Ho scelto di guarire: Un viaggio dal Cancro alla Rinascita attraverso le chiavi della Metamedicina, della Psicologia, della Consapevolezza e dell’Amore
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La storia di una ragazza che durante l’infanzia si trova a dover vivere delle difficoltà famigliari che creano traumi e somatizzazioni. Studi non completati, attacchi di panico, paure ed incapacità di gestire le relazioni affettive più importanti creano una spirale di dolore che culmina con la scoperta di un cancro a soli 23 anni.
Da lì la svolta, l’apertura mentale che fa scoprire il coraggio e la voglia di apprendere nuove discipline quali la psicologia e la metamedicina e la voglia di affrontare il cambiamento attraverso corsi di crescita personale. Un accento che si pone sulla scelta consapevole di voler guarire e cancellare il passato verso un futuro ricco di amore.
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Ho scelto di guarire - Serena Milano
LA FAVOLA
Ho 25 anni ed un’innata passione per i racconti d’amore.
Spesso chiedo ai membri della mia famiglia di raccontarmi cosa c’era prima di me e dai racconti sentiti mi piace pensare che la storia d’amore tra la mia mamma e il mio papà sia stata una meravigliosa favola che ha portato alla mia nascita.
I miei genitori si sono conosciuti quando entrambi erano molto giovani, la mia mamma era una ragazzina di quattordici anni e il mio papà ne aveva cinque in più.
Lei prima figlia di una famiglia benestante di un paese del lodigiano, lui ultimo figlio di una numerosissima e umile famiglia del sud trasferitasi al nord.
Si sono frequentati per tanti anni e appena la mamma ha compiuto vent’anni si sono sposati. Hanno scelto una romanticissima chiesetta in campagna, piccola e raccolta, dove invitare i parenti più stretti ad una modesta cerimonia.
Ho visto l’album fotografico e non ci sono vestiti sfarzosi, tutto è molto semplice e i protagonisti di questo matrimonio sono due ragazzi giovani con i visi dolci e gli sguardi innamorati.
I miei genitori sono andati ad abitare nello stesso condominio dove abitavano i miei nonni materni con le altre tre sorelle di mia mamma.
Erano una coppia che lavorava e sognava una famiglia.
Io sono arrivata dopo cinque anni di matrimonio e due gravidanze senza buon esito. Ero la bimba desiderata e fortemente voluta. La mia mamma ha trascorso quasi nove mesi a letto pur di farmi nascere.
Nel 1985 in mezzo ad una fortissima nevicata sono arrivata io.
Mi raccontano che il giorno della mia nascita la mamma era al settimo cielo e il papà talmente emozionato che nell’andare a prendere il regalo alla mamma si è chiuso fuori dalla macchina da solo. I nonni erano estasiati dall’arrivo della prima nipotina così come le mie tre zie che all’epoca avevano circa diciotto anni e mi hanno subito preso in custodia come se fossi una nuova sorellina.
II matrimonio dei miei genitori è durato circa tre anni dopo il mio arrivo e onestamente io non ho ricordi di vita insieme noi tre e questa cosa mi ha sempre fatto soffrire. Anche oggi ho il rammarico di non avere il ricordo di una cena o un Natale insieme a mamma e papà.
L’unica cosa che mi ricordo perfettamente è che non avevo mai sonno e di notte quando mi svegliavo mi attaccavo alla spondina del lettino e gridavo Papà! Papà!
perché lui si alzava, mi prendeva e mi portava nel lettone in mezzo a loro due mentre la mamma che era un po’ più severa non approvava molto.
Poi si sono separati e io vedevo papà fare gli scatoloni senza capire cosa stesse succedendo. La dinamica di avere mamma e papà in case differenti mi fu molto ostile, ma avendo le zie e i nonni sempre intorno che mi facevano giocare e mi regalavano valanghe d’amore, forse ho supplito un po’ alla sofferenza dovuta a questo allontanamento forzato.
IL LIMBO
Non molto tempo dopo la separazione mia mamma si fidanzò con un altro uomo che nel giro di pochissimo tempo si trasferì a casa nostra.
Io proprio non mi ricordo tutto perfettamente con la cronologia esatta, so solo che a pelle sentivo la sofferenza di papà e l’astio nei confronti di quest’ altro uomo che viveva in casa con me e assisteva a tutte quelle cose a cui avrebbe voluto partecipare lui.
Credo che ci siano delle cose piccole della quotidianità che per un genitore rappresentano veramente dei motivi di gioia pura.
Penso alla messa a letto, al bagnetto, ai giochi fatti sul tappeto. Vedere la propria figlia che passo dopo passo scopre il mondo, fa un disegno da appendere sul frigorifero o impara a mettersi le calze.
A mio papà tutto questo è mancato, lui mi viveva a week-end alternati in una casa piccola che era inadatta ad ospitare una bambina. Lui sapeva che non avevo i miei giochi e le mie abitudini da lui, vedeva probabilmente che mi mancava la mamma e sicuramente soffriva della fine del proprio matrimonio.
Considerare papà come un uomo che ha sofferto per un trauma famigliare è stato un passo che è avvenuto di recente, prima vedevo solo le sue mancanze e le sue assenze e non consideravo mai che dietro la figura di quel padre che non viveva con me c’era un uomo che aveva sofferto, che era stato deluso, che aveva delle speranze disattese.
Sia da bambina che da adolescente era più facile vedere ciò che mancava piuttosto di ciò che c’era.
Adesso con la coscienza adulta riesco ad apprezzare il fatto che lui che forse soffriva ed era arrabbiato e triste e deluso ci sia sempre stato. Aveva una presenza discreta, sapeva ma non interveniva e mi vedeva crescere ogni due settimane probabilmente desiderando molto più tempo da passare con l’unica desideratissima figlia che ha.
Mentre papà mi vedeva a settimane alternate la mamma mi aveva sempre in casa. Solo che la mamma stava formando una nuova famiglia ed un nuovo bimbo era in arrivo.
A quattro anni il mio problema più grosso era capire come mai un bambino stesse nella pancia della mia mamma, da dove era entrato e quando sarebbe uscito.
Tutti mi raccontavano che presto sarebbe arrivato e nella mia testina si era formata l’idea di un bimbo di circa cinque anni che presto sarebbe arrivato a vivere a casa mia.
Matteo ha scelto di nascere in una di quelle domeniche che io trascorrevo con papà, per cui quando sono arrivata a casa di sera e ho trovato ad accogliermi i nonni che mi hanno detto che la mamma era in ospedale perché era nato il fratellino io sono scoppiata in lacrime sentendomi delusa perché nessuno mi aveva aspettato.
Il giorno dopo la nonna mi ha portato in ospedale a trovare la mamma, ma la signora della portineria non mi faceva passare per andare nel reparto maternità per una strana regola che non permetteva ai bambini l’accesso ai reparti. Altro inconsolabile pianto durato fino a quando il nonno non è andato a chiamare la mamma che è venuta a salutarmi.
Mi ha fatto strano vedere la mia mamma dopo tutto quel tempo senza quell’immensa pancia!
Il pomeriggio stesso siccome io volevo vedere sia la mamma che il fratellino la nonna si è messa un’ampia pelliccia e tenendomi nascosta dietro di lei mi ha fatto sgattaiolare fino alla stanza della mamma.
Immaginate che delusione tremenda vedere un neonato in braccio alla mia mamma!!!
Nessuno mi aveva preparato al fatto che fosse così piccolo né che avrebbe preso il mio posto in braccio. Siamo partiti molto male, ma il culmine l’abbiamo raggiunto quando l’hanno portato a casa dall’ospedale e l’hanno messo a dormire in camera della mamma mentre io stavo sola nella mia cameretta. Per me era una tragedia, proprio non lo sopportavo. Dopo tre settimane eravamo già in camera insieme per par condicio.
Io e Matteo non siamo biologicamente fratelli, abbiamo in comune solo la mamma e nonostante nei primi anni ’90 questo fatto non fosse proprio socialmente accettabilissimo io l’ho sempre considerato mio fratello. Per me io e lui siamo fratelli come tutti gli altri. Vedo la differenza nei nostri lineamenti, la diversa struttura fisica, io muovo le mani come mio papà, lui cammina come il suo, però per me lui è stato fin da subito mio fratello.
Il mio sogno infantile di famiglia vede come protagonisti la mia mamma, il mio papà, me e Matteo.
Parallelamente alla nascita di Matteo io frequentavo l’asilo. Per questioni di orario la mamma mi aveva iscritto dalle suore e per me sono stati anni tremendi. Ero una bambina un po’ fragile a livello emotivo. A soli tre anni