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Indietro non si torna
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Indietro non si torna

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About this ebook

Un uomo è salito dal basso e ha guadagnato la cima. È diventato ricco e la corsa è finita. Adesso ha il tempo di pensare, di riaprire i cassetti della memoria e quello che vi "scopre" diventa il suo tormento.
La sua vita non è andata come avrebbe voluto lui. Non saprebbe neanche dirlo come avrebbe voluto che andasse perché non se l'è mai chiesto. Tante altre volontà hanno tracciato le rotte della sua esistenza e lui le ha percorse tutte senza mai chiedersi dove lo stessero portando.
Una notte, alla guida della sua auto sull'ultimo tratto di strada verso casa, investe un ragazzo sbucato all'improvviso dal buio. È uno straniero che si è avvicinato alla sua proprietà per capire come entrarvi.
Lo prende solo di striscio, procurandogli un trauma di lieve entità. Potrebbe, anzi dovrebbe portarlo in ospedale, e invece decide di curarlo nella propria casa.
Decide. Questa è la sua volontà.
La permanenza del giovane si prolunga ben oltre la sua guarigione.
Il signore che lo ha investito gli offre un'ospitalità illimitata e lo colma di attenzioni che nessuno dei famigliari riesce a spiegarsi, considerando che lo straniero si era avvicinato alla villa per rubare.
Si stabilisce tra i due un legame intollerabile soprattutto per la padrona di casa, ai cui occhi il ragazzo venuto da lontano non è altro che un odioso parassita.
Il suo benefattore è deciso a ignorarla ma sa che prima o poi dovrà confrontarsi con la sua volontà di ferro. Sa che non potrà fare a meno di scontrarsi con la bella moglie infedele che segretamente brucia di una passione violenta per il cognato, il suo unico fratello, nato molti anni dopo di lui.
Questi, un giovane dallo sconfinato egoismo che ha preso il posto del figlio mancato da quando si è trasferito a vivere nella villa, per un momento distoglie l'attenzione della cognata dallo straniero, legandosi a una ragazza bellissima che è ostinato a possedere nonostante le sue resistenze.
Lo sguardo della signora si posa allora sulla "rivale" in amore: è lei la minaccia più temibile, il primo pericolo da eliminare.
Una festa che riunisce nella villa le migliori conoscenze della famiglia segnerà tragicamente il destino dello straniero e della ragazza.
Entrambi i giovani verranno rigettati da un mondo di cui non hanno chiesto di fare parte.
 
LanguageItaliano
Release dateSep 22, 2015
ISBN9788893152624
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    Indietro non si torna - Faustino Clarissa

    TORNA

    I

    Un suo vecchio conoscente, un uomo che aveva più o meno i suoi anni, un giorno tirandolo in disparte gli aveva detto di essersi deciso a mettere nero su bianco la sua vita, la storia della sua intera esistenza. Gliel’aveva detto forse perché le loro vite non erano poi tanto dissimili o così doveva sembrargli; forse voleva sapere cosa ne pensava dell’idea o più probabilmente aveva soltanto voluto avvisarlo che nel suo racconto avrebbe parlato anche di lui.

    L’aveva trovata un’idea assurda, talmente assurda che gli era venuto da ridergli in faccia, ma non aveva avuto la scortesia di farlo. Lo aveva trattenuto l’espressione seria e convinta con cui gli aveva fatto quella specie di confidenza e perciò aveva evitato di fare commenti. Si era limitato a rimanere in ascolto senza lasciare intravedere alcuna perplessità ma neanche interesse dietro l’aria distratta. Si fingeva sempre con la testa altrove quando non voleva dare troppa importanza a quello che gli veniva detto.

    Ma più tardi, quando si era ritrovato da solo, ci aveva riflettuto. Non era poi così curioso dopo tutto che gli fosse venuto in mente di ripensare alla propria vita, aveva il tempo per farlo adesso che era avanti negli anni e si stava pian piano ritirando dagli affari. Poteva essere un modo come un altro per riempire le giornate e sentire di contare ancora qualcosa… Certo, purché l’avesse fatto per se stesso senza farsi l’illusione che le sue memorie avrebbero significato qualcosa anche per gli altri: la storia di un uomo affermato, la cronaca di un’esistenza così poco divagante dalla monotonia dell’accumulo da risultare piatta quanto un registro contabile, non avrebbe affascinato nessuno.

    Lui lo sapeva perché era proprio quel tipo di vita che aveva vissuto. Anche lui si era ritrovato a trascinare i passi sotto il peso di una ricchezza massiccia, una ricchezza che non aveva mai cercato, in verità, ma che ben diversamente da quello che avrebbe raccontato di sé il suo vecchio conoscente, gli era semplicemente piombata addosso, e con tutta la gravità delle cose inattese.

    I ripetuti successi di una brillante carriera professionale, una serie di operazioni finanziarie tanto rischiose quanto fortunate, l’investimento in affari lucrosi puntualmente riusciti gli avevano guadagnato nel volgere di pochi anni un’agiatezza salda e ingombrante che lui non aveva mai veramente desiderato, e spesso, anzi, gli veniva da chiedersi se tutto quel ben di dio così vorticosamente accumulato lo dovesse al talento e all’inclinazione o soprattutto all’inesorabile copione che il destino aveva scritto per lui.

    Di fatto era ricco, e tutto nella sua vita trasudava ricchezza: l’ampia dimora squadrata con vista sul mare, calata nel verde opaco dei pini marittimi come un pesante scrigno di pietra, le auto di lusso, gli orologi da collezione, il vestiario appariscente nella sua contenuta ricercatezza, e persino la montatura in oro di quei banali occhiali da vista di cui l’accentuata miopia non gli permetteva di fare a meno.

    In quel formidabile recinto di animali spietati che è la società civile quella sua spessa ricchezza gli aveva procurato una posizione di tutto prestigio: era invidiato e perciò ammirato, era temuto e perciò rispettato. Una bassa umanità ruotava intorno al signor Bastiano Amara e gli porgeva i suoi omaggi. Suo malgrado, ne beneficiava.

    Se c’era una persona che l’avrebbe approvato, si era detto, quella era sua moglie. Avrebbe dovuto parlarne con lei se voleva essere incoraggiato a cimentarsi nella memorabile impresa, perché lei di sicuro lo avrebbe capito. Anche lei si sentiva arrivata e, quasi ci avesse trovato una linfa vitale, non si era mai stancata di sguazzare in quel pantano dorato dov’erano affondati fino al collo.

    Cresciuta in una famiglia anonima per nulla facoltosa, Allegra aveva accolto quella soverchia ricchezza come una manna piovuta dal cielo. L’aveva sentita come il giusto risarcimento per il niente che aveva riempito tanti anni della sua vita senza un perché, senza che ci fosse un motivo per negare a lei quello che ad altri veniva elargito. Ma soprattutto vi aveva visto il sigillo di una sua ferma convinzione: non siamo tutti uguali; alcuni sono migliori degli altri perché più degli altri hanno successo.

    E così quella fortuna finalmente arrivata se la godeva a piene mani: acquistava nei negozi più esclusivi, frequentava i locali più raffinati, di tanto in tanto si dava alle pubbliche relazioni nei club riservati alla gente del suo rango.

    I centri estetici, poi, li aveva eletti a seconda casa: dalle punte dei capelli alle unghie dei piedi non c’era dettaglio anatomico che trascurasse.

    Il risultato di quell’esistenza così leggermente vissuta era una creatura volatile, inconsistente; era come un prezioso vaso di porcellana fatto per rimanere vuoto, uno di quei tanti oggetti belli, vuoti di cose e di ricordi, che affollano la solitudine delle stanze.

    Bastiano, a volte, si perdeva a guardare quel viso senza età sempre perfetto, identico, mai un pensiero che gli facesse ombra o un turbamento dell’animo che lo segnasse. Quasi rapito, si domandava il perché di quell’unione benedetta nel sacro rito del matrimonio, che durava ormai da anni. Un perché c’era, doveva esserci stato, ma non se lo ricordava.

    E non era la memoria a fargli difetto perché, in fondo, non c’era molto da ricordare. Si era sposato perché doveva sposarsi, ecco tutto. A un certo punto della sua vita aveva raggiunto una buona posizione e l’età per farlo. Non c’era motivo perché non si decidesse a compiere quel passo.

    Alla sua famiglia lei era subito piaciuta: una ragazza perbene, sempre sorridente. Lui subiva il fascino della sua voglia di vivere, di quel suo modo leggero di affrontare le cose. Insomma, senza pensarci troppo e, in definitiva, senza conoscerla veramente, si era legato a quella donna per il resto della vita.

    Lo faceva rabbrividire, se per sbaglio lasciava scorrere il nastro dei ricordi dietro le palpebre abbassate, dover constatare quante volte aveva conformato il suo agire a una volontà che non era la sua. Quante volte aveva lasciato che gli altri o le circostanze decidessero per lui!

    La laurea in ingegneria l’avevano voluta i genitori, persone operose e con i piedi per terra che di certo non avrebbero mantenuto il figlio agli studi se questi non avessero avuto un’inevitabile finalità pratica. La strada per il lavoro era segnata. Quanto agli investimenti e alle speculazioni finanziarie che lo avevano arricchito, si era trattato di manovre conseguite quasi naturalmente all’incremento del patrimonio e che ben poco avevano a che vedere con una reale vocazione al lucro.

    Figli non ne aveva avuti. Mai aveva sentito il desiderio di una continuazione di sé e tanto meno pensava che dall’essere genitore potesse venire un contributo di senso all’esistenza.

    Si capisce che da un uomo sposato non era quello che ci si aspettava. Le persone si sposano per mettere su famiglia e se dare qualcuno alla vita non basta a renderti felice della tua, almeno può essere una ragione per coricarti tutte le sere con la stessa compagnia.

    Eppure a quest’attesa non aveva dato risposta. Si sarebbe rassegnato a farlo, prima o poi, ma per una volta la sua volontà già tanto avvilita non aveva dovuto piegarsi a un bisogno che non gli apparteneva, perché la natura gli era venuta incontro: era sterile, irrimediabilmente sterile.

    Non c’era voluto molto tempo per scoprirlo e con la stessa rapidità Allegra aveva accertato che quella deficienza biologica apparteneva soltanto a lui. Lei non solo era perfettamente in grado di avere figli ma li desiderava, li aveva sempre desiderati.

    Bastiano lo sapeva e davvero gli rincresceva di essere responsabile dell’infelicità della moglie, di quel malumore che serpeggiava in casa e guastava la loro convivenza. Sapeva che quella mancanza avrebbe segnato la loro vita e il loro rapporto per sempre, e che niente avrebbe potuto colmare quel vuoto.

    Ma dopo qualche tempo, in modo del tutto imprevedibile, anche a quel disagio si era presentato un rimedio.

    Trascorsi diversi anni dal suo matrimonio, a Bastiano erano mancati a breve distanza l’uno dall’altro entrambi i genitori. Da persone lavoratrici e parsimoniose quali erano sempre state, avevano lasciato al figlio una considerevole quantità di beni, tutti quei beni che avevano messo da parte con tanto sacrificio e di cui mai avevano voluto o saputo godere.

    Come ogni eredità che si rispetti, anche quella dei signori Amara aveva il suo pezzo forte: l’unico fratello che avevano dato a Bastiano, ancora minorenne, sebbene prossimo alla maggiore età. Si chiamava Lorenzo ed era in tutto e per tutto il figlio mancato di Allegra.

    Bello quanto spensierato, quel ragazzo quasi adulto ancora così immaturo aveva subito conquistato il cuore della cognata, scoprendovi una mamma ben più complice e divertente di quella donna anziana sempre un po’ stanca e preoccupata che, trovatoselo in grembo quando ormai era convinta di aver esaurito la sua fertilità, aveva consumato le ultime forze per metterlo al mondo e insegnargli a vivere.

    Dal canto suo Allegra era finalmente diventata madre del figlio che voleva. Un giovane pieno di vita, diceva lei, da non credere che fosse fratello di quell’uomo cupo che aveva sposato.

    Erano bastati pochi mesi perché i due entrassero in una tale confidenza l’uno con l’altra da sembrare veramente madre e figlio. Insieme facevano shopping, andavano al cinema, giocavano a tennis. Gioivano e pativano per le stesse cose.

    Innegabilmente dal momento in cui Lorenzo aveva preso residenza stabile nella loro casa e nella loro vita, gli occhi di Allegra si erano accesi di una luce che Bastiano non aveva mai visto. E anche Lorenzo era cambiato, perché in quell’ambiente che così bene si confaceva alla sua istintiva attrazione per le cose futili e belle poteva essere pienamente se stesso.

    Di fronte allo spettacolo della loro felicità che si ripeteva di giorno in giorno, Bastiano aveva cominciato a prendere coscienza della propria insoddisfazione. E adesso che ci pensava, adesso che non gli era più così facile impedirsi di pensare, si rendeva conto di che bell’affare aveva combinato.

    Si era incamminato lungo una strada che non aveva scelto, spinto da tante, troppe mani. E l’aveva pure fatta di corsa quella strada!

    Non accadeva di rado che quel pensiero gli trafiggesse la mente. Si affacciava, di tanto in tanto, ed era come se una spina gli entrasse nella carne. Ma prima il dolore era breve e scompariva subito. Tante, troppe cose lo distoglievano da quel dolore, come i narcotici che si danno ai malati.

    Per anni con la mente tutta presa da quelle cose aveva continuato a fare quello che doveva fare, senza mai guardarsi dentro, senza mai interrogare il suo cuore per chiedergli che cosa voleva. E forse era proprio per sfuggire a questa domanda, che giungeva sempre troppo tardi, che si era tuffato con tante energie nelle faccende quotidiane, nelle cose da fare, e ci era riuscito così bene. Ma ora che anche lui aveva rallentato il passo fino a quasi fermarsi, ora che aveva il tempo per pensare non poteva più sottrarsi all’amara constatazione che la sua vita era andata come doveva andare e non come lui avrebbe voluto che andasse.

    E per cosa poi? Qual era il risultato di quella vita sacrificata o forse, sarebbe stato meglio dire, buttata?

    Quella domanda dopo l’incontro col suo vecchio conoscente aveva cominciato a pungolarlo con perfido accanimento. Continuava a lampeggiargli nella mente e insieme affioravano ricordi lontani, ricordi che non lo facevano stare bene. Come quello di sua madre.

    Gli capitava spesso di ricordare sua madre.

    La rivedeva esattamente come l’avevano vista i suoi occhi di bambino e com’era rimasta per tutti gli anni della sua adolescenza e della sua giovinezza. L’aveva vista invecchiare, sì, ma solo fisicamente. Le rughe le avevano solcato il viso, i capelli le si erano tinti di cenere e poco a poco le sue membra robuste e temprate dalla fatica avevano perso le forze; ma in tutti quei giorni di vita silenziosa e morigerata la sua natura non era mai cambiata, era rimasta sempre la stessa persona dal carattere solido, ferma nei propri convincimenti e nella predisposizione al sacrificio.

    Non era cambiata neppure quando nella monotona ripetitività della sua vita quotidiana era entrato, spalancando la porta improvviso e prepotente come un colpo di vento, il piccolo Lorenzo.

    Lorenzo sembrava piovuto dal cielo. Era così diverso da tutti loro! Era bellissimo, biondo e delicato come un angelo, sempre in movimento, alla ricerca di qualcosa con cui giocare, qualcosa che diventava suo e non poteva più essere di nessun altro, almeno finché non se ne stancava e lo dimenticava in un angolo.

    Gli sembrava di rivederlo per mano alla mamma, quando andavano in chiesa.

    Tutti rimanevano catturati dalla visione di quel bimbo meraviglioso che pareva un angioletto fuoriuscito dall’affresco della volta, mentre di lui quasi non si accorgevano. E questo dipendeva anche dal fatto che lui rimaneva composto, come voleva la sua età di giovane adulto e la sua indole calma e taciturna, mentre l’angioletto incarnato era tutto un agitarsi delle manine che andavano a posarsi ovunque ci fosse qualcosa di bello da toccare.

    Li portava sempre alla cappella di San Sebastiano la mamma. Era il suo santo preferito ed era proprio a quella fervente devozione che doveva il suo nome.

    C’era una tela enorme che campeggiava al centro della parete frontale, un grande dipinto a olio che ritraeva il santo trafitto con lo sguardo rivolto al cielo. Sulle tinte buie dello sfondo la pelle bianchissima del giovane Sebastiano spiccava come il manto di una colomba, e i sottili rivoli di sangue che colavano dai fori aperti dalle frecce sembravano esili ramoscelli di corallo sulla morbida muscolatura del torace.

    La mamma lo guardava solo per un istante ma con una particolare intensità. Sembrava che da quella visione traesse un conforto infinito. Era come se dalla tela si sprigionasse una saetta invisibile che la fendeva rinvigorendola nel corpo e nello spirito.

    Glielo indicava con l’indice sollevando appena la mano. Voleva che anche loro lo guardassero come lo guardava lei. E lui ubbidiva, si faceva avanti e piegava leggermente il capo all’indietro per osservare la scena del martirio che lo sovrastava.

    Quell’immagine lo inquietava e lo respingeva, ma voleva accontentare la mamma e a volte le faceva domande sulla vita del santo. Le conosceva tutte le vite dei santi ed era uno dei rari argomenti di cui le piaceva parlare. E così l’ascoltava sussurrare parole precise per rispondere alla curiosità che lui si sforzava di manifestare, mentre sul viso le si disegnava quell’espressione che le avrebbe rivisto tante altre volte. Era un’espressione che lo invitava alla sopportazione, che gli indicava una sola strada da percorrere, quella dell’accettazione. I suoi lineamenti parlavano più della sua voce e gli dicevano di rassegnarsi, di prepararsi a ricevere il carico che la vita gli avrebbe gettato sulle spalle senza protestare.

    E allora gli veniva istintivo di voltarsi verso Lorenzo, che non badava a loro. Le sue manine si allungavano verso le fiamme delle candele che gli illuminavano la faccina sorridente. Lo afferrava alla vita facendo attenzione a non stringerlo troppo e lo sollevava portandolo all’altezza del portacandele. La mamma gliene metteva una nella manina e lo aiutava ad accenderla accompagnando il suo braccino verso le fiammelle che brillavano nei suoi grandi occhi spalancati.

    Com’era leggero Lorenzo! Quale invidiabile leggerezza germogliava dentro quel bambino che non avrebbe mai smesso di essere tale! E con quale determinazione avrebbe difeso quella leggerezza, con quale energia avrebbe affermato la sua natura e indotto gli altri ad accoglierla con altrettanta naturalezza.

    Non aveva mai dovuto adeguarsi lui. Non lo aveva mai visto rinunciare a qualcosa o anche solo accontentarsi, non lo aveva mai visto mettere da parte le proprie esigenze o anche solo tenerle in subordine. Era sempre stato così bravo a prendersi cura di se stesso e così attento a rispettare la propria volontà che avevano imparato a farlo anche gli altri. Lorenzo era Lorenzo e a tutti andava bene così com’era.

    E invece lui li aveva lasciati fare. A lui si poteva chiedere, da lui si era potuto pretendere. L’avevano fatto tutti, più o meno consapevolmente, e lui non aveva mai fatto nulla per impedirlo.

    E così la sua vita era trascorsa entro gli argini di tante volontà espresse o sottintese da cui si era lasciato guidare, e non era mai successo che la sua coscienza si fosse ribellata, che avesse saputo andare contro; non aveva mai nemmeno tentato di invertire la direzione per andare contromano lungo quella strada stretta, chiusa tra due mura, per cercare una via d’uscita e dare un nuovo corso alla propria esistenza.

    Quando questi pensieri lo assalivano prendeva a passarsi nervosamente le mani fra i capelli, come per scacciarli. E anche in quei momenti, tuttavia, non

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