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Al di là dell'arcobaleno: Se salti tu, salto anch'io
Al di là dell'arcobaleno: Se salti tu, salto anch'io
Al di là dell'arcobaleno: Se salti tu, salto anch'io
Ebook178 pages1 hour

Al di là dell'arcobaleno: Se salti tu, salto anch'io

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Guardare tutti dall’alto è un privilegio per antonomasia. Lo sa bene l’aquila, che punta la sua preda senza che questa possa accorgersene. Può fregiarsene l’arbitro, durante un incontro di tennis. Se ne vanta la giraffa, che si nutre delle foglie più verdi e più fresche, alle quali nessun altro animale potrebbe mai arrivare.
E se ne rende conto Michele, dall’alto del suo cornicione. Quel cornicione che ha fatto suo, all’ottavo piano di un palazzo qualunque. Appeso su quel trespolo, sospeso tra la vita e la morte. Mentre ripercorre la sua storia e le ragioni che proprio lì, e da nessun’altra parte, lo hanno condotto.
LanguageItaliano
Release dateFeb 9, 2015
ISBN9788899091118
Al di là dell'arcobaleno: Se salti tu, salto anch'io

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    Al di là dell'arcobaleno - Michele Scattone

    Al di là dell'arcobaleno

    Se salti tu, salto anch'io

    di Michele Scattone

    Panda Edizioni

    ISBN 9788899091118

    ©2015 Panda Edizioni

    www.pandaedizioni.it

    info@pandaedizioni.it

    I fatti e i personaggi rappresentati nella seguente opera, nonché i nomi e i dialoghi ivi contenuti, sono unicamente frutto dell'immaginazione e della libera espressione artistica dell'Autore.

    Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, persone, nomi o luoghi reali è puramente casuale e non intenzionale.

    Non ricordo una nausea così dal giorno dopo la festa dei miei diciott’anni sulla spiaggia. La testa mi libra lieve come una piuma, il corpo leggero come l’aria sembra farsi sollevare dal vento. Una fitta lancinante al fegato si fa sentire di tanto in tanto, ma sparisce via con la rapidità di un eiaculatore precoce la sua prima volta. E torna la quiete, dopo la tempesta.

    Sembrerebbero i sintomi di un dopo sbornia coi fiocchi, magari amplificati da un po’ di roba ben tagliata.

    Cerco di aprire gli occhi, ma continuo a non vedere nulla. La sensazione è che siano già spalancati, ma è evidente che qualcosa si sia interrotto tra i miei cristallini ed il cervello.

    Vengo assalito da un brutto presagio, una strana ansia apparentemente immotivata, come un indesiderato sesto senso.

    Sono sempre stato un soggetto ansioso, conosco bene questa sensazione. L’adrenalina inizia a mostrare il suo effetto, il cuore comincia a pompare con sempre maggior forza e frequenza. Pum. Pum. Pum. I suoi battiti sembrano rimbombarmi nelle tempie come botti di Capodanno. Ecco cosa intendono quando dicono di avere il cuore in gola.

    Mi manca il respiro, come se la trachea si stesse restringendo e il cuore dilatando così tanto da occludermi l’intera gola. Pare stia cercando di fuggire, mi aspetto possa saltarmi fuori dalla bocca da un momento all’altro. Forse si è stufato di starsene lì al buio, solo soletto, con quei due stronzi dei polmoni.

    E mentre perdo tempo a pensare queste cazzate, mi rendo conto di un fatto importante: ho davvero smesso di respirare. L’aria non passa più da almeno un paio di minuti. E indovina? Serve l’ossigeno per campare. Così perdo i sensi.

    Il cuore riprende a battermi normalmente. Prendo aria con forza, come fossi stato sott’acqua per parecchio tempo. Apro ancora di scatto gli occhi, che questa volta fanno il loro dovere. Quello che ho davanti, sfortunatamente, non mi è di gran sollievo. Sotto i miei piedi c’è il vuoto, mentre una folla dal basso mi fissa come fosse una distesa di girasoli. E io sono il loro sole.

    Non ricordo bene come abbia fatto ad arrivare fin quassù, né tantomeno perché abbia scelto proprio questo posto. A dire il vero non ricordo niente di quello che mi è successo nelle ultime ventiquattr’ore. Ricordo solo di essermi addormentato ieri sera con un brutto pensiero per la testa. Non riuscivo a decidere in che modo mi sarei dovuto togliere la vita.

    Potrei spararmi un colpo in fronte, certo. Ma me la trovi tu una pistola? E poi sarebbe troppo macabro, con tutto quel sangue e quei pezzi di cervello da dover ripulire dal muro di camera mia. Potrei tagliarmi le vene, ma no. Ormai è troppo sputtanato. Ci vuole qualcosa di più originale e di più creativo, ma punitivo al tempo stesso. Qualcosa che odierei a morte. Che sia davvero un castigo, più che un sollievo. Ecco, ci sarebbe l’altezza.

    Ho odiato poche cose in vita mia, più dell’altezza. Le cellule fotoelettriche nei cessi dei locali, per esempio. Che si spengono mentre sei a metà pisciata obbligandoti a sbracciarti per tornare a vedere dove la stai facendo. Sulle scarpe, te la stai facendo. Ecco dove. O le ciccione con i leggins. I cafoni con le radioline a tutto volume sulla spiaggia. Ce ne sono tante di cose che odio, in verità. Ma l’altezza è di certo nella top ten da sempre.

    Perché no, potrei buttarmi giù dall’alto, soffrendo di vertigini. Quale punizione migliore per espiare le mie colpe? Questo sì, sarebbe un buon modo per andarsene.

    Non vedo alternative. Neanche un prete ormai sarebbe capace di assolvermi dai miei peccati.

    A tutto questo pensavo ieri sera, prima di addormentarmi. E visto che mi trovo a poca distanza dalla troposfera, immagino di aver già preso la mia decisione. In effetti, a mente lucida, mi sembra quella giusta. Per quanto lucida possa essere ora la mia mente, ovvio. E vertigini siano.

    Provo a guardare di sotto. Il senso di vuoto che ho sotto i piedi mi atterrisce. Preferirei trovarmi all’inferno, in questo momento. Ci arriverò a breve, questo lo so. È il mezzo di trasporto ciò che mi preoccupa adesso.

    Cristo, penso. Come se a lui fregasse più qualcosa di me.

    Decido di prendermi una pausa dall’espiazione e sollevo lo sguardo in avanti. Da qui la vista è magnifica. Tra poche ore il sole si spegnerà dietro questo sfondo di cemento, dietro i boschi, dietro le pianure. Una perfetta sfera arancione che andrà a godersi il meritato riposo dopo una lunga giornata di lavoro.

    Un venticello fresco che viene da nord allevia le mie pene e mi rimette al mondo. Non che io ci resti ancora per tanto, al mondo.

    Mi ritorna in mente l’immagine di me da bambino, in auto con mio nonno. Sotto Natale veniva in Puglia a trovarci e ogni giorno, dopo quei lunghissimi pranzi in famiglia, mi portava verso il mare, alla salina. Era di Firenze, mio nonno. Le vecchie canzoni fiorentine rinfrescavano l’aria, sospirate da un mangianastri più vecchio di lui. Gli uccelli migratori affollavano la salina, incuranti di noi due che ci passeggiavamo accanto. La stessa brezza fresca da nord sui nostri visi, mezzi nascosti da sciarpone di lana. La stessa sfera arancione che scendeva verso il mare a far l’amore con l’orizzonte, pronta a scomparire alle sue spalle.

    Torno subito in me e guardo ancora verso il basso. Le scarpe che indosso faticano non poco per non sporgere dal cornicione. Cornicione. Buffa parola. Mi fa pensare a una grossa cornice. Come se questo momento fosse il soggetto di un dipinto ed io ne stessi facendo parte, o magari ne fossi addirittura il personaggio principale.

    Come ho detto non ricordo dove mi trovo, ma a giudicare da quanto è piccola la gente vista da qui, potrei essere all’incirca all’ottavo o nono piano di un palazzo. La finestra più vicina è a cinque o sei metri da me, la vera domanda è come ho fatto a camminare fin qui senza cadere di sotto, strafatto come sono.

    Non giudicatemi male. So che ci siamo appena conosciuti e posso a prima vista sembrarvi un tossico che sta per suicidarsi, ma non è così. O meglio è esattamente così, ma non saltate a conclusioni affrettate. Sono sempre stato contrario anche alla sola idea di suicidio, figuriamoci alla sua messa in atto. Non sono mai riuscito a concepire come qualcuno possa arrivare al punto di volersi togliere la vita, per quanto questa gli possa essere sembrata una banale perdita di tempo. Per quante frustrazioni, quante perdite, quanto dolore abbia dovuto sopportare.

    La vita è una sola, non c’è nulla di là. La vuoi davvero buttare senza guardare cosa verrà dopo? Nuovi amori, un nuovo lavoro, una nuova famiglia. Si può davvero giungere a un punto di rottura, oltre il quale cosa ci sia dopo smette di essere rilevante? Oltre il quale qualunque cosa venga, non potrebbe comunque in alcun modo sopperire a ciò che di terribile si è vissuto o si sta vivendo? Questo mi chiedevo, pensando a chi decideva di farla finita. E ora che sono sull’altra sponda, sulla sponda cioè di chi sta per farla finita, vi posso rispondere senza dubbio alcuno.

    Quel punto di rottura esiste. E 'fanculo questa vita, 'fanculo ciò che c’è stato, ma soprattutto 'fanculo ciò che ci sarà. Ciò che è stato basta e avanza, io mi fermo qui. Non tutte le ciambelle escono col buco, si dice. Be' io sono quanto di più lontano ci possa essere da una ciambella col buco. D’altronde se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo, cantava un poeta.

    Mi farebbe comodo credere ancora una volta, come da ragazzo, che qualcuno mi stia guardando dall’alto, pronto a raccogliere al volo la mia anima mentre il mio corpo cade a peso morto verso l’asfalto. Che un qualunque Dio sia pronto a perdonarmi, cogliendo in me ciò che di buono è rimasto, al centro di questo cuore atrofizzato dall’odio e dalla sofferenza. Ma è un sogno al quale ho smesso di credere tanti anni fa. Sono giunto alla conclusione che nessuno regola le nostre azioni se

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