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Uomini e pietre
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Uomini e pietre

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Si tratta di un romanzo fantasy in quanto ambientato in un paese immaginario dell'Europa Settentrionale e in un epoca che richiama il tardo medioevo-primo rinascimento ma ha un impostazione unica nel suo genere in quanto non ricalca alcuno schema conosciuto di fantasy. Pur essendo un fantasy in controluce si possono leggere forti critiche alla situazione sociale dell'Europa corrente. Questo accade senza dimenticare di divertire il lettore conducendolo per mano attraverso una storia accattivante di intrighi e magie.

Argomento

L'argomento è la lotta senza quartiere tra due Gilde di un paese fantastico chiamato Hybernia. Il male è rappresentato dalla Gilda degli Architetti, che intrigano utilizzando magie raffinate per realizzare un utopia sociale di stampo totalitario, supportata dalla magia nera. Il bene è rappresentato dalla Gilda dei fabbri, che effettua non tanto magie quanto atto di contromagia, e che lotta per riportare il paese alla giustizia ed alla vera libertà, che è l'opposto della tecnocrazia sanguinaria e disumana voluta dagli Architetti.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2014
ISBN9788899121518
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    Uomini e pietre - Bruno Giordan

    Finale

    Premessa

    Hybernia è un regno che mantiene fede al proprio nome, anche in quella che noi chiamiamo bella stagione. L’inverno dura ben più che in altri regni delle terre conosciute, fino a giugno inoltrato, lasciando posto ad una stentata primavera che solo gli Hyberniesi osano chiamare estate.

    Solamente il mese di agosto si degna di fornire qualche giorno di caldo degno di questo nome. Ma gli Hyberniesi sono abituati a questo clima, e lavorano sodo per tutto l’anno, indifferenti alle intemperie. Lavorano principalmente come estrattori di pietre da costruzione e nelle ricche miniere di ferro, come fabbri o come costruttori di case e cattedrali.

    I mercanti si trasferiscono per parecchi mesi all’anno negli stati confinanti, più caldi e dediti all’agricoltura, a vendere pietre pregiate da costruzione, manufatti metallici, pani di ferro da lavorare, mentre gli apprezzati scalpellini e architetti hyberniesi lo fanno per costruire case e cattedrali. Così, la maggior parte della popolazione si divide in tre arti principali, minatori, fabbri e membri dell’arte della pietra. A propria volta l’arte della pietra si divide nell’arte degli scalpellini, apprezzati artigiani, e nell’arte degli architetti, potentissima arte perché custode dei segretissimi calcoli che permettono di elevare ad altezze vertiginose pinnacoli e archi che sfidano il cielo.

    Se gli architetti sfidano la luce, i fabbri, scuri per la polvere di ferro che gli si deposita sulla pelle quotidianamente, sfidano il fuoco, e questo dà altresì un carattere di mistero alle loro tecniche, che essi custodiscono gelosamente e trasmettono solo di padre in figlio, nel chiuso delle loro botteghe le cui porte si aprono solo per vomitarvi dentro carrettate di carbone di legna trasportato a ritmo continuo da scuri carbonai provenienti dal vicino regno di Alpynia, ricco dei boschi che mancano nella pietrosa Hybernia.

    Il regno di Hybernia, a dispetto della mancanza di risorse agricole, è così un regno ricco: le sue risorse più grandi giacciono proprio nella messe di conoscenze accumulate nei secoli nelle due importantissime arti della pietra e del ferro.

    Non vi sono poveri ad Hybernia:ognuno ha un lavoro, anche umile, quale cavatore o minatore: gli architetti, fabbri, scalpellini e mercanti che lavorano all’estero tornano carichi di solida moneta alla fine dei loro viaggi, e quindi anche chi fornisce loro le materie prime, ferro e pietra, è ben pagato a propria volta. Hybernia si può permettere di importare tutto quel che non ha: pesci dal mare, verdure dai paesi caldi, bestiame, pellicce, sale.

    Le case di tutti sono ben costruite, in pietra squadrata, spesso frutto del lavoro del padrone. I fabbri posseggono grandi case officina, con il fiume che gli scorre accanto e aziona i possenti magli che danno forma al metallo: i poggioli e le finestre sono adorni di sculture di ferro che mostrano le capacità del padrone o dell’avo che costruì la casa.

    Anche gli architetti si costruiscono abitazioni che testimoniano il loro valore professionale, adornandole di finestre con archi trilobati e quadrilobati, logge e loggette e archi pensili, camini arditi pieni di artistici trafori, addirittura inserendo nelle finestre vetrate multicolori simili a quelle delle chiese. Alcune di queste case sono quasi delle piccole regge - cattedrali, deliziose e piene di armonia.

    L’antica nobiltà di spada, un tempo garante della tranquillità di Hybernia contro l’aggressività delle nazioni confinanti, governa l’ormai pacifico e ricco paese lasciando ai cittadini la libertà necessaria al commercio, senza troppi gravami fiscali. Non è una nobiltà rapace assetata di guerre: ha riposto la spada nel fodero, tenendola comunque oliata per ogni evenienza. L’esercito è infatti ridotto al minimo, ma ben armato ed addestrato. E’ un esercito professionale, fatto per la maggior parte di hyberniesi nativi e di mercenari a lunghissima ferma, provenienti dalla nazione Hadriatica; nazione da lungo tempo amica e sui cui mercenari si può contare.

    La nobiltà e l’esercito rifuggono il lusso della nuova ricchezza di Hybernia, dimorando negli antichi castelli, dove le truppe continuano i propri esercizi quotidiani e mantengono uno stile di vita ordinato, comportandosi disciplinatamente coi cittadini, pena gravi sanzioni. I mercenari sono così fedeli ad Hybernia, per l’antico patto esistente tra la loro natia Hadria e Hybernia stessa, che è più facile che ad essere coinvolto in qualche atto di indisciplina ai danni della popolazione sia un soldato nativo hyberniese che un mercenario.

    Nessun nobile vuole più di quel che ha, e tutti obbediscono al re, che li raccoglie a consiglio spesso per decidere sui problemi del governo, ed ascolta tutti con attenzione pur riservandosi l’ultima parola.

    L’ambasciatore persiano solleva gli occhi dal foglio, depone la penna nel calamaio, fissando per un attimo la luna che illumina la gelida notte hyberniese, le case bianchissime, le montagne ghiacciate in sottofondo. Nient’altro da dire su questo paese, nient’altro. Invidiabile terra. Nella sua lunga esperienza lontano dalla sua calda patria ha visto molti paesi, e raccontato vicende spesso tragiche. Fame, guerre, pestilenze, sordide lotte di potere, povertà, principi sciocchi che mandavano in rovina stati opulenti.

    Qui nulla di tutto questo, i cinque anni trascorsi ad Hybernia si possono sintetizzare in questo breve rapporto scritto già tre anni prima, e che ora si è limitato a ricopiare pari pari per la burocrazia imperiale, aggiungendovi solo una breve postilla: in Hybernia nulla di nuovo da segnalare alle Vostre Imperiali Maestà. Il regno è sempre uguale a se stesso.

    Una notte sulla pietraia

    La Pietraia dei Lupi Perduti è uno dei luoghi più inospitali di Hybernia. Si trova alla base dei monti Dente di Sega e non ospita altro che marmotte e talora caprioli in branco . Ma su questi vige un decreto di protezione severissimo del re di Hybernia: solo i nobili, in determinate occasioni dell’anno, ne possono cacciare un certo numero, per utilizzare le loro corna come emblemi con cui adornare i propri elmi da torneo.

    Inoltre sulle Pietraie dei Lupi Perduti grava una vecchia leggenda: si dice che chi vi accede senza permesso possa improvvisamente essere inghiottito da voragini misteriose che si aprono ai suoi piedi, piene di un’acqua rovente di un colore arancio, simile a magma vulcanico.

    Cosa vi facevano dunque, infagottati in pesanti pellicce, due giovani hyberniesi con archi e frecce, in piena notte e in barba a divieti così severi?

    Il più giovane, Dag, armato di un arco di tipo ricurvo, potente arco orientale, portava una faretra ripiena di frecce dalle grosse punte da selvaggina. L’ altro, di nome Thorberg, sui diciotto anni, portava anch’esso un simile arco, e al cinturone una spada da caccia, troppo lunga per essere un coltellaccio, troppo corta per essere una spada vera.

    Erano cacciatori di frodo, in cerca di marmotte o meglio, se possibile anche di caprioli, per i quali erano pronte micidiali frecce dalle doppie punte. Camminavano ansimando, per il freddo glaciale e il lungo percorso che li aveva portati fin lì dalla lontana capitale.

    Fu Dag a rendersi conto che qualcosa appariva strano sul pietroso orizzonte. S’illumina esclamò a mezza voce guarda Thorberg, là si illumina qualcosa … un vapore arancio … Thorberg lo interruppe Troppo stanco Dag, non fai onore alle tue gambe …. credi alle vecchie leggende dell’acqua vulcanica …qui … dove non si accenderebbe un fuoco nemmeno con uno dei nuovi cannoni del re che lanciano palle roventi!.

    Thorberg .. ansimò Dag …non è fatica, è quel che vedo che mi irrigidisce le gambe e ora lo vedo ancora meglio ….un vapore arancio, là, dietro quella pietraia in alto.. Dag, se è questo che ti preoccupa non vi è che da avvicinarsi, per mostrarti che non vi è alcun pericolo o strana pietraia rovente … in questa terra dove regna il gelo eterno. Cammina mio giovane visionario. Le pietraie danno spesso un falso senso delle distanze, e la luce del giorno, così come quella della luna, creano strani effetti, pensò Dag, rammentando una lezione di suo nonno.

    Così percorsero ancora un buon pezzo di strada e si fermarono. Adesso il chiarore arancione era evidente e il viso più stupito dei due era proprio quello di Thorberg. Questi sibilò quasi subito a Dag: A terra dietro quelle rocce, e subito vi si recò strisciando, seguito da Dag che non fiatò minimamente nemmeno quando si furono seduti al riparo.

    Thorberg aveva un espressione assorta ma non troppo preoccupata. Dag disse sottovoce: Perché non ce ne andiamo? Ma Thorberg rispose: Non ne vedo il motivo. Anche perché forse … Forse disse Dag Bene, disse Thorberg forse stiamo per assistere a qualcosa che è dato a pochissimi in vita di vedere. Ma tu dovrai giurare il segreto dei fabbri se vorrai assistervi. Cosa c’entrano i fabbri con gli incantesimi delle acque malefiche che inghiottono chi si avventura da queste parti?. Vedrai disse Thorberg. Avviciniamoci ancora un poco ma prima giura di mantenere per te quel che vedrai, sul tuo onore di allievo fabbro e futuro maestro: giura che il metallo ti si rivolti contro e nessun cliente voglia i tuoi ferri e i tuoi figli soffrano così la fame se rivelerai ad anima viva ciò che penso stiamo per vedere!".

    Dag sembrava stupito ed esitante ma Thorberg lo afferrò per il braccio fino a fargli male: Segnati e giura disse con una voce che non ammetteva repliche. Dag si fece un profondo segno di croce e ripeté il giuramento con voce chiara, nei limiti di quanto si potesse alzare la voce in quella situazione senza essere scoperti. Ora striscia dietro di me disse Thorberg. Piano piano, avanzarono carponi sempre mantenendo avanti a se le pietre più alte, mentre la luce aranciata si rifletteva sempre di più intorno a loro. Basta disse Thorberg. Se ho capito bene da qui vedremo tutto. Dag, leviamoci i cappelli e sporchiamoci il viso di carbone.

    Dag levò dallo zaino la polvere di carbone e impiastricciò la faccia di Thorberg, e così Thorberg fece con Dag; ingrigirono e annerirono le loro facce a mo’ di pietre striate. Un vecchio trucco da cacciatori tramandato di generazione in generazione. Ma, pensò Thorberg, qui l’occhio da ingannare era terribilmente umano.

    Per primo mi sporgo io disse Thorberg. Individuò una sella tra due alte pietre e lentissimamente alzò la fronte, finché gli occhi poterono vedere. E vide quello che si aspettava di vedere, e anche di più.

    Un’ ampia sezione della pietraia era coperta da una grande, unica lastra di pietra, circondata da massi perpendicolari posti a dente di sega, come i due dietro i quali i due intrusi si erano nascosti. Al centro del lastrone, una vera e propria sorgente di un acqua color arancio, larga a sufficienza perché un uomo potesse immergervisi, fatta di una sostanza che più che acqua pareva aver la consistenza del ghiaccio, e la risplendenza di color arancio vivo del ferro riscaldato in fucina. Sulla superficie del liquido galleggiavano delle croste biancastre.

    Accanto alla sorgente, un alta figura umana avvolta in un mantello nero sotto il cui cappuccio si individuava un viso sporco di fuliggine, dagli occhi vivissimi e dall’età indefinita. Le mani erano protese al cielo e con voce bassa e cantilenante, ma comunque ferma e decisa, stava pronunciando una lunga formula in una lingua sconosciuta.

    Uno stregone, un maledetto stregone, pensò Thorberg. A quel punto una dolorosa fitta al costato gli ricordò che non era solo. Emise un gemito quanto più possibile leggero, e per fortuna la figura in nero non udì nulla: da sotto, la voce esilissima di Dag gli chiese, appena intelleggibile: Posso vedere?. Thorberg si abbassò lentissimamente e gli disse: Sali piano assieme a me, e metti fuori solo gli occhi, poi tieni la tua testa accanto alla mia come se fossero due pietre l’una accanto all’altra, e non muoverti mai finché non ti faccio un cenno toccandoti sulla schiena, per dirti di abbassarti lentamente.

    Così si rialzarono lenti ed all’unisono, e per fortuna erano sottovento e abbastanza lontani dalla figura orante, che era ancora totalmente immersa nella sua nenia. Thorberg si rimise ad osservare. Per terra era tracciata una croce cristiana, con quattro rami perpendicolari alla sinistra del fusto, e un segno verticale più corto appeso a destra, sotto il legno sinistro della croce.

    Un cristiano ed un fabbro, mio Dio, quello era il segno di un fabbro Eletto, un segno che conosceva solo dalle antiche leggende. Nessuna stregoneria era in corso, ma forse ciò che gli si spiegava davanti era la più segreta delle cerimonie che una delle figure più leggendarie e misteriose di Hybernia, quella del misterioso fabbro Eletto, potesse compiere: la creazione di una spada magica, resistente a qualsiasi incantesimo e capace di tagliare col proprio sottilissimo filo qualsiasi stregoneria affliggesse un essere umano innocente, anche la peggiore.

    Per secoli a Hybernia era circolata la leggenda dell’esistenza di un circolo segretissimo di Eletti tra i maestri fabbri riconosciuti di provata sapienza, che attraverso la conoscenza del fuoco e riti particolari di preghiera cristiana sarebbero riusciti a penetrare il segreto della spada benefica, capace col suo taglio miracoloso di annullare tutte le astuzie maligne ed incantesimi che i maghi seguaci degli inferi avessero potuto fare.

    Ma era sempre stata considerata solo una leggenda, per quanto alcuni anziani avessero in passato giurato di aver assistito all’effettivo uso di tali spade, senza mai tuttavia addurre prove convincenti. L’incappucciato si piegò e estrasse da un sacco di lino due manciate di polvere biancastra, che gettò nel magma: poi aprì un sacco nero alla sua sinistra, e ne trasse alcune pietre grigiastre e spugnose, quasi ferro fuso da un fabbro bizzarro. Si segnò e pronunciò a bassa voce due preghiere, l’una dopo l’altra.

    Con sollievo Thorberg poté udire il suono familiare del Padre Nostro e dell’Ave Maria. Poi, con gesto solenne il fabbro sollevò le pietre in alto, una ad una , e le gettò nel magma. Fu svelto a coprirsi gli occhi col cappuccio e ad accovacciarsi: ma i due curiosi ricevettero in pieno viso un’esplosione di luce bluastra intensissima e di fumo biancastro. Non poterono non tossire e, per quanto accovacciatisi di nuovo, non riuscirono a muoversi perché i loro occhi non vedevano altro che un biancore accecante.

    Chi disturba il mio lavoro? chiese una voce profonda e cavernosa. I due ragazzi percepirono alcuni passi strascicati, e un salto agile, in contrasto con l’apparente età della voce. Il velo bianco cominciava a svanire e apparve davanti a loro il fabbro. Era alto più di un uomo normale, robusto, reso ancora più imponente dal mantello e dal cappuccio.

    Chi siete? E’ meglio che chiariate subito la vostra posizione perché sarebbe inutile per voi mentire, e forse mortale. La lunga spada affilata che portava nella mano destra asseverava questa affermazione, specialmente perché la punta oscillava davanti alle gole dei due ragazzi come un pendolo desideroso di segnare il tempo con un sacrificio di sangue.

    Dag, fabbro in Hybernia e uomo onorato, Thorberg, assistente fabbro anziano in Hybernia, anche lui uomo saggio e rispettato.

    Che distinta compagnia, e come mai due giovani di così buona famiglia vagano di notte in terra vietata e spiano cerimonie di cui nemmeno dovrebbero conoscere l’esistenza?

    Thorberg rispose con voce bassa e cortese Mio signore, non nascondo di aver capito chi sei. Sei un fabbro Eletto, uno di quelli di cui si favoleggia in Hybernia da generazioni. Ma non siamo venuti qui per il segreto dell’acqua rovente. Eravamo venuti a caccia di marmotte e caprioli, questo sì, a dispetto del divieto. Solo il caso ci ha condotto alla tua luce.

    E perché non vi siete spaventati? Avreste dovuto fuggire a gambe levate! La voce mostrava adesso un qualche sottotono di simpatia. Dag disse Ma certo, io ero terrorizzato, è stato Thorberg a insistere. E tu Thorberg cosa mi dici per giustificarvi?. La voce oramai era quasi normale, ma la spada, seppur non oscillando più tra le due gole, non era ancora abbassata. Un equivoco qualsiasi e la lama avrebbe potuto fare dei due giovani carne per corvi.

    Mi spiace, mi spiace come se avessi spiato mio padre, fabbro come voi anche se non del vostro grado di elezione. Entrambi come allievi fabbri abbiamo fatto il primo giuramento della nostra Gilda. Ci dimenticheremo di voi e tornerete ad essere una leggenda. Ce ne andiamo subito rispose in fretta Thorberg. La voce del giovane era sincera e la spada si abbassò del tutto.

    L’ Eletto tracciò colla punta un circoletto nella ghiaia, poi un altro, quasi a darsi aiuto nel pensare. Thorberg… non sei tu quel Thorberg che ama Nidbiorg, la figlia del Gran Maestro della nostra Gilda, Ulfberth? Si signore, oso dire di amarla con tutto il mio cuore e tutte le mie forze rispose Thorberg con una certa apprensione.

    Bene, Thorberg e Dag, per stavolta ve ne tornerete vivi ad Hybernia. Siete i primi a violare il segreto di questa cerimonia, e probabilmente anche gli ultimi. Ma ricordatevi che ad Hybernia vi sarò anch’io: ci vedremo alla sagra annuale dei fabbri, ed io conoscerò voi ma voi non conoscerete me. Frequenteremo gli stessi luoghi di ritrovo, dove i fabbri condividono un boccale di birra gomito a gomito e sciolgono le menti ed i loro segreti. Io sarò lì e voi non saprete mai se l’anziano con cui vi verrà voglia di parlare di questa notte non possa per caso essere io. Nel qual caso avrete tradito la vostra Gilda e i suoi segreti, anzi il più profondo di questi. Con tutte le conseguenze del caso disse Ulfberth. Siete liberi, ora concluse.

    Thorberg e Dag, emozionatissimi, chinarono il capo, ringraziarono di cuore e fuggirono a gambe levate, mentre l’Eletto rinfoderava la spada e si accingeva a rientrare nel cerchio. Una volta rientratovi, rinfocolò la sorgente gettandovi ancora ampie manciate di polvere biancastra, poi vi gettò pregando ancora due pietre grigio ferro: indi si alzò, rivolse le mani al cielo e, mentre l’acqua prendeva un colore bianco e assumeva la consistenza di un ghiaccio rovente, un fumo biancastro si levò dalla pozza.

    L’Eletto intonò una preghiera forte e chiara. Quando cessò la preghiera, sollevò dal terreno un lungo involucro in pelle nera dai lacci rossi, lo srotolò e ne estrasse la lama di una spada d’acciaio forbito, con guardia e pomolo fatti di lamine sbalzate: una spada appena prodotta, lucidissima, e decorata sullo sguscio con intrecci di differenti metalli, terminanti con due croci. Afferrando il codolo con una lunga tenaglia, la sospese sulla sorgente, tenendosi a prudente distanza: indi con gesto veloce immerse l’intera lama nella sorgente bianca e fumante.

    Subito si sentì uno stridio lacerante, un po’ come l’ululato di cento lupi affamati, un po’ come se la pancia di mille campane avesse emesso vibrazioni profonde: un’esplosione leggera spedì la spada in alto, sospesa magicamente nell’aria sopra la sorgente, mentre l’Eletto venne sospinto violentemente a terra.

    Si rialzò e ammirò la spada che aveva assunto un colore iridescente, capace di brillare nella notte come una piccola stella. Allora si inginocchiò e disegnò accanto alla croce una scritta: Myrtha facta est. La spada Myrtha è fatta. Un altra spada nata per la giustizia e la rottura degli incantesimi maligni.

    Tracciò un circolo intorno alla croce disegnata per terra e Myrtha, come obbedendo ad una forza misteriosa, vi volò sopra lentamente deponendosi nel cerchio. L’Eletto la baciò devotamente, come una reliquia, e la ripose in un nuovo fodero, decorato anch’esso con croci e ghirigori fantastici. Poi estrasse da un altro sacco un blocco di pietra nerastra e lo gettò nella sorgente, pronunciando una nuova formula: la sorgente cominciò a scurirsi rapidamente, il liquido bianco ritornò arancione e poi rosso scuro e infine divenne grigio.

    Proprio come il ferro tolto dal calore della forgia diviene sempre più scuro fino a riprendere il colore e la consistenza originari, così la sorgente ritornò pietra grigia, indistinguibile da quella circostante, emanando un calore sempre più lieve fino ad eguagliare in tutto e per tutto in sostanza e temperatura ciò che la circondava. Il rito era compiuto.

    L’Eletto raccolse tutti gli ingredienti magici in un grande sacco, e si pose Myrtha sulla spalla, sotto il mantello, in modo che risultasse visibile il meno possibile: e a grandi passi rientrò ad Hybernia camminando accanto alle guardie addormentate ai muri del ponte levatoio, come d’uso abbassato, perché da tempo Hybernia non aveva nemici. Ma in cuor suo l’Eletto sapeva che la pace di Hybernia non era destinata a durare molto, e strinse forte il fodero di Myrtha.

    Una festa di fidanzamento

    Il nobile duca Mursi oggi festeggia un grande evento. La figlia Droplaug si fidanza con il giovane duca Knut, proveniente da un’altra grande famiglia di pari e antica dignità. I due sono promessi da tempo e oggi, nell’antico castello di Mursi, si festeggia ufficialmente la consegna dell’anello. Il padre della fidanzata accoglie il giovane duca nel cortile, e lo scorta nel salone d’onore. Qui i membri più importanti delle due famiglie attendono, e ne applaudono l’arrivo.

    Uno squillo di tromba annuncia poi la duchessina Droplaug, accompagnata dalla madre. Inchini, applausi e gridolini d’ammirazione da parte delle dame. Che il banchetto cominci dice allora a gran voce e sorridendo l’anziano Mursi, e tutti si siedono alla magnifica tavola. Uno spettacolo inizia subito assieme al banchetto, irrompono giocolieri e cantastorie: la musica rimbalza fino alla cupola dell’alto salone, alle cui pareti sono appese le armature degli antenati, i loro scudi, le spade, le alabarde: armi mantenute perfettamente efficienti anche in questo lungo tempo di pace.

    A tavola si snodano conversazioni piacevoli tra le dame e i cavalieri invitati. Vi sono anche personaggi importanti del mondo delle gilde: il capo della Gilda dei fabbri, Ulfberth, e quello della Gilda degli architetti Agilulf, poi quelli delle gilde degli scalpellini e di tutte le altre arti; pittori, scultori, vetrai, mercanti di ogni tipo e così via. A Hybernia infatti la nobiltà non disdegna affatto di mescolarsi con la nobiltà del lavoro, le gilde che fanno la prosperità del paese.

    Ma in quest’occasione speciale un particolare onore è riservato ad Agilulf, il capo della Gilda degli architetti: i due giovani infatti, contrariamente alla consolidata tradizione delle famiglie nobiliari, non andranno ad abitare nel castello del fidanzato una volta sposati, ma si stanno facendo costruire una dimora speciale, lussuosa e confortevole, un vero capolavoro della nuova arte edilizia hyberniese.

    Su invito di Mursi, che interrompe cortesemente il cicaleccio degli ospiti, Agilulf inizia un discorso. Egregi padroni di casa esordisce Agilulf "Cari ospiti, amici tutti qui presenti, in questa giornata di festa per la nostra Hybernia, che vede il fidanzarsi dei rampolli di due così importanti famiglie, io voglio annunciare un evento del tutto straordinario, che riguarda la mia Arte ed è, spero, destinato ad assumere un significato notevole per il futuro. Fino ad oggi la nobiltà, in ossequio alle proprie tradizioni di guerra, ha abitato in forti, ben costruiti e solidi castelli: castelli che sono macchine da guerra, ferme tuttavia da tempo.

    Oggi, anche se nessuno deve osar dire che i nostri castelli vadano abbandonati come relitti del passato, pensiamo sia giusto che ad essi sia riservata la sola funzione di mantenere preparata la macchina da guerra del nostro stato; ma come case d’abitazione, no, oggi proponiamo, visto il grande avanzamento della nostra arte edilizia, capace di costruire dimore deliziose, che alla nobiltà si destinino dei veri gioielli artistici, quali oggi la sola Hybernia sa proporre al mondo.

    Perché se Hybernia dona agli stranieri dei veri e propri scrigni d’arte preziosa, non si comprende il motivo per cui tale arte debba essere negata ai primi fra i nostri cittadini, la nobiltà di spada che ha il compito di difendere Hybernia in prima linea e col sangue se se ne presentasse la necessità.

    E tutto questo senza negare alla nobiltà la sua basilare funzione di testa ragionante dell’esercito.

    I nobili possono bensì abitare in case di lusso con vetrate colorate, archi rampanti, affreschi deliziosi: e possono al contempo continuare ad esercitarsi nei castelli tenuti perfettamente efficienti e muniti di ben oliate armi di ferro".

    Così parlò Agilulf tra l’ammirazione delle dame e i cenni d’approvazione di molti nobili. Ma alcuni parevano perplessi per la novità che rompeva in modo così evidente una tradizione guerriera. L’anziano conte AErinmund, un nobile con molte cicatrici lasciate da diverse battaglie, cresciuto da combattente esercitandosi quotidianamente nelle arti belliche fin dalla prima infanzia, si alzò per parlare "Vecchi compagni di cento imprese, giovani nobili ansiosi di mostrare il vostro coraggio, ascoltatemi. Questa proposta apparentemente meravigliosa e ininfluente sullo stato di preparazione delle nostre schiere nasconde forse un’ insidia non indifferente. I nostri castelli non sono spogli a caso, contenendo solo l’essenziale per dormire, mangiare e guerreggiare, pregare e curare i feriti. Sono lo specchio esatto di una vera campagna d’armi: sobrio, privo di bellezza e mollezze, il castello prepara moralmente alla guerra. Non vetri multicolori, non arazzi preziosi, non pitture con scene cortesi, ma solo scene che richiamano a glorie passate, resoconti di battaglie; e muri semplici senza alcuna decorazione se non i merli aguzzi, riparo di guerra e non merletto da sposa.

    Il castello è il tempio della guerra, vivervi significa essere sacerdoti di questa. E’ da molto, da quando i miei capelli avevano appena incominciato ad incanutirsi, ed ora sono lanugine bianca, che una guerra non incendia la nostra terra di Hybernia.

    Ma se in chiesa non si presentano indemoniati e peccatori gravi non per questo il prete deve smetter di dir messa, smettere la tonaca per indossare l’abito del gaudente e darsi alle gozzoviglie. I nostri castelli non devono divenire solo luoghi di esercizio frequentati da persone che non ne vivono più lo spirito. Questi sarebbero soldati e cavalieri dimezzati, con il cuore diviso tra gli agi delle loro case soavissime e le durezze dei freddi castelli.

    Pensiamoci concluse il vecchio soldato perché lo spirito del soldato è frutto di sacrifici continui ed è facile distruggerlo agendo con le migliori intenzioni, ma nella direzione sbagliata".

    Un certo mormorio si diffuse tra i presenti, con i più anziani tra i nobili che esprimevano evidenti cenni di soddisfazione.

    Ma subito si alzò sorridendo bonariamente Agilulf, aprendo le mani come ad esortare la folla ad ascoltarlo. "Carissimo AErinmund, mi emoziona quasi dover esprimere delle opinioni difformi dalle vostre, e non vorrei assolutamente che questa perorazione della mia arte avesse per effetto il negare allo stato tutte le sue necessarie garanzie di difesa: questo ammonterebbe a nient’altro che tradimento. Io sono il responsabile dell’arte che oggi, assieme a quella dei fabbri, dà forse più lustro ad Hybernia con l’esportazione nei più lontani paesi di ideali di bellezza che ormai vengono semplicemente definiti come stile hyberniese. Tutte le famiglie più in vista di Alvernia, di Hadria, perfino della lontana Tarragonia vogliono oggi una dimora all’ hyberniese e sono famiglie di ogni grado di nobiltà o dei più alti gradi delle gilde.

    Carissimo AErinmund, le vostre nobili argomentazioni sono sicuramente piene di spirito e d’orgoglio bellicoso della specie più pura e utile allo stato, ma lasciatemi umilmente dire che non sussiste alcun motivo che le sostenga, e questo sia detto senza voler far torto alla vostra grande intelligenza ed esperienza.

    Hybernia non è più solo uno stato militarmente forte, ma è uno stato che esporta la capacità di costruire dimore favolose: quindi, perché negare alla nostra nobiltà ciò che in tutta sicurezza, da tempo, la nobiltà di altri stati si concede?".

    Un brusio forte di approvazione seguì le sue parole e AErinmund stesso sorrise, borbottando che i tempi erano forse troppo cambiati per la sua testa canuta.

    La festa proseguì con canti e balli e danze, e il punto più importante fu la rivelazione di un magnifico modellino ligneo della nuova casa dei fidanzati, presentato con gran pompa da Agilulf. Aveva finestre multicolori con archi gotici delicatissimi, muri coronati da archetti pensili all’Hadriatica, camini giganteschi con decorazioni in mattoni, portali strombati, e all’interno un magnifico chiostro con un piccolo giardino pieno di pianticelle e un magnifico pozzo decorato con motivi vegetali stilizzati. L’Assemblea applaudì, le danze ripresero e finalmente la festa ebbe termine e tutti si accomiatarono.

    Agilulf ricevette una quantità eccezionale di lodi dai genitori dei fidanzati, dalla coppia stessa e da molti degli astanti, e si può dire che la festa segnò l’inizio di un nuovo periodo architettonico nel felice paese d’Hybernia.

    L’iniziazione di un fabbro

    Passarono veloci alcuni anni dagli avvenimenti della Pietraia dei Lupi Perduti: Thorberg ormai li aveva incasellati in quello scrigno della memoria dove gli uomini mettono quelle esperienze che, pur non essendo negative, sono destinate a giacere in un limbo perenne senza seguito.

    Nella sua amicizia con Dag quegli eventi non erano più stati citati se non cripticamente, per breve tempo dopo i fatti, quando ne accennavano l’un l’altro come allo strano sogno di quella notte in cui abbiamo sognato insieme, per poi lasciare che il corso della loro amicizia continuasse nella maniera più normale possibile.

    Di tacito accordo non si proposero mai più spedizioni notturne in luoghi proibiti, preferendo passare il tempo libero in cacce secondo legge e nelle taverne dove i fabbri usualmente si ritrovavano. Qui, dell’incappucciato della pietraia, mai nessun cenno: nessun fabbro anziano si accostò mai a loro in modo strano, o pronunciò parole minimamente allusive a quella notte.

    Ed era oramai giunto il tempo per cui Thorberg passasse dalla condizione di allievo a quella di maestro fabbro.

    Ad Hybernia era previsto un complicato cerimoniale, adatto all’importanza della Gilda. Dal dodicesimo anno di età Thorberg aveva sempre lavorato in fucina, prima eseguendo compiti ausiliari, per poi impadronirsi di tecniche sempre più sofisticate. Era previsto un esame finale da parte degli anziani della Gilda, e poi una serie di cerimonie religiose solenni, alcune pubbliche, altre riservate ai membri della Gilda stessa.

    La mattina della prova un corteo si fermò davanti alla casa di Thorberg, di buon ora. Davanti a tutti, con mantelli color tabacco con cuciti due martelli incrociati di stoffa nera, stavano dodici apprendisti, in fila per sei. Uno portava alto il gonfalone del re d’ Hybernia, quello accanto un gonfalone decorato

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