Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Karalis - la trilogia di Cagliari
Karalis - la trilogia di Cagliari
Karalis - la trilogia di Cagliari
Ebook252 pages3 hours

Karalis - la trilogia di Cagliari

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Karalis è una città immaginaria fatta di stracci, sogni e sospiri. Ha un mantello color pastello e un cappello a falde larghe che la protegge dal sole, è il quartiere di Castello che sovrasta gli altri quartieri storici di Marina, Villanova e Stampace. Karalis osserva, ascolta, protegge, nasconde, svela. Ha un carattere tutto suo che non è romano, fenicio, spagnolo, pisano o genovese. Eppure qui sono passati i romani, i fenici, gli spagnoli, i pisani e i genovesi. Ha un profumo particolare e colori irripetibili, un ritmo lento che si scandisce in passi, un sole che batte solo in questa parte dell’isola, il maestrale che pettina i tetti, e storie, tante storie da raccontare. Karalis è la vera protagonista di questa trilogia, dove fantasia e cronaca si confondono e si fondono. Karalis è l’antico nome di Cagliari. Giorgio Binnella nasce a Roma nel 1968. Dopo anni di viaggi, nel 2004 si stabilisce a Capoterra, a pochi chilometri da Cagliari. Nel 2013 crea “Fahrenheit 365” il cantiere di scrittura creativa che si tiene nello storico quartiere di Castello. Nel 2010 pubblica il primo romanzo della Trilogia, Lo spaventapasseri e l’anno successivo Nobile Verrisi. Nel 2013 amplia la storia de Lo spaventapasseri e scrive il terzo romanzo della Trilogia, Tinto.
LanguageItaliano
PublisherAmico Libro
Release dateApr 12, 2014
ISBN9788898738274
Karalis - la trilogia di Cagliari

Read more from Giorgio Binnella

Related to Karalis - la trilogia di Cagliari

Related ebooks

Performing Arts For You

View More

Related articles

Reviews for Karalis - la trilogia di Cagliari

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Karalis - la trilogia di Cagliari - Giorgio Binnella

    presente.

    Prefazione

    Riuscire a raccontare di tempi e di luoghi che non si conoscono è talento degli scrittori. Ma altresì riuscire a suscitare - in chi quel tempo e quel luogo lo ha vissuto - il ricordo di profumi che impregnano case e strade, e di colori che resistono solo nelle vecchie fotografie sbiadite, è dono di pochi.

    Giorgio Binnella, in Trilogia di Karalis, ha fatto suoi quei tempi e quei luoghi: con tre racconti che sembrano vagoni di un treno, ci porta in viaggio, partendo da un mondo interiore e attraversando un passato che serve a tener vivo il nostro presente.

    Un’opera dove ogni personaggio ha una storia da far sentire al lettore, dove ognuno di loro tiene tra le dita un filo facente capo a un’unica matassa: la vita. Questa vita ricca di bellezze e di ingiustizie, di amore e di morte, di guerre e di attese. Di tempo che finisce, ma che rinasce.

    Carmen Salis

    Lo Spaventapasseri

    Lo Spaventapasseri

    1.

    "Da quanto tempo mi trovo qui?

    Ho visto così tante volte il Sole nascere e poi morire, e le stagioni rincorrersi sul mio campo, che le dita non bastano più a contarle. E il mio nome: un tempo ero così contento di sentirlo pronunciare da chi mi amava, ma ora, nella squallida monotonia dei giorni, mi dà fastidio ogni voce. E questo campo, ogni giorno mi sembra più piccolo e spoglio.

    Chi sono veramente e quale passato mi ha condotto dove ora sono?

    Le certezze, i progetti, i sogni, tutto giace abbandonato in un angolo di questa campagna muta. In un’ansa di questo mare immobile. Peggio, tutto s’allontana come una zattera alla deriva. Una zattera in balia della corrente che trascina ogni cosa nell’oblio.

    Vorrei solamente essere me stesso, non recitare la parte che ora ho appiccicata, come se la vita fosse un palcoscenico.

    Vorrei trovare la mia strada, ma come posso cercarla da questo campo?

    E una volta trovata, come posso esser certo che sia la mia?

    E poi, avrò il coraggio di seguirla?"

    2.

    Il Sole si alzò lentamente, seguendo assonnato una via solcata da migliaia di anni.

    Lo Spaventapasseri pensò di chiedere aiuto all’astro, senza fare troppi complimenti.

    Amico, da molto tempo osservo il tuo cammino. So che giri il mondo e conosci la terra, tu che vedi tutto dall’alto del tuo tragitto, vorresti aiutarmi?

    Buongiorno Spaventapasseri, come ben sai non sono capace di fermare il mio viaggio per parlare con te, ma se posso ti aiuterò con piacere. Cosa vuoi?

    Vedi, io cerco la mia strada. Vorrei conoscere me stesso e così fare con il mondo, imparare a distinguere il vero dal falso, il giusto dall’iniquo, vivere in armonia con tutto quello che mi circonda. Respirare seguendo il ritmo della terra.

    Il Sole continuò il cammino con la solita lentezza e proprio mentre lo Spaventapasseri stava per perdere la speranza, proruppe:

    Perché pensi che questa non sia la tua strada? Vesti come uno spaventapasseri e vivi come uno di loro, perché dovresti essere qualcos’altro?

    Lo Spaventapasseri non sapeva come rispondere al Sole, anzi, stava per riconoscere la propria presunzione quando un’immagine gl’illuminò la mente e come un tuono lo scosse da capo a piedi.

    La certezza di seguire il giusto cammino ti dà la forza di sopportare ogni prova e la fiducia in te stesso nei momenti più difficili: è come se un piccolo sole ti seguisse ovunque, per riscaldarti anche quando ti attanaglia il freddo dello sconforto e della delusione. Ma io ora non provo queste sensazioni.

    Capisco cosa vuoi dire ma credo di non poterti aiutare. Potrei suggerirti di seguirmi, però non penso che la mia strada sia anche la tua. Devi trovarla da solo, solamente così sarai certo della scelta. Addio amico.

    Addio Sole e grazie dell’aiuto.

    Il Sole si spense sommessamente dietro le colline coltivate a grano e lo Spaventapasseri si trovò di nuovo solo, ma soddisfatto, perché il giorno appena concluso gli aveva insegnato qualcosa di nuovo.

    3.

    Lo Spaventapasseri stava ancora pensando alla lezione imparata, quando la luce della Luna ridestò la sua ombra con grande sorpresa.

    Cosa ti fa rimanere sveglio in quest’ora tarda, quando anche la natura si riposa?

    Amica Luna, forse tu puoi aiutarmi: sto cercando la mia strada. Vorrei conoscere me stesso per crescere in armonia colle altre creature, innalzandomi oltre la mediocrità di una vita che ora debbo subire.

    La Luna continuò il suo cammino, si nascose dietro una nuvola e poi a un’altra e a un’altra ancora. Quando riapparve in tutta la sua luce, si rivolse di nuovo allo Spaventapasseri.

    Sarei felice di poterti aiutare, ma dimmi: cosa ti fa pensare che questa non sia la tua vita? Vesti come uno spaventapasseri e vivi come uno di loro, perché dovresti essere qualcos’altro?

    Lo Spaventapasseri avrebbe voluto rispondere come aveva fatto con il Sole, dimostrando così di avere imparato la lezione, ma capì che la Luna non avrebbe compreso una risposta siffatta. E mentre quella raggiungeva il punto più alto del suo viaggio, una nuova immagine si fece strada nella mente, rinvigorendo il corpo intirizzito.

    Vedi Luna, se seguissi il giusto cammino niente potrebbe farmi deviare dalla strada che ho deciso di percorrere e non dovrei scendere a compromessi con nessuno. È come se una luna personale illuminasse quel sentiero e quello solo, rendendo evidente il sostegno per i miei passi anche nella notte più sconsolante, e invece la mia stessa ombra sembra un macigno sulla via.

    Hai ragione amico. La vera via è come la descrivi tu, e potrei suggerirti di seguirmi, ma questa è la mia strada e potrebbe non essere la tua…

    Addio Luna e grazie per avermi aiutato.

    La Luna iniziò la discesa facendo tornare la Spaventapasseri nell’ombra, stanco e insonnolito, ma con qualcosa di nuovo su cui meditare.

    4.

    I giorni passavano e lo Spaventapasseri era sempre più angosciato. Il Sole e la Luna gli avevano insegnato nuove verità, o meglio, lui stesso, parlando con loro, aveva scoperto nuove verità. In un certo senso era cresciuto, ma ancora non aveva trovato la sua strada.

    Ormai i corvi banchettavano con i semi del campo e lui non se ne curava più. Era così strano il suo comportamento che una mattina, dopo aver fatto colazione, un corvo gli si avvicinò.

    Buongiorno Spaventapasseri, passavo di qua e mi sono sentito in dovere di fermarmi. Io sono ben felice di sfamare me e i miei piccoli, ma non capisco perché tu non faccia il tuo dovere.

    Buongiorno a te, amico corvo. Sono commosso dal tuo interessamento ma, ti prego, non chiamarmi con quel nome.

    Cosa vuoi dire? Non sei più uno spaventapasseri?

    Vesto come uno spaventapasseri e vivo come loro, ma non lo sono. La mia strada è un’altra, e è quella che sto cercando.

    Come puoi dire questo?

    Lo Spaventapasseri si aspettava una domanda del genere e avrebbe voluto rispondere come aveva fatto con il Sole prima e poi con la Luna, ma si convinse subito che il corvo non avrebbe capito, cercò allora di formulare una nuova risposta secondo le verità che aveva appreso.

    La certezza di seguire il mio cammino dovrebbe sostenermi e confortarmi anche nei momenti più difficili, e qualora dovessero presentarsi ostacoli insormontabili, la convinzione di essere nel giusto mi darebbe la forza di volare, senza dover calpestare la sozzura dell’ipocrisia, della menzogna, dell’ignavia. Ma fino ad ora non è stato così.

    Credo di aver capito il tuo desiderio, e non conosco nessuno che ti possa aiutare nella ricerca. Potrei suggerirti di seguirmi, ma ognuno ha una strada propria da percorrere e le mie ali potrebbero non bastarti. Addio amico e buona fortuna.

    5.

    Povero piccolo Uomo. Ti stai affannando nel cercare un maestro, una guida che ti conduca per mano su quella che un tempo era la tua strada. Povero sciocco Uomo.

    Lo Spaventapasseri aveva udito queste parole, ma non vedeva nessuno attorno a sé. Del resto, il Sole era già tramontato, la Luna era coperta da un velo di pioggia e il corvo era già tornato al suo nido.

    Chi è che parla d’uomini e di strade, e cosa vuol dire? Fatti vedere, affinché io impari ancora qualcosa che possa essermi d’aiuto.

    Non puoi vedermi, io sono il Vento: quello che muove le fronde degli alberi, che ti porta le parole lontane di chi ami. Quello che sorregge il tuo amico corvo, che ti fa rabbrividire quando viene dal Nord, e ti fa addormentare beato, quando è caldo e leggero. Io sono stato con te fin dall’inizio della tua ricerca, ho sentito cosa hai detto al Sole, alla Luna, al corvo. Io so cosa hai imparato. Credo che tu ora sia pronto per riprendere il cammino.

    Aspetta! Ancora non capisco bene, cosa ho imparato di così importante da consentirmi di riconoscere e riprendere il cammino? E poi, non comprendo come possa riprendere un cammino mai iniziato.

    Stolto che sei! Se tu non avessi già percorso la tua vera strada, come potresti desiderare di tornarci? Se questo era il progetto per te, saresti contento, non conoscendone altri. Ricorda cosa hai detto ai tuoi amici: la certezza di seguire il proprio cammino è come un piccolo Sole che ti segue ovunque, per riscaldarti quando ti attanaglia il freddo dello sconforto e della delusione; è come una Luna che illumina la strada, discernendo il sentiero sicuro fra le vie buie; è come un paio d’ali con le quali superare ostacoli insormontabili…

    Hai ragione, questo è ciò che ho imparato, e non adesso ma tanto tempo fa, perché l’avevo sperimentato. Quelle sensazioni io voglio riprovare. Ti prego, aiutami.

    Io posso aiutarti, ma devi fidarti di me.

    Farò qualunque cosa tu chieda.

    Sai che la tua è solo una recita, e quello che indossi, un semplice costume. Spogliati dalle vesti, libera la tua anima e seguimi su nel cielo, dove intendo portarti.

    Vuoi portarmi nel cielo? Io non so volare e se dovessi cadere…

    Se ti spogli di tutti gli abiti, se lasci cadere le convinzioni, se dimentichi i limiti, vinci le paure, e liberi finalmente il tuo spirito, cosa può trattenerti ancora? La tua coscienza, essa da sola t’innalzerà oltre quelle nuvole, in un cielo dal quale potrai vedere le strade di tutti gli uomini. Di lì riconoscerai la tua via.

    Se sbaglio strada, se mi smarrissi di nuovo…

    Ricomincerai daccapo, ponendoti domande, trovando le risposte dentro di te. Come ora.

    Se credessi di aver capito, ma non è così, e una volta preso il volo, dovessi precipitare, morirei.

    Certamente, ma cosa hai da perdere? Se questa non è la tua vita, allora quella non sarà la tua fine.

    6.

    Allora l’Uomo chiuse gli occhi e si preparò a spiccare il volo, alla ricerca di se stesso.

    L’Uomo

    1.

    L’uomo, non ancora uomo e senza memoria di esserlo stato, iniziò a volare sopra tutto e tutti, senza salire troppo, per non confondere la Terra con le stelle. Anzi, rimase molto in basso, addirittura sotto le nuvole, e volava guardando la terra, come aveva detto il vento. E fu così che iniziò a vedere…

    Dapprincipio vide lo steccato che divideva il campo di grano dagli alberi da frutto, disposti secondo un ordine matematico, non in modo naturale. Ne vide la forma, i rami e la chioma disegnare solidi regolari, ma per niente naturali.

    Vide pomi grandi, rossi e tondi, tutti uguali, della stessa misura ma non secondo natura. Vide un altro steccato delimitare lo spazio degli alberi, e vicino, a costeggiare lo steccato, un sentiero, una lingua nera d’asfalto, non come la natura lo avrebbe fatto. Non uno di quelli creati dal passaggio istintivo di qualche animale selvaggio. Vide quella lingua d’asfalto protendersi diritta, fin dove poteva arrivare lo sguardo e decise di seguirla, procedendo a volo radente verso Nord.

    Vide altri sentieri incrociare il suo e ognuno di essi aveva steccati su un lato e sull’altro. Per limitare i sentieri o le terre?

    Vide gli alberi divenire sempre meno frequenti e i pochi visibili, grigi e spogli. Nessuna foglia a fare da ornamento, i rami secchi e contorti parevano braccia in cerca d’aiuto e il vento, sfiorandoli, dava loro voce, un lamento.

    Vide il verde dei campi divenir marrone, e macchie colorate sul terreno, che non erano fiori ma carta, plastica e cocci di vetro. Sentì i loro odori.

    Vide i campi brulli divenir cenere e su quei campi crescere strani fusti, senza rami ma alti e dritti, uniti fra loro da tanti fili, e avvicinandosi a questi, sentì uno strano ronzio.

    Vide grandi rocce spuntare dal terreno, di tante dimensioni, forme e colori, piene di aperture, sembravano spugne di mare, ma niente, assolutamente niente in loro era naturale.

    2.

    L’uomo, non ancora uomo, chiuse gli occhi per un attimo, per leggere dentro di sé ciò che era chiuso nella memoria, impolverato e mesto, cercando di mettere da parte, per un attimo, l’istinto, e tornarono alla mente le strade, i pali della luce, le città, i palazzi, le finestre chiuse, le porte chiuse, i cortili chiusi e recinti che dividono fazzoletti di terra. Ovunque recinti. Per proteggere, imprigionare, delimitare, isolare o circondare. Ovunque recinti a sbarrare il cammino, lo sguardo, il sogno. E quando questi cessano, è per lasciare il posto alle barriere dettate dalla morale, alle catene forgiate dai pregiudizi o a semplici strade obbligate da falsi miti, idoli effimeri, inutili chimere.

    Vide gente camminare con borse della spesa. Qualcuno con giornali sottobraccio, e automobili, tante auto incolonnate davanti a un semaforo rosso, parcheggiate sui marciapiedi, a ostacolare il passo o in coda in un distributore: le sentì suonare, stridere, assordare con motori potenti. Sentì musiche caotiche e urla e gente parlare in tante lingue.

    Tutto questo era fastidioso e incomprensibile e, mentre la realtà consumava le proprie energie sotto i suoi occhi e i rumori rimbalzavano nella sua testa, richiamò alla mente un tempo ancora più lontano. Cominciò a pensare a quando era bambino…

    3.

    Quando ero bambino, giocavo per la via con pezzi di legno e biglie di vetro, e con un pugno di terra edificavo mondi fantastici. Le strade erano deserte e le mie urla svegliavano i cani acciambellati sullo zerbino.

    Quando ero bambino, nel mezzo dei meriggi estivi mi sedevo sul bordo del marciapiede e mangiavo pane mollo e zucchero. Avevo i calzoni corti, una maglietta a righe rosse e nere, i sandali scoloriti e le mani sempre sporche. A volte spuntava un pallone da rincorrere dietro i palazzi, lungo un campo polveroso. In quel campo iniziai a giocare anche con le bambine, e con una di loro, quella con i capelli più lunghi e biondi mi nascondevo nel sottoscala del suo palazzo, per inventare nuovi giochi segreti. Con lei, la sera, mi sdraiavo dove l’erba era più alta e fragrante e contavamo le stelle dando loro dei nomi, ci volavamo sopra e poi raccontavamo all’altro cosa avevamo trovato, lì, nei lidi più lontani che i nostri dodici anni potessero raggiungere.

    Quando ero bambino, avevo tanti album su cui attaccare figurine di calciatori, animali, eroi… e la sera attendevo con impazienza che mio padre rincasasse con nuove bustine, fresche d’edicola. L’indomani, a scuola ci scambiavamo i doppioni o ce li giocavamo a manaccia.

    Quando ero bambino chiedevo sempre perché e qualche volta mi rispondevano Perché no!, allora io pensavo Non basta.

    Dopo aver terminato gli esercizi di grammatica e le divisioni, leggevo i passi della Bibbia su un grande libro illustrato, mentre mia madre rammendava panni lisi all’ultima luce del sole. La sera potevo vedere la televisione fino alla sigla del Carosello, e poi di corsa a fingere di dormire, per tornare in silenzio, acquattato dietro la porta della cucina. Tutto aveva un senso, una logica, un inizio e una fine.

    Avevo un cane di peluche al quale confidavo i miei segreti, che mi abbracciava di notte, sotto le coperte, per difendermi dalle ombre.

    Quando ero bambino fissavo il disco del sole e poi cercavo di afferrare le lucciole viola davanti agli occhi e ridevo, ridevo… Aspettavo la domenica per andare in chiesa, con i calzoncini blu e la camicia bianca, ma soprattutto per il cremino che papà mi comprava, rientrando a casa. Mia madre preparava la pasta al forno e nella bella stagione c’era sempre al centro della tavola, un cesto di pesche e albicocche, e le fragole che mi macchiavano, puntualmente. Le ciliegie, quelle le rubavo dagli alberi dei campi vicini. Sapevo ciò che era giusto e ciò che non lo era, sapevo distinguere il bene dal male. Nascondevo le mancette dei nonni in una scatoletta e quando diventava pesante, la consegnavo a mia madre, che a volte mi comprava una macchinina, e più spesso, qualcosa di buono da mangiare a pranzo: insomma, qualcosa.

    Il periodo più bello dell’anno era il carnevale quando potevo lanciare i coriandoli che mio padre preparava, pazientemente, con i vecchi giornali. Uscivo in cortile col costume da moschettiere e la spada, passando tronfio davanti alle bambine, e dandomi pacche sul sedere, fingevo di tenere a bada un focoso destriero.

    L’ultimo giorno di scuola, tutta la famiglia si presentava per leggere i voti appesi alle pareti. Avevo sempre i più alti, ma nessun regalo in premio, perché quello era il mio lavoro. Del resto neanche a mio padre davano regali quando lavorava bene.

    Quando ero bambino mettevo il dente sotto il bicchiere e la mattina successiva correvo a controllare cosa mi avesse lasciato il topolino, anche se mi domandavo sempre cosa ci facesse con i miei denti.

    Quando ero bambino l’aria era piena di fragranze di fiori, le stagioni erano quattro e si potevano distinguere.

    Avevamo un piccolo televisore in bianco e nero che si guastava spesso, ma papà l’apriva e lo riaggiustava, anche se avanzavano sempre dei pezzi. Avevo un fucile fatto di legno ed elastici colorati, porte di calcio costruite con le giacchette e una pista tracciata con i gessetti per far correre tappi di bottiglia. Un giornalino da scambiare, soldatini da schierare e vecchi stracci da sbandierare come vessilli colorati.

    Quando ero bambino… quanto tempo è passato?

    Quando ero bambino, un vecchio professore d’italiano mi disse che gli ricordavo Don Chisciotte, e io risposi che non combattevo contro i

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1