia, arricchita, in questo arco di tempo, di numerosi importanti dati e della divulgazione dei fondamentali documenti del "Regesto", che hanno illuminato di nuova luce la vita di questa donna straordinaria.

    Quanto sarà scritto nelle pagine seguenti, non vuole rappresentare, pertanto, l’ennesimo processo a Giulia Farnese (divina cortigiana o vittima sacrificale?), ma essere solamente un momento di riflessione, di ricerca, di confronto e di valutazione degli studi e delle ipotesi fin qui formulate dai vari autori.

    Lo spirito di revisione critica che ha animato questo lavoro e l’intento di conoscere quanto possibile sulla vera storia di Giulia Farnese, non vuole essere assolutamente quello di prevalere sulle ipotesi formulate da altri autori e neanche quello di imporre le mie personali conclusioni, ma quello di fornire al lettore altri elementi di valutazione e d’informazione, che vanno a integrare e, spero, a completare i precedenti. 

    Ho cercato, in ogni modo, dove è stato possibile, di riportare le fonti originali, anche a costo di riuscire pesante al lettore, con la traduzione e l’interpretazione di documenti non sempre di agevole lettura, in modo che ognuno si facesse la propria idea e la vera storia di Giulia, uscisse fuori da sola e parlasse da sé.

    [1]  Di "[…] niger oculus et rotunda facies et quidam ardor ornant Iulliam" parla, infatti, Giacomo Dragoni al cardinale Cesare Borgia dalla corte di Pesaro dove Giulia si trovava insieme a Lucrezia Borgia. In D. Romei e P. Rosini, Lettera di Giacomo Dragoni al cardinale Cesare Borgia, da San Lorenzo. 11 luglio 1494, 2012, pag. 130-133.

    [2]  C. Fornari, 1995, pag. 100. D. Romei, P. Rosini, Lettera di Lorenzo Pucci da Roma, 24 dicembre 1493, 2012, pag. 88-89. 

    [3]  Archivio di Stato di Roma, Collegio dei Notai Capitolini, vol. 176, prot. Camillo Beneimbene, cc. 631 r-632 v.

    [4]  C. Fornari, 1995, risvolto della copertina.

    I Farnese

    I Farnese furono i rappresentanti di una tra le più grandi famiglie italiane del Rinascimento. Governarono vasti possedimenti che si estendevano dalle rive del lago di Bolsena al mar Tirreno di Montalto di Castro e al confine dei territori romani dello Stato Pontificio, comprendendo numerosi castelli, fortificazioni e centri abitati, tra cui ricordiamo: Canino, Castro, Cellere, Pianiano, Arlena, Tessennano, Piansano, Valentano, Farnese, Latera, Ischia, Gradoli, Grotte, Borghetto, Capodimonte, Marta, le isole Bisentina e Martana, Montalto, Musignano, Ponte della Badia, Ronciglione, Nepi, Caprarola, Carbognano, Fabbrica di Roma, Canepina, Corchiano, Castel Sant’Elia, Vallerano e Vignanello. Un’area abbastanza vasta e fertile, vicina alle principali vie di transito con la Toscana, l’Umbria e lo Stato Pontificio. 

    Dal 1545 furono anche i signori del Ducato di Parma e Piacenza.

    Convinti antighibellini, tranne poche eccezioni, i Farnese scelsero, fin dall’inizio, di stare al fianco dei pontefici e di difenderli con il loro servizio anche nel tormentato periodo avignonese. Non furono, però, solo le armi a favorire la loro ascesa sociale, ma anche una mirata politica dei matrimoni. Molto precocemente, si determinò all’interno della famiglia una divisione in due rami.

    Il primo, più piccolo e costituito dai signori dei castelli di Latera e Farnese, rimase ancorato a una visione conservativa, legata principalmente al mestiere delle armi e al patrimonio fondiario, mentre il secondo, molto più grande e numeroso, maturò rapidamente strategie più ambiziose e articolate, pensando che la carriera politica e quella ecclesiastica fossero le più efficaci per accrescere il prestigio e il potere della famiglia. Questi orientamenti determinarono, nel tempo, un’evidente subalternità del ramo di Latera a quello che potremmo definire viterbese-romano-parmense, pur nell’ambito di una sostanziale autonomia, collaborazione e solidarietà.

    Secondo la storiografia corrente, tra le famiglie nobili italiane, quella dei Farnese arrivò alla gloria e al potere tra le ultime, dopo un lungo periodo di vita provinciale, di professione militare e di anni d’anticamera, per merito soprattutto dell’opera instancabile del suo figlio più illustre, Alessandro Farnese, sapiente umanista, raffinato cortigiano, abile politico e astuto diplomatico, diventato papa con il nome di Paolo III.

    Quella dei Farnese è una storia di uomini non sempre eccezionali, ma perfettamente inseriti nel loro tempo e consapevoli della propria dignità, con attestazioni scritte e orali di atti di buon governo, mescolate a testimonianze di soprusi e violenze, di profonde contraddizioni, di bigottismo e di superstizioni.

    Le loro armi migliori furono un’accorta strategia dei matrimoni, la fedeltà alla Chiesa e l’esercizio delle armi. Pochi personaggi furono di grande cultura, ma esercitarono un imponente mecenatismo artistico, che legò il loro nome a grandi opere architettoniche, a monumenti di rilievo e a famose collezioni. La biografia storica di alcuni personaggi deve essere ancora completamente ricostruita e molti protagonisti, di grande spessore storico o religioso, attendono, da secoli, un’adeguata ricostruzione umana e un maggiore approfondimento critico.

    Esistono, poi, numerose lacune anche nel seguire e nell’elencare con esattezza la loro successione genealogica. 

    I numerosi storici farnesiani, che, nel tempo, hanno prodotto i vari alberi genealogici, cominciando da padre Flaminio Annibali (1817-18) e proseguendo con Federico Odorici (1860-68), Clemente Lanzi (1927), Emilio Nasalli Rocca (1995), Luigi Lotti (1980), Maria Assunta Ceppari (1989), Minimus Laterensis (Angelo Rossi, 1990), Luigi Alfieri (1995), Carlo Fornari (1995), Romualdo Luzi (1999), Luciano Passini (2002), Felicita e Alessandro Menghini (2004), Bonaventura Caprio (2004), Marzio Dell’Acqua (2008) e Patrizia Rosini (2012), presentano, tra loro, grosse discordanze e profonde differenze nella successione dei vari personaggi.

    Nelle pagine seguenti si darà una brevissima descrizione sull’origine dei Farnese e su alcuni personaggi chiave, che serviranno a comprendere meglio e a introdurre i luoghi e gli avvenimenti che videro, in qualche modo, come parte in causa Giulia Farnese.

    Le origini dei Farnese.

    Le origini dei Farnese rimangono, ancora oggi, piuttosto oscure, anche se è ormai accettata, da tutti gli storici, la provenienza dall’antico territorio di "Farnetum, situato al confine tra l’Alto Lazio e la Toscana. Il nome deriva da una particolare specie di querce, dette farnie", che erano molto diffuse nella Maremma laziale e nelle aree circostanti il lago di Bolsena. Esse rappresentavano, mitologicamente, l’albero consacrato a Giove e a Cibele, simbolo della forza, del coraggio, della dignità, della virilità, del valore in campo militare, della perseveranza e della durata nel tempo.

    Fig. 1: Stampa ottocentesca di una farnia secolare. Autore ignoto.

    Sia il nome del paese in provincia di Viterbo, sia il nome della famiglia, deriverebbero, pertanto, da "farnetum", luogo ricco di farnie. Non sappiamo, però, se i Farnese fossero originari di quel territorio o se vi si stanziarono in seguito all’acquisto di terreni e di altre proprietà.

    Lo storico laterese padre Flaminio Annibali, facendo riferimento ad un Codice, d’autore sconosciuto, ritrovato nella casa della nobile famiglia Aviamonzi di Orvieto, ipotizza delle origini longobarde:

    […] Benchè difatti dei Longobardi in Orvieto, dove tanto tempo dimorarono, non sia giunto a noi alcun legittimo sentore, ho fondamento non leggiero di credere, che più di uno di loro, invitato dalla sicurezza, e dalla fertilità del luogo, qui si fermasse anche dopochè quella Nazione perdé in tutta l’Italia il dominio e dasse principio a più d’una casa degli antichi nostri Baroni e Cittadini [[1].

    Indipendentemente dai possibili antenati che potranno essere scoperti, la famiglia Farnese si sviluppò, presumibilmente, dall’inizio dell’XI secolo, in un territorio compreso tra il lago di Bolsena e la Toscana meridionale, che costituiva un feudo, posto sotto la protezione di Orvieto, chiamato "Terra Guiniccesca", dal nome di un certo Guinigi, nominato in vari documenti orvietani [2].

    L’aumento dell’influenza della città umbra in tale area provocò, in qualche modo, il sorgere di alcuni piccoli signori feudali, tra cui, probabilmente, gli stessi Farnese, che cercavano ogni occasione per allargare i loro possedimenti. È plausibile pensare che, in quel periodo, il nucleo principale della famiglia fosse costituito da signorotti rurali, di probabile origine longobarda, che alternavano periodi di quiete, trascorsi a curare e a proteggere il loro patrimonio, a campagne militari al servizio di città più importanti.

    L’interesse dei primi Farnese si concentrò soprattutto verso la città di Orvieto, dove si affermarono come abili combattenti, ma non disdegnarono neanche la carriera politica e religiosa. In quel periodo, Orvieto rappresentava, infatti, un centro civile e religioso di primissimo piano, un punto chiave importantissimo per il controllo della rete stradale dell’Italia centrale, del transito e dell’approvvigionamento delle merci.

    A ridosso com’era, dei tormentati confini settentrionali della Chiesa, fu sempre tenuta in attenta considerazione dallo Stato Pontificio, che cercò di mantenerla sempre rigorosamente guelfa, al riparo da tentazioni verso i vari imperatori tedeschi. Si capisce, pertanto, chiaramente, perché fu, proprio, questa città a costituire la via politica da cui iniziò l’avventura e la fortuna dei Farnese. In Orvieto essi furono conosciuti come "i Signori de Farneto" e molti di essi furono vescovi, consoli e capitani militari.

    Fig. 2: Ipotetica ricostruzione della Terra Guiniccesca (da B. Caprio e G. Corallo, 2004)

    l primo Farnese, riportato nelle principali genealogie della famiglia, fu un certo Pietro, attestato come console in Orvieto nel 984 [3]. Un suo omonimo, circa un secolo più tardi, nel 1096, fu capitano della cavalleria di Orvieto e riportò per la Chiesa, nel 1100, una grande vittoria contro le truppe ghibelline toscane, nelle vicinanze dei ruderi dell’antica città etrusca di Cosa. A ricordo del successo ottenuto, rifondò la città di Orbetello. Questa vittoria fu sicuramente importante dal punto di vista militare e di grande prestigio per i Farnese, che la fecero rappresentare, con solennità, sia nella volta della sala dei Fasti del palazzo di Caprarola, che in quella del palazzo Farnese in Roma. 

    Nella ricostruzione genealogica farnesiana, sia pure con le dovute riserve, questo Pietro è il primo grande antenato, a cui si può far riferimento con una certa sicurezza, per il grande valore narrativo delle testimonianze iconografiche sopra citate.

    La presenza dei Farnese nella città di Orvieto è ampiamente documentata, ma per ovvi motivi non ci dilungheremo su questo argomento. Ricordiamo solamente qualche personaggio principale. Un Ranuccio di Pietro Farnese fu presente alla pace di Venezia del 1177, in rappresentanza della città umbra e poi venne eletto console (1191) e capitano della cavalleria (1208) [4].

    Suo fratello Pepo o Pepone di Pietro fu anch’esso console (1193) e podestà in Orvieto (1213-14). Un altro Ranuccio, figlio di Pepo o Pepone di Pietro, fu signore dei castelli di Ischia e Farnese nella prima metà del XIII secolo. 

    In questo periodo, esiste scarsissima documentazione sui Farnese e i documenti presenti nell’Archivio Storico di Orvieto non ci sono di grande aiuto per risolvere i problemi genealogici, perché sono molto lacunosi. Nel corso del Duecento, i Farnese riuscirono a conquistare una sempre maggiore autonomia e a rafforzare la loro posizione economica e politica, tanto che, nei primi anni del 1300, furono in grado di avviare una straordinaria politica espansionistica, che li portò ad impadronirsi di nuovi castelli e territori.

    Pietro di Ranuccio, già rettore e difensore di Orvieto, comandò la guerra contro Tarquinia del 1320-21. Il fratello Guido fu, ininterrottamente, vescovo di Orvieto dal 1302 al 1328, dando prova di abilità di governo e di fermezza nel rivendicare i possessi della Chiesa.

    Fig. 3: Caprarola. Palazzo Farnese. Sala dei Fasti. Petrus Farnesius hostibus S. Romanae Ecclesiae eusis ac profligatis in vestigiis Cosae, vulcentium Orbitellum victoriae monumentum condidit. Anno salutis MC Affresco di Taddeo Zuccari e aiuti. 1561-1563.

    In realtà, Guido Farnese, non fu certo nel campo dell’attività pastorale che si distinse. Egli fu principalmente un uomo politico e partecipò attivamente alle travagliate vicende della città in cui svolgeva il suo magistero. In un quadro politico e religioso molto incerto, dimostrò un’indubbia capacità nel rappresentare un punto di riferimento per molti cittadini e alcune famiglie aristocratiche. Approfittando della quasi completa anarchia presente nello Stato Pontificio, non mancò di favorire la sua famiglia con benefici e incarichi prestigiosi e remunerativi, ma fu sempre visto come un difensore degli interessi della diocesi.

    La documentazione consultabile, anche se non abbondante, ci fa capire che, in questo periodo, era ormai iniziato un cambiamento nella politica della famiglia. Pur continuando nella tradizionale fedeltà al partito guelfo e nell’appoggio militare alla città di Orvieto, dai primi decenni del 1300, i Farnese cominciarono a impegnarsi sempre più attivamente nella difesa dei propri possedimenti e verso l’acquisto di nuove proprietà.

    In questa precisa e determinata strategia politica, furono sicuramente favoriti dalla particolare situazione di anarchia, che si era venuta a creare all’interno del Patrimonio di San Pietro dopo il trasferimento del pontefice ad Avignone e dal fatto che, dai primi decenni del XIV secolo, Orvieto cominciò a conoscere un lento e progressivo declino economico e politico, che l’avrebbe portata a perdere gran parte dei territori, conquistati nel secolo precedente. In questa situazione di estrema confusione e incertezza, i Farnese, alleati e difensori dello Stato Pontificio, se da una parte riuscirono ad ottenere la concessione e il controllo di alcuni castelli (quando non li occuparono con la forza), dall’altra si trovarono spesso esposti agli attacchi degli avversari della Chiesa, che, a loro volta, desideravano impadronirsi delle loro terre.

    Le fonti storiche non consentono, purtroppo, una ricostruzione precisa della loro espansione territoriale, ma si può affermare con una certa tranquillità, che, nel secondo decennio del 1300, essa era già avviata.

    Nel 1354, al tempo della restaurazione operata dal cardinale Egidio Albarnoz, essi risultano, infatti, possessori dei castelli di Farnese, una parte di Tessennano, Ischia, Cellere e Valentano. Ben poco in confronto a famiglie come i Colonna e gli Orsini, che avevano possedimenti nella maggior parte del territorio pontificio, oppure rispetto ai prefetti di Vico o agli Anguillara, ma era solo l’inizio [5].

    Da questo momento, è documentata, con una certa continuità, l’attività di diversi Farnese agli stipendi dello stesso cardinale Albarnoz e poi dei comuni di Siena e di Firenze. Tra di essi va ricordato in particolare Pietro di Nicola, conosciuto anche come Piero de Farneto o Petruccio di Cola (circa 1310-1363), morto di peste, il 19 giugno 1363, poco dopo aver riportato una grande vittoria, a capo dell’esercito fiorentino, contro Pisa [6]. La sua salma fu trasportata a Firenze, dove le furono tributate esequie solenni. e le sue gesta rimasero a lungo impresse nella memoria dei fiorentini. La morte improvvisa spezzò la sua carriera militare proprio nel momento di maggior successo. Le gesta di Pietro Farnese, vincitore sui Pisani, rimasero a lungo impresse nell’immaginario pubblico fiorentino, in un intenso processo di postuma glorificazione letteraria e artistica.

    Fig. 5: Roma. Palazzo Farnese. Sala dei Fasti. Pietro Farnese contro i Pisani. Affresco di Francesco Salviati. 1552-1558.

    Oltre agli innumerevoli ricordi storici, nel 1366 fu eretta in Santa Reparata, a Firenze (attuale Duomo o Cattedrale di Santa Maria del Fiore), per mano dello scultore e architetto Andrea di Cione di Arcangelo, soprannominato l’Orcagna, un’arca funebre con una statua equestre in legno. Il suo monumento funebre non fu creato ex novo, ma riutilizzando, secondo una consuetudine assai diffusa, un antico sarcofago di marmo, riccamente scolpito e illustrante il mito di Fetonte. Nella parte del monumento che un tempo era grezza, poi divenuta facciata principale, al giglio stemma di Firenze, all’aquila di parte guelfa e alla croce del popolo, si alternano campi di gigli, targhe farnesiane e le chiavi di Pietro, emblema della Chiesa.

    Fig. 5: Monumento funebre a Pietro Farnese. Firenze 1363. Da Odorici-Litta: Le Famiglie Illustri Italiane, dispensa 145, parte I, II, 62, 1860. 

    In un documento [7]  del 13 giugno 1385, giorno in cui i seguaci dell’antipapa Clemente VII e quelli del pontefice di Roma, Urbano VI, stipularono una tregua, i Farnese sono riconosciuti proprietari dei castelli di Farnese, Ischia, Valentano, Latera, Onano, Capodimonte, Cegliole, Piandana, Tessennano e Rocca di Piansano. 

    In qualità di Vicari, essi ricevevano un potere pressoché assoluto, che però veniva concesso "ad personam", nel senso che alla morte dei destinatari del privilegio, la Chiesa riprendeva il potere sulle proprietà. Questa precisazione, rappresentava, in un certo senso, una tutela che il pontefice tendeva ad assicurarsi per limitare il grande potere di cui erano investiti i vicari, nel caso che essi cambiassero atteggiamento o politica nei suoi confronti.

    Nel Quattrocento si registrò un ampliamento del potere e dei domini dei Farnese, che si estendevano lungo tutta la sponda occidentale del lago di Bolsena, sulle due isole Bisentina e Martana e la zona compresa tra i colli Vulsini e il mare, fino a Montalto di Castro. 

    In questo periodo fu Ranuccio Farnese (indicato nelle genealogie come "il Vecchio") ad emergere, con la partecipazione a numerose battaglie, fatte al servizio delle città di Siena, di Firenze e della Chiesa. La lunga stagione d’impegni militari al servizio del cardinale Vitelleschi e dei pontefici Martino V ed Eugenio IV, rappresentò la chiave di svolta delle sue fortune politiche, patrimoniali e finanziarie.

    Fig. 6: Caprarola. Palazzo Farnese. Sala dei Fasti. Ranuccio Farnese è nominato capitano delle truppe pontificie da Eugenio IV nel 1435.

    È stato calcolato che per le sue prestazioni militari, solamente tra l’ottobre 1431 e il gennaio 1434, gli furono pagati, dalla Camera Apostolica, ben 13.886 fiorini. A questa somma si sommò progressivamente, per il deficit cronico delle casse dello Stato Pontificio e per la difficoltà ad avere disponibilità di liquidi, un credito ingentissimo, che già nell’ottobre 1433, ammontava a 11.900 fiorini. 

    Lasciando accumulare senza eccessive proteste le somme a lui dovute, il Farnese sfruttò abilmente le difficoltà finanziarie della Santa Sede e le ampie dimensioni assunte dal proprio credito, ottenendo in cambio la concessione, in un primo tempo a titolo di garanzia e in seguito definitivamente, di vicariati su castelli, terre e fortezze circostanti al nucleo originario dei suoi possedimenti. Nel volgere di un paio di decenni, Ranuccio riuscì, con ostinazione e intelligenza politica, a costituire un feudo piuttosto compatto, che, dai confini con la città di Orvieto scendeva fino al mare, avvolgendo, a nord-ovest, come una fascia, il lago di Bolsena.

    Sposando Agnese, figlia di Angelo Monaldeschi della Cervara, rafforzò e continuò i tradizionali legami con la città di Orvieto, dove mantenne sempre la cittadinanza, anche quando in seguito acquisì quella viterbese e romana.

    Ranuccio Farnese può essere considerato l’anello di congiunzione tra la vecchia generazione farnesiana, fondamentalmente "orvietana e quella nuova romana-alto laziale", proiettata nel più vasto mondo italiano.

    Da un piccolo possedimento patrimoniale di modesto valore economico, nel corso di un ventennio, arrivò a possedere un piccolo "stato" feudale, che comprendeva i centri di Farnese, Ischia, Cellere, Latera, Valentano, Piansano, Capodimonte, Marta, le isole Martana e Bisentina del lago di Bolsena, Gradoli, Tessennano, Cassano, Canino e Montalto. Nel 1435, ottenne dal pontefice Eugenio IV due riconoscimenti molto importanti: la Rosa d’Oro e il titolo di Gonfaloniere della Chiesa, che furono raffigurati, come vanto della famiglia, nella Sala dei Fasti del Palazzo Farnese di Caprarola.

    La realizzazione più significativa e per molti aspetti simbolica della sua vita è, però, rappresentata dalla costruzione nella silenziosa isola Bisentina del lago di Bolsena, del monastero e della chiesa di San Giovanni Battista, contenente al suo interno il sepolcro della famiglia.

    Fig. 8: Lago di Bolsena. Isola Bisentina. Chiesa di San Giovanni Battista. Sepolcro di Ranuccio Farnese.

    Il 2 di luglio 1450, in Ischia di Castro, dettò il suo testamento [8]. In esso,Ranuccio lasciava ai suoi eredi una base stabile di prestigio e di potere, oltre che una solida ricchezza, costituita da feudi, fondi rurali, bestiame, possessi immobiliari e investimenti finanziari. 

    Al fratello Bartolomeo riconosceva, in particolare, i diritti su Latera, Farnese e le tenute di Sala, Mezzano e Castiglione, mentre ai suoi figli maschi: Gabriele Francesco, Angelo e Pierluigi trasmetteva i possessi di Ischia, Tessennano, Cellere, Pianano, Valentano, Capodimonte, Piansano, Marta, le isole Martana e Bisentina, Canino, Gradoli, Badia al Ponte e Musignano. Alle femmine destinava, invece, una buona dote. Morì circa un mese dopo, il 10 agosto 1450.

    Con la sua scomparsa, l’albero genealogico dei Farnese imbocca chiaramente due strade diverse. 

    Da una parte troviamo la linea che rimarrà fedele al luogo di origine, con Meo (Bartolomeo), Pier Bertoldo (o Pietro Bertoldo) e Galeazzo, che sarà poi quella dei duchi di Latera e Farnese.

    Dall’altro lato, i figli di Ranuccio il Vecchio, vale a dire Gabriele Francesco, Angelo, altri figli e soprattutto Pier Luigi, da cui nasceranno Angelo, Gerolama, Giulia, Beatrice e Alessandro, futuro papa Paolo III e da cui discenderanno i duchi di Parma e Piacenza. 

    [1]  F.M. Annibali, Notizie storiche della Casa Farnese,[] , Latera Parte 1, 2006, pag. 5.

    [2]  A. Biondi, Un feudo tra Sovana e Castro: la Terra Guiniccesca (Sec. XII-XIII), in: I quaderni di Gradoli, n.2, 1984, pag. 7. 

    [3]  R. Gallina, 2001, pag.1-3; F. M. Annibali, 2006, I parte, pag. 12.

    [4]  R. Luzi, I primi Farnese, in Canino Info, Profilo storico della famiglia Farnese, 2003, parte prima, pag. 1.

    [5]  J. Guiraud, 1896, pag.129-130.

    [6]   M. e F. Villani, Cronica [...], libro XI, 1834, capitolo 49-50 e 51, pag. 374-378

    [7]  L. Fumi, Codice Diplomatico di Orvieto, 1884, documento DCCXV.

    [8]  Il testamento di Ranuccio Farnese, conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli (Archivio farnesiano, b. 2071, fasc. 3, cc. 1-8 v), è stato pubblicato da R. Lefevre, Il testamento di Ranuccio Farnese il Vecchio ( 1450 ), in Archivio della Società Romana di Storia Patria, 1980, vol. 103, pag. 190-207. 

    La famiglia di Giulia

    Tra i figli di Ranuccio e di Agnese Monaldeschi, Pier Luigi fu quello che, insieme al fratello Gabriele Francesco, dimostrò di aver ereditato doti d’intelligente stratega, di abile politico e di guida indiscussa della famiglia. Fu detto "Il Seniore, per distinguerlo dal nipote, primogenito del figlio Alessandro, che verrà detto Juniore".

    Non si conosce con precisione la sua data di nascita, che avvenne con molta probabilità dopo il 1435, perché, nel 1450, quando il padre dettò il suo testamento, non era ancora maggiorenne e fu posto sotto la tutela dei fratelli.

    I beni da lui ereditati erano costituiti dai castelli di Capodimonte e Musignano e dai diritti posseduti dalla famiglia su Abbazia al Ponte, Canino e Montalto, ai quali si aggiungevano la quarta parte della tenuta di Pian d’Arcione (confinante con Corneto, odierna Tarquinia), Montalto ed una quota di tutti i beni mobili e degli 11.000 fiorini depositati in Firenze, presso il Banco dei Medici.

    Proseguendo gli insegnamenti e la politica del padre, Pier Luigi lavorò intensamente al consolidamento delle proprietà e all’ascesa della famiglia. Nel 1460 avviò le trattative per sposare Giovannella Caetani, figlia di Onorato, duca di Sermoneta, che andarono a buon fine nel marzo del 1464. Dalla sua residenza di Ischia, nominò un procuratore per ricevere la sua dote, che ammontava a 2.750 ducati. Poco dopo fu celebrato il matrimonio.

    Nasalli Rocca [1] afferma, giustamente, che con questo matrimonio, i Farnese uscirono dalla cerchia limitata della nobiltà locale ed entrarono nel novero dell’aristocrazia romana, imparentandosi con una famiglia di grande prestigio, che aveva dato un papa alla Chiesa romana. Non per questo egli scelse di abbandonare le tradizionali sedi che la famiglia possedeva, al contrario s’impegnò con tutte le sue forze ad amministrare e consolidare quel patrimonio, che suo padre nel testamento definì: "la magnifica domus de Farnesio" [2].

    La moglie Giovannella dimostrò in molte circostanze di essere una donna accorta, intelligente e molto interessata, dedita, a tempo pieno, all’educazione dei figli e al mantenimento delle proprietà. Condivise, senza difficoltà, la politica economica e familiare del marito, contribuendo al successo della sua famiglia.

    Pier Luigi dettò il suo testamento il 12 dicembre del 1485 [3] e la sua morte avvenne nel novembre del 1487, quando Giovannella compare in un documento come "uxor olim domini Pietrolovisii - moglie un tempo del signor Pierluigi" [4]. L’atto, conservato nel protocollo del notaio viterbese Spinello Altobelli, offre un singolare spaccato del carattere della Caetani, mostrandocela come una donna energica e pronta alla sfida.

    Dal matrimonio tra Pier Luigi Farnese e Giovannella Caetani nacquero cinque figli: due maschi, Angelo e Alessandro, e tre femmine, Girolama, Beatrice e Giulia, la protagonista di questo libro.

    Angelo Farnese nacque a Canino (VT), presumibilmente nel 1465, perché i suoi genitori si erano sposati l’anno precedente e in occasione della stesura dei capitoli matrimoniali della sorella Giulia (maggio 1489), cui partecipò come capofamiglia, dichiarò di avere meno di venticinque anni. Non sappiamo nulla della sua infanzia e della sua educazione. Come primogenito, fu avviato giovanissimo alla carriera militare, perché a sedici, diciassette anni, figura insieme al cugino Ranuccio, figlio di Gabriele Francesco, in un elenco di cavalieri al servizio del famosissimo Federico, signore di Montefeltro, Urbino e Castel Durante [5].

    Nel maggio del 1488, Angelo sposò Lella Orsini, figlia di Niccolò, conte di Pitigliano. Dovevano amarsi molto, perché, insieme all’atto di matrimonio, sottoscrissero anche un "patto nuziale", secondo il quale, chiunque dei due fosse sopravvissuto all’altro coniuge, avrebbe intrapreso la vita monastica. In occasione delle loro nozze fu restaurato il palazzo di Valentano, con la demolizione di alcuni ambienti interni e la creazione di un cortile, con porticato inferiore e loggia superiore, coperta da un tetto [6].

    Fig. 8: Valentano. Il cosiddetto Cortile dell'amore, costruito in occasione del matrimonio tra tra AngeloFarnese e Lella Orsini di Pitigliano.

    Particolare cura fu posta nella progettazione e realizzazione dei capitelli del colonnato, tutti diversi tra loro come decorazione e ricchi di significati simbolici, indicanti ricchezza, fortuna e produttività. 

    In particolare è a tutt’oggi meritevole di attenta osservazione il primo capitello, posto sulla destra dell’ingresso principale. È di forma quadrangolare e presenta negli angoli, scolpiti in altorilievo, quattro volti, alternati, di giovani uomini e donne. Sulla faccia rivolta verso l’interno del cortile è rappresentata in alto la rosa degli Orsini e, al centro, lo stemma con la rosa, la fascia e le bande trasversali della stessa famiglia, mentre sulle facce laterali si possono osservare gli stemmi con sei gigli, disposti 3, 2, 1, della famiglia Farnese. Nella faccia posteriore è scolpita in alto ancora la rosa degli Orsini e al centro una pianta che reca all’apice un bocciolo di rosa.

    Fig. 9: Valentano. Cortile della rocca. Il cosiddetto Capitello dell'amore con quattro volti alternati di giovani donne e uomini, con i simboli delle famiglie Farnese e Orsini.

    Negli altri capitelli, che delimitano il cortile, sono, invece, riprodotti, per lo più negli angoli, foglie di acanto, tagliate dall’alto verso il basso o viceversa, associate o sormontate da girali, che fanno da cornice a rose degli Orsini o a gigli farnesiani. In molti capitelli i gigli danno origine a frutti di melograno, palme, spighe di grano e boccioli di rose, figure simboliche indicanti fertilità, longevità, pace, cristianità e vittoria verso i nemici. 

    La felice unione tra il Farnese e Lella Orsini ebbe, purtroppo, una breve durata, perché Angelo morì nel 1494 a Capodimonte [7], in seguito ad un’epidemia di peste, che fece molte vittime in tutto il territorio viterbese. 

    Lella, rimasta vedova all’età di 34 anni, dopo alcuni giorni, si rinchiuse, monaca di clausura, nel monastero delle Murate di Firenze [8]. 

    Nonostante la morte prematura, che interruppe la sua carriera e i suoi progetti a soli ventinove anni, Angelo era considerato "il saggio" di casa Farnese, una persona affidabile e un consigliere stimato e apprezzato, sia nel territorio viterbese, sia in quello romano.

    Alessandro Farnese nacque a Canino (VT), il 28 febbraio 1468. Nei progetti dei genitori, il primogenito Angelo, si sarebbe dovuto occupare dei possedimenti e degli affari della famiglia, proseguendo la strada già intrapresa dal padre, mentre Alessandro avrebbe dovuto intraprendere la carriera religiosa, frequentando la curia e gli ambienti culturali romani, ripercorrendo la strada dell’avo materno, Bonifacio VIII. Secondo il modo di pensare dell’epoca, i bambini dovevano, infatti, essere abituati, fin da piccoli, a muoversi e a sapersi destreggiare negli ambienti dove, con molta probabilità, si sarebbe dovuta realizzare la loro vita futura, in modo d’acquisire naturalezza e disinvoltura nei rapporti con gli altri, fare amicizie e conoscenze, instaurare tutta quella serie di rapporti sociali e culturali, necessari per la realizzazione dei progetti personali e della propria famiglia.

    "Da vari documenti risulta che Alessandro aderì a malincuore al desiderio della madre d’entrare in prelatura[9], ma poi acconsentì e si trasferì a Roma, per iniziare gli studi alla scuola del famoso precettore, filosofo e umanista Pomponio Leto (1428-1498) e del teologo, filosofo e matematico Alberto Piglio. Nel 1482, a soli quattordici anni, ottenne da Sisto V la concessione di un ufficio di Scrittore Apostolico presso il Vaticano, come richiesto dalla sua famiglia. Possedeva un linguaggio brillante e forbito, in grado di attrarre l’attenzione di tutti i presenti, che associato a uno sguardo profondo e introspettivo, lo rendevano particolarmente accattivante e gradito nei principali salotti della Roma che contava.

    Nel dicembre del 1485, quando morì il padre Pier Luigi, pur diventando erede insieme al fratello Angelo, fu, di fatto, la madre a continuare a gestire gli affari e le proprietà intorno al lago di Bolsena, perché il primo risiedeva quasi stabilmente in Roma e il secondo era occupato in una campagna militare. Il padre Pier Luigi, con la sua figura autorevole e la sua personalità forte e decisa, era l’unico in grado di dominare l’inconsueta vitalità giovanile di Alessandro, che lo portava a condurre un’esistenza piuttosto disordinata, poco compatibile con la carriera religiosa che, a malincuore, aveva intrapreso. A Roma, infatti, pur dedicandosi agli studi e a coltivare amicizie importanti, l’intemperante Farnese conduceva una vita sregolata, dedicandosi in modo particolare alle donne e al vino e non disdegnando nessuno dei piaceri che la vita e la città gli potevano offrire. La sua condotta e il suo elevato tenore di vita richiedevano continuamente ingenti somme di denaro, che il giovane si faceva mandare dalla madre. 

    Abbiamo già detto che Giovannella, era una donna particolarmente energica e attiva, che aveva molto a cuore il futuro dei suoi figli e che vedeva in Alessandro, lo strumento più adatto per ritornare agli antichi poteri, ma tutte queste spese la preoccupavano. A un certo punto decise di reagire e di chiudere i finanziamenti. Che cosa fece, di preciso, non lo sappiamo, ma Alessandro andò su tutte le furie, promettendo vendetta e facendo confinare la madre nell’isola Bisentina, fino a che non si fosse decisa a riaprire la cassa. 

    Secondo alcuni, tentò di avvelenarla, mentre, secondo altri, l’accusò addirittura d’adulterio, ma questa ipotesi non sembra verosimile, perché il padre era già morto, altrimenti sarebbe sicuramente intervenuto in una vicenda così grave e delicata. 

    Non si conosce, in modo preciso, come si svolsero i fatti, ma si sa che, dall’isola Bisentina, dove era confinata, Giovannella riuscì a inviare, tramite un servitore, una supplica al papa Innocenzo VIII, che rispose prontamente alla sua richiesta d’aiuto, andando, forse, anche oltre le vere intenzioni della nobildonna. Fece arrestare il giovane Farnese e lo fece rinchiudere in una cella di Castel Sant’Angelo, a riflettere sulla sua riprovevole condotta. 

    Per un giovanotto di buona famiglia, abituato a ogni genere di confort, la reclusione fu senz’altro dura da accettare. 

    Non sappiamo quanto durò, ma alla fine prevalse l’amore materno e il forte legame di sangue che c’era nella famiglia. Alessandro si era certamente comportato male, ma doveva riprendere, al più presto, la strada intrapresa, dopo essersi scusato formalmente con la madre.

    A liberare Alessandro, ci pensò lo zio Paolo Margani, marito di Jacopella Caetani, sorella di Giovannella, che, il 25 maggio 1486, festa del Corpus Domini, dopo aver corrotto un secondino, gli fece avere delle corde, per potersi calare dalle mura di Castel Sant’Angelo e mettersi in salvo, lasciando Roma di nascosto. 

    Il papa non fu chiaramente molto contento dell’accaduto, perché si sentì, in qualche modo, preso in giro e decretò che il giovane dovesse rimanere lontano da Roma per qualche anno. Allo stesso tempo, i Farnese, per salvare la faccia e per evitare che l’allontanamento di Alessandro potesse sembrare un esilio decretato dal pontefice, decisero di mandarlo a proseguire gli studi a Firenze, presso la corte di Lorenzo de’ Medici, lasciando vacante il posto di Scrittore Apostolico. 

    La fuga di Alessandro Farnese da Castel Sant’Angelo entrò chiaramente nella leggenda e fu riportata, in modo diverso e spesso contrastante, da vari Autori, ma noi non entreremo di proposito in questo discorso, perché esula dagli obiettivi del presente lavoro e perché richiederebbe numerose pagine di spiegazione. Il primo luglio del 1486, dopo un breve soggiorno nei possedimenti della famiglia, Alessandro si trasferì, pertanto, a Firenze, per frequentare l’Accademia di Lorenzo il Magnifico e per studiare il greco alla scuola del letterato e filosofo bizantino Demetrio Calcondila (1423-1511), dove ebbe come compagni di scuola e amici, il poliglotta Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) e Giovanni dei Medici (1475-1521), secondo figlio di Lorenzo e di Clarice Orsini, che diverrà papa con il nome di Leone X (1513-1521). A Firenze risiedeva anche la sorella Girolama, che nel 1483 aveva sposato Puccio Pucci, giurista e politico, strettamente legato alla famiglia de’ Medici.

    In quella città, considerata uno dei maggiori centri culturali e scientifici del Rinascimento italiano, il giovane Farnese fu accolto molto calorosamente e poté stringere rapporti di amicizia con lo stesso Lorenzo e con gli umanisti della sua cerchia, come Marsilio Ficino, Cristoforo Landino e Angelo Poliziano, magistralmente riprodotti dal Ghirlandaio (1449-1494) in un noto affresco (Apparizione dell’angelo a Zaccaria) della Cappella Tornabuoni, nel coro della chiesa di Santa Maria Novella.

    Fig. 10:  Firenze. Cappella Tornabuoni, coro della chiesa di Santa Maria Novella. Ghirlandaio. Apparizione dell’angelo a Zaccaria. Particolare con Ficino, Landino, Poliziano e Calcondila, umanisti amici di Alessandro Farnese.

    Nel giugno del 1489 Alessandro rientrò di nuovo in famiglia, a Capodimonte, non prima di aver pregato il suo protettore fiorentino d’intercedere presso il pontefice, per mettere definitivamente una pietra sopra la sua evasione da Castel Sant’Angelo di tre anni prima e favorire il suo rientro a Roma.

    Il 4 aprile 1489, il Magnifico scrisse una lettera a Giovanni Lanfredini, suo ambasciatore a Roma, presentando il Farnese come "persona docta e molto gentile[10], e incaricandolo di chiedere a Innocenzo VIII di favorirlo nell’acquisto di uno degli uffici di Segretario Apostolico, messi in vendita l’anno prima. Nella missiva aggiunse, però, che ad Alessandro "una sola cosa li da noia, et questo è che non vorrebbe portare l’abito secondo la costitutione facta, che è di portare il rocchetto come protonotario" [11]. 

    Il rocchetto è un paramento liturgico, costituito da una sopravveste bianca, solitamente di lino, con pizzo, lunga fino a sotto le ginocchia, obbligatorio per tutti i religiosi. L’insofferenza del Farnese per questo segno distintivo della condizione ecclesiastica, dal quale desiderava essere dispensato, conferma, ancora una volta, lo scarso entusiasmo con il quale si accingeva a riprendere la carriera religiosa. 

    In una seconda lettera a Lanfredini, del 10 aprile dello stesso anno, il Magnifico elogiò ancora Alessandro per i natali che aveva avuto, per la sua ottima cultura e per i suoi eccellenti costumi "perché è et doctissimo et uno exemplo di buona e laudabile vita […], conosciuto dalla Santità di Nostro Signore per suo fedelissimo servitore[12].

    Lorenzo lo raccomandò, dunque, al pari di un proprio figlio, elogiando tutte le sue virtù, ma omettendo volutamente di parlare della sua fede, cosa, però, che, in quel periodo, interessava poco a tutti, compreso il papa. 

    Forte di questa autorevole raccomandazione e di aver acquisito una straordinaria preparazione, nel luglio del 1489, Alessandro rientrò a Roma, dove cominciò a frequentare i circoli culturali più alla moda, mettendo in mostra le sue qualità e ampliando la cerchia delle sue amicizie. Scriveva e parlava correttamente, con stile forbito, l’italiano, il latino e il greco.

    A questo punto, per rendere più ordinate e comprensibili le intrigate vicende di casa Farnese, i cenni biografici della prima parte della vita di Alessandro saranno momentaneamente interrotti per parlare dell’infanzia e dell’adolescenza della sorella Giulia. Le biografie di entrambi saranno poi riprese, insieme, perché, per molti aspetti, le loro esistenze e le loro fortune furono strettamente legate l’una all’altra e seguirono, per molti anni, lo stesso percorso e le stesse finalità.

    Alessandro Farnese fu il personaggio più importante di tutta la famiglia e uno dei più grandi pontefici del Rinascimento. Si trovò a vivere in un mondo politicamente assai vivace e in continua trasformazione, tra forzature e complotti, ideati e attuati dai vari signorotti locali, da alcuni principati, dai sovrani italiani ed europei e dai rappresentanti della Chiesa di Roma. In mezzo a questo rapido mutare degli eventi, delle fortune e delle disgrazie di vari personaggi, Alessandro seppe emergere e affermare la propria personalità, impegnando anche i membri della sua famiglia e procurando a tutti un posto adeguato nella società.

    Gerolama o Ieronima Farnese, secondogenita di Pier Luigi Farnese e Giovannella Caetani, nacque a Canino, nel palazzo di famiglia, presumibilmente tra il 1466 (un anno dopo il fratello Angelo) e il 1468 (anno in cui nacque il fratello Alessandro). Trascorse l’infanzia e l’adolescenza alternando soggiorni tra il paese natale e il bel palazzo di Capodimonte, apprendendo gli insegnamenti e l’educazione, necessarie a garantire un buon matrimonio e a ben figurare nelle manifestazioni pubbliche dell’aristocrazia viterbese e romana. 

    Il 10 novembre 1483 sposò Puccio Pucci, esperto di diritto e stimato uomo politico fiorentino, inviato, come ambasciatore, in numerose città italiane e presso la Santa Sede, a Roma [13].

    Il matrimonio fu celebrato per procura nel palazzo farnesiano di Capodimonte e a redigerne l’atto fu chiamato il notaio fiorentino e uditore presso la Camera Apostolica, Zanobi Borgianni, che, il 2 novembre 1483, rogò a Firenze il relativo mandato. Lo sposo era rappresentato dal fratello Alessandro Pucci e fu fissata una dote di 2.700 ducati d’oro pontifici, pagabile in diverse rate, attraverso il mercante fiorentino Alessandro Della Casa o attraverso il Banco dei Medici [14].

    Nonostante che il matrimonio, com’era consuetudine dell’epoca tra le famiglie aristocratiche, obbedisse a ragioni di convenienza e, com’è logico presupporre, gli sposi non si fossero mai visti prima, esso fu caratterizzato da un profondo legame di affetto tra i due coniugi e tra le rispettive famiglie. Girolama fu particolarmente legata al cognato Giannozzo Pucci e alla moglie Lucrezia Bini, con la quale divideva i soggiorni nella loro casa di campagna di Casignano, nel comune di Scandicci [15].

    Nell’ottobre del 1486, Girolama era in procinto di partorire. Il figlio morì subito alla nascita o nei primi giorni, perché una lettera di Alessandro Farnese, datata 23 settembre 1493, sembra proprio riferirsi a questo evento. Il Farnese, nell’esortare il cognato a rallegrarsi per la propria elezione a Cardinale, gli parla, tra l’altro, della "resurrexione de unico figliolo" [16].

    Puccio morì il 31 agosto 1494 a Roma, mentre esercitava la carica di Ambasciatore per Firenze presso il Vaticano. Ebbe solenni onoranze funebri, sia a Roma, che da parte del governo fiorentino.

    Alla sua morte, Girolama si trovava di nuovo in stato di gravidanza, ma Puccio non fece in tempo a sapere di quest’evento, perché nel suo testamento nominò eredi universali i fratelli Lorenzo e Giannozzo. Lorenzo, venuto a conoscenza di questi fatti, per onestà, fece a sua volta testamento, lasciando erede il nascituro del fratello e della Farnese.

    Fig. 11: Genealogia semplificata di Giulia Farnese.

    [1]  E. Nasalli Rocca, I Farnese, 1995, pag. 24.

    [2]  R. Lefevre , Il testamento di Ranuccio Farnese il Vecchio, 1980, pag. 190-207.

    [3]  Arch. Farnesiano di Napoli, b. 2071, fasc. 3, cc. 25r-27v.

    [4]  Arch. di Stato di Viterbo, Arch. Not. distrettuale di Viterbo, prot. notaio Spinello Altobelli, n. 325, cc. 14v-15v.

    [5]  B. Quaglieri, Angelo Farnese, 1995, pag. 1.

    [6]  R. Luzi, Matrimoni tra […], Gradoli 8-10 ottobre 1987, pag. 142.

    [7]  U. Pannucci, 1976, pag. 133; A. La Bella, R. Mercarolo, 1995, pag. 57; Alessandro e Felicita Menghini, 2004, pag. 46.

    [8]  F. Bucciotti, 1982; R. Luzi, 1990, pag. 145.

    [9]  R. Zapperi 1998, pag. 45.

    [10]  Ibidem, pag. 64.

    [11]  Ibidem, pag. 65.

    [12]  C. Capasso, 1923-24, pag. 318.

    [13]  Don E. Gamurrini, 1673, pag. 357.

    [14]  V. Arrighi, 1995, pag. 1.

    [15]  Ibidem.

    [16]  Arch. di Stato di Firenze, 1493.

    L'infanzia e l'adolescenza di Giulia

    Giulia Farnese nacque probabilmente a Capodimonte, nella rocca di famiglia, situata sul promontorio vulcanico della sponda meridionale del lago di Bolsena. È necessario usare l’avverbio probabilmente, perché, a tutt’oggi, non esiste nessuna fonte certa (atto di nascita, di battesimo e quant’altro) in grado di farci conoscere con esattezza il luogo della sua nascita. Non conosciamo con precisione neanche il giorno e l’anno, essendo gli studiosi divisi piuttosto equamente tra il 1474 e il 1475. 

    Per quanto riguarda, il luogo di nascita, la maggior parte degli storici propende per Capodimonte (Angelo La Bella, Giuseppe Moscatelli, Alessandro e Felicita Menghini, Romualdo Luzi, Patrizia Rosini, ecc…), ma altri lo mettono in discussione e ritengono che la nascita di Giulia sia avvenuta a Canino (Fornari, Panetti, ecc), forse perché questo paese era uno dei possedimenti storici di casa Farnese e vi era già nato, nel febbraio del 1468, il fratello Alessandro. Ricordiamo a tale proposito, che il palazzetto Farnese di Canino, con annesso il torrione, era situato nel gruppo di case più antiche del paese, oggi denominate "Castelvecchio, dove si trovava anche la primitiva chiesa di S. Andrea (poi demolita), circondato da mura di protezione e da un fossato. In questo modo, fu rappresentato da Federico Zuccari e dai suoi aiutanti, tra il 1567 e il 1569, nei riquadri sovrapposti alle porte della Loggia d’Ercole al piano nobile del palazzo di Caprarola, dove sono affrescate le principali dimore dei Farnese. A Canino aveva preso stabilmente dimora, molti anni prima, Ranuccio il Vecchio, considerato il verocapostipite" dei Farnese e il figlio Gabriele Francesco, che aveva ampliato e abbellito il palazzo, per renderlo più adeguato alla sua famiglia. 

    Per la dolcezza del clima, per la relativa vicinanza con Roma e per l’abbondante selvaggina presente nelle campagne circostanti [1], i Farnese amavano trascorrere in questa loro proprietà soprattutto i mesi invernali e questa consuetudine fu seguita da molti rappresentanti della famiglia, tra cui Pier Luigi, il padre di Giulia, e il "cardinal nipote Alessandro Farnese, che si compiaceva nel ripetere il motto diventato ormai celebre: Chi vuol vivere in eterno, a Gradoli d’estate, a Canino d’inverno" [2].

    Secondo le cronache dell’epoca, però, i territori di Canino e di tutta la Maremma circostante erano ancora piuttosto selvagge, con scarse vie di comunicazione, poco produttive dal punto di vista agricolo e per di più imperversate dalla malaria. Non rappresentavano, pertanto, se non per fare delle buone partite di caccia, il posto allettante descritto dal Donati per abitarvi e non davano certamente prestigio a una famiglia che aveva grandi mire espansionistiche.

    In secondo luogo, esistono documenti, attestanti che il padre di Giulia vi abitò sicuramente fino al 1461 [3], mentre, nel gennaio 1466, era già residente a Valentano [4].

    Da queste fonti, risulta pertanto, che già nove, dieci anni prima della nascita di Giulia, Pier Luigi si era trasferito, definitivamente, nel paese di Valentano, a circa 538 m. s. l. del mare, che l’Annibali [5] decanta per la "buonissima aria, tanto l’inverno, quanto l’estate, aggiungendo che nell’estate si respira un’aria soavissima, buona e delicata".

    In terzo luogo, come abbiamo già accennato, gli interessi dei Farnese si erano ormai focalizzati prevalentemente su Viterbo, dove possedevano un bel palazzo, ma soprattutto verso Roma, dove risiedeva il papa e la curia pontificia.

    L’ipotesi della nascita di Giulia a Capodimonte sembra, pertanto, la più accreditata e ci porta a pensare che sia nata in estate, proprio durante uno dei numerosi soggiorni della sua famiglia nella rocca sul lago, a pochi chilometri dalla residenza abituale di Valentano. 

    Ad avvalorare ulteriormente questa supposizione, ci sarebbero anche le notizie documentate, che la Farnese trascorse in questo luogo diversi periodi della sua infanzia e della sua giovinezza, ritornandovi, anche in circostanze particolari della propria esistenza. Nel suo testamento, dispose, inoltre, di trasportare "il suo corpo, dopo la trasmigrazione dell’anima, alla chiesa dell’isola Bisentina, dove i suoi progenitori e antenati sono stati sepolti e comandò che lì fosse sepolta", a dimostrazione che quello era un posto ben conosciuto e amato, considerato sicuro e tranquillo [6].

    La Rocca Farnese di Capodimonte

    La bella ed elegante rocca Farnese di Capodimonte (VT), "[] posta sopra un picciol colle, che si estende dentro il lago, le cui rive sono piene di foltissimi et quasi sempre verdi arbori, che vanno fin sopra l’onde […]" [7], s’innalza maestosa sulla scogliera vulcanica del promontorio omonimo, imponendosi prepotentemente alla vista, da qualsiasi punto di osservazione si guardi. La sua costruzione risale all’XI secolo, quando era una semplice torre, a pianta rettangolare, di proprietà dei signori di Bisenzio, che facevano parte della potente famiglia degli Aldobrandeschi di Sovana.

    Nel XIII secolo, a causa dei lunghi dissidi sorti nell’ambito di questa famiglia, che si era frazionata in molti rami nemici tra loro, la rocca e il paese furono prima sottomessi alla città di Orvieto e poi entrarono a far parte del Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Da un documento del 13 giugno 1385, riportato dal Fumi, sappiamo che sotto il pontificato di Urbano VI, Capodimonte fu concessa in vicariato ai Farnese [8].

    La concessione fu poi rinnovata a Ranuccio Farnese il Vecchio da papa Martino V (nel settembre 1419) e da Eugenio IV (nel 1435) e passò per testamento ai suoi eredi. Nel novembre del 1464 fu riconfermata, da Paolo II, a Gabriele Francesco, figlio di Ranuccio, e, infine, fu ereditata da Pier Luigi, padre di Giulia, che fece restaurare la rocca, sia all’interno che all’esterno, per renderla più bella ed accogliente e per ricevere la sua famiglia, i suoi

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