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Angelina del Faro
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Angelina del Faro

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About this ebook

Torna Totò Spataro. Pippo, sindacalista e suo amico di giovinezza, è accusato di aver brutalmente ucciso la donna amata. Gli indizi a carico sono schiaccianti, ma Totò e l'inseparabile Lilluzzo non sono convinti di una verità che appare fin troppo evidente. Certi che il loro amico sia innocente, si muovono nella provincia di Messina alla ricerca di indizi utili a scagionarlo. La vicenda riporterà Totò indietro nel tempo, sino a rievocare Angelina: il grande amore della sua vita. Lo sviluppo delle indagini, che condurranno a risultati inattesi, si intreccia con il ricordo di un'esperienza profonda, il cui esito ha spinto Totò a rifugiarsi nel suo mondo di piccole fobie e grandi angosce.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 1, 2015
ISBN9788891197689
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    Angelina del Faro - Pietro Alessi

    questione.

    Uno

    Messina, Aprile 2010.

    Sono rimasto in casa quasi dieci giorni senza comunicare con nessuno. Almeno a Lilluzzo potevo dire qualcosa. Non ho nemmeno risposto al telefono quando mi cercava. Sicuro che è preoccupato. Rischio di vedermi sfondata la porta. Sarà bene che lo cerchi.

    Mentre andavo facendo queste considerazioni il campanello di casa suonò. Era una melodia dolce. L’avevo scelta con cura per evitare di essere magari svegliato di soprassalto. Il riposo ne sarebbe stato sciupato e con esso quello che rimaneva della giornata. Era sì lo stesso suono, ma più imperioso. Come se chi premeva l’interruttore lo facesse con particolare fermezza e determinazione. Un suono che non accettava deroghe. Confesso che, a causa di ciò, fui tentato seriamente di non aprire. Non potevo farlo. Dovevo porre fine alla mia letargia. Aprii senza alcun dubbio. Non guardai nemmeno dallo spioncino. Era Lilluzzo, senza tema di errore. Prima di dare spazio alle parole furono gli sguardi a intessere un dialogo silenzioso. Per prima cosa l’occhiata colma di disgusto di Lilluzzo, ma in particolare di Nunziatina. In effetti non dovevo essere una bellezza. Barba incolta di una settimana abbondante, pigiama di cotone inzaccherato, piedi scalzi e forse non profumavo di quell’autunno che a Messina è particolarmente tiepido. Ero dunque muto testimone di questo straordinario e teatrale scambio di sguardi. Fatto di rimproveri e di giustificazioni. Poi di accuse violente e di scuse accalorate. Infine di indulgenza e di commozione. La cosa poteva finire lì. Non sia mai. La necessità di far uscire fiato è troppo radicata. Fu Lilluzzo ad aprire il sipario.

    - Buon giorno. Miii…ancora vivo sei? E’ un piacere. Potevi almeno rispondere al telefono. Sappi che ero per chiamare i pompieri. ti posso dire che sei in condizioni pietose. Ni vitti uno tali e quali a tia l’autru jornu alla stazione. Puri ‘u fetu era ‘u stissu.

    - Hai finito Lillù?

    - Ho appena iniziato. Sei un incosciente. E sei anche un cafone. Si risponde al telefono. Se qualcuno ti chiama, tu che fai? Ti vòti arretu? Ho pensato che poteva esserti accaduto qualcosa. Miii…tu vivi solo e non sei più nemmeno tanto giovane. Inoltre, hai a chi fari spissu con la depressione. Pinzai anche chi vulivi dari ‘nu tagghiu a’ tò vita che, ne converrai, un po’ inutile è.

    - A finisti? Si’ ‘na camurria! Hai ragione. Non ho giustificazioni. La verità, la dico solo a te, perché ti voglio bene, è che avevo necessità di stare solo. Tu mi conosci. Sono fatto così. D’altra parte, lo sai, non è la prima volta che mi ritiro come un eremita. A proposito… dal momento che conosci le mie debolezze sei pregato di non chiamare i pompieri, nel caso si dovesse ripetere che mi prendo un periodo di vacanza dal genere umano. Quelli fanno il loro lavoro e per prima cosa mi sfasciano la porta. Quindi non lo fare se non è trascorso almeno un mese. Anzi. Ti autorizzo a chiamarli solo quando tutti i cani del quartiere si riuniscono sotto il portone di casa, per il gran puzzo di carne, in avanzato stato di decomposizione.

    - Sei il solito cinico. Miii…ti trovo peggiorato. Almeno offrici un caffè. Dai, lo preparo io. Vatti a fare una doccia, altrimenti i cani cominciano ad avvicinarsi.

    - Bella battuta. Il caffè sai dove trovarlo. C’è disordine in cucina. Evitate rimostranze o considerazioni non richieste. Insomma fatevi i cazzi vostri.

    L’acqua calda sferzava il mio corpo riportandomi nel consorzio umano. Non faccio fatica a riconoscere che provavo piacere nel porre fine al mio auto-esilio. Pensavo che ciascuna cosa dovesse avere un suo termine. Vale per i piaceri. Vale per i dolori e le sofferenze. Vale per la vita stessa. Dirla così è semplice. E’ più complicato stabilire quando fissare il termine delle cose. Mentre quel liquido mi ritemprava, con la mente tornavo alla settimana appena trascorsa.

    Non dirò nulla a Lilluzzo. Altrimenti rischio di trovarmelo alla porta di casa ogni cinque minuti per informarsi del mio stato di salute psico-fisica. La verità è che questa volta ho concepito che non avrei superato la prova. E’ stata veramente dura. In alcuni momenti ho seriamente pensato che avrei gettato la spugna. Sono stato un buon lottatore. Per ora ho vinto io. In futuro si vedrà. Con la depressione non si può dire una volta per tutte. La rappresentazione che in genere se ne dà è quella del tunnel buio, in fondo al quale non si vede la luce. E’ corretta ma parziale, perché non offre l’idea del dolore. Penso sia più aderente la visione che, mentre sei nel tunnel, una bestia feroce abbia deciso di organizzare dentro di te la propria tana. In genere dorme. Periodicamente si sveglia ed è affamata. Si nutre del tuo corpo e del tuo spirito. Ti morde famelica. Vorrebbe divorarti. Devi combattere contro la sofferenza che ti infligge e la prospettiva di essere del tutto privato di ogni energia vitale. Questa è la depressione. Il dolore e l’angoscia possono divenire insopportabili e in questo caso, se attraversi un periodo di particolare fragilità, puoi decidere di scendere alla prima fermata. Liberarsi dalla bestia non è possibile. Puoi placarla ma non è cosa semplice; né cosa che puoi risolvere in pochi giorni. Io non le ho consentito di esplodere in tutta la sua rabbia. Ho colto i segni. Mi sono ritrovato a guardare le tende di casa e pensare che potevano essere corda buona con la quale impiccarmi, ho pensato agli utensili di casa con taglio e punta, come a strumenti utili a porre fine ad una vita che mi pareva un fardello troppo pesante da portare. Persino la finestra aperta sembrava volesse invitarmi a provare l’ebbrezza del volo. Così ho capito che dovevo ingaggiare una lotta con me stesso. La posta era la più alta che si potesse gettare sul tavolo. Non è stata una battaglia semplice. Per i primi giorni ho provato ad affogare la bestia nell’alcool. Non ha funzionato. Ho rischiato il coma etilico. L’approccio successivo è stato meno drammatico. Ho fatto lunghe passeggiate. Dal porto di Messina, per meglio dire dall’imbarco dei traghetti, sino ad arrivare ai capannoni della Fiera. Camminavo e pensavo. Ne avevo di cose da mettere sul tappeto. Non si trattava di fare bilanci, o complicate analisi introspettive. Il punto attorno al quale ruotavano vorticosamente le mie cellule grigie era se dovevo continuare a girare in tondo assieme al pianeta o dovevo finirla lì. Nel caso avessi deciso di continuare a giuocare, la dovevo smettere di svalutare le mie carte. Erano quelle che mi erano state date. In fondo, a confrontarle con quelle che avevano avuto altri miei simili, non erano poi così disprezzabili. In realtà il danno che mi aveva creato Klara era fondamentalmente questo. Non tanto una storia d’amore andata a male. Non sarebbe stata né la prima né l’ultima. Su questo versante ero tranquillo. Il problema è che vivevo felice di ciò che ero e di ciò che avevo. Lilluzzo avrebbe detto che non avevo nulla. Niente lavoro, niente amici, niente donna. Mi rimproverava un certo autismo. Forse non aveva tutti i torti. A ciò si aggiungevano svariate fobie ed una pigrizia non comune. Comunque ero felice del mio. Sapevo di essere tendenzialmente un depresso, ma tenevo in mano le redini e governavo l’animale che avevo dentro. Lei, con quella improvvisa esplosione di passione e di sentimento, mi ha mostrato un tale livello di felicità che quella mia vita, che consideravo lieta, mi parve insopportabile. Triste e vuota. Ecco la colpa di Klara. Devo riavvolgere il nastro e tornare nel mio bozzolo. Questa è la decisione che andavo maturando e che nei giorni scorsi ho rafforzato. Un colpo in testa alla bestia che voleva prendere il sopravvento su di me. La decisione era presa. Sarei tornato a vivere. Avrei abbandonato ogni idea di farmi del male. Volevo tornare ad essere quello di prima. Non ero perfetto. Anzi. Volevo tornare ad una misurata solitudine, a tenere donne e passioni a due palmi distanti da me, agli amici scarsi ma selezionati, ai miei piccoli piaceri che, ad abbandonarli solo per pochi giorni, mi mancavano. Il colpo definitivo alla incipiente depressione lo diedi preparandomi un piatto esagerato di spaghetti con olio di frantoio, aglio, peperoncino calabrese, alici e mollica di pane bruscata e aromatizzata con noce moscata e qualche cappero di Pantelleria. Vino bianco frizzante e gelato. Ne bevvi almeno un litro. Penso che anche la bestia se la spassò e si addormentò riconoscente. Avrei fatto i conti con la depressione in un altro momento. Forse gli spaghetti con le alici non sarebbero stati sufficienti. Ci avrei pensato al momento opportuno.

    - Totò, che fai? Vieni? Il caffè è pronto. Bollente e zuccherato.

    - Lillù, come farei senza di te.

    Lo dissi a voce alta, dal bagno, perché mi sentisse. Ero restio a riconoscere questa verità di fronte a lui e soprattutto a Nunziatina. Comunque li raggiunsi e, mettendo da un lato le mie maschie reticenze, lo abbracciai con forza. In fondo era il mio unico amico. L’unico al quale sembrava importare qualcosa se ero ancora tra i vivi o di contro ero sceso a fare una passeggiata con Caronte. Grazie, Lillù. A buon rendere. Anche se non era nei miei numeri ricevere e rendere favori. All’una cosa in genere seguiva l’altra e questo avrei voluto evitarlo. Era come gli inviti per battesimi, comunioni e, Dio ce ne scampi e liberi, matrimoni. La gentile richiesta di partecipazione imponeva due cose. Entrambe mi rivoltavano le viscere. La scelta del regalo. Solo a dirlo, il colore del mio viso tende al giallo canarino. La seconda cosa è la partecipazione alla cerimonia con tanto di indigeribile pranzo, rinfresco o cena che sia. Pasti che hanno caratteristiche che li rendono insopportabili. La durata, non meno di cinque o sei ore, e il contesto sempre chiassoso in cui si svolgono. Anche le pietanze più raffinate si guastano con i rumori. Sono del parere che il chiasso guasta il sapore dei cibi. Così come il silenzio e la buona musica li esaltano. Ma per Lilluzzo lo avrei fatto. Avrei ricambiato le sue attenzioni. Che sia chiaro. Eventuali deroghe solo per lui. Alle effusioni, che rivolgevo a Lilluzzo e che erano per me insolite, Nunziatina reagì con un sorriso compiacente e appagato.

    - Totò, voglio farti una proposta.

    A queste parole sentivo vacillare i miei buoni proponimenti. Avevano retto solo qualche secondo.

    - Dimmi, Lillù. Oggi non posso rifiutarti niente.

    Lo dissi e subito mi pentii.

    - Non si tratta di niente di straordinario. Domani sono libero dal lavoro. Nunzia, al solito, travagghia con la sua associazione. Gli sbarchi di migranti aumentano. Questi poveri disgraziati. Chiddi chi nun sunnu pigghiati du mari hanno bisogno di assistenza. S’havi a ringraziari le Nunziatine di Sicilia se il livello di accoglienza è appena decoroso. Ba’. Vinemu a nui. Volevo proporti di fare una gita a Taormina. Una passiata. Si parte domattina. Si mancia a Taormina. Visitina veloce e si torna a casa. Niente di troppo impegnativo e faticoso. E’ per stare assieme. Paramu ‘na pocu tra nui. Che ne dici?

    - Sarò sincero. Non si tratta solo di una passeggiata. Sono circa cinquanta chilometri. Viene a dire quasi un’ora di macchina. Ti ho promesso che non ti avrei negato nulla. Andiamo pure, ma sia chiaro che per me si tratta di qualcosa di impegnativo e di faticoso. Tienilo a mente. Si poteva stare assieme anche a piazza Cairoli. Che ne dici di riprendere le nostre vecchie abitudini? Non hai desiderio di una bella granita di caffè con panna e brioche?

    Ci provai spudoratamente. Con scarsa speranza di successo, ma ci provai.

    - Miii…se era pi annari alla piazza, non te ne avrei parlato propriu. Ti faccio notare che Taormina è in Sicilia, nella provincia di Messina. Ci sunnu bar, quanti ni vòi, e le granite le fanno tali e quali le nostre. Magari pure più buone. Quindi basta scuse. Se ti va di venire bene. Altrimenti pazienza. Ci vadu sulu. E tu da solo vai a piazza Cairoli.

    Lilluzzo si era incazzato. Non potevo tirarla ancora o si sarebbe offeso.

    - Va bene. Mi hai convinto. A che ora mi passi a prendere?

    - Alle sette sono da te.

    Se aveva detto le sette si poteva essere certi che non avrebbe sgarrato di un minuto. Era un maniaco della puntualità. Io alle sette ero alle prese con i miei migliori sogni. Dovevo contrattare.

    - Ti dispiace se facciamo alle nove?

    - Troppo tardi, ti concedo le sette e mezza.

    - Vabbè dai chiudiamo alle otto. Ok?

    - Miii! Chi camurria! Va bene. Ma che siano le otto. Ciao a domani.

    Ero stato bravo. Mi complimentai con me stesso. Avevo guadagnato un’ora di sonno. Mentre noi si era in trattativa, Nunziatina non aveva smesso un secondo di parlare al telefono. Come faceva il mio amico Lilluzzo a sostenere tanto iperattivismo. Non era logorroica. La cosa sorprendente non era il tempo che trascorreva al telefono, ma la gran quantità di persone che la cercavano. Le sue telefonate in genere erano brevi. E’ che passava da una telefonata all’altra. Non doveva essere di molta compagnia. Ma questi erano problemi di Lilluzzo. Era lui ad esserne innamorato. E lo era. Perso. Persino mentre andavano via di casa Nunzia mi salutò con una carezza della sinistra, ché la destra era incollata a quella sua protesi telefonica. Aveva una quantità di relazioni sociali impressionante. Colleghi di lavoro, membri come lei dell’associazione, amici sportivi, poi quelli della banda municipale e un numero imprecisato di migranti ai quali, naturalmente, aveva dato il suo numero privato.

    Due

    Messina, Aprile 2010.

    Mi svegliai la mattina successiva di buon umore. Mi sentivo riconciliato con me stesso e la vita. Avevo desiderio ed urgenza di riprendere le vecchie buone abitudini. Barba, doccia e caffè per iniziare. Ma avevo bisogno, prima che alle otto arrivasse Lilluzzo, di una vera ed abbondante colazione. Erano le sette. Avevo tempo. A cento metri c’era un piccolo bar che esibiva però una grande caratteristica. I cannoli li preparava tutte le mattine. Aveva dei rapporti con pastori che gli portavano ricotta fresca. Come descrivere le sensazioni di un cannolo siciliano fatto al momento? Per raccoglierle è necessario assumere lo stesso atteggiamento di quando si bacia con passione la donna di cui si è innamorati. L’accostamento non deve risultare né improprio né blasfemo. E’ proprio così. A partire dagli occhi, che devono essere rigorosamente chiusi. Nulla deve distrarre dalla magia nella quale si è prossimi ad immergersi. La lingua saetta veloce ma è anche capace di soffermarsi con lussuria sui sapori più forti, come su quelli più delicati. La ricotta finemente lavorata, con lo zucchero e gli aromi, al contatto è vaporosa e soffice. La sfoglia, che sa di frittura leggera, è croccante e le briciole si combinano con il dolcissimo ripieno. A farle compagnia, un ottimo cappuccino. Ottimo, perché il caffè è come quello di casa. Di cannoli ne mangiai due. Sapevo che i miei succhi gastrici si sarebbero ribellati, ma avrei provveduto dopo a sedare ogni forma di rivolta. Per ora, via libera ad un pieno e totale godimento. I miei sensi, dopo una settimana di cilicio, erano in fuga da ogni costrizione e tornavano a sorridere alla vita. A questo proposito non era solo il mio spirito ad essere lieto. Uscii dal locale con un viso disteso e le labbra che si erano allungate verso le estremità, lasciando intravedere una fila di denti regolari. Stavo ridendo. Quasi mi commuovevo per questa semplice, normale ed umana reazione emotiva. Forse non si tratta di una manifestazione così diffusa. Non sono tempi in cui capita spesso di incontrare per la strada persone allegre. Quel giorno io lo ero. Lilluzzo era sotto il portone di casa con la puntualità di uno svizzero. Notò anche lui che il mio umore, diversamente dal solito, era incline al sereno.

    - Miii…Totò. Oggi ti gira bene. Dai che sarà una bella giornata. E’ caldo, ma non troppo. La giornata ideale per Taormina.

    - Non è che si vada in territorio incognito. Taormina la conosciamo come Viale San Martino.

    - Non importa. Per me è sempre come la prima volta.

    - Dai, romanticone. Metti in moto e, mi raccomando, guida ad una velocità superiore a quella di un carretto siciliano. E’ tutta autostrada. Ce la puoi fare a superare i cinquanta all’ora.

    - E’ che sono prudente.

    Troppo prudente. Arrivammo a Taormina che saranno state le nove e mezza. Ci avrebbe sorpassato anche una bici. Mettiamoci pure due soste agli autogrill. Lilluzzo, dimentico di chi ero, propose, come fosse la cosa più naturale del mondo, di parcheggiare a Taormina mare e andare in paese con la funivia. Non dovetti spendere molte parole. Fu sufficiente inviargli uno di quegli sguardi alla siciliana che sostituiscono un intero discorso. Io salire su una funivia? Sospeso a qualche centinaio di metri dal suolo? Soffrivo di vertigini. Anche salire su una scala mi dava la nausea. Figuriamoci una funivia. Lilluzzo sospirò e continuò con la sua macchina ad arrampicarsi sino alle vie centrali. A quell’ora non c’era né traffico né problemi di parcheggio. Taormina, la mattina relativamente presto, era straordinaria. Unica. Passeggiammo respirando a pieni polmoni quell’aria ricca di iodio e di salsedine. Percorremmo con passo lento tutto il Corso Umberto I°. I negozi, le piccole botteghe artigiane, i numerosi bar creavano quel contesto d’insieme che favoriva una conversazione dai caratteri intimi ed amichevoli. Sostammo nella piazza IX Aprile. Si tratta di una grande terrazza che si apre sul golfo. La visione dall’alto di quello spicchio di mare ispira sentimenti di profonda quiete. Lanciammo i nostri occhi oltre la ringhiera. Sotto di noi, il blu del mare che faceva da cornice all’Isola Bella e alla spiaggia di Giardini Naxos. Di fronte a quello spettacolo della natura non si aveva voglia di parlare. Sarebbe stato come entrare nella Cappella Sistina e mettersi ad urlare. Confesso che il panorama marino di Taormina mi commuove nel profondo. Rimango pietrificato di fronte a tanta bellezza. Mi sento piccolo. Avverto la magnificenza della natura. Lilluzzo non era da meno. Il suo aspetto fisico, che ricordava per struttura e forza quello di un orango, era il vestito che indossava su di un’anima sensibile, come quella di un fanciullo. Mi parve che una qualche gocciolina, che non era sudore, scivolasse furtiva lungo le guance. Lilluzzo era così. Anche per questo gli volevo bene. Dopo aver versato entrambi, ciascuno per le sue ragioni, un po’ del nostro liquido lacrimale nel mare di Taormina, decidemmo di affogare le malinconie, che tutti a ben guardare ne hanno, in una granita di caffè con panna e brioche. Seduti ad un bar di Taormina, attorno a noi, iniziava il lento risveglio. La via si era animata. Non come sarebbe stata di sera. Non erano in prevalenza turisti, ma paesani che si avviavano verso le proprie abituali occupazioni. Lo si vedeva dalla fretta con la quale si muovevano. Non c’era quella indolenza tipica di chi è in vacanza e non ha nulla da fare. Camminavano veloci. Molti di loro portavano con sé una borsa. Evidente che si recassero a fare spesa in qualche putìa. Mi sentivo al centro di una scena che un pittore impressionista avrebbe saputo, con il suo pennello ed i suoi colori, rappresentare e descrivere meglio di qualunque accostamento di parole. Avevo in mente l’atmosfera de La colazione dei canottieri di Renoir o quella di alcuni dipinti di Monet. Ero felice. Come potevo esserlo io. Ecco la felicità di Totò: un bar, una granita, un buon amico, i giusti colori, una giornata tiepida, il profumo del mare. L’illusione che quell’istante possa essere eterno. A voler speculare, torna il concetto dell’immobilità come il terreno fertile sul quale coltivare il meglio di noi. Oddio. A pensarci bene, quella posa di grande beatitudine, ad ingessarla nel tempo, mi sarebbe venuta a noia. Per precisare la mia teoria filosofica, forse dovevo mettere un pizzico di scompiglio in quella innaturale fissità. Ma solo un pizzico. Se metti il sale giusto la pietanza è gustosa. Se esageri diviene immangiabile. Con Lilluzzo si poteva star certi che avrebbe colto, con la sua sensibilità, l’opportunità di rimanere in silenzio. Non lasciare il centro della scena alle parole, perché in esse c’è quel tanto di costruito che le rende, in determinate circostanze, o inadeguate o false. Ad un tratto vidi Lilluzzo distratto. Si stava concentrando sul tavolo alla nostra destra. Non capivo la ragione di tanto interesse. Non vi era nessuno seduto. Solo una copia della Gazzetta aperta con i fogli agitati da una brezzolina, che sembravano altrettanti uccellini sull’orlo del nido, pronti a spiccare il primo volo, ma anche tanto timorosi di farlo. Fu questione di un attimo. Lilluzzo si alzò di scatto e strappò quasi, dall’altro tavolo, la copia del giornale. Vi immerse la testa, come farebbe un cane nella propria ciotola. Trascorso qualche minuto, nel quale non osai disturbarlo, scostò da sé, con rabbia mal contenuta, quei fogli di carta e li scagliò sul nostro tavolo.

    - Guarda, Totò. La giornata è rovinata.

    Presi il quotidiano ed iniziai a scorrere le notizie: un terrorista si era fatto esplodere di fronte ad una ambasciata americana in Pakistan: morti e feriti; il Governo stava discutendo di come rendere più flessibile il lavoro, che, a mio parere, significava che stava studiando come fottere gli ultimi della fila; al nord si era abbattuta, nei pressi di Genova, una bomba d’acqua: molti danni e qualche ferito; una serie di notizie di carattere culturale. Insomma non trovavo nulla che potesse aver acceso in quella maniera il mio amico.

    - Lillù, che vuoi fare? La gente che lavora lo prenderà de retro anche questa volta. Capisco che ti faccia incazzare. Invece di pensare a come dare occupazione, si stanno sforzando di approfittare di questo periodo di crisi economica per togliere qualche diritto che gli ultimi si sono conquistati faticosamente in anni di lotta. Il ragionamento è sottile. La colpa non è delle classi dirigenti, delle loro speculazioni, dei loro imbrogli e malversazioni, della corruzione e della illegalità. No. La colpa è tua, Lillù, che vai a lavorare tutte le mattine. Sai che ti dico. Andrebbero mandati a farsi fottere e che lavorassero loro. Che non dirigono una minchia e lucrano sul nostro, anzi vostro, sudore.

    Avevo fatto una tirata senza quasi prendere fiato. Lilluzzo mi guardava con una espressione idiota ed interrogativa.

    - Totò. Ma che minchia dici? Su questo la penso come te. Ma che ciccucchia con quello che ti ho mostrato?

    - Lillù, tu non mi hai mostrato nulla. Mi hai gettato sotto gli occhi cinquanta grammi di carta stampata. Pensavo che ti riferissi a questa discussione che sta appassionando le teste fine, che dopo aver scassato il paese pensano di riaggiustare le cose spremendoci come limoni. Per poi, una volta superata la crisi, se si supera, ricominciare la festa. Ma tu cosa volevi farmi vedere?

    - Totò, guarda in prima pagina, in fondo.

    In realtà avevo guardato unicamente i titoli di testa. La notizia era a fondo pagina ma, debbo dire, anche abbastanza in rilievo.

    Solo la mia disattenzione poteva sorvolare su quel pezzo di cronaca nera. Anzi nerissima. A grosse lettere:

    SINDACALISTA UCCIDE L’AMANTE.

    A lettere più minute il sottotitolo recitava:

    "trovato con il coltello insanguinato in mano e accanto la vittima decapitata".

    Iniziata la lettura del pezzo, dopo poche righe, allontanai da me la pagina.

    - No, Lillù. Non ci posso credere. Non lui. Pippo? Pippo Donato? Il nostro amico d’infanzia. Non ci crederò mai. Se c’era un uomo onesto era lui. Tu lo sai, in gioventù, anche io, insieme a

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