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Il ritorno dell'Impero di Mezzo: La grande strategia della Repubblica Popolare Cinese in Asia nel XXI secolo.
Il ritorno dell'Impero di Mezzo: La grande strategia della Repubblica Popolare Cinese in Asia nel XXI secolo.
Il ritorno dell'Impero di Mezzo: La grande strategia della Repubblica Popolare Cinese in Asia nel XXI secolo.
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Il ritorno dell'Impero di Mezzo: La grande strategia della Repubblica Popolare Cinese in Asia nel XXI secolo.

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È in Asia sud-orientale, che la Cina considera da sempre una propria zona di influenza, dove si gioca la competizione sino-giapponese per l’egemonia regionale. È sempre lì che Pechino esercita il proprio soft power, facendo leva sul suo storico retroterra culturale, con l’ambizione di recuperare il tradizionale ruolo di tutore degli equilibri e della sicurezza regionale.
Questo volume nasce dal bisogno di comprendere la grande strategia cinese nel suo “cortile di casa”, perché è proprio questa cintura periferica regionale la culla del progresso economico del XXI secolo, la forza motrice del dinamismo di mercato mondiale, ed è proprio a partire dal Sud-Est asiatico che la Cina consolida il suo progetto di sviluppo pacifico e ascesa nel rango delle grandi potenze.
Per Pechino non c’è alternativa: la strada per la conquista del successo internazionale passa per il controllo, se non politico, ma sicuramente economico-culturale, di questa
macro-regione.
LanguageItaliano
Release dateSep 17, 2013
ISBN9788897363583
Il ritorno dell'Impero di Mezzo: La grande strategia della Repubblica Popolare Cinese in Asia nel XXI secolo.

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    Il ritorno dell'Impero di Mezzo - Dolores Cabras

    Il ritorno dell’Impero di Mezzo

    di Dolores Cabras

    Copyright Fuoco Edizioni – http://www.fuoco-edizioni.it

    1^ Edizione Febbraio 2013

    ISBN 9788897363583

    Volume redatto grazie alla collaborazione dell’Associazione Il Caffè Geopolitico.

    Indice

    Introduzione

    Capitolo 1 – L’ascesa pacifica

    Capitolo 2 – I rapporti bilaterali

    Capitolo 3 – I rapporti multilaterali

    Conclusioni

    Bibliografia/sitografia

    Introduzione

    Pare che Napoleone lo avesse profetizzato quando ancora le Potenze marittime europee rivaleggiavano tra loro senza successo per corteggiare la Corte Celeste: «quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà».

    All’indomani delle guerre dell’Oppio (1839-1842) e della stipula dei trattati di Tianjin e Nanjing, con la penetrazione commerciale britannica e l’umiliazione delle concessioni economiche inique, il collasso dei Qing sembrò inevitabile e nessuno in Occidente avrebbe mai più scommesso sul risveglio del vecchio grande Impero di Mezzo. La fragilità dell’apparato governativo non tardò a manifestarsi nei suoi risvolti più drammatici: l’irrefrenabile incremento demografico e la penuria, dovuta alla siccità diffusa che aveva mandato in rovina i raccolti, accrebbero il malcontento popolare, incoraggiando l’insorgere di movimenti anti-imperiali insurrezionalisti e rivoluzionari.

    Le mire espansionistiche di Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Russia, unitamente alle numerose insurrezioni interne, portarono alla disfatta dell’Impero nel 1911, dopo che nel 1908 l’imperatore Guangxu e la sua consorte Cixi morirono e la successione del regno fu lasciata al piccolo Pu Yi di soli tre anni, sotto la reggenza del principe Chun.

    Nè il revanscismo anti-coloniale, alimentato dalla campagna di riconquista della Cina da parte dei cinesi, il cavallo di battaglia della Rivoluzione Xinhai capeggiata dal padre della patria Sun Yat-Sen, nè il nazionalismo e il volontarismo anti-imperiale del Gran Timoniere Mao Zedong avrebbero mai persuaso i Paesi occidentali in un ormai prossimo recupero della centralità del Paese di Mezzo nel sistema internazionale. Tuttavia, i cinesi hanno sempre creduto nella forza dell’unicità e dell’eccezionalità della Cina, lasciando fluire il corso degli eventi fino a riuscire a sfruttare il potenziale della situazione, facendone scaturire l’effetto.  D’altra parte, nel discorso su la grande unità del popolo cinese, pronunciato nell’ottobre del 1959, Deng Xiaoping aveva avvisato tutti: «in passato, gli imperialisti beffeggiavano i Cinesi definendoli un mucchio di sabbia. Ora loro possono solo tremare al cospetto dell’unito popolo Cinese».

    Proprio la politica aperturista e riformista di Deng Xiaoping, adottata nel 1978 allo scopo di modernizzare il Paese e colmare il gap industriale e tecnologico con l’Occidente e l’Unione Sovietica, ha innescato un circolo virtuoso per lo sviluppo infrastrutturale e spinto alla crescita economica che ha risvegliato la Cina da un sonno durato duecento anni.

    L’incalzante sviluppo industriale cinese ha calamitato l’attenzione e l’interesse del mondo intero: gli economisti hanno ribattezzato il XXI secolo come il secolo cinese, plaudendo agli straordinari sforzi fatti nel corso dell’ultimo trentennio per la rapida modernizzazione e denominando miracolo economico i ritmi di costante crescita annua del 9-10%.

    Se l’etica confuciana prescrive la necessità di conoscere quale sia il proprio posto nell’architettura sociale, la Cina tenta di riconquistare il suo posto nell’ordine internazionale, quello di una grande Potenza globale sviluppatasi in cinquemila anni di continuità storica e di civilità, e ancor di più quello di baluardo dell’ordine regionale ed egemone nel sistema-mondo asiatico.

    Con l’affermazione di nuovi poli economici ed industriali nei primi anni novanta, incoraggiato dalla distensione internazionale seguita alla fine della Guerra Fredda e dell’ordine mondiale bipolare e al crollo dell’Unione Sovietica, lo scacchiere geopolitico del sud-est asiatico da teatro di confronto ostile dei blocchi, sovietico e atlantico, ha calamitato gli interessi delle vecchie e nuove Potenze economiche mondiali ed è divenuto il nucleo focale degli orientamenti strategici cinesi.

    È in Asia sud-orientale, che la Cina considera da sempre una propria zona di influenza, dove si gioca la competizione cino-giapponese per l’egemonia regionale. Qui la Cina esercita il proprio soft power, facendo leva sullo storico retroterra culturale, con l’ambizione di recuperare il suo tradizionale ruolo di tutore degli equilibri e della sicurezza regionale.

    Questo libro nasce dal bisogno di comprendere la grande strategia cinese nel suo cortile di casa, perché è la cintura periferica regionale la culla del progresso economico del XXI secolo, la forza motrice del dinamismo del mercato, ed è proprio a partire dal sud-est asiatico che la Cina consolida il suo progetto di sviluppo pacifico e ascesa nel rango delle grandi Potenze. Per Pechino non c’è alternativa: la strada per la conquista del successo internazionale passa per il Sud-Est asiatico. Occorre, infatti, il supporto regionale per alimentare la crescita del Paese, in termini di risorse materiali, energetiche, tecnologiche e territoriali, e umane, forza-lavoro e capitale umano, e in termini di consenso, accettazione se non legittimazione e riconoscimento formale della centralità del Celeste Impero per realizzare il miracolo economico asiatico e affrancarsi dal sottosviluppo e dalla marginalizzazione nel sud del mondo.

    L’approccio cooperativo, l’approfondimento dell’interdipendenza dei mercati e della competitività interna, il rafforzamento dei meccanismi di confidence-building e delle relazioni win-win di mutuo vantaggio sono i punti cardine della nuova politica regionale cinese, mentre il canale prescelto per la sua realizzazione è l’esercizio del soft power, l’influenza culturale e la diplomazia pubblica, attraverso la partecipazione alle azioni multilaterali. Ad emergere, è una prospettiva multidimensionale degli orientamenti geopolitici, geoeconomici e geoenergetici cinesi che condizionano le dinamiche relazionali nella regione, pendolanti tra cooperazione e competizione interstatale.

    Le grandi matrici per l’analisi delle relazioni tra la Cina e i Paesi del Sud-Est asiatico sono il canale bilaterale, Stato-Stato, e quello multilaterale: dalla cooperazione strategica economica e commerciale, agli aiuti allo sviluppo, dagli interventi infrastrutturali, alle reti di comunicazione, dalle joint oil exploitation alla costruzione di oleodotti, dalla convergenza di intenti per la neutralizzazione delle spinte centrifughe promanate dai movimenti separatisti di matrice islamica alla politica del filo di perle, il piano per il controllo delle rotte marittime e l’affermazione della sovranità sul Mar Cinese Meridionale e sull’ingente bacino di idrocarburi fossili giacenti nei fondali.

    Tuttavia, la Cina non gioca da solista la partita per la riconquista della supremazia in Asia, altri global e regional players si sfidano e rivaleggiano attivando misure di accerchiamento, contenimento e controbilanciamento per frenare la spinta espansionista di Pechino e logorarne l’influenza. La tanto paventata minaccia globale cinese è per lo più una minaccia agli interessi regionali degli antagonisti della Cina. Gli Stati Uniti, l’India, la Russia e il Giappone riesumano i vecchi legami e potenziano i loro ascendenti sull’area, penetrando nelle crepe del nuovo sistema-mondo sinocentrico asiatico ed esasperando i nodi di frizione ancora irrisolti, come la disputa per gli isolotti nel Mar Cinese Meridionale e la mancata riunificazione tra Taiwan e il Continente, che perturbano lo status quo regionale, contrapponendo la Cina ai suoi vicini.

    L’accento che le autorità politiche di Pechino hanno posto recentemente sulla necessità di sposare la causa del regionalismo asiatico, adottando una politica di buon vicinato diretta a stabilire un ordine pacifico, prospero e armonico, è significativo dello sforzo che i cinesi stanno compiendo per persuadere i diffidenti delle loro intenzioni non belliciste e non egemoniche.

    La Repubblica Popolare, in particolare, inaugura una nuova stagione di ammodernamento e tecnologizzazione dell’armamentario bellico, ma solo a scopo difensivo e non aggressivo, perché è con la penetrazione economica e l’influenza culturale che intende accrescere la sua presenza nella regione.

    La charme policy della RPC, nella sua appendice culturale e linguistica, è la chiave di volta per la realizzazione del programma strategico cinese. La promozione della lingua cinese e il fenomeno migratorio sono nel Sud-Est asiatico, ad esempio, efficaci strumenti di influenza politica e rafforzano il potere per via indiretta.

    Il ritorno dell’Impero di Mezzo si propone di far emergere i pieni e i vuoti delle relazioni tra il Gigante asiatico e la sua periferia, attraverso un’analisi storica, politica, economica e culturale, che si accompagna a delle interviste di approfondimento rilasciate da esperti sinologi e analisti delle relazioni internazionali dell’Asia orientale e sud-orientale.

    La partecipazione della Cina al consesso dell’ASEAN in qualità di dialogue partner indebolisce l’organizzazione regionale, incoraggiando la silenziosa conquista cinese, o rappresenta un limite per le mire egemoniche di Pechino? La Cina è davvero una minaccia per il Sud-Est asiatico o è un’opportunità?

    Una verità inconfutabile emerge tra tanti interrogativi: la potenza del Paese di Mezzo non è stata logorata da duecento anni di assenza nello scenario regionale, oggi più che mai è il dominus, senza eguali, della grande armonia.

    Capitolo 1 – L’ascesa pacifica

    L’ascesa pacifica della Cina e il nuovo ordine internazionale

    La vita nelle megalopoli cinesi oggi corre veloce, ritmata dalla frenesia dell’attività produttiva ininterrotta, dai flussi sempre più pingui dei migranti rurali e dalla crescente urbanizzazione. Tutto sembra proiettarsi nel futuro ed essere già immensamente distante dal passato. Eppure, qualcosa della vecchia Cina imperiale è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Così, in qualche angolo remoto della superba Pechino che cambia volto, capita ancora di vedere giocatori di wéiqí sfidarsi pubblicamente negli hútòng sopravvissuti alla furia demolitrice del nuovo piano urbanistico, grilli da combattimento portati a spasso dai loro padroni nelle loro gabbiette e anziani calligrafi insegnare ai bambini la shūfǎ, l’arte della scrittura ornamentale. Il rito ogni volta è lo stesso: il vecchio calligrafo impugna il suo lungo pennello con la punta a spugna, lo immerge in un secchio e poi inizia a strisciarlo sul lastricato cementato a nuovo, muovendo il pennello da sinistra a destra, dall’alto al basso con il piglio rigoroso del perfezionista. Dipinge con l’acqua due caratteri: Zhòng Guó, il Paese di Mezzo.

    中国

    Il segreto dell’unicità della Cina, il significato della sua ascesa pacifica e il bisogno di costruire un nuovo ordine internazionale armonico, sono custoditi lungo il perimetro e le linee rette di quei due caratteri. Il concetto della centralità della Cina è bene espressa nel carattere 中 zhòng, un rettangolo frammezzato verticalmente da una retta in due parti simmetriche, mentre l’intero universo cosmologico cinese è rappresentato nel carattere 国 guó, paese, una cinta murale quadrangolare che racchiude un altro carattere 玉, yù, giada la pietra simbolo del potere imperiale. Il carattere yù a sua volta deriva dal carattere 王 wàng, sovrano, formato da tre linee orizzontali unite da una verticale ad indicare che l’uomo-imperatore, la linea centrale, è il legame d’unione tra la terra (土, tǔ) e il cielo (天, tiān), l’intermediario simbolico.

    Se nell’ordine gerarchico confuciano e nel sistema-mondo sinocentrico i due caratteri indicavano quale fosse il posto della Cina, egemone al centro di una complessa architettura concentrica di quadrati ai cui margini vivevano i regni periferici tributari e gli stranieri, nel nuovo ordine internazionale contemporaneo rivelano l’orientamento strategico del Paese finalizzato alla riconquista del suo ruolo di tutore della grande armonia. Lo sviluppo armonico è così la chiave per l’ascesa della Cina nell’arena globale come nuova grande potenza economica.

    Fin dalla fine degli anni ottanta, il ritmo vertiginoso di crescita, il cospicuo flusso di investimenti diretti esteri indirizzati alle zone economiche speciali attratti dagli speciali incentivi fiscali, gli accordi commerciali e le partnerships economiche strette con i Paesi vicini, aveva prospettato agli occidentali l’eventualità di una silente e minacciosa avanzata della Cina nel mercato, ma ancor di più della sua influenza politica nello scacchiere geopolitico regionale.

    Lo studioso Yan Xuetong dell’Università Tsinghua elaborò allora, nel 1988, il concetto di ascesa pacifica, (和平 崛起 hépíng juéqǐ), allo scopo di mutare la percezione esterna della Cina come minaccia per l’Occidente.

    Per anni, le autorità di Pechino non alimentarono il dibattito accademico sugli orientamenti strategici che il Paese avrebbe dovuto adottare e sul bisogno di adottare un nuovo approccio cooperativo in politica estera, ma nel 2003 il Presidente del China Reform Forum, Zheng Bijian, durante il Forum di Bo’ao rispolverò il principio di ascesa pacifica, affermando che «la via cinese dello sviluppo pacifico è una nuova tappa per l'umanità in cerca di civiltà e di progresso, una strada inevitabile per la Cina per realizzare la modernizzazione, e una scelta seria e una promessa solenne fatta dal governo cinese e al popolo».

    Con il discorso pronunciato da Zheng si inaugura la nuova strategia di politica estera di Pechino, orientata a sviluppare relazioni di tipo cooperativo non conflittuali (hépíng fāzhǎn) e a creare legami di tipo win-win, costruiti sulla fiducia reciproca, sulla comprensione e sul mutuo vantaggio, con la finalità di erigere un ordine internazionale pacifico e armonico (héxié shìjiè) e multipolare (多极 世界, duōjí shìjiè).

    Nel 2004, durante il Forum

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