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Bolle d'Asia: Racconti di dieci anni passati in Asia (2002-2012)
Bolle d'Asia: Racconti di dieci anni passati in Asia (2002-2012)
Bolle d'Asia: Racconti di dieci anni passati in Asia (2002-2012)
Ebook746 pages8 hours

Bolle d'Asia: Racconti di dieci anni passati in Asia (2002-2012)

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About this ebook

Alessandro del Grand ripercorre i suoi dieci anni trascorsi in giro per l'Asia condividendo le sue storie di viaggi fatti durante il periodo che va dal 2002 al 2012 e analizzando i cambiamenti drammatici che il continente asiatico ha attraversato in questo periodo di tempo. Una lettura necessaria per gli appassionati dell'Asia contemporanea.
LanguageItaliano
Release dateApr 1, 2013
ISBN9789881224194
Bolle d'Asia: Racconti di dieci anni passati in Asia (2002-2012)

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    Book preview

    Bolle d'Asia - Alessandro Del Grand

    CoverBolle.jpgIntro.jpg

    Indici

    Per Paesi

    Prefazione e Note dell’autore

    Introduzione

    Primi sintomi di una lunga malattia

    Tailandia

    Gli angeli di Bangkok

    Same same, but different

    Conchiglie rosa ed elefanti bianchi

    Hallo and Sawasdee!

    Il solito Pad Thai

    Laos

    Il risveglio del Paese addormentato

    Cambogia

    Quando la magia finisce

    Se i fantasmi vengono lasciati liberi

    Il futuro è questo

    Filippine

    7.000 isole di allegria

    Corea del Sud

    Cercando l’identità rubata

    Corea del Nord

    L’indifferenza per il vuoto

    Mongolia

    Il grande Paese dalle piccole ambizioni

    Indonesia

    Ripulire per ripartire

    Cambiare rimanendo uguali

    Hong Kong

    A lezione per diventare i Tai Pan del futuro

    Guardando i mercati sgretolarsi

    Addio Hong Kong

    Macao

    Il posto più brutto mai visto in Asia

    Birmania

    Malati d’ignoranza

    Vietnam

    L’armonia perduta

    La nostra coscienza

    Brunei

    L’angolo selvaggio dell’Asia

    Malesia

    Passaggio in Malesia

    Singapore

    La nuova colonia della Cina

    Taiwan

    La Cina antica è qui

    L’Asia che verrà

    Il cuore caldo di Taiwan

    Bhutan

    Tigri e draghi contro la modernità

    Bangladesh

    Soffocare nell’incertezza

    Sri Lanka

    L’isola sacra dell’Asia

    India

    Aria nuova

    I corvi di Worli

    Esplorando l’India

    Un ritorno di 6.000 chilometri

    La città più vecchia al mondo

    Nepal

    La culla del Buddhismo

    Il Boudhanath miope

    Giappone

    Troppo tardi

    La bellezza giapponese

    Entertainment Made in Japan: kyabakura

    Nel cuore del Giappone

    Sulla via del samurai

    L’anticonformismo giapponese

    Le paure del Giappone

    Catastrofi giapponesi, paure cinesi

    Cosa avrà la Cina da dare di nuovo al mondo quando sarà numero uno?

    Cina

    Se vuoi venire, vieni presto

    La bellezza di Pechino

    La storia passava di qui

    Alla scoperta della Cina - parte prima

    La nuova capitale del Celeste Impero

    Beijing Huanying Ni

    Lasciate che 100 fiori sboccino, 53 anni dopo

    Il cuore nero della Cina

    Vita negli hutong

    Alla ricerca delle storie della vecchia Pechino

    Undici chilometri di Grande Muraglia

    Corporate China

    Don’t be evil

    I piccoli imprenditori del Celeste Impero

    1.500 ragazze per me posson bastare

    Essere cinesi oggi

    Lo Yuan alla conquista del mondo

    Happy New Year!

    P(i)azza Italia

    L’Italia è tutta qui

    Gli italiani in Cina

    La Cina vista dagli italiani

    Chi distrugge il Made in Italy

    L’Italia alla deriva

    Morire di lavoro

    La follia del Sabato sera

    Cronache cinesi

    Il bambino a lezione di inglese

    Alla scoperta della Cina - parte seconda

    Storie di banche cinesi

    Non fare una cosa giusta neanche per sbaglio

    La lotteria dei taxi di Pechino

    Mai ammalarsi in Cina

    Due giganti sì, ma diversi

    I 5.000 anni di storia della Cina

    La storia nella versione cinese

    Marco Polo, il piazzaiolo

    Grigio Pechino

    L’inquinamento c’è, ma non si può sapere

    Ai Wei Wei nel teatro delle ombre cinesi

    La verità violentata

    L’altro Tibet

    Il consenso a Pechino

    Cavalcando il drago

    Il vero costo della vita in Cina

    Epurazioni dell’anno 2012

    Ti odio Giappone!

    Appoggia il partito, contro gli stranieri

    L’anima della Cina

    Ciao Cina

    Ultimi giorni a Pechino

    La grande fuga

    Per date

    12 Agosto 2002, Bangkok

    1 Settembre 2002, Paro

    20 Luglio 2003, Chiang Mai

    14 Agosto 2003, Luang Prabang

    25 Luglio 2004, Seoul

    31 Dicembre 2004, Shanghai

    5 Gennaio 2005, Pechino

    17 Luglio 2005, Dhaka

    27 Luglio 2005, Bandar Seri Begawan

    21 Novembre 2005, Ayudhya

    9 Gennaio 2006, Roma

    21 Marzo 2006, Turfan

    7 Novembre 2006, Siem Reap

    10 Novembre 2006, Phnom Penh

    11 Novembre 2006, Sihanoukville

    26 Novembre 2006, Manila

    27 Febbraio 2007, Yangshuo

    13 Giugno 2007, Pechino

    28 Ottobre 2007, Hong Kong

    1 Gennaio 2008, Bangkok

    4 Gennaio 2008, Krabi

    22 Gennaio 2008, Hong Kong

    3 Marzo 2008, Macao

    7 Maggio 2008, Hong Kong

    8 Agosto 2008, Pechino

    18 Agosto 2008, Pechino

    24 Settembre 2008, Pechino

    6 Ottobre 2008, Pechino

    2 Gennaio 2009, Jakarta

    31 Gennaio 2009, Kaifeng

    10 Febbraio 2009, Pechino

    14 Febbraio 2009, Pechino

    11 Aprile 2009, Pechino

    22 Agosto 2009, Kumamoto

    23 Agosto 2009, Pechino

    3 Ottobre 2009, Pyongyang

    10 Febbraio 2010, Pagan

    18 Marzo 2010, Urumqi

    30 Aprile 2010, Hualien

    3 Maggio 2010, Tainan

    6 Maggio 2010, Taipei

    13 Maggio 2010, Pechino

    20 Maggio 2010, Pechino

    19 Giugno 2010, Ulanbataar

    27 Giugno 2010, Pingyao

    21 Luglio 2010, Colombo

    28 Agosto 2010, Nusa Dua

    12 Settembre 2010, Pechino

    6 Ottobre 2010, Saigon

    7 Ottobre 2010, Saigon

    26 Ottobre 2010, Mumbai

    5 Novembre 2010, Mumbai

    12 Novembre 2010, Jodhpur

    13 Dicembre 2010, Kolkata

    15 Dicembre 2010, Varanasi

    17 Dicembre 2010, Lumbini

    20 Dicembre 2010, Kathmandu

    22 Dicembre 2010, Lhasa

    28 Dicembre 2010, Pechino

    30 Dicembre 2010, Pechino

    23 Febbraio 2011, Pechino

    15 Marzo 2011, Pechino

    29 Marzo 2011, Pechino

    5 Aprile 2011, Pechino

    15 Aprile 2011, Pechino

    27 Aprile 2011, Pechino

    5 Maggio 2011, Pechino

    2 Giugno 2011, Pechino

    24 Luglio 2011, Tokyo

    2 Agosto 2011, Tokyo

    9 Agosto 2011, Tokyo

    16 Agost0 2011, Kyoto

    19 Agosto 2011, Tokyo

    1 Settembre 2011, Pechino

    8 Settembre 2011, Pechino

    22 Ottobre 2011, Pechino

    29 Ottobre 2011, Pechino

    18 Novembre 2011, Pechino

    30 Novembre 2011, Pechino

    26 Gennaio 2012, Pechino

    5 Febbraio 2012, Pechino

    23 Febbraio 2012, Pechino

    2 Marzo 2012, Pechino

    22 Marzo 2012, Pechino

    16 Aprile 2012, Pechino

    25 Aprile 2012, Pechino

    8 Maggio 2012, Pechino

    17 Giugno 2012, Pechino

    30 Giugno 2012, Pechino

    20 Luglio 2012, Pechino

    9 Agosto 2012, Pechino

    20 Agosto 2012, Tokyo

    7 Settembre 2012, Singapore

    14 Settembre 2012, Singapore

    16 Settembre 2012, Pechino

    3 Ottobre 2012, Pechino

    20 Ottobre 2012, Pechino

    4 Novembre 2012, Pechino

    13 Novembre 2012, Pechino

    19 Dicembre 2012, Pechino

    26 Dicembre 2012, Tokyo

    Prefazione

    NON sono un giornalista. Tantomeno mi posso considerare uno scrittore. Se dovessi darmi una definizione che potrebbe ben rappresentarmi, non avrei dubbi nel dirmi invece un malato d’Asia del nostro secolo.

    Come accaduto a molti prima di me, anch’io posso dire infatti di essermi trovato da sempre a guardare all’Asia con una sorta di curiosità mista ad attrazione a causa delle differenze e contraddizioni lette tra le storie di avventurieri ed esploratori del passato. Questi sentimenti non mi hanno mai abbandonato e, anzi, con il passare del tempo essi si sono rafforzati, trasformandosi pian piano in una passione che ha finito per trascinarmi fino a dove ora sto finendo di sistemare questo libro.

    L’Asia si trova ad essere oggi il continente che più di tutti può essere definito come sinonimo di cambiamenti continui. D’altro canto, ora che anche le sue due maggiori nazioni, Cina e India, hanno deciso di applicare le leggi dell’economia di mercato a casa propria, è normale aspettarsi che l’altra parte del mondo non rimanga ferma a guardare tali cambiamenti in atto ma che cerchi invece di prenderne parte.

    Con più di un terzo della popolazione del pianeta impegnata in questa transizione epocale, l’Asia si è allora spostata dalle rotte degli esploratori dei secoli passati su quelle degli investitori moderni, sostituendo alle storie romantiche di avventurieri a quelle più materialistiche di transazioni commerciali, di acquisizioni, di investimenti.

    La definizione di Asia data in questo libro, non può allora essere più quella prettamente geografica e storicamente condivisa. Considerando l’importanza che il continente asiatico oggi riveste nel mondo degli affari, la scelta dei Paesi da raccontare o meno qui è stata dettata proprio da come il mondo degli investitori internazionali guarda a questo continente. È per questo motivo principale che i Paesi dell’Asia Centrale e Medio-Orientale non si trovano tra quelli raccontati essendo, invece, questi ultimi, classificati da chi opera nella regione, all’interno della grande famiglia EMEA ,Europe, Middle-East and Africa.

    Le diverse nazioni prese in considerazione sono state riunite nelle diverse sezioni del libro al fine di dare una seppur minima organizzazione alle diversità e all’eterogeneità che caratterizzano da sempre un continente vasto come quello asiatico. Nonostante tale organizzazione, il libro può tuttavia essere letto riferendosi all’ordine temporale in cui i racconti sono stati vissuti e scritti, così da rendere l’evoluzione di alcune storie collegate tra loro più semplice da seguire da parte del lettore.

    I racconti che ho raccolto in questo libro vanno dal 2002 al 2012, proprio il periodo di tempo in cui, per diverse motivazioni, un po’ tutto il mondo stava riscoprendo il continente asiatico finendo per riempirne ogni giorno di più le rotte migratorie. Se è vero che queste ultime da sempre seguono quelle commerciali, allora è anche vero che ai malati d’Asia, nell’ultima decade, si è aggiunta una quantità sempre maggiore di persone trasferite nel continente asiatico non tanto per passione dello stesso, ma perché obbligate dal loro lavoro o perché alla ricerca di nuove opportunità di impiego.

    Avendo fatto parte anch’io di quest’ondata migratoria e avendo speso metà di questo periodo in Cina - dal 2007 al 2012, ad Hong Kong prima e a Pechino subito dopo - ho voluto allora riflettere nella struttura di questo libro l’importanza che l’Impero di Mezzo ha avuto nelle mie esperienze nella regione. Pur non essendo questo un libro sulla Cina, la metà dello stesso è allora dedicata alla complessa realtà cinese. In aggiunta, anche se riferimenti vengono fatti a quest’immenso Paese in racconti che non lo riguardano direttamente, essi non sono altro che la diretta conseguenza dei più o meno importanti influssi economici e culturali che la Cina ha avuto e ha tutt’ora nella storia dei Paesi in cui tali racconti sono ambientati.

    Il titolo del libro sta ad indicare la moltitudine delle storie in cui mi sono imbattuto o ho preso parte vivendo qui. A volte veloci e istintive riflessioni su quanto visto e sentito, scritte velocemente durante un viaggio; altre volte episodi di vita vissuta raccontati dopo aver raccolto da diverse fonti le informazioni necessarie a dar loro un contesto. Tutte le storie, come se fossero bolle isolate dal resto, nascono, crescono, si scontrano, alcune finiscono per unirsi diventando storie più lunghe e complicate, altre, invece, spariscono velocemente facendo dimenticare presto della loro esistenza. Tutte vivono di vita propria tanto da offrire sempre la possibilità, con le loro scene quotidiane e i loro protagonisti, di essere riprese in nuovo vaggio, là dove le si erano lasciate in quello precedente.

    Il lettore non me ne vorrà allora se l’insieme di tutti i racconti raccolti nel libro manca di omogeneità e di contemporaneità. Ognuna con i loro protagonisti nonché i propri eventi che le hanno caratterizzate nel momento specifico in cui sono state scritte, le storie chiedevano il più delle volte di essere raccontate e condivise così come erano state vissute.

    Lo faccio qui con voi, con la speranza che queste possano offrire la possibilità di intrattenimento e, magari, di riflessione, come esse hanno d’altronde fatto con me durante questi meravigliosi, intesi, dieci anni passati in Asia.

    Note dell’Autore

    LA maggior parte delle fotografie usate in questo libro sono state scattate dall’autore durante i suoi viaggi e permanenze nel continente asiatico. Tuttavia, dove i contenuti dei racconti richiedevano una maggiore intensità nella loro descrizione, esse sono state sostituite da quelle gentilmente offerte dal fotografo professionista Lorenzo Barbieri. Quest’ultimo, oltre ad aver condiviso direttamente con il sottoscritto alcuni dei racconti raccolti qui, vive in Cina ormai da anni. Qualora non possibile, tale contributo professionale è stato poi completato da fotografie scelte dall’autore utilizzando altre fonti.

    Tutti i fatti e le storie raccontate in questo libro sono reali così come sono reali le persone che sono descritte e menzionate nelle storie. Tuttavia, per proteggere la loro identità, i loro nomi sono stati cambiati o storpiati in funzione delle necessità.

    Kyoto, 26 Dicembre 2012

    9 Gennaio 2006

    Primi sintomi di una lunga malattia

    ROMA. La maestra sorride. Questa è la Cina, dice mentre avvia la videocassetta. È il 1985 e sono con i miei compagni di classe della terza elementare in una stanza della biblioteca nel mio piccolo paese del Nord Italia. Per la lezione di geografia, invece di un’altra noiosa ora passata a ripetere i nomi delle città più grandi, dei fiumi più lunghi e delle montagne più alte di Paesi lontani da qui, la maestra ha avuto la bellissima idea di mostrare a tutti noi il resoconto del suo recente viaggio a Hong Kong e Canton.

    Cosa pensa un bambino di otto anni quando vede per la prima volta i suoi coetanei dell’altra parte del mondo che, invece di essere caricati al mattino in automobili dai propri genitori per essere portati a scuola, vengono messi su dei carrettini in legno trainati dalla bicicletta del padre o della madre? Che emozioni può provare quando vede che gli stessi suoi coetanei dell’altra parte del mondo mangiano spaghetti a colazione in un brodo servito in scodelle che tanto assomigliano a quelle in cui la sua mamma gli prepara il caffè latte al mattino? Lui, che gli spaghetti li mangia con il pomodoro, per giunta!

    Confusione? Paura? Disinteresse? Per me fu curiosità. Curiosità di vedere all’improvviso apparire davanti a me un mondo così diverso da quello conosciuto. A differenza delle altre proiezioni fatte in passato in quella stanza semi buia in cui la voglia di chiacchierare con il vicino aveva sempre preso il sopravvento sull’attenzione prestata ai primi minuti dei filmini della maestra, quella volta rimasi in silenzio per tutto il tempo, catturato dalle immagini che la televisione andava mostrando. Così rimasi, perso nei miei pensieri, anche quando il filmino finì e ritornai pensieroso in aula, tanto che la maestra, vedendomi stranamente silenzioso, mi chiese preoccupata se stessi bene.

    Fui l’unico tra i bambini della classe ad avere quel giorno una simile reazione. Molti dei miei compagni non erano stati, infatti, per nulla interessati da quel filmino. Altri, invece, dopo aver visto le immagini di un mondo così diverso dal proprio, iniziarono a mitragliare di domande l’insegnante, intimoriti d’un tratto che il brodo con gli spaghetti, un giorno o l’altro, l'avrebbero dovuto mangiare anche loro.

    Considero quest’episodio il momento in cui fui contagiato anch’io da quella strana malattia che ha colpito prima di me migliaia di occidentali subito dopo aver avuto il primo contatto con questo strano angolo di mondo chiamato Asia. Una malattia, questa, che pian piano, con l’andare del tempo, riesce a trasformare una leggera curiosità in una fortissima passione.

    Nel mio caso, dopo aver forzato mia madre a comprarmi alcuni libri sulla cultura cinese, pensai che il modo migliore per avvicinarmi ancora di più a quel mondo tanto lontano fosse quello di iscrivermi ad una scuola di kong fu. Capii presto però che, a differenza della maggior parte degli studenti, il mio interesse non era tanto quello di imparare a come atterrare il mio avversario nel più breve tempo possibile, quanto invece quello di imparare a contare in cinese il numero degli esercizi e di capire il significato che si nascondeva dietro al nome di ogni posizione.

    All’età di tredici anni andai allora alla ricerca di un libro dove potessi imparare il cinese. Tuttavia, non ci volle molto per vedere le mie aspettative rimanere deluse. A causa principalmente della mancanza di interesse del mio Paese per la Cina in quei tempi, gli unici libri che esistevano erano infatti tutti in inglese. E a tredici anni il mio inglese non era sicuramente in grado di aiutarmi nell’impresa.

    Tale ostacolo non mi fermò, però. Deciso ormai di imparare una lingua orientale, mi convinsi che, visto che non mi era dato di imparare il cinese, allora avrei imparato la lingua asiatica che sempre più persone stavano cercando di conoscere meglio in quel periodo: il giapponese. Negli anni ottanta, infatti, dire Asia, significava dire Giappone. La cultura giapponese era, in qualche modo, entrata a far parte della quotidianità di chi, come me, amava spendere le sue giornate con gli amici seguendo con interesse le nuove serie animate giapponesi o lottando senza sosta per riuscire a finire l’ultimo videogioco in arrivo dal Giappone.

    Conclusi il corso di giapponese dopo un anno e ancora adesso mi ricordo l’emozione, fortissima, di quando riuscii, come per magia, a decifrare all’improvviso gli strani caratteri che apparivano alla fine delle sigle dei cartoni animati o nelle storie dei videogames. Promisi a me stesso che non avrei mai dimenticato quell’emozione e mi ripromisi che, finito il liceo, mi sarei iscritto a Lingue Orientali per seguire così la mia passione nata anni prima.

    Le cose, però, andarono diversamente. Forse per paura, forse per volubilità, invece di seguire la strada suggerita dalla mia passione che mi avrebbe portato chissà dove, decisi di seguire quella più sicura dell’ovvietà suggerita dai coetanei. Mi iscrissi così ad ingegneria, dopo cinque anni mi laureai con il massimo dei voti e venni assunto da una multinazionale italiana che dopo pochi mesi mi mandò a far buchi nel deserto saudita a vedere se c’era o no petrolio. Un’esperienza che molti avrebbero voluto fare - ho saputo dopo - ma che, a me, nonostante lo stipendio da diverse migliaia di euro al mese e turni di lavoro che offrivano un’enorme quantità di vacanze, stava drammaticamente stretta.

    Gli anni erano passati e, nel frattempo, della Cina parlavano ormai tutti, dai giornali - quelli italiani compresi - alla televisione, a internet, convinti all’unanimità che il futuro dell’umanità si sarebbe giocato in Asia.

    Fu quando mi trovai a lavorare in partnership con un’azienda nipponica e a, quasi fosse per me automatico, riutilizzare dopo anni il mio giapponese ormai arrugginito, che mi resi conto di non aver preso la strada in cui credevo veramente. Convinto che fosse solamente un’infatuazione che solo i bambini possono avere, avevo, infatti, imparato a non ascoltare più la mia vecchia passione, quella che aveva caratterizzato così tanto le giornate della mia gioventù e della mia adolescenza. Invece lei era acnora lì, dopo tutto quel tempo, esattamente dove l’avevo lasciata anni prima, e per giunta ancor più viva che mai. Si faceva adesso risentire con tutta la sua forza mentre chiacchieravo senza grossi problemi con i miei colleghi giapponesi.

    La diagnosi era allora fatta, ora toccava a me accettare la mia condizione di malato d’Asia cronico. Dissi a me stesso che questa volta non avrei dovuto dimenticarmi più della mia vecchia passione, ma di seguirla, invece, alla scoperta di dove essa mi avrebbe portato.

    Mi licenziai e presi la mia decisione. Nel mio futuro c’era l’Asia.

    Tailandia.jpg

    12 Agosto 2002

    La Tailandia è stato il primo Paese scoperto in Asia e Bangkok la prima città orientale visitata nella regione. Nel 2002 le trasformazioni che la città aveva subito negli ultimi anni erano state così rilevanti che sempre un maggior numero di locali sembrava aver perso la fiducia in un futuro basato su un modo di vivere all’occidentale che, pur riuscendo ad offrire una miglior qualità di vita, stava lasciando sempre meno spazio alle proprie tradizioni vecchie di secoli.

    Gli angeli di Bangkok

    BANGKOK. È chiamata la città degli angeli. Dove siano gli angeli però, nessuno lo sa. Certo non tra le vie trafficate intorno alla Sukhumvit o tra i khlong, i canali melmosi ed inquinati che si dipartono dal Chao Phraya, il fiume che taglia la città a metà. Non sono nemmeno tra i sempre più rari indovini che un tempo si vedevano numerosi nei templi di Bangkok tutti intenti nel leggere le mani dei pellegrini e fare di conseguenza i loro calcoli complessi sui loro pezzi di carta di riso. Forse sono allora tra le ragazze che ballano seminude nei quartieri di Patpong o Nana? O sono da sempre tra gli apprendisti monaci che si vedono camminare in centro vestiti con le loro belle tonache arancioni?

    Eddie, il mio autista e guida in questo mio secondo viaggio nella città, sorride silenzioso nell’ascoltare le mie domande. La curiosità e l’interesse di conoscere di più di questo mondo così diverso sono ciò che contraddistinguono, infatti, i miei viaggi. E quale scelta migliore se non Bangkok come punto d’arrivo per iniziare le mie esplorazioni verso la Cambogia o il Laos o la Malesia? Da elefanti in giro per la città nel quartiere di Bang Rak, a bonzi su tuk-tuk (il trasporto locale a tre ruote) a Phra Nakhon, a nuovissimi hotel con i loro bar trendy a Klong Toei, con le sue contraddizioni e varietà di situazioni, Bangkok è l’Asia concentrata in un migliaio di chilometri quadrati.

    Tutto frutto dei risultati del boom finito improvvisamente neanche quattro anni fa. Negli ultimi anni, gli investitori stranieri hanno letteralmente inondato il mercato Tailandese e quelli limitrofi con i loro soldi ma al primo segno di incertezza o surriscaldamento delle economie del Sud-Est asiatico, gli stessi soldi se ne sono andati via così velocemente che i Thai, non solo si sono visti costretti a svalutare ogni giorno di più le proprie monete, ma hanno anche dovuto assistere inermi nel vedere i loro progetti andare in bancarotta senza troppe alternative.

    Con quei soldi però, un gran numero di infrastrutture, come aeroporti, strade, ospedali, hotel, ha visto la luce. Infrastrutture che aiutano chi, come me, è reduce da diverse ore di aereo e si viene a trovare improvvisamente in un universo straniero. Bangkok è allora una camera di decompressione dall’Occidente statico e dal suo vecchio establishment verso un Oriente dinamico frutto dell’imprenditorialità innata dei locali. Un dinamismo che è riuscito a trasformare la Tailandia nel giro di pochi anni da un Paese povero ad uno emergente.

    Che siano allora i nuovi ricchi locali, gli angeli di Bangkok?

    Eddie mi guarda improvvisamente serio e triste quando tocco quest’argomento. In realtà, gli angeli non ci sono più, mi dice accompagnando le sue parole con la mano, in un gesto che sembra indicare che qualcosa sia volato via lontano. I Phi se ne sono andati parecchio tempo fa, quando tutti questi edifici non esistevano ancora. Phi?, chiedo io. Si, gli spiriti protettori per noi gente Thai. Essi vivono ovunque, nell’aria, nell’acqua…Sono loro gli angeli di Bangkok. Vedi queste piccole case fuori ogni edificio?, mi chiede indicando i piccoli altari fatti a forma di tempio posti all’esterno di ogni casa. Quand’ero piccolo bastava che la mattina offrissi con i miei genitori dell’acqua, o del mangiare, per fare in modo di garantire la protezione di questi angeli alla mia famiglia fino a sera. Ma oggi…Oggi i Phi non ascoltano più le preghiere. Sono arrabbiati per tutto questo, continua Eddie, indicando adesso lo Sky Train, la monorotaia costruita tre anni fa sopra alla Rama IV, una delle vie principali della città. Sono spaventati da tutti questi cambiamenti e sono andati via.

    Tailandia1.jpg

    Traffico notturno sulla Sukhumvit Road, Bangkok

    La sua spiegazione dai risvolti soprannaturali ha, forse, più senso di quanto sembri. Se si pensa che nel 1950 questa città non aveva neanche tre milioni di abitanti e che nel 2000 ne contava più di sette, si può allora intuire il ritmo con cui i cambiamenti hanno interessato Bangkok ed il perché questi sono ora additati da persone come Eddie come la causa della dipartita degli angeli della città.

    Prova del malessere che la veloce espansione di questa metropoli è avvenuta senza una vera e propria pianificazione dello sviluppo urbano sono i trafic jem, come la gente chiama qui gli ingorghi onnipresenti nelle varie vie della città e i cui danni all’economia sono stati valutati intorno al milione di euro al giorno in termini di perdita di produttività.

    Ho letto che il prossimo anno l’amministrazione cittadina vuole aprire una metropolitana da collegare successivamente alla rete ferroviaria così da dare un po’ più di ossigeno - letteralmente, vista la quantità tossica di piombo presente nell’aria di Bangkok - alle persone che vivono qui.

    Chissà se qualcuno, tra la fretta e la furia di costruire la nuova metropolitana, si è ricordato di chiedere protezione ai Phi della terra?, mi sono trovato a domandare automaticamente.

    Eddie sembra non sentire i miei pensieri lasciati liberi ad alta voce. Al semaforo cambia distrattamente il cd di Palapol, il suo cantante Thai preferito, ma poi, accendendosi una sigaretta, improvvisamente decide di rispondere alla mia domanda. No. Nessuno ci ha badato perché ormai tutti sanno che Bangkok non è più la città degli angeli.

    20 Luglio 2003

    La popolarità del Sud-Est asiatico come meta di viaggio è stata costruita durante gli anni ’90 dai backpackers alla ricerca di mete diverse dai soliti posti visti e stravisti seguendo quanto riportato sulle guide turistiche. Tra drop-out chi è in cerca di avventure, le scelte sul dove ed il come vivere quest’angolo di mondo erano allora soltanto limitate dalla propria fantasia ed era forse per questo motivo che chi viaggiava da queste parti provava un improvviso senso di libertà.

    Same esame, but different

    CHIANG MAI. Da sempre, Bangkok è inserita come hub in quello che è chiamato dai backpackers come il circuito. Tailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Corea, Giappone, Nepal. Chi è interessato a lunghi viaggi in questa zona di mondo su percorsi alternativi e lontani dalle rotte del turismo di massa, non deve far altro che stare sul circuito per incontrare persone con cui scambiare informazioni riguardo a dove andare, dove dormire o mangiare, cosa fare ad ogni fermata. È lo stesso circuito che muove le persone via bus o treni locali, al ritmo dei pezzi dei Chemical Brothers o Fat Boy Slim e che fa da sfondo al film uscito due anni fa, The Beach.

    Come Richard nel film di Danny Boyle (tratto dal libro molto più intenso di Alex Garland, un cult tra i backpackers), quando serve aiuto, basta poi fare riferimento ai tanti servizi offerti dagli hub.

    Grazie al circuito allora, mai viaggiare autonomamente in posti completamente così nuovi e diversi, è stato così semplice. Anch’io, ogni volta che devo decidere cosa convenga fare dopo essere arrivato a Bangkok, usufruisco delle informazioni raccolte qua e là da chi è passato prima di me in questa parte del circuito. Meglio prendere un treno verso Surat Thani per poi cambiare per un battello verso le isole di Koh Samui e Koh Panghan e fermarsi per partecipare al Full Moon Party (il rave sulla spiaggia di Haad Rin organizzato ad ogni luna piena) o esplorare le isole del parco marino di Ang Thong? Oppure prendere un bus verso Krabi e da lì partire verso Pukhet e Phi Phi alla ricerca del puro relax tra spa e centri yoga? O, ancora, meglio proseguire verso Nord, passando Phitsanulok e Sukhothai (la prima capitale del regno del Siam) verso la seconda città della Tailandia, Chiang Mai, visitare il Doi Suthep - l’antico tempio sulle colline vicino alla città - e prendere poi la strada verso Chiang Rai per sconfinare in Birmania a Tachilek da Mae Sai, oppure prendere la strada verso Pai per arrivare ai templi birmani di Mae Hon Song? Perché invece non prendere un treno verso Udon Thani con l’idea di arrivare a Vientiane, in Laos? Infine, perché non andare direttamente verso il confine cambogiano a Khlong Yai per prendere da lì un bus direttamente verso Siem Reap?

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    Danza Fawn Leb, Chiang Mai

    È proprio questa libertà che esiste nello scegliere la propria destinazione che rende Bangkok così unica per chi percorre il circuito. Le combinazioni sono limitate solamente dalla propria fantasia e la possibilità di sbagliare nella scelta è praticamente nulla. I locali direbbero Same same (tutto è uguale) ad indicare il fatto che qualsiasi direzione si prenda, o verso i mari del Sud o verso le foreste del Nord, partendo da Bangkok si riesce sempre a raggiungere qualcosa di nuovo, di diverso, e pertanto appagante degli sforzi sostenuti per arrivarvi. Forse è per questo che qualcuno ha aggiunto a Same same la frase but different (ma diverso) così da riassumere in poche parole l’essenza dello spirito di esplorazione che accomuna tutti coloro che percorrono il circuito.

    Come dire: scegli la strada che vuoi, percorrila a modo tuo e sarai comunque soddisfatto alla fine: same same…but different.

    21 Novembre 2005

    Come tutta l’Asia, la Tailandia è ricca di leggende e di miti che si perdono nell’origine dei suoi antichi regni. Ayudhya è, tra le antiche capitali della Tailandia, quella che probabilmente riesce a rievocare più di tutte le altre i tempi ormai andati grazie alla sua atmosfera di città storica che ogni anno rivive i suoi antichi splendori con il suo Bang Sai Loi Krathong Festival.

    Conchiglie rosa ed elefanti bianchi

    AYUDHAYA. C’era una volta un principe di nome U Thong. Camminando per la campagna del Siam si imbatté in una splendida conchiglia rosa che spuntava dalla terra. Si chinò allora per raccoglierla e, appena presa in mano, la conchiglia si riempì di luce offrendo in visione al principe una splendida città magica. Quella città nella visione era Ayudhaya e il principe era il futuro re Ramathibodi, primo regnante del regno di Ayudhaya che ora succedeva a quello decaduto di Sukhothai.

    Parte della città che il principe U Thong fece costruire dal nulla nel quattordicesimo secolo come capitale del suo regno è quella che si può vedere ancora oggi qui. Templi, effigi religiose, siti sacri, stupa, obelischi, sono le tracce rimaste della capitale della città soprannominata un tempo la Venezia d’Oriente per via dei suoi numerosi canali e i suoi maestosi palazzi. Le volute delle sue pagode scriveva Sir John Bowring nei rendiconti dei suoi viaggi nel Siam del 1857 sono ancora alte più degli alberi che ora crescono tra le rovine della vecchia città.

    Le fondazioni di Ayudhaya furono costruite con straordinaria attenzione, riporta invece George Blagden Bacon nel suo Siam. Fu consultato l’oracolo reale che ordinò che i lavori sarebbero dovuti iniziare nel 712-esimo anno dell’era siamese (1350), al sesto giorno di luna calante, nel quinto mese, a dieci minuti prima delle quattro di mattina. Solo in questo modo la città sarebbe durata per almeno quattrocento anni. L’oracolo si sbagliò di poco in quanto la città ospitò trentatré generazioni di regnanti divisi in tre dinastie prima di essere parzialmente distrutta durante l’invasione del regno di Pagan, in arrivo dall’odierna Birmania. Era l’anno 1767, 417 anni dopo la sua fondazione. Da allora la città fu abbandonata.

    Non era questa la prima volta in cui i birmani tentavano di conquistare parte del Regno del Siam. Duecento anni prima, infatti, in una serie di guerre che ancora oggi i Thai ricordano come motivo di orgoglio per la propria nazione, i re di Ayudhaya furono in grado di respingere i continui attacchi del regno birmano di Pagan. In una di queste guerre, il re birmano Bayinnaug, venuto a conoscenza dei rari elefanti bianchi di proprietà di Maha Chakkrapat, re di Ayudhaya, ne chiese un esemplare in dono. Ma l’elefante bianco era troppo prezioso per essere regalato ad altri popoli. L’animale era, ormai da generazioni di regnanti, il simbolo stesso del potere reale dei Thai e pertanto, darlo in dono ad un altro re, avrebbe significato regalare il proprio regno. Ne scoppiò una guerra che durò per due anni interi in cui re Maha Chakkrapat in persona venne catturato. Egli riuscì comunque a scappare dalla sua prigione con uno stratagemma andando a comandare un contrattacco che lo vide infine vincere mettendo così fine ad una guerra che era nata fondamentalmente a causa di un elefante bianco. È per questo motivo che ancora oggi i Thai chiamano questa guerra la guerra dell’elefante bianco e re Maha Chakkrapat viene raffigurato in tutti i suoi dipinti in groppa a questo raro animale.

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    Chedi del Wat Phra Si Sanphet, Ayudhaya

    La città di Ayudhaya fu però parzialmente danneggiata durante queste guerre e, considerato l’enorme prezzo che i siamesi dovettero sostenere nel corso delle guerre con i birmani, essi non furono più in grado di riportare la città allo splendore del tempo prima delle guerre.

    Considerato che la bellezza dei templi siamesi non sta nella loro architettura in sé ma nella quantità di dettagli che ricopre le loro strutture in mattoni, è facile capire perché così poco è arrivato a noi oggi. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, quel che rimane di scene di battaglia scolpite nella calce o di vita quotidiana dipinte sulle pareti dei palazzi oggi non è altro che cumuli di cocci anneriti dal tempo e dalle intemperie. Dove una volta c’erano immagini del Buddha ricoperte d’oro e gioielli, ci sono adesso solamente cocci che hanno perso ormai il loro splendore passato.

    La magia di quei tempi, però, sembra essere rimasta intatta quando si cammina tra i chedi del Wat Phra Si Sanphet o si ammira il profilo del Wat Chai Watthanaram alla luce del tramonto o ci si ferma ad osservare la testa del Buddha ormai racchiusa tra il tronco del banano che la protegge nel Wat Mahathat. Fermarsi qualche giorno in questa città, camminare per le sue antiche strade al suono dei coloratissimi uccelli locali o del canto dei monaci in lontananza, è come entrare in un momento magico in cui la storia, l’arte e la cultura siamese antiche sembrano diventare gli artefatti di un sogno.

    A sottolineare l’unicità di un tale momento è il festival che si festeggia in questi giorni, il Bang Sai Loi Krathong Festival. Le processioni intorno ai templi, i fuochi artificiali nel cielo, i krathong (decorazioni) che galleggiano sull’acqua dei fiumi, le danze popolari intorno alla città e le lanterne di carta lasciate salire nel cielo illuminato da fuochi artificiali sembrano tutti insieme riportare questa città ai tempi grandiosi in cui essa era la capitale del regno del Siam.

    In questi giorni di allegria, Ayudhaya, sembra diventare un posto dove i Thai vengono a ricordare i loro antenati così come un luogo dove essi tornano alle antiche tradizioni pensando ai tempi andati con una vena di nostalgico orgoglio, in cui le città venivano fondate ascoltando le conchiglie e i loro re cavalcavano elefanti bianchi.

    1 Gennaio 2008

    Nonostante sia definita come meta sicura tra le rotte del turismo di massa, Bangkok rimane una città che può trasformarsi facilmente da tranquilla e sicura in selvaggia e pericolosa qualora ci si venga a trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato.

    Hallo and Sawasdee!

    BANGKOK. La decisione di venire in Tailandia per il Capodanno 2008 è stata presa in poche ore e all’ultimo momento. Sollevata finalmente dal carico di lavoro del semestre autunnale, tutta la mia classe si è improvvisamente trovata di fronte al quesito di cosa fare per l’inizio del nuovo anno. Se la maggior parte ha deciso di stare ad Hong Kong, io ed un paio di compagni abbiamo invece cercato, senza successo, delle offerte per Osaka o Okinawa così da ripiegare all’ultimo minuto su Bangkok, l’unica alternativa disponibile a buon prezzo considerati i recenti disordini avvenuti nell’aeroporto di Suvarnabhumi, eventi, questi, che di certo non hanno affatto favorito il turismo in zona.

    Automaticamente allora, la nostra vacanza all’insegna del relax, si è trasformata in vacanza all’insegna dei party. E le serate a Bangkok ne offrono di tutti i tipi. Non è bastato il limite imposto dal governo su tutti i bar notturni per chiudere a mezzanotte. Come succede spesso da queste parti, sembra che le regole siano fatte apposta per renderne la trasgressione ancora più stuzzicante. Basta chiedere al primo tassista che capita, infatti, per sapere quale siano i bar che hanno pagato il pizzo alla polizia e sono lasciati stare aperti fino al mattino. Due notti fa allora, reduci da una cena vicino alla Sukhomvit Soi 24 durata troppo e dalle infinite soste e distrazioni tra i bar della Soi Cowboy, ci siamo dovuti fidare anche noi delle dritte del nostro tassista per arrivare ad uno di questi locali underground. Questo non prima però di aver fatto le dovute soste forzate dal tassista stesso al Cupid (sala massaggi), allo Star Dust (go-go bar) e ad uno delle mille model station in giro per la città. Ad ogni sosta siamo stati accolti dai continui Hallo e Sawasdee delle avvenenti ragazze che vi lavoravano con la speranza da parte del nostro accompagnatore locale che prima o poi avremmo deciso di fermarci in uno dei locali, abbandonando così la nostra destinazione iniziale. Poco ci è voluto per capire però che nessuno di noi tre era interessato a questo tipo di attività per la notte, così che il nostro tassista si è infine convinto a prendere la strada dello Spicy Bar.

    Anche se nascosto dietro ad un labirinto di piccole vie buie, non è stato difficile riuscire a trovare il posto. La musica techno stile Thai si poteva sentire infatti fin dalla strada principale. A giudicare dal rapporto uomini/donne, sembra che sia questo uno dei locali dove tutte le più energetiche go-go dancers di Bangkok convoglino allo scoccare della mezzanotte così da arrotondare un po’ sulla serata dopo che i locali dove lavorano hanno chiuso.

    Il volume della musica era altissimo all’interno dello Spicy e rendeva il parlarsi praticamente impossibile così che io ed i miei due compari, John, americano, e Markus, tedesco, ci siamo ritrovati presto a fare a gara di shots con un gruppo di russi. Credo di essere rimasto dentro allo Spicy per un paio di ore, trangugiando whisky e guardando le bellezze sui cubi prendere senza sosta tip lasciati in continuazione nei loro jeans cortissimi - se non quasi inesistenti - da chi, probabilmente, di whisky ne aveva già bevuto più di me. Tra un whisky e l’altro sono stato anche adescato da un katoey (lady-boy) che, fingendosi donna, voleva che l’accompagnassi a casa a tutti costi. Ho rifiutato educatamente facendogli/le noto che le sue mani sembravano troppo grandi per essere quelle di una donna. Lui/lei ha capito subito, e se ne è andato/a, dicendomi che, oltre carino, ero anche furbo. Furbo forse no, ma attento ai dettagli, quello si.

    Così attento che, dopo aver lasciato John al bancone a cantare con i suoi nuovi amici russi My dream is to fly over the rainbow, mi sono avviato verso Markus che era ormai da tempo impegnato in una conversazione con una ragazza Thai. Si erano seduti fuori dal locale, lui, lei e il suo fratellino che, seduto accanto a lei, non riusciva a fermarsi dal vomitare sul marciapiede tutto quello che aveva trangugiato. Abbracciata al mio amico, intanto, la ragazza era felice nel raccontare di come lei e suo fratello avessero bevuto a gratis per tutta la serata grazie alla benevolenza tedesca di Markus e che quindi ora lei avrebbe voluto ricompensare tale benevolenza portando a casa sua il mio amico. Intuendo la solita vecchia tattica usata in zona per spillare soldi agli stranieri troppo ubriachi per rendersene conto, ho cercato allora di spiegare educatamente che Markus aveva finito i soldi e che non era pertanto interessato.

    No, no, guarda!, ha risposto prontamente il furbo tedesco, tirando fuori con fatica il suo portafoglio con l’intento di mostrare alla ragazza le sue carte di credito. Senza togliere gli occhi dalla serie di carte di credito, lei gli ha subito sorriso spiegandogli che dovendo pagare gli studi, inevitabilmente molto, molto cari, sarebbe stata lieta se il mio amico l’avesse accompagnata a casa. Sono sicuro che i tuoi ti danno già abbastanza soldi per i tuoi studi ho risposto allora io cercando di ravvedere Markus dal suicidio finanziario in cui si stava andando a cacciare. Oh, whyyy? Don’t worryyyy! Father, mother don’t know! Me have fun. Your friend, very handsooome, (Non ti preoccupare, mia madre e mio padre non sanno che mi prostituisco. Io mi diverto comunque perché il tuo amico mi piace molto).

    Peccato che il mio amico fosse ormai completamente perso nel limbo dell’alcool e della furbizia di questa ragazza Thai nell’usare il proprio sorriso a proprio vantaggio in questo frangente. Un attimo prima di desistere dalla conversazione, una folgorazione di lucidità, mi ha portato tuttavia a convincere Markus a prendere il numero di telefono della ragazza inventando lì per lì la scusa che con il Capodanno alle porte, il fatto di risparmiare qualche energia per la notte successiva non sarebbe stata dopo tutto una cattiva idea.

    Siamo usciti tutti e tre dallo Spicy verso le cinque del mattino dopo aver fatto un ultimo brindisi con un gruppo Thai che, vedendoci andare via, ci hanno augurato Chok Dee (buona fortuna) fino a quando ci hanno visti sparire dietro l’angolo. Nel salutarli, Markus è riuscito ad inciampare su un gradino di circa due centimetri di altezza per crollare rovinosamente a terra senza riuscire più ad alzarsi se non con qualche aiuto. Era decisamente ora di tornare in hotel.

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    Ballerine in un Go Go Bar di Nana Enterteinment Plaza, Bangkok

    Se, statisticamente, la prima notte a Bangkok è quella anche più selvaggia tra tutte quelle spese durante la vacanza, allora ero sicuro che non ci sarebbe stato nulla da temere per la notte successiva. Il fatto che John avesse passato poi tutta la giornata nella spa dell’hotel per disintossicarsi dalla sera precedente e che Markus avesse cercato di comunicare con me usando la sua lingua madre per tutta la mattina nonostante avessi continuato a ricordargli che io il tedesco non lo parlo, mi aveva fatto ben sperare in una notte più tranquilla della precedente.

    L’idea di iniziare l’anno al Bed Supperclub è stata, infatti, un successo. Musica, invitati e scenografie si sono rivelati tutti perfetti per iniziare il nuovo anno. In più, essendo questo il miglior locale di Bangkok per eventi mondani, non ci è voluto molto per riuscire a conoscere un gruppo di ragazze locali dai modi indubbiamente molto diversi da quelli visti la sera precedente in giro per la città. Dopo la mezzanotte, abbiamo deciso di spostarci tutti insieme ad un’altra festa, in uno dei underground bar come chiamati dalle nostre nuove conoscenti. Speriamo solo non sia lo Spicy ho pensato di rimando tra me e me.

    Ma l’entrata enorme a vetri riempita con tantissimi palloncini rosa tutt’intorno mi ha fatto intuire appena giunto a destinazione che quello fosse un posto mai visto prima. Abbiamo pagato i 300 Bath (7 Euro circa) inclusi di consumazione scoprendo immediatamente che la consumazione non era niente di meno che una bottiglia di Jonnie Walker Red Label. Ancora Whisky..., abbiamo pensato tutti e tre disgustati.

    Giusto il tempo necessario per Markus per comprarsi un cerchietto completo di corna da diavolo e eravamo dentro all’enorme sala principale dove siamo riusciti velocemente a trovare un tavolo e iniziare così a condividere la nostra consumazione. Le ragazze erano già sparite alla ricerca del bagno mentre io ero ormai tutto concentrato a trovare del ghiaccio nella speranza di rendere l’agonia immancabile causata dalla sbornia il giorno dopo meno dolorosa.

    Bangkok ci stava regalando un’altra serata delle sue. Con nessun piano se non quello di lasciarci accompagnare nella notte, la città ci stava facendo ora scoprire che cosa avesse da offrire per noi. È proprio questa incertezza e allo stesso tempo eccitazione nel non sapere quello che può succedere negli istanti successivi che rende Bangkok diversa dalle altre città della zona. Istanti che possono cambiare repentinamente trasformando gioia e divertimento in paura e panico, sentimenti che da lì a poco, tutte le persone del locale in cui eravamo si sarebbero loro malgrado trovate a provare.

    È stato proprio guardandomi intorno alla ricerca di un cameriere che mi sono accorto che qualcosa di strano stava succedendo. Prima due, poi quattro, poi dieci poliziotti Thai erano entrati nel locale a passo spedito. Mi sono girato di scatto verso i miei due compari dicendo loro di star pronti ad andarsene se la musica si fosse fermata. Entrambi mi hanno guardato con uno sguardo serio e interrogativo anche se a tutti e tre era ormai chiaro quello che stava per succedere. In quel momento mi erano riaffiorati velocemente in mente i ricordi di qualche anno prima a Chiang Rai, quando la polizia irruppe in una discoteca ed arrestò tutti quelli che vi erano all’interno perché, dicevano, il locale non era aperto legalmente. In quell’occasione io stavo arrivando alla discoteca alla ricerca di amici incontrati in città e all’improvviso l’autista del mio tuk tuk fece dietro front riportandomi in albergo spiegandomi con calma cosa stava facendo la polizia. Incontrai il gruppo di amici il giorno dopo alla centrale di polizia e soltanto dopo aver guardato i loro volti mi resi veramente conto della fortuna che avevo avuto la sera precedente nell’aver evitato un’interrogazione da parte della polizia locale durata una notte intera.

    La situazione attuale mi sembrava molto simile a quella vista a Chiang Rai e, sinceramente, l’idea di rischiare nuovamente di passare la notte - per di più la notte di Capodanno - a rispondere alle domande della polizia Thai non mi allettava per niente.

    La musica si era nel frattempo fermata. Senza pensarci su due volte, io ed i miei due compari, abbiamo iniziato allora ad andare con passo spedito verso l’uscita. Ma l’uscita era bloccata da almeno una trentina di altri poliziotti che ne tenevano chiusa l’enorme porta a vetri. Che fare quindi? La polizia aveva iniziato a dire qualcosa in Thai al microfono e la folla di persone si stava avviando adesso, di corsa e tutta insieme, verso l’uscita, vale a dire verso la nostra direzione coinvolgendoci in un attimo nella

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