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Book preview
11 minuti - Carlo Conte & Andrea Cerasuolo
Azzurrina
11 minuti
Cuando los hombres no oyen el grito de la razón,
todo se vuelve visiones.
Anonimo manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Madrid.
Prologo
Mi chiamo Luca Bertoli e scrivo queste memorie per lasciare una testimonianza di ciò che ho vissuto. Mi trovo al manicomio di Zurigo e il professer Jung si sta personalmente occupando di me. Sono un caso interessante, così mi ha detto. Egli mi ha chiesto di mettere per iscritto i miei ricordi, li analizzerà e ne trarrà il mio profilo. Sono certo di non essere pazzo, ma fra qualche altra riga mi convincerò di esserlo.
1.
Dal diario di Fiona Meyer.
4 aprile 1933, Berlino.
Amato diario,
mai fui così contenta di toccare le tue pagine! Era da anni che non odoravo la tua copertina scarlatta. Le ultime parole risalgono al 1929, nel giorno del mio compleanno, quando ricevetti in regalo la prima penna stilografica. Lo strato di polvere sulla copertina era più spesso del solito e stavolta, lo ammetto, credevo davvero di averti perduto insieme ai ricordi che ho cercato di seppellire. Preziose, però, sono ora le parole che l'inchiostro blu lascerà sui tuoi righi bianchi. Lukas mi ha finalmente chiesto di sposarlo e potrò dirgli di sì davanti a Dio fra soli due mesi, sono eccitatissima! Se mio padre potesse vedermi ora, chi sa cosa penserebbe di me! Avrebbe di certo voluto vedere la sua bambina in abito bianco. Ho ancora nelle orecchie il fischio delle bombe a mano... una di quelle lo fece schizzare in aria in mille brandelli di carne, non lo scorderò mai, avevo solo nove anni. La Grande Guerra ha distrutto tutta la mia famiglia, eccetto me, mia madre e mia zia Agnes, che per sua fortuna aveva sposato un italiano e viveva a Trieste. La fame ci spinse a girovagare per ciò che restava della Germania, finché trovammo rifugio in un piccolo villaggio di montagna, di cui non ricordo più neanche il nome. E poi Lukas, o Luca, come imparai a chiamarlo. Quando l'Europa, con le ossa rotte, cercava di riparare ai danni commessi e la nostra patria, messa in ginocchio, provava a rialzarsi, io e mia madre decidemmo di trasferirci a Trieste, dove zia Agnes ci avrebbe ospitato, almeno fino a quando non avessimo trovato casa. Fu lì che lo conobbi. Mio zio, che era italiano, aveva aderito al partito fascista e non era mai presente in casa. Non capisco come zia potesse accettarlo. Era mia madre, Lea, a collaborare e a portar avanti il carro, mentre Agnes mi insegnava l'italiano. Ricordo benissimo il momento in cui conobbi Luca. Vivevamo ormai a Trieste da alcuni anni e le cose cominciavano ad andar meglio. Luca lavorava nella bottega di scarpe del padre, Alfredo Bertoli, dove mamma faceva riparare i suoi vecchi sandali, che si scucivano sempre più spesso. In genere era lei a preoccuparsi di tutto e non voleva che io camminassi sola per la città, temendo che potessi essere coinvolta in uno dei violenti episodi di sciopero che scuotevano le strade di tutta Italia. Non faceva altro che ripetermi di prestare attenzione a dove mettere i piedi e mi raccomandava di stara alla larga dai ragazzotti troppo spigliati. Le mie giornate a Trieste cominciavano a diventare grigie e monotone, come il cielo delle giornate d'autunno di quel settembre del 1931. Ciò che non sapevo, era che presto quelle nuvole cariche di pioggia sarebbero scoppiate in lacrime di gioia e serenità per tutti noi. Il settembre di due anni fa l'autunno si presentò in netto