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Pronto soccorso emozionale: Chi ha la tua attenzione ti possiede. Riprenditi te stesso!
Pronto soccorso emozionale: Chi ha la tua attenzione ti possiede. Riprenditi te stesso!
Pronto soccorso emozionale: Chi ha la tua attenzione ti possiede. Riprenditi te stesso!
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Pronto soccorso emozionale: Chi ha la tua attenzione ti possiede. Riprenditi te stesso!

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About this ebook

Pronto Soccorso Emozionale è un modo semplice e potente per far accorgere di come e quante strade siano piastrellate di cose che non siamo: credenze, convinzioni, programmi istallati da qualcun altro che forse nemmeno conosciamo.
Questo ebook vi accompagnerà in un viaggio terapeutico all'interno dell'apparente caso, che si rivelerà essere un vero e proprio coaching dell’anima. Impareremo ad accorgerci di ciò che il momento dell'adesso attira, verso la via della liberazione da tutte quelle strutture che inibiscono la guarigione.
Come gli sciamani, antichi uomini-medicina, viaggeremo nei territori dell'accorgersi e della meraviglia per recuperare le energie perdute lasciate nei nostri irrisolti passati e che si ripercuotono nel presente. In questo viaggio ci guarderemo con occhi nuovi, liberandoci dalle parole usate a caso e dai programmi assurdi che non ci attrezzano al nuovo e al miracoloso.
Oltre il «mi piace» o «non mi piace», oltre il territorio di ciò che crediamo essere vero, esiste il mondo dell'accorgersi. Ciò che arriva alla nostra attenzione esige la nostra meraviglia, diversamente perdiamo noi stessi e il nostro tempo.
LanguageItaliano
Release dateJun 24, 2013
ISBN9788863651515
Pronto soccorso emozionale: Chi ha la tua attenzione ti possiede. Riprenditi te stesso!

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    Pronto soccorso emozionale - Zanon Monia

    puoi!

    1.  L’AFFIDARSI E LA PAURA

    Caro Viandante, oggi parliamo di fiducia: ci hanno insegnato che è un processo di fede, ma non è di questo che si tratta.

    Si dà «fiducia» al senato, al partito emergente, alla Chiesa… o si ha la «persona di fiducia» ecc. Finiamo così per confonderci, per non capire più cosa significhi davvero avere fiducia o dare fiducia. Interessante, non credi?

    Avviene allora che affidiamo la nostra vita a chi detiene un potere o una forza più grande della nostra, sperando – perché «abbiamo fiducia» (cioè, in vero, non abbiamo voglia di dedicarci attenzione) – che queste persone, con una forza di pensiero più stabile della nostra, sappiano cosa vada bene e cosa non vada bene per noi… Bestiale!

    Si crea allora una separazione da noi «per noi», una separazione dall’affidarsi, una diffida da noi a favore di un finto affidamento che non è fiducia, ma è un «non mi importa», «lascio fare a loro»…

    A chi stai dando la tua fiducia? Cosa significa avere fiducia?

    Fidarsi: questa parola proviene dal «senso di fiducia» ed è associata a sua volta alla parola «fede», intesa come «senso di sicurezza», che deriva dalla speranza riposta in qualcuno o qualcosa («Io mi affido a…»). Non deve rappresentare un atteggiamento da «scaricabarile» ma deve essere un autentico viaggio verso l’affidarsi, ben controllato anche, verso cioè la direzione che la nostra anima desidera prendere.

    Per fare questo, tuttavia, è necessario esserci davvero e sentirci sul serio!

    Così dovremmo iniziare a scegliere di chi fidarci, a chi affidare la nostra fiducia.

    Fidarsi è sapere che esiste la possibilità di finire contro un muro, ma con la certezza che sarà un muro che avrà una sua utilità. Fidarsi significa credere che avverrà sempre il meglio per noi, e ci attrezziamo ogni giorno in maniera attiva perché ciò accada.

    La fiducia è un fuoco che arde, e la paura è il ghiaccio che lo spegne e lo congela!

    Controllare la paura, quindi, e farsela alleata, complice…

    Io dico: portiamo fuori a cena la paura e parliamo con lei e con il suo senso dell’esistere, perché anche lei ne ha uno, lo sapevi?

    Prova a farlo, caro confidente. Fallo, porta a cena la paura, ma non per farle da dessert!

    2.  L’AMORE E IL NON AMORE

    «Ama il prossimo tuo come te stesso» qualcuno diceva… «Ma non più di te» aggiungo io!

    Cosa potrebbe accadere nel leggere ciò che ho appena scritto? Se osassimo pensare di amare prima noi del nostro prossimo, potrebbe accadere che all’improvviso si destino tutte quelle vocine che si sono installate in noi dalla nascita e che ci dicono «egoista!» o «bastardo!».

    Così, caro confidente, in sindrome da miseria per noi stessi, ci ricurviamo sull’essere «bravi bambini» e sul toglierci tempo e attenzioni per offrire agli altri il nostro vitale tempo…

    Tempo… Tempo per andare a fare cose che invece non ci permettiamo di fare noi, per noi. Ci violentiamo quotidianamente per fare cose che non vorremmo mai fare, e che sarebbe meglio non fare se ci amassimo solo un pochino, solo perché ci hanno insegnato che aiutare il prossimo è bene.

    E «io»? «Io» dove sono? Che priorità mi sono dato nella gestione del tempo per me? Si tratta forse del tempo perso? Del tempo che avanza? Del tempo degli hobby?

    Succede così, in questo modo, che scorrono le ore del giorno come grani di un rosario:

    - otto ore per dormire;

    - otto ore per lavorare;

    - otto ore per gli altri.

    Ecco passate anche oggi le ventiquattro ore che mi sarebbero servite per diventare la mia leggenda personale. Tempo sottratto a quei semi esistenziali che servivano per far fiorire essenze che sarebbero servite a nutrire anima e spirito. Noi li chiamiamo hobby e proprio per questo non faranno quasi mai parte di un appuntamento sulla nostra agenda…

    Chiamiamo le cose per ciò che sono: sono un lusso! Fare ciò che ci piace è un lusso!

    Finiamo così per essere come matrigne cattive per noi stessi. Sogniamo di fare queste cose e, proprio perché le sogniamo, non si realizzeranno mai… se non, forse, quando andremo in vacanza, nella peggiore delle ipotesi quando saremo in pensione! E nel frattempo, in assenza di quei preziosi nutrimenti che ci avrebbero fatto sentire di esistere, che facciamo? Sopravviviamo e ci facciamo vivere dai bisogni altrui.

    Questo non è essere altruisti, è essere egoisti… poiché, ogni volta che anteponiamo i bisogni del prossimo ai nostri, non è per gentilezza ma per farci amare di più. Non è amore, è accondiscendenza, «zerbinaggio affettivo»!

    Non sbagliamoci, caro viandante. È un bluff, è una malattia terribile che non c’entra niente con l’amore. Malattia, questa, mantenuta in salute da anni di abitudini e credenze che ci hanno fatto credere che quello fosse amore. È in realtà un programma tossico e intossicante che arriverà a farci odiare gli amici e i nostri cari. Sì, perché a un certo punto non ce la faremo più a dedicare tempo agli altri, inizieremo a stare stretti nella nostra vita, quella che abbiamo costruito, che ci costringe a sopravvivere, a dover dare di continuo. Questo è il non amore.

    L’amore è dare quando e quanto senti di voler dare, e non impoverisce mai. Anzi, è gioia che fa aumentare l’amore nel moto del dare.

    Se non puoi dare così, non dare, o quello che offrirai a chi ami sarà tossico per te e per gli altri.

    Amore è imparare a mettere limiti, così non crei situazioni di schiavitù per le quali i tuoi cari si saranno abituati alla tua presenza e, in assenza di essa, non sapranno arrangiarsi. Questo – accorgiti! – non è amore, è manipolazione per tenere il prossimo alla nostra mercé. E ci lamentiamo pure…

    3.  L’ILLUSIONE DELL’INNAMORAMENTO

    Caro viandante, questa volta vorrei parlarti di una tematica lanosa e spesso mal percepita, quella sul grande evento che rivitalizza l’uomo: l’innamoramento.

    L’innamoramento non è vero amore. Capita, tuttavia, che ci confondiamo, rimanendo legati a trame fitte che oscurano elementi davvero interessanti. Spesso questo stato non è altro che il desiderio di avere per sé l’immagine che ci creiamo di una persona, un fenomeno che prende il nome di imago.

    Siamo rapiti, siamo malati da sindrome da innamoramento! In questa percezione distorta da come crediamo ci faccia sentire questa persona, frutto del nostro interesse, erriamo nell’illusione di amare, ma questo sentimento è falsato.

    Potrebbe accadere a chiunque, è molto facile: passa nelle vene e giunge al cuore fingendosi per sangue, invece si tratta di un’illusione talmente reale da sembrare autentico amore.

    Si potrebbe paragonare a un sogno, a un film che l’innamorato si crea come abile regista. In realtà ciò che la persona pensa di questo malcapitato non è ciò che egli è: la realtà si scopre poco a poco diversa poiché l’immagine non ha nulla a che vedere con l’individuo di per sé. Con il tempo e la conoscenza, con il viversi, la coppia scopre che le cose sono differenti da ciò che si pensava, e allora arriva la grande delusione che fa cadere col sedere a terra anche il più bravo pilota di volo che si conosca.

    Di cosa è fatto l’innamoramento? Esso è alimentato dai desideri di ciò che si vorrebbe per noi, viene allisciato da come crediamo di essere visti, da ciò che pensiamo che la persona pensi di noi. Questi desideri sono la fonte primaria di sofferenza poiché sono figli del disagio di essere scollegati dalla realtà. Vivremo in questo modo l’instabilità che porta alla sfiducia, e nelle successive relazioni proveremo l’insicurezza nei confronti del prossimo e della possibilità di essere o meno amati.

    L’innamoramento sembra, così, frutto dell’immaturità affettiva, mentre ancora si stanno facendo le prove. Nell’accorgerci comprenderemo le trappole e le potenziali evoluzioni dell’amore.

    L’innamoramento è un delizioso carburante di cui tutti siamo ghiotti perché ci fa provare forti emozioni e torniamo in questo modo a destarci, a sentirci vivi: ma è della vita stessa che dovremmo essere innamorati, e di tutto ciò che la contiene!

    Tra le caratteristiche primarie della «malattia da innamoramento» troviamo la falsata verità, o la distorsione della stessa, per evitare che l’altro si offenda o ci veda meno splendenti, così, in questo modo, si inizia a non dire le cose come stanno per paura che cada l’illusione, perché se cade l’immagine idealizzata finisce l’illusione e con essa ciò che si crede sia amore.

    Questa manipolazione della realtà è ciò che comunemente chiamo «innamoramento»: un modo che ci si procura vicendevolmente per alimentare il desiderio, per creare il bisogno, nutrendo l’attaccamento.

    Questo «sistema a base paura» è il contrario netto dell’amore perché – stai sicuro, viandante – dove c’è amore, amore vero, non c’è mai paura!

    Tutto ciò è frutto dei sistemi inculcati nell’educazione infantile, sostenuti dall’accondiscendenza e corroborati dalle insicurezze. Tutte queste attività di pensiero creativo-distruttivo andranno ad alimentare ammassi interi di egregore, che a loro volta tenteranno il prossimo (ne parlo anche nel mio libro Sincronicità - Tutto quello che non sai può essere usato contro di te, Anima Edizioni).

    Le persone fragili e insicure non vogliono davvero essere felici: esse non sanno cosa sia la vera felicità né ciò che occorre per perseguirla. Persone di questo genere temono la felicità stessa e la sua via, che è quella della libertà e del vivere l’amore con gioia in assenza di paura e «maniglie». Per questo motivo molte persone preferiscono la via della dipendenza affettiva, alimentando i falsi desideri e procurandosi quotidianamente, per sé e per gli altri, iniezioni di illusioni: imago, appunto.

    Quando siamo in questa posizione distorta e incontriamo, anche dopo molto tempo, qualcuno con cui iniziare una relazione, saremo subito spinti dalla paura di perdere, quindi metteremo in atto tutta una serie di circostanze che ci faranno, a nostra insaputa, caro lettore, proprio perdere.

    Tale fenomeno persisterà fino a quando non riusciremo a far nascere fiori diversi, fino a quando dentro di noi non inizierà a farsi strada un amore nuovo e autentico, incondizionato, nella totale accettazione dell’altro perché si è accettato per prima cosa se stessi, così come si è, con i propri chili di troppo o l’infinita magrezza, con l’alito invadente o i capelli crespi, e nel potenziare le nostre caratteristiche diveniamo unici e forti, quindi liberi.

    Nella libertà di se stessi, e nel sentirsi liberi di manifestare ciò che pensiamo senza temere di essere giudicati, noi ogni giorno alimentiamo l’amore perché, senza sforzarci, siamo già nell’amore.

    Questo momento di gioia avverrà quando non desidereremo più cambiare la persona con cui stiamo, senza programmarla a essere nella nostra vita per sempre o come vogliamo che lei sia.

    Quanta strada da fare, viandante! Cammini con me?

    4.  IL LASCIAR ANDARE E L’ATTACCAMENTO

    C’è qualcosa di stranamente difficile nel lasciarsi alle spalle gli insuccessi. La maggior parte di noi vive in uno strano stato di «sindrome da attaccamento a rifiuti tossici accumulati nel tempo e tenuti caramente conservati come valigie piene di gioielli». In realtà queste valigie sono piene di abiti invernali e di una taglia in meno di quella che ci serve, in piena estate!

    Accade che, piuttosto di viaggiare leggeri, preferiamo tenere con noi «cose». Non riusciamo a viaggiare senza valigia, ci sentiremmo stranamente liberi senza fagotti inutili, come chi accumula cose pensando che, chissà, un giorno gli potrebbero servire, finendo per imbottire il garage e ogni credenza di casa con una lunga serie di oggetti inutili.

    Siamo attaccati all’inutile e lo difendiamo come fosse parte di noi. Accade così che finiamo per tenere ricordi di progetti falliti, che andranno a plasmare di «paura di non farcela» i progetti del futuro.

    Accorgiti, viandante. Tu non sei il tuo insuccesso o il tuo rancore per ciò che ti hanno fatto precipitare addosso. Tu non sei la tua rabbia o ciò che pensi di te e del mondo.

    Però ti fai accadere la tua rabbia e il tuo rancore, e ciò che pensi di te e del mondo, quando mantieni in salute circostanze malate di cose che non hanno funzionato nel passato. Si finisce così per non vivere mai il tempo dell’adesso; tutti sono proiettati nel tempo del futuro (quando accadrà il nostro essere felice) o nel passato (quando è accaduto il nostro abbandono, il nostro fallimento)… Valigie pesanti, caro confidente!

    Eppure è assolutamente illogico tutto questo. Viviamo di momenti storici che, di fatto, non esistono più. Il passato non esiste più e perciò si chiama «passato», e il futuro deve ancora venire perciò ha questo nome. Eppure ci si sente dispersi a non portare eventi del passato nel tempo del divenire. Ci sentiamo senza ancore, senza maniglie, senza riferimenti, e poco importa se si tratta di programmi tossici e distruttivi.

    Non ci si accorge, ecco tutto. E se solo ci si ragionasse un po’ su, ci si renderebbe conto che è un fatto terribile quello che ci facciamo accadere in questo modo. Finiamo per risolvere problemi nuovi con vecchi metodi. Continuiamo a promettere cose che non ci appartengono, come appunto il futuro, e lo programmiamo con informazioni davvero nefaste come i traumi del passato.

    Si dovrebbe vedere le cose per quelle che sono e iniziare a lasciarle andare, per accogliere nel tempo dell’oggi – l’unico tempo che davvero ci appartiene – tutto quel nuovo che l’universo ci vorrebbe dare, se solo glielo permettessimo.

    Perversi attaccamenti a mali contagiosi. Gli eventi vanno vissuti per ciò che ci hanno offerto o tolto, tutto qua. Qualche volta è necessario aspettare per capire cosa sia successo. Qualche volta perdiamo e solo in futuro possiamo accorgerci che si trattava di un «favore karmico» da parte di un universo pieno di premure… anche se nel tempo dell’adesso non troviamo le parole.

    Vivendo ciò che offre l’adesso, senza valigie che appartengono a ieri, siamo davvero liberi di fare futuro, nell’attesa della rinascita di domani.

    Oggi, caro confidente, attrezziamoci per farlo… Per farlo ora, nel tempo dell’adesso!

    Chi rimane troppo nel canale di nascita è destinato alla necrosi.

    Sii sordo a chi porta avanti il pessimismo e il fastidio come carica per fare futuro.

    La fiducia nutre il tuo esistere. Non fidarti di chi te la toglie: è un essere tossico persino per se stesso!

    5.  IL RANCORE E L’ACCETTAZIONE

    Il rancore è un demone terribile, una valigia pesante che fa marcire il contenuto senza dare evidenti segni al contenitore.

    Accade allora che si marcisce sempre più da dentro, un po’ al giorno, contaminando gli eventi futuri con gli stessi sentimenti che da noi fluiscono come vibrazioni mute o appena, appena sentite. Quando ormai il contenitore si sfalda, è troppo tardi: si viene travolti dall’immondizia del ripieno… Cose da non credere, caro viandante!

    Ora non dico che, se qualcuno ci fa un torto, dobbiamo perdonare: questa è una «cosa da santi», da illuminati sulla via della trascendenza. Il perdono è un’arte, un talento, un miracolo. Esiste invece un modo più semplice, più fattibile e raggiungibile da tutti, o meglio da tutti quelli che si accorgono. Si tratta dell’accettazione.

    Accettare quello che ci è accaduto come qualcosa che doveva accaderci, che certo ci ha ferito ma non ci appartiene, che è un fatto, ma non è noi… Capire che è un’esperienza, un insegnamento… Un lasciar andare, senza essere abbandonati.

    Accettare

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