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Sono Catherine Deneuve: Amori, virus e altri libertini
Sono Catherine Deneuve: Amori, virus e altri libertini
Sono Catherine Deneuve: Amori, virus e altri libertini
Ebook170 pages2 hours

Sono Catherine Deneuve: Amori, virus e altri libertini

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About this ebook

Luca e K. sono due giovani uomini che si amano. Un rapporto ambiguo e romantico, violento e sessuale. Fin qui tutto bene. Poi tra di loro si insinua l’intruso, non un terzo uomo ma il virus, quello di cui non si parla mai se non dicendo “sono Catherine Deneuve” cioè “io sono sieropositivo”. “Sono Catherine Deneuve” ci fa entrare nell’anima di K., nei suoi ricordi, nelle sue paure, nella storia di una dolorosa scoperta. Dalla frase in apparenza frivola dello spot tv, usata per nascondere la condanna della sieropositività, la narrazione si espande alla società ponendo domande, turbando coscienze, mettendo in crisi le certezze, in primis che il virus sia scomparso, o quantomeno sia un problema solo degli omosessuali. L’ombra dell’Aids, dimenticato dopo l’epidemia degli anni Ottanta e Novanta, illumina tante altre storie parallele, “altri libertini” come K., storie tragiche o tragicomiche, ma autentiche come la vita.”
LanguageItaliano
PublisherSac A Pain
Release dateJun 22, 2015
ISBN9788898591121
Sono Catherine Deneuve: Amori, virus e altri libertini

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    Sono Catherine Deneuve - Enrico Bertelli

    Ringraziamenti

    Sono Catherine Deneuve

    di Enrico Bertelli

    Enrico Bertelli

    Sono Catherine Deneuve

    Collana Black pop

    Prima edizione: giugno 2015

    A cura di Tatiana Carelli

    PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA

    Nobook©2015

    Email: info@nobook.it

    Indirizzo internet www.nobook.it

    Progetto grafico: Nobook Study

    O gni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è una suggestione, puramente casuale

    Tutti i diritti riservati®

    A José Luis, che è partito perlasua Argentina e non ha fatto più ritorno.

    A Gabriel Trupin, ballerino (1969-1995)

    A Pier Vittorio Tondelli, scrittore (1955-1991)

    A Keith Haring, artista (1958-1990)

    "My story can never be told. I write it over and over wherever we findshelter.

    I write of what I cannot Speak - the truth. I write all I know of it and then I throw the pages to the wind."

    Eleanor in "Bysantium" di N. Jordan

    1.

    La vida es como la espuma, por eso hay que darse como el mar... 

    Dal filmY tu mamá también di Alfonso Cuarón

    Sono nudo davanti al mare, in silenzio, aspettando che il mio respiro rallenti entrando in sintonia con il ritmo delle onde. Ho fatto l’amore con Luca sulla sabbia umida. È mattino e la spiaggia è deserta. Sto fissando l’orizzonte, vorrei essere leggero come la spuma che nasce là in fondo oltre l’orizzonte e che cavalca felice pur sapendo che morirà con l’ultima onda sugli scogli. Anche le sirene muoiono così, diventando spuma. O forse salgono in alto come figlie dell’aria. Luca secondo me non sta pensando a nulla, suo solito. È come quell’onda che è parte indissolubile del mare da cui è formato, e a cui dà forma.

    L’ho conosciuto in chat esattamente un anno fa.

    Luca non corrisponde ai miei canoni estetici: più alto di me, i capelli scuri, gli occhi scuri. Il naso affilato. Un viso non veneto, a dispetto del cognome che termina banalmente in n. Quegli occhi così scuri e quella pelle morbida sono la prova lampante che la madre, ventisei anni addietro, ha tradito il marito con un tunisino. Nelle vene di Luca scorre sangue arabo e questo ha risolto e giustificato l’attrazione che esercita su di me. Non riesco a fuggire alla fascinazione del popolo maghrebino. Spesso, camminando per le strade della Città, che sia notte o giorno, appena scorgo degli occhi scuri, occhi dalle pupille ardenti che mi fissano, mi blocco e fingo indifferenza: il ragazzo inizia a soffiare l’aria attraverso i denti in un sibilo per attrarre la mia attenzione.

    Come mi diceva sempre Slim, il mio spaccino di fiducia, quello è il segnale che gli uomini arabi danno alle donne, un segnale erotico, il corrispettivo del fischio che i maschi italiani rivolgono a una bella femmina che passeggia per la strada. Gli arabi mi fischiano ed io capitolo sempre. Non sono mai riuscito a capire la mia attrazione, quella fascinazione erotica. It’s beyond my control. Basta un furtivo bagliore, un fugace incontro, iride contro iride, perché l’arabo, e io insieme a lui, ci si giri a fissarci.

    Una sera, mentre come al solito, nel mio piccolo bar aspiravo cocaina buona distesa diligentemente in un piatto ovale, lo stesso piatto ovale su cui si servivano le mitiche polpette di carne e, solo il mercoledì, il mercoledì studentesco, anche di verdura, ebbene il mio amico Slim, piccolo e colto e con uno stile inconfondibile, che, tra l’altro ha prestato, unico fra gli amici, ben diecimila euro, e quando cazzo glieli restituisco, comunque, Slim mi disse che ero un italiano strano, non il solito frocio che i maghrebi si scopano per avere il culo al caldo, o tutto il resto, ospiti in qualche casa non abbandonata, ma insomma, ero a loro simile, pur essendo dissimile, cioè non musulmano; questo l’avrei capito solo anni e anni dopo. Slim era quasi un mio alter ego. Non ero il solito padovano coglione e cocainomane, ma un uomo pensante e smaliziato pur essendo privo di malizia.

    Scopavo con gli arabi perché sembravano uguali a me, che poi sul fatto di essere scopato e sulla sua valenza culturale ci sarebbe da discutere. Voglio dire: per un arabo è impensabile farsi scopare da qualcuno diverso da lui, scoparmi è scoparsi il ricco ragazzo occidentale, il frocio, l’Infedele.

    Farmi scopare da quegli esseri strani e selvatici, da quegli sguardi neri, indagatori, è uscire dalla vita sonnolenta della provincia veneta, dalla cultura cattolica, dalla mistificante educazione piccolo, piccolissimo, borghese. Qualche volta – mi sa che forse bastano le dita di una mano per contarle – qualche ragazzo maghrebino si scioglie in inaspettati romanticismi e mi chiede di scoparlo, al buio, complice la coca e l’alcool, facendomi scivolare dentro di lui, ma non è questo che ricerco, anzi. Non voglio un altro matrimonio borghese, un altro rapporto paritario: ricerco la sottomissione, forse l’autopunizione, sicuramente voglio illudermi che quel corpo africano è Altro da me, un maschio. Mi illudo di essere diversamente amato, sento echi lontani del taràb, sentori di mirra e rose, mi graffio immaginando la sabbia del deserto contro il mio corpo.

    È la stessa sabbia che mi penetra in riva al mare, quella mattina livida che è appena piovuto e Luca mi ha portato alla Laguna del Mort, la sua spiaggia privata, il suo paradiso personale.

    L’oasi è un luogo strano, lontano dalla città, vicino alla foce del Piave e a due palazzoni che Jesolo ha per.messo di costruire in fronte al mare, uno orrendo in mattoni rossastri e un altro color fuliggine che sembra perdersi nel cielo quando s’ingrigisce per i temporali che il mare accoglie.

    Io non amo il mare, ma sono innamorato di Luca e di quello che Luca ama. Luca mi descrive la realtà come si racconta una fiaba a un bimbo e così una semplice gita al mare diventa un’avventura di corsari, una corsa tra foreste incantate, popolate da animali fantastici. Dopo l’autostrada, quella verso Grado e Trieste, la strada si fa strada verso campi bonificati, costeggiando l’acqua da una parte e sparute case coloniche dall’altra, coi nomi segnati a mo’ d’insegna sulla porta d’entrata.

    La strada di Trezze divide la barena dai campi bonificati, dove ogni tanto s’incontrano i casoni per lo più diroccati, abbandonati come sembrano i campi a perdita d’occhio: Ca’ Vittoria, Ca’ Fertile, Ca’ Sile, Ca’ Feconda, Ca’ Favorita, Ca’ Speranza, Ca’ Risorta, Ca’ Florida, Ca’ Redenta.

    Luca ha sempre un occhio sulla striscia d’asfalto che va perpendicolare al mare e l’indice puntato verso il cielo. È mattino prestissimo, siamo davvero amanti bonorivi e così quella mattina fulgida, quanto la passione che ci lega col sole timido tra la bruma che l’alba fatica a diradare, si riescono a scorgere le anatre a coppie trasmigrare, ma anche colombacci e ghiandaie e oche, dio  addirittura tre oche bianchissime e solennemente lente che fanno emozionare il mio Luca non se ne vedono mica tante eh, a volare così, ma io non capisco tanto di ornitologia, sono solo emozionato dalle sue emozioni.

    Sembriamo due bambini che giocano sulla spiaggia coi secchielli, a fare tumuli di sabbia che a noi sembrano castelli e torri immaginifiche. I canneti ondeggiano lievi come nella favola di La Fontaine, pali di palafitte fantasma, leggeri quanto i sogni che facciamo al mattino e che ci sembrano reali al risveglio. Canne che s’intrave.dono nella nebbiolina, docili ma proterve come Luca ed io che lottiamo contro le nostre paure, amandoci. Siamo bravi a farci male, quanto sanno farsi male le persone che si amano.

    Feriscimi e poi lecca le mie ferite.

    Alle volte siamo due cervi maschi che lottano non per conquistare il territorio del compagno, ma per convidividerne gli spazi. Entrambi abbiamo paura, paure diverse che nascono da diversi vissuti. Io non sono abituato a lasciarmi amare, a lasciarmi guidare e proteggere. Ho sempre tenuto il controllo non lasciando mai che l’amante-bambino pagasse il conto.

    Amo farmi dominare a letto, specialmente da un ragazzo più giovane, detesto l’uomo più vecchio o più forte, muscoloso insomma. Non ho mai accettato, fino a ora almeno, che qualcuno mi dicesse di non mangiarmi le unghie, di bere meno che poi flippo e divento irascibile, di lasciar stare che pago io, che sono l’unico d’altronde ad avere un lavoro.

    Ero sempre io ad accogliere, specialmente in casa mia, quando avevo una casa, s’intende. Adesso vivo coi miei, cose che capitano, crisi o non crisi, che veramente ho subìto un arresto e mi ci vogliono ancora due anni belli e buoni per saldare i conti con lo Stato, ma insomma non è poi così importante.

    Ora sono disoccupato, e quindi ho dovuto lasciare la casa e ritornare nel mio paesino d’origine per la gioia di mammà. In un certo senso sono tornato bambino, con il lettino a una piazza scarsa, che poi era quello vecchio di mia sorella e la paghetta settimanale, venti euro non spenderli tutti in una volta mi raccomando perché non te ne do altri.

    Forse questo mio essere uomo, visto che ho quasi vent’anni più di lui, ma essere anche infantile e docile, se non fragile, capriccioso come solo i bambini sanno essere, esercita su Luca una fascinazione che lo rende arrendevole e che gli fa accettare l’inaccettabile.

    Luca non è abituato a giustificarsi per una chiamata non risposta o un sms ambiguo. Ha sempre avuto amanti maschi e, poche, fidanzate femmina: i primi sapevano delle seconde e non viceversa, come nella migliore tradizione. Nessuna morosa è mai stata presentata in famiglia, sempre che la sua possa definirsi tale un insieme sfilacciato di persone, legato da parentele non definite o proprio inesistenti. Il padre, scopertosi patrigno, oltre a essere cornuto era anche sterile, nonostante l’esser diventato papà per ben due volte, ma il solo tunisino d’origini e fattezze è Luca. L’altro fratello, più odiato che amato, è figlio quasi certo del vicino dirimpettaio, che del figlio non riconosciuto ha lo stesso identico profilo. Tutti in paese ne parlano, ne parlano tra di loro ovviamente mica col padre acquisito, ovvio, sennò che paese sarebbe? Ha perso Annachiara, la madre, alla quale non ha mai perdonato l’assenza d’amore verso il padre o verso di lui. In verità Annachiara ha lottato per avere il figlio per lei sola soltanto, richiedendo al giudice due perizie psichiatriche durante lo squallido divorzio e la lotta per accaparrarsi case, terreni, mobili e, ovviamente, i figli. Li avevano comunque persi entrambi, lei e il marito, e i fratelli se n’erano andati ad abitare nella vecchia casa del nonno, il padre di lui che alla fine del padre di Luca aveva fatto le veci. La madre è bionda e bellissima con la pelle lunare e due tette come l’Anitona e fa ancora girare gli uomini per strada, nonostante non sia più una fanciulla. I figli hanno smesso di chiamarla mamma, e per loro è l’Annachiara, punto, come un’amica un po’ vanesia e del tutto inaffidabile.

    Luca non torna mai sui suoi passi, non si volta indietro eppure io avanzo sempre a testa bassa come certi terrier che non temono di infilare il muso in qualsiasi tana, neanche se ad attenderli all’entrata del pertugio ci sono gli aculei in tensione di un porcospino spaventato.

    Con il muso insanguinato vado avanti comunque testardo, senza chiedermi se poi l’oggetto del contendere sia proprio davanti a me e dove stia la ragione. E aggredisco sfogando spesso sul giovane cervo la rabbia di una vita che ha deluso le mie aspettative, aggredisco Luca quando mi lascia anche solo per andare a nuotare con un amico, uno dei tanti che io non conosco. A dispetto di un amore pubblicizzato, sfrontato, esibito, Luca chiude dentro di sé le sue emozioni che forse sono più forti delle mie, chi può dirlo? Persino negli orgasmi siamo diversi. È sempre il giovane Luca a penetrarmi, ma questo apparentemente non definisce i nostri ruoli: ci sbilanciamo a forza di cornate, come due maschi sanno fare.

    Io vengo urlando e bestemmiando e reagisco con tenera evidenza ogni qualvolta Luca mi sfiora toccandomi tra le gambe, dietro le ginocchia o mordendomi i capezzoli neanche poi tanto dolcemente. Luca è silenzioso, solo sospirante ed è difficile sapere quando s’approssima all’orgasmo. Tende i muscoli dell’addome e sale con la schiena: basta mordergli l’orecchio, ora ho capito.

    Oggi siamo sul bagnasciuga, subito dopo il muretto in cemento che preserva la spiaggia dalla fame della marea, vicino agli scogli. Non c’è

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