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I sistemi PLM per l’impresa digitale
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Ebook575 pages10 hours

I sistemi PLM per l’impresa digitale

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La crescente importanza assunta dal Product Lifecycle Management (PLM) è la conseguenza diretta dei fenomeni in atto nell’assetto tecnico ed organizzativo delle moderne imprese industriali: la spinta alla focalizzazione sul core-business, la tendenza all’outsourcing di prodotti e servizi, l’organizzazione in rete, la facilità ed economicità di comunicazione fra siti remoti, lo spostamento di parte delle attività in paesi a basso costo di manodopera, la disponibilità di tecnologie informatiche e di comunicazione anch’esse a basso costo ed integrate. Tali fenomeni costringono le aziende a mutare radicalmente il modo di gestire le proprie attività, attivando attraverso un comportamento innovativo la terziarizzazione dei processi di progettazione, di ingegnerizzazione e di produzione, nonché i processi collaborativi di co-design e co-engineering, con la conseguente necessità di un forte presidio e coordinamento su dati e processi lungo l'intero ciclo di vita del prodotto.
LanguageItaliano
Release dateFeb 8, 2013
ISBN9788896365250
I sistemi PLM per l’impresa digitale

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    I sistemi PLM per l’impresa digitale - Daniele Campi Martucci

    Copyright © 2013 Edizioni Savine

    Tutti i diritti riservati

    Strada provinciale 1 del Tronto

    64010 - Ancarano (TE) - Italy

    email: info@edizionisavine.it

    web: www.edizionisavine.it

    ISBN 9788896365250

    eBook a cura di Simona Gilberti

    I sistemi PLM per l’impresa digitale

    Daniele Campi Martucci

    A tutti e a nessuno

    Ritroverai parole

    oltre la vita breve

    e notturna dei giochi,

    oltre l’infanzia accesa.

    Sarà dolce tacere.

    Sei la terra e la vigna.

    Un acceso silenzio

    brucerà la campagna

    come i falò la sera.

    Cesare Pavese

    Introduzione

    L’informatica non riguarda i computer più di quanto l’astronomia riguardi i telescopi.

    Edsger Wybe Dijkstra

    Nel 1962 il fisico Philippe Dreyfus coniò il termine informatique dalla compressione di inform(ation électronique ou autom)atique per intendere il trattamento automatico dell’informazione mediante calcolatore (naturale o artificiale). L’etimologia italiana della parola informatica proviene perciò dalla lingua francese, mentre in lingua inglese non esiste un equivalente venendo adoperata l’espressione computer science che, ad ogni modo, presuppone l’esistenza della figura dello scienziato e del ricercatore interessato ad approfondire la conoscenza della tecnologia dell’elaborazione.

    Tra gli anni Settanta ed Ottanta, a seguito della diffusione dell’informatica, si è cominciato ad adoperare il termine digitale per identificare tutto ciò che viene rappresentato con numeri o che opera manipolando numeri, derivante dall’inglese digit, che significa cifra, che a sua volta deriva dal latino digitus, che significa dito. Con questo termine si intende evidenziare che determinate informazioni risultano rappresentate in forma digitale se contengono una sequenza di numeri appartenenti ad un insieme ben definito e circoscritto.

    Nell’odierna era digitale, la raccolta e l’archiviazione dei dati, la loro elaborazione nell’insieme delle informazioni utilizzate, prodotte e trasformate da un’azienda durante l’esecuzione dei processi aziendali, sono i compiti dei sistemi informativi. Le modalità con le quali tali informazioni vengono gestite e le risorse in gioco, sia umane che tecnologiche, contribuiscono a caratterizzare tali sistemi, che non vanno confusi con i sistemi informatici, ossia quelle porzioni di sistemi informativi che impiegano le tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni. I sistemi informativi automatizzati rivestono perciò oggi un ruolo vitale per ogni organizzazione privata o pubblica: stime attendibili sul loro impatto organizzativo indicano una riduzione potenziale dei costi e un significativo miglioramento della qualità di numerose operazioni aziendali, tali da porre di fronte ad un cambiamento radicale del modello stesso di impresa. Si tratta della cosiddetta impresa digitale information intensive, ossia ad alto contenuto di informazioni di prodotto e di processo, nella quale la tecnologia informatica si inserisce in ogni punto della catena del valore e trasforma sia i contenuti specifici delle singole attività, sia la natura dei loro collegamenti, laddove diviene fondamentale il ruolo di Internet nella loro rapida ed efficiente diffusione capillare, tale da supportare le scelte di business in qualsiasi momento e in qualunque punto dell’azienda.

    Tuttavia, oltre cinquanta anni di applicazioni delle scienze dell’informazione alle imprese pongono di fronte alle caratteristiche incrementali di tale cambiamento. I sistemi di gestione dei dati e, in particolare, i sistemi Product Lifecycle Management (PLM) sono infatti l’ultima di una serie di innovazioni tecnologiche che hanno determinato una rottura nei paradigmi di gestione aziendale. Le innovazioni precedenti, l’elaborazione dati negli anni Settanta, l’informatica individuale dei primi personal computer negli anni Ottanta e il client-server negli anni Novanta, con la connessione in rete dell’interfaccia utente di un’applicazione ad una server application o ad una base dati, hanno causato un analogo ripensamento dei metodi operativi e gestionali delle imprese e, ogni volta, la rottura è stata ricomposta con un processo di apprendimento durato oltre un decennio. Una seconda lezione del passato consiste nel fatto che il successo nell’applicazione delle tecnologie di volta in volta innovative è quasi sempre subordinato alla maturità nell’impiego delle soluzioni precedenti. Ecco le ragioni per cui la necessità di percorrere tutti i passi fondamentali dell’innovazione tecnologica e i tempi di apprendimento non brevi, rendono l’adozione dell’informatica un processo incrementale.

    Dall’altra parte, la mutevolezza dell’ambito economico, politico e sociale e la crescente ricerca di efficienza sta conducendo le aziende grandi e piccole verso profonde e radicali trasformazioni, mirate al mantenimento e, possibilmente, all’incremento del valore generabile dal proprio core business. La velocizzazione dei processi e la crescente complessità dei prodotti hanno trovato giustificazione nelle nuove dinamiche di mercato, con la conseguente progressiva ristrutturazione verso forme organizzative sempre più distribuite mediante l’integrazione verticale sia a monte che a valle del sistema di produzione, nelle quali le attività che costituiscono i processi principali di industrializzazione e distribuzione del prodotto sono realizzate da più partner specializzati che collaborano tra loro. La logica necessità di controllare i processi aziendali che risultano distribuiti lungo la catena del valore ha viceversa evidenziato le difficoltà di mettere in atto una specifica strategia di business finalizzata ad ottenere la gestione globale, distribuita e sicura degli accessi alle informazioni di prodotto e dei processi ad esso collegati lungo il suo intero ciclo di vita. Ciò ha posto l’accento sul loro impiego condiviso e collaborativo tra tutti gli utenti che necessitano delle stesse informazioni all’interno dell’impresa estesa, garantendo allo stesso tempo il mantenimento dell’integrità dei dati e il loro continuo aggiornamento, collegando e integrando i supporti informatici adoperati nelle diverse fasi della vita del prodotto, esigenza che si è presentata tanto nelle attività manifatturiere quanto nella gestione dei grandi progetti. Infatti, i numerosi supporti informatici alle corrispondenti attività di ingegneria si sono storicamente sviluppati in modo indipendente tra loro, quando invece, allo stato attuale, diviene fondamentale impiegarli in ambienti collaborativi di progettazione e produzione.

    Assume dunque particolare rilevanza l’analisi del ciclo di vita, il cui obiettivo implicito non è mai monitorare la sola innovazione tecnologica, bensì fornire un piano strategico in grado di proporre previsioni legate a qualsiasi genere di cambiamento (tecnologico, processuale, organizzativo, distributivo, di mercato e via discorrendo). Questo studio consente di controllare e prevenire le tipiche discontinuità della società iperindustriale contemporanea che si verificano periodicamente in ogni settore, la cui gestione ottimale produce forti opportunità di innovazione e ricollocazioni di mercato altrimenti impensabili. Nel processo di creazione di nuovi prodotti è possibile infatti delineare una ristrutturazione progettuale e organizzativa delle imprese finalizzata alla realizzazione di un approccio collaborativo e sistematico alla progettazione integrata dei prodotti e dei relativi processi, includendo la produzione e le attività di supporto, mirato a spingere i progettisti a considerare, sin dalle fasi di impostazione, tutti gli elementi del ciclo di vita dalla concezione al disinvestimento, includendo la qualità, i costi, i metodi di produzione e i requisiti dell’utilizzatore.

    L’acronimo PLM identifica per l’appunto il modello di business obiettivo di queste linee di tendenza, sia dal punto di vista dell’organizzazione dei processi di industrializzazione, che dell’ambito nel quale si devono integrare le varie tecnologie informatiche adoperate. Laddove infatti la produttività dei sistemi economici viene incrementata in ondate, alcune delle quali dipendenti dall’introduzione di specifiche invenzioni, altre dall’approccio operativo adottato dai soggetti economici, una di queste ondate emerse negli ultimi anni è rappresentata proprio dai sistemi di Product Lifecycle Management, inizialmente introdotti nelle industrie automobilistiche e aeronautiche, caratterizzate da un’elevata complessità dei propri prodotti, e nel settore elettronico, orientato alla gestione della configurazione del software piuttosto che del prodotto. Grazie al successo ottenuto in questi tre settori, l’interesse verso i PLM si è diffuso anche in altri ambiti diversi dalla tradizionale industria manifatturiera, da sempre traino dell’evoluzione organizzativa e tecnologica, divenendo di fatto un’esigenza condivisa da più settori, compresi quelli non tradizionalmente interessati da una rigorosa analisi del ciclo di vita del prodotto, come le piccole e medie imprese, dai quali dipenderà in larga parte l’ulteriore espansione del mercato.

    Trattandosi di un paradigma di recente definizione, la letteratura in materia risulta ancora piuttosto scarna e limitata, essendo per lo più costituita da documenti delle ditte fornitrici (positioning white paper) e dei centri di business research e consulenza, consultabili sul web. Occorre tuttavia osservare che l’ampiezza e la trasversalità delle problematiche affrontate dai sistemi PLM nel corso della gestione del ciclo di vita del prodotto, coinvolgono tutte le funzioni aziendali e gli aspetti del controllo dei processi, insieme alle difficoltà che si riscontrano nel tendere all’innovazione in un contesto di ottimizzazione delle risorse e di contenimento dei costi, ossia problematiche ampiamente trattate in letteratura, ma sotto l’ottica relativa di specifici rami e funzioni aziendali piuttosto che con un’organica visione di insieme. I PLM possono perciò essere interpretati come il risultato del pensiero snello, a sua volta inteso come prosecuzione della nuova filosofia aziendale delineata dalla produzione snella. A differenza di questa, verrà posto l’accento sulle modalità con le quali i sistemi PLM eliminano gli sprechi e le inefficienze lungo tutti gli aspetti della vita del prodotto, non solo nel corso della sua industrializzazione, facendo leva sul potere dell’informazione e sugli strumenti messi a disposizione dall’informatica.

    Il fattore di maggior traino per l’integrazione PLM è costituito dall’esigenza di ottimizzare i processi, ovvero di focalizzarsi non solo sull’efficienza, ma anche sull’incremento generale della velocità di sviluppo dei prodotti. Rendere i processi più efficienti e ridurre i passaggi amministrativi non necessari significa infatti rendere liberi i progettisti e le risorse di sviluppo del prodotto di concentrarsi solo sull’innovazione, portandola al mercato in maniera rapida così da capitalizzare al meglio il margine di vantaggio. Occorre tuttavia evidenziare che se i componenti di una suite PLM garantiscono un significativo valore, per quanto non esistano sul mercato soluzioni perfettamente integrate che coprono in modo adeguato tutti i singoli aspetti del ciclo di vita dei prodotti, sono in ogni caso le società a svolgere un ruolo attivo nell’integrazione dei dati e dei processi, collocando opportunamente i sistemi adottati all’interno della specifica tipologia aziendale, in modo da sviluppare una soluzione completa e assicurare un margine di ricavi durante tutto il ciclo di vita del prodotto.

    A tale proposito, il presente lavoro vuole offrire diversi spunti di riflessione e di discussione sulle nuove problematiche che si manifestano per le imprese del terzo millennio, e sulla significatività del Product Lifecycle Management, laddove lo sviluppo informatico dagli anni Ottanta ad oggi ha mostrato con chiarezza come la questione dell’innovazione e della digitalizzazione dell’impresa sia ormai divenuta un elemento nuovo e centrale dei processi economici all’interno dei mercati e delle organizzazioni. La convinzione è dunque che la gestione del ciclo di vita sia un fenomeno destinato a cambiare fattivamente alcuni dei fondamentali meccanismi di funzionamento delle aziende, dei rapporti tra di esse e con la domanda, e costituisca la base per un miglioramento della qualità, dell’efficienza e della rapidità dei processi operativi, riducendo di fatto gli errori provocati da un’errata comunicazione e da informazioni imprecise, nonché un solido supporto decisionale. Tale convinzione non ha nulla a che vedere con l’euforia giornalistica che ha accompagnato i primi passi delle offerte di sistemi PLM e, tanto meno, le ottimistiche previsioni di copiosi ricavi in tempi brevi prospettate dai fornitori di servizi, ma nemmeno con il pessimismo degli operatori finanziari nella fase di declino delle borse. Questo lavoro, sostanzialmente, prescinde da facili entusiasmi basati su improbabili crescite impetuose e da aspettative catastrofiche legate alla recente esperienza della new economy, basandosi piuttosto sull’opinione che la gestione del ciclo di vita del prodotto sia un fenomeno ormai necessario e irreversibile, che coinvolge ogni giorno di più la società e l’economia, e che cambierà nei prossimi anni il modo di essere e di operare delle imprese.

    La prospettiva di analisi adottata è perciò di tipo economico-aziendale, con l’obiettivo di individuare, approfondire e comprendere l’impatto strategico-operativo dell’adozione dei sistemi PLM in ambito aziendale. Questa scelta è stata ispirata dal convincimento che il fenomeno trattato sia enormemente evolutivo, almeno nella sua attuale fase di sviluppo: attori, processi, tecnologie che, solo qualche anno or sono, non erano neppure lontanamente immaginabili, oggi sono divenuti i protagonisti assoluti della vita economica. Se si vuole in effetti osservare il fenomeno della gestione del ciclo di vita del prodotto in una prospettiva sufficientemente ampia, ossia che non abbia una validità contingente in termini temporali, si deve necessariamente cercare di descrivere una realtà che sfugge a descrizione, perché la supera in velocità e dinamicità evolutiva. La scelta è stata dunque quella di analizzare in profondità i fenomeni alla ricerca dei meccanismi di fondo, procedendo ad un’attenta selezione della letteratura disponibile sull’argomento, pur nella consapevolezza della difficoltà di individuare tutte le problematiche connesse al fenomeno PLM, ma senza la pretesa di voler realizzare un lavoro con finalità conclusive, volendo piuttosto aprire una prospettiva di studio generale gettando le basi per una visione maggiormente compiuta sulle attuali tendenze del sistema economico e le prospettive evolutive dei paradigmi manageriali e organizzativi.

    In conclusione, il fine ultimo della trattazione è quello di sottolineare come il ritmo dell’evoluzione tecnologica e la diffusione capillare che caratterizzano il fenomeno informatico, contestualmente alle dinamiche evolutive del contesto economico e alla capacità di innovare prodotti e processi richieste alle organizzazioni del terzo millennio, trovino nella gestione del ciclo di vita una risposta concreta ed efficace alla gestione del problematico coordinamento dei meccanismi di domanda e di offerta, nonché la via più sicura per creare un fluido collegamento tra produzione e mercato. Posto che il fenomeno PLM sta divenendo un’esigenza condivisa da più settori industriali e rappresenta uno dei mercati più promettenti per i prossimi anni in virtù dei potenziali benefici che tale approccio, nella teoria, promette, le imprese devono comunque saper cogliere nella loro interezza i vantaggi offerti da questa tecnologia, identificando le difficoltà connesse all’impiego di una pluralità di sistemi informativi che non riescono o non possono dialogare gli uni con gli altri, mettendo in discussione la propria struttura organizzativa e la rete di relazioni con partner, fornitori e clienti, al fine di rispondere efficacemente ed efficientemente alle nuove sfide poste in essere dall’odierno contesto economico. Le esperienze più recenti mostrano che le aziende che hanno precipitosamente investito nella realizzazione di sistemi di gestione del ciclo di vita possono trovarsi in difficoltà ad ottenere reali benefici da questa tecnologia. In molti casi, tuttavia, va osservato che ciò non le induce a disinvestire, bensì a rimettere in discussione altre componenti della propria struttura tecnologica. L’impresa, infatti, necessita di un certo livello di maturità dei sistemi informativi interni perché essi possano essere integrati con successo in un sistema PLM, per cui l’azienda, per operare un effettivo controllo del ciclo di vita, dovrà intraprendere un processo di cambiamento organizzativo e funzionale che andrà ben oltre il semplice investimento in tecnologie.

    1.Il passaggio dal vecchio al nuovo

    La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.

    John Maynard Keynes

    1.1 L’evoluzione dei sistemi economici e i fattori di cambiamento

    Nell’era dell’incertezza

    Se disponessimo di tutte le informazioni necessarie potremmo prendere decisioni tendenzialmente razionali e perfette, mentre una dimensione di analisi importante per lo svolgimento di qualsiasi compito è proprio quello dell’incertezza, il cui effetto principale consiste nel limitare la capacità dell’organizzazione di formulare piani e programmi, oppure di prendere decisioni riguardanti alcune attività prima della loro materiale esecuzione [GALBRAITH, 1977].

    L’incertezza è un fattore determinato sia dalla natura specifica dei compiti che si è chiamati a svolgere, sia dall’assetto organizzativo dell’impresa, includendo perciò anche gli effetti delle scelte strategiche dell’impresa e delle tecnologie adottate. Si potrebbe dunque affermare che l’incertezza ha una determinante esogena all’unità organizzativa e una più strettamente collegata alle decisioni di organizzazione dei compiti, ossia endogena.

    Le organizzazioni sono sistemi sociali aperti che devono far fronte all’incertezza legata alla presa delle decisioni nell’ambito dei processi aziendali. Tale incertezza può essere affrontata facilitando la raccolta e l’elaborazione delle informazioni inerenti tutte le variabili organizzative. La complessità e la dinamicità dell’incertezza ambientale influiscono sulla complessità delle attività dell’impresa e richiedono una quantità maggiore di informazioni sulle quali basare le decisioni aziendali.

    Il tema dell’incertezza negli studi organizzativi è considerato prevalentemente in termini di incertezza ambientale (influenza dell’ambiente esterno) e dei relativi impatti che questo provoca a livello di settore sulle azioni dei concorrenti e sulle preferenze dei consumatori. Indubbiamente un’elevata incertezza ambientale provoca maggiore complessità e aumenta il numero degli elementi da valutare per meglio indagare l’ambiente interno. I possibili accadimenti che si evolvono nei vari settori ambientali possono perciò essere studiati sulla base di diverse dimensioni, quali la stabilità o l’instabilità dell’ambiente, il grado di concentrazione o dispersione, la presenza di ambienti semplici o complessi, il livello di omogeneità o eterogeneità, il grado di turbolenza dell’ambiente stesso, la quantità di risorse disponibili in grado di favorire l’attività dell’impresa.

    Nonostante l’influenza che possono determinare la situazione economica in generale e le tendenze sociali in atto, di solito l’incertezza ambientale della singola impresa è strettamente collegata alle caratteristiche del suo ambiente di riferimento (task environment), inteso come l’insieme di tutti quei settori con i quali essa opera e che influiscono sulla capacità di raggiungere i suoi obiettivi. Oltre al settore di appartenenza rientrano nel concetto di ambiente di riferimento anche le materie prime e il mercato, così come le risorse umane e i relativi fattori di influenza di carattere internazionale.

    In sintesi, le caratteristiche del contesto ambientale che incidono sull’incertezza sono due: il grado di semplicità e complessità della sfera ambientale e il grado di stabilità o instabilità dei possibili accadimenti. L’incertezza provoca dunque un maggiore rischio di fronte alle sfide sempre più critiche che l’impresa deve affrontare e rende più difficile prevedere i costi e le probabilità delle possibili decisioni che i manager devono affrontare.

    Eric P. Fromm sosteneva che l’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità. Gestire l’incertezza significa perciò fornire ai decisori aziendali i dati, le informazioni e la conoscenza utili per valutare i fattori ambientali che la determinano e che influenzano, in modo difficilmente prevedibile, i cambiamenti dell’ambiente esterno.

    Il panorama attuale e le nuove sfide per le imprese

    Il successo competitivo delle aziende manifatturiere è determinato in larga parte dal successo stesso dei prodotti che introducono sul mercato. Questa è la ragione per cui esse hanno la necessità di incrementare in modo continuo l’efficacia dei processi di realizzazione dei propri prodotti, fronteggiando un mondo nel quale varietà, quantità, modelli, tipi, colori, caratteristiche, funzioni, specifiche e altri dati di prodotto, sono cresciuti di complessità lungo l’impresa orizzontale ed estesa [DEKKERS, 2005]. Nei network inter-aziendali, infatti, un singolo prodotto viene generalmente concepito e realizzato ricorrendo alla collaborazione tra differenti organizzazioni, ognuna delle quali è responsabile di specifiche fasi del processo produttivo, coordinato e monitorato dall’impresa che detiene il marchio. I gruppi di sviluppo di prodotti multifunzionali, dalle loro locazioni disperse nel globo terrestre, adoperano strumenti di disegno elettronico per delineare la forma fisica e logica, le specifiche tecniche e le altre informazioni che concorrono a definire l’intero prodotto. Numerosi produttori forniscono parti e componenti, uno o più committenti le assemblano in semilavorati, mentre canali di distribuzione multipli gestiscono le transazioni con venditori, produttori, distributori e clientela. Nel mondo attuale, la complessità delle informazioni di prodotto deve essere perciò condivisa in modo effettivo e appropriato, lungo le numerose catene di valore e tra i partner a valore aggiunto che devono poter accedere al prodotto e ai relativi dati in modo sicuro e rapido. La giusta informazione, nel corretto contesto e al momento opportuno [DUTTA & WOLOWICZ, 2004] resta perciò l’elemento critico della strategia competitiva di ogni moderna organizzazione.

    Questo contesto in rapida trasformazione è permeato da un livello di incertezza tale da mettere a dura prova anche le forme più consolidate di agire economico. La vastità dei cambiamenti è accompagnata da un incremento della velocità dei processi che investono il sistema produttivo e che rendono obsolete o, quanto meno, dotate di minore efficacia le forme tradizionali di gestione e programmazione economica, sia nel breve che, a maggior ragione, nel medio-lungo periodo. Il mondo industriale ha, dunque, ormai da tempo iniziato ad inoltrarsi lungo percorsi di sviluppo che lo allontanano progressivamente dagli assetti economico-produttivi che, pur nella pluralità delle forme organizzative assunte, sono stati tradizionalmente riconosciuti in un modello di impresa e di relazioni con il mercato sopravvissuto dall’era della produzione di massa sino quasi ai giorni nostri. Va comunque osservato come il fenomeno innovativo non si presenti in forme precise e facilmente isolabili, pervadendo di fatto tutti i livelli del sistema economico, e non attenga solamente ad uno o più rami aziendali, in quanto si esulerebbe da una visione unitaria del cambiamento d’impresa che coinvolge quelle variabili chiave che hanno dominato i modelli di crescita e organizzazione del modello fordista di produzione.

    L’affermazione sempre più diffusa di un contesto globale per le scelte economiche è caratterizzata dalla contrazione del fattore temporale e dalla dilatazione di quello spazio-territoriale. La possibilità di impiegare nuovi mezzi di trasporto, di comunicazione e trasmissione delle informazioni fa diventare irrilevanti, da un punto di vista economico, le distanze tra localizzazioni produttive, rendendo conveniente raggiungere mercati e appropriarsi di risorse prima inaccessibili. D’altro canto lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione permette la connessione in tempo reale fra centri decisionali, potenziando l’interdipendenza tra soggetti e tra sistemi economico-produttivi [VACCÀ & ZANFEI, 1989]. In questa accezione, sviluppo tecnologico e processi di globalizzazione dell’economia costituiscono delle spinte al cambiamento che si rafforzano reciprocamente.

    Il risultato di questa azione concomitante è individuabile nell’estensione del confronto competitivo e cooperativo tra soggetti economici su scala globale. Infatti, il panorama competitivo diviene più complesso dal momento in cui l’impresa entra in relazione con un numero maggiore di soggetti economici, e ciò richiede la messa a punto di strategie che le consentano di affrontare in tempi brevi una grande varietà di situazioni molteplici e spesso imprevedibili. Occorre anche osservare come la competizione tra imprese che si fronteggiano su mercati globali sia sempre più legata alla capacità di differenziare ed incrementare le prestazioni dei propri prodotti e servizi. L’innovazione tecnologica diviene perciò l’arma più potente delle strategie di impresa.

    A livello di mercati, l’ampliamento dell’arena in cui si svolge il gioco dello scambio tra soggetti economici concorrenziali ha inasprito i toni della competizione, spingendo gli sfidanti sul campo ad adoperare l’innovazione come arma strategica. Dall’altra parte, la crescente domanda proveniente da un mercato che esprime bisogni sempre meno omogenei e sorretta da tecnologie produttive altamente flessibili, ossia in grado di rispondere a domande differenziate e variabili nel tempo, se da una parte conduce verso il superamento del modello della produzione di massa, dall’altro non allestisce certo scenari neoartigianali, quanto piuttosto iperindustriali.

    A livello tecnologico è, in particolare, il rapido e crescente diffondersi di tecnologie legate allo sviluppo dell’elettronica e, ancora di più, della microelettronica a produrre effetti e cambiamenti di vasta portata che, da livello microtecnico, si irradiano alla intera struttura economico-produttiva investendo dunque non solo la sfera dei prodotti, ma anche gli stessi processi produttivi e gestionali, nonché l’intera struttura organizzativa delle imprese.

    Dal punto di vista economico-produttivo, è possibile osservare un ridisegno complessivo dei circuiti decisionali tesi a pianificare e gestire i processi operativi e strategici, per andare verso un sistema maggiormente frammentato e complesso nel quale muta lo stesso sistema degli attori coinvolti, delle loro razionalità e logiche di azione, delle tecniche e degli strumenti decisionali di cui dispongono. Ciò significa che, nell’impresa industriale avanzata, sono assolutamente differenziati tanto i luoghi della decisione, quanto la distribuzione delle conoscenze e delle fonti di informazione. Analogamente, risulteranno molteplici anche i soggetti coinvolti. Tale frammentazione delle unità di impresa allontana dal modello storico di large corporation, modello di sviluppo tipico del capitalismo manageriale che aggrega e accorpa diverse funzioni, e che ha proprio nella grande dimensione il suo punto di forza, per andare verso unità più piccole dotate di una maggiore flessibilità e collegate tra loro da accordi di collaborazione di diversa natura.

    A livello di prodotto si assiste invece ad una drastica revisione e riprogettazione di tipologie oggettuali consolidate, il cui declino è da imputare proprio ai processi di miniaturizzazione delle parti funzionali e di assottigliamento delle parti meccaniche, e ai processi di accorpamento di funzioni e prodotti tradizionalmente separati. Va osservato come il dilatarsi della sfera informatica carichi i prodotti stessi di nuove potenzialità e aggiunga al prodotto tradizionale capacità prestazionali che delineano un passaggio verso il prodotto-servizio, passaggio questo che comporta modalità produttive e logiche distributive differenti.

    Dimensione d’impresa e dinamiche innovative

    Nella formula big labour, big industry, big state si è soliti riconoscere le caratteristiche e le modalità di sviluppo del sistema economico-produttivo di quel preciso momento storico che si definisce era della produzione di massa, accomunando situazioni ben più complesse e differenziate di quanto questa definizione possa descrivere. È comunque vero che, in un contesto storico e geografico limitato, gli Stati Uniti della prima metà dello scorso secolo, l’alta concentrazione di lavoro, l’espansione dimensionale delle imprese e l’ampio coinvolgimento dello stato nelle questioni economiche si possono riconoscere come caratteri emergenti. Le dinamiche espansive che conducono l’impresa americana agli assetti dimensionali e organizzativi che la definiscono nella sua struttura moderna, seguono una cronologia di eventi articolabili in alcuni periodi ben distinti.

    Una prima tappa del processo di sviluppo si può collocare negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, caratterizzata dall’espansione che conduce alla creazione dei grandi imperi industriali attraverso la concentrazione orizzontale prima e l’integrazione verticale poi [CHANDLER, 1992]. Nei primi due decenni del ventesimo secolo ha inizio la fase di razionalizzazione organizzativa di tale espansione che conduce alla affermazione di una struttura integrata multifunzionale [CHANDLER, 1984], nella quale un ufficio centrale amministra un certo numero di dipartimenti o divisioni funzionali, preposti rispettivamente alla produzione, alle vendite, agli acquisti e così via. A partire da questo momento, i bisogni e le opportunità espresse da un mercato sempre più urbanizzato e da una crescente ondata di sviluppo tecnologico, spingono le imprese ad adottare due strategie ben distinte. Da un lato, le aziende la cui produzione si basa su articoli fortemente standardizzati e molte di quelle impegnate nella trasformazione di prodotti agricoli, pur espandendosi, mantengono dal punto di vista organizzativo la tradizionale struttura centralizzata e divisa in dipartimenti funzionali. Dall’altra parte, invece, i settori maggiormente coinvolti dal mutamento dei mercati e dalla nuova tecnologia, per garantire il pieno impiego delle risorse accumulate, si affidano o ad una strategia di diversificazione produttiva, mediante la creazione di una intera gamma di nuovi prodotti per diversi tipi di consumatori, basati su processi tecnologici e produttivi simili, o ad una strategia di diversificazione dei mercati, ampliando il proprio raggio di azione verso nuove aree geografiche sia di sbocco che di approvvigionamento.

    Gli eventi che agiscono come fattori di stimolo al cambiamento strutturale vanno ricercati nell’espansione della popolazione e, fatto ancora più rilevante, nella realizzazione della rete di trasporto ferroviario, la quale diviene di fatto causa ed effetto della crescita di un mercato nazionale che da rurale assume le caratteristiche di mercato urbano. Inoltre la complessità delle attività richieste per la costruzione, la gestione e la manutenzione delle infrastrutture richiede, per la prima volta, lo sviluppo di nuove capacità manageriali e la creazione di una vasta struttura organizzativa con linee di responsabilità, di autorità e comunicazione che possono essere considerati dal punto di vista funzionale i naturali precursori della moderna organizzazione di impresa.

    Tuttavia, è nella sfida posta dall’avvento di una base tecnologica la quale, attraverso l’applicazione di due nuove fonti di forza motrice come il motore a combustione interna e l’elettricità all’industria e ai trasporti, consente di ottenere un volume di produzione e un movimento di beni senza precedenti, e nel crescente ampliamento di un mercato capace di assorbire la maggiore produzione che si possono individuare i principali elementi capaci di spiegare l’apparire della large corporation come istituzione fondamentale del moderno capitalismo.

    Da un lato dunque sono le nuove tecnologie ad alta intensità di capitale, di energia e a processo continuo che, entrando nei settori tipici della seconda rivoluzione industriale (metallurgica, meccanica e chimica), consentono di conseguire un nuovo tipo di convenienza economica, l’economia di scala, dipendente dalla riduzione dei costi unitari che si ottiene al crescere del volume prodotto. Questo tipo di vantaggio, tuttavia, rischia di essere vanificato dall’elevato costo fisso degli impianti che devono produrre in modo intensivo e trovare di conseguenza riserve di materie prime sempre pronte da trasformare. Inoltre la produzione di serie, tipica di questi settori, si caratterizza per l’impiego di risorse dedicate, richiedendo cioè grandi investimenti in attrezzature altamente specializzate, spesso adatte alla produzione di un solo prodotto o di un unico modello. La produzione in serie, per questa ragione, si dimostra vantaggiosa solamente in mercati sufficientemente estesi da assorbire la massiccia produzione di un singolo prodotto standardizzato, e abbastanza stabili da tenere continuamente impiegate le risorse dedicate alla produzione di quel prodotto.

    Nei settori produttivi investiti dalle nuove tecnologie di produzione di massa, l’integrazione verticale sia a monte che a valle del sistema di produzione, con la conseguente realizzazione delle grandi dimensioni di impresa, costituisce dunque la risposta efficace alla gestione del problematico coordinamento dei meccanismi di domanda e di offerta, nonché la via più sicura per creare un fluido collegamento tra produzione e mercato.

    Nella fase attuale, i caratteri assunti dal sistema economico-produttivo e le modalità attraverso le quali si realizzano innovazioni e si acquisiscono capacità competitive sul mercato, si allontanano dal modello classico di crescita delle imprese e dei mercati, tipici delle fasi di produzione e consumo di massa. Il peso della struttura organizzativa come fattore capace di condizionare scelte e strategie di impresa sembra perdere la propria importanza di fronte ad una logica che premia la flessibilità, ossia la capacità di rispondere non solo alla varietà delle richieste ma anche alla loro variabilità nel tempo. La logica della flessibilità consente di essere potenzialmente presenti su tutti i mercati, di limitare i rischi di investimento, di avere facilità di accesso a conoscenze e risorse necessarie all’attivazione dei processi innovativi. Essa è sorretta dalle nuove tecnologie che consentono una divisione del lavoro su piccola scala, basata sull’alta specializzazione e sulla capacità di coniugare alta produttività e versatilità di impiego, determinando un superamento delle convenienze basate sulle economie di scala.

    La riduzione dei livelli di integrazione e centralizzazione che determinano il superamento di una logica organizzativa giocata sul predominio della grande dimensione, rappresenterebbero il modo più efficace per fronteggiare l’instabilità del contesto entro cui l’impresa si muove. Molteplici sono le cause che concorrono a generare questo clima di instabilità. Da un lato vi sono fattori di carattere contingente, fra cui, a titolo di esempio, la caduta della domanda che ha riguardato dapprima i beni di largo consumo e, in seguito, anche quelli strumentali, ponendo in modo urgente il problema della ristrutturazione aziendale. Alcune grandi imprese, infatti, hanno individuato nella riduzione dei costi di struttura, ottenibili ricorrendo ad unità meno monolitiche e maggiormente flessibili, uno degli elementi decisivi per far fronte alla crisi [PETRONI, 1994]. Vi sono inoltre fattori di ordine strutturale che convergono nel modificare le tradizionali modalità di crescita e interazione tra imprese e tra settori industriali: in primo luogo le caratteristiche peculiari assunte dallo sviluppo tecnologico, al quale si associa l’ampliamento progressivo della competizione imprenditoriale strettamente dipendente dalla nuova dimensione dei mercati e dalla loro crescente interconnessione.

    La flessibilità delle nuove tecnologie

    Un ulteriore elemento che interviene a modificare in maniera sostanziale le modalità produttive passate, risiede nella possibilità di ottenere crescenti livelli di flessibilità. Questa può essere definita come l’incremento del numero di alternative potenziali che sono disponibili per la soluzione di un determinato problema, e che sono economicamente percorribili per un’impresa. La rigida standardizzazione e l’utilizzo intensivo degli impianti tipici del vecchio modello produttivo erano finalizzati ad ottenere economie di scala, alle quali, da un punto di vista economico, generalmente erano associate le innovazioni del sistema tecnico. Una volta messi a punto una soluzione tecnologica, un progetto di prodotto o di processo, era conveniente replicarli il maggior numero di volte possibile, in modo da abbattere il costo fisso della singola unità prodotta. Lo sviluppo congiunto di microelettronica, telematica e automazione industriale, rendendo possibile la riduzione dei costi unitari dell’informazione e rendendo più conveniente dal punto di vista economico trasferire informazioni complesse, contribuisce ad innescare, a partire dagli anni Settanta, una profonda trasformazione dell’organizzazione della produzione. Alla rigidità delle soluzioni tecnico-produttive precedenti si sostituisce un livello di flessibilità tecnologica che rende conveniente abbassare il livello di standardizzazione delle macchine, dei processi e dei prodotti. Diviene dunque consigliabile ricercare una maggiore variabilità nel tempo delle soluzioni tecnologiche, piuttosto che il risparmio di costo connesso con le economia di scala.

    Il carattere flessibile delle nuove tecnologie introduce un’ulteriore chiave interpretativa della variabile dimensionale, individuabile nella stretta relazione che intercorre tra espansione/riduzione dei confini di impresa e tipi differenti di convenienze economiche perseguite dai soggetti produttivi. Queste, infatti, sono strettamente associate alle caratteristiche delle basi tecnologiche presenti in un determinato contesto storico e alle dimensioni e dinamiche del mercato.

    Fig. 1: Punti di differenza tra tecnologie tradizionali e nuove tecnologie [DI BERNARDO, 1991]

    La flessibilità, alla quale si associano nuove convenienze economiche, ha come risvolto la frammentazione e ridistribuzione del ciclo produttivo tra una pluralità di soggetti economici. Il nuovo scenario di divisione del lavoro tra imprese lungo la filiera produttiva ha come premessa il carattere di scomponibilità dei nuovi cicli, pensati per la produzione di beni di natura sempre più complessa. In questa ipotesi, la convenienza ad esternalizzare è collegata al fatto che l’elevato numero delle parti e dei componenti costituenti il prodotto chiamano in causa una pluralità di tecnologie produttive che richiederebbero un accumulo di competenze e specializzazioni, per le quali l’impresa produttrice del bene finale non ha la capacità o la convenienza a sviluppare in proprio. Infatti, la complessità crescente del prodotto industriale comporta in molti casi l’impossibilità di detenere e gestire in proprio l’universo delle tecnologie coinvolte nel processo costitutivo del prodotto stesso, tale che il ricorso ad apparati tecnologici e competenze esterne divengono una necessità e non una scelta, posta anche la grande varietà di risorse scientifico-tecnologiche che richiedono una velocità di appropriazione di conoscenze spesso costose e subito obsolete. Ciò significa che l’impresa può risultare competitiva solo se entra a far parte di una rete di competenze specializzate in settori diversificati, realizzata mediante la cooperazione tra imprese che forniscono tecnologie di base e imprese che le valorizzano attraverso lo sviluppo di beni e servizi che si diffondono in settori di applicazione assai diversificati, nei quali la tecnologia è impiegata e trasformata in funzione di specifiche esigenze di uso.

    In particolare, i processi di esternalizzazione in atto che concorrono a definire il passaggio dal grande al piccolo, nonché ad attribuire un nuovo ruolo alle imprese di piccola e media dimensione, sono infatti rafforzati anche da convenienze legate alle modalità con cui si produce, si sviluppa e si diffonde all’interno del sistema economico quella risorsa che, allo stato attuale e per quanto intangibile, rappresenta uno degli assi portanti dei processi di cambiamento: la conoscenza scientifico-tecnologica. Nel momento, infatti, in cui l’informazione, il sapere e il know-how

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