Segreto di Maria Maddalena
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Segreto di Maria Maddalena - Picasso Massimo
tempo.
CAPITOLO I
I ricordi d’infanzia di Maddalena, l’inquietante profezia di un indovino: Maddalena depositaria di un segreto che nessuno deve conoscere? La tragica morte del padre e l’incontro con Simone detto Pietro e con Giuda di Kerijot. Il Maestro
appare, per la prima volta, nella sua vita, sconvolgendola.
I primi ricordi che ho mi rimandano a mio padre. Lo rivedo come un uomo abbastanza giovane, alto, di spalle larghe, con i capelli lunghi e un sorriso dolce, un po’ malinconico Quando ebbi qualche anno di più, seppi che era vedovo e senza figli. Per vivere gestiva una taverna, di sua proprietà, vicino al lago Genezaret, in Galilea. Quando raggiunsi più o meno dodici anni, cominciai a chiedergli con insistenza di aiutarlo, facendo le pulizie e servendo ai tavoli. Non voleva saperne ma, alla fine, cedette. Continuava, comunque, a raccomandarmi di stare lontana dagli zeloti¹ che affollavano il locale e dai seguaci di strani profeti che sostenevano che la fine del mondo fosse vicina. Mio padre era un uomo rude, diretto, dedito al suo lavoro. Le profezie catastrofiche non lo interessavano affatto. Preferiva assicurare l’ordine nella sua taverna accompagnando rudemente alla porta chi aveva bevuto troppo o chi si permettesse confidenze eccessive nei miei confronti. Per lui ero, sempre e solo, la sua bambina
.
Un ricordo importante, che risale a quel periodo, riguarda l’incontro con un indovino egiziano che sosteneva di leggere il futuro in un vetro rotondo che rifletteva le immagini. Io guardai dentro quel vetro e vidi il viso di una ragazzina che mi spaventò, quasi che nascondesse qualcosa di oscuro. Anche l’indovino si mostrò preoccupato. Guardò con attenzione quel pezzo di vetro e: «Sei destinata ad avere più dolori che gioie, perché conoscerai un segreto che nessuno può conoscere» mi disse gettandomi in uno stato d’agitazione che è difficile da spiegare. La nostra Legge condannava sia la magia sia la divinazione e io mi sentivo in colpa per aver ceduto alle insistenze dell’indovino che era, senz’altro, una creatura demoniaca. Ricordo ancora l’espressione dei suoi occhi gialli. Era quella dei cani randagi che vivevano nel deserto.
Qualche mese dopo, avvenne una tragedia che mi costrinse a ricordare le parole dell’indovino. Stavo servendo del vino nella taverna di mio padre, quando due soldati romani mi mancarono di rispetto. La reazione di mio padre fu immediata. Ma quella dei due soldati romani fu brutale e inattesa. Uno dei due impugnò il suo gladio e si scagliò frontalmente contro mio padre colpendolo in pieno petto. Mio padre cadde a terra ancora vivo. Il soldato romano lo finì con un altro colpo senza che mio padre trovasse la forza di proteggersi dai fendenti. Nella taverna iniziò una rissa furiosa. Due galilei, Simone e Giuda di Kerijot (che si diceva fossero zeloti) snudarono i loro coltelli e si scagliarono contro i soldati romani. I romani erano più forti, ma i galilei avevano dalla loro la rabbia contro chi aveva calpestato la dignità delle loro donne. Dopo pochi minuti, i due soldati giacevano sul pavimento, sozzi di sangue, con le gole tagliate da orecchio a orecchio. Da morti sembravano più giovani di quanto apparissero da vivi. Mi fecero compassione.
«Bisogna eliminare le tracce di sangue e far sparire i cadaveri» disse Giuda. Simone si guardò attorno. Eravamo rimasti in tre. Tutti gli altri si erano dileguati. Tre vivi e tre morti. Solo allora mi resi conto di essere restata sola al mondo e fui presa da un attacco di pianto convulso. Mio padre, il mio grande padre, era morto per proteggermi. Istintivamente, cercai un po’ di calore stringendomi a Simone. Poi, il soffitto cominciò a girare sopra la mia testa e persi i sensi.
Le prime luci dell’alba si incaricarono di svegliarmi. Ci volle un bel po’ di tempo prima che mi rendessi conto che non si era trattato di un incubo. La presenza di Giuda e di Simone non poteva, purtroppo, che confermarlo. «Abbiamo eliminato ogni traccia di sangue» disse Giuda. «E i corpi?» chiesi.«Tuo padre riposa in pace nel suo orto, abbiamo composto con cura il suo corpo. Per quanto riguarda i due romani, ti posso assicurare che non li troveranno mai...» mi rispose Simone con un sorriso cattivo. Dopo pochi minuti, mi lasciarono sola. Dovevo riaprire la taverna e darmi da fare sia per non destare sospetti sia perché la vita proseguiva nella sua marcia spietata. Anche se mio padre mi aveva lasciata sola e disperata.
La vita riprese, infatti, quasi normalmente. Nessuno faceva domande e nessuno dava risposte come se niente fosse successo. Simone e Giuda smisero di frequentare la mia taverna con assiduità. Io servivo ai tavoli, sorridevo, cercavo di distrarmi per soffocare quel dolore violento che mi tormentava sia di giorno sia di notte. Malgrado i miei sforzi mi sentivo, comunque, priva di forze e non riuscivo neanche a recarmi nell’orto per portare un fiore a mio padre. Avevo paura di non riuscire a riprendermi. Di non tornare più quella che ero prima di quella notte maledetta che aveva cambiato la mia vita.
Fu in quel periodo che cominciai a udire le voci
. Mio svegliavo in piena notte, perché mi davano ordini, mi minacciavano o mi annunciavano castighi tremendi che erano in serbo per me. Io ascoltavo terrorizzata, con gli occhi spalancati. Temevo di crollare e di perdere la ragione. Avevo paura del buio, del vuoto e dell’ignoto. La morte mi appariva come l’unico mezzo per cancellare, di colpo, tutte le mie angosce e impedire alle voci di tormentarmi.
Intanto, la vita fuori dalla mia taverna procedeva nel peggiore dei modi. Gli scontri fra soldati romani e zeloti erano violentissimi con molti morti in entrambi gli schieramenti. Da parte mia, ero preoccupata per il fatto che la mia taverna fosse diventata un covo dove i rappresentanti delle varie forze in campo si riunivano per concertare, fra un boccale di vino e l’altro, le loro prossime mosse. Oltre gli zeloti, c’erano gli esseni² (misteriosi, colti ed esoterici) e i seguaci di Giovanni Battista³ che, dopo la sua morte, cercavano di mantenere vivo il suo messaggio.
Al centro di un lungo tavolo rettangolare, un uomo molto bello, con una lunga veste bianca, ascoltava tutti con attenzione sorseggiando lentamente vino denso e forte, di recente vendemmia. Era un giovane alto, dalle spalle larghe e dalle braccia vigorose, tipiche di chi ha conosciuto la fatica fisica. I capelli lunghi e castani si univano alla barba folta, di colore più scuro rispetto ai capelli. Fronte alta e occhi grandi e verdi. Sguardo fermo e intenso. Sorriso appena accennato, dolce e lievemente distante. Un giovane uomo discreto, gentile e silenzioso. Lo notai subito.
Chi era quell’uomo che i suoi discepoli chiamavano con deferenza Maestro o Gesù?⁴ Mentre servivo il vino i nostri sguardi di erano incrociati diverse volte. Avevo la sensazione che i suoi occhi riuscissero a penetrare nel mio cuore mettendo a nudo i miei sentimenti. Mi feci coraggio e: «Chi sei?» gli chiesi a un tratto. «Non disturbare il Signore!» intervenne Simone con tono di voce ostile. «Pensa, piuttosto, a portarci da bere!» mi sollecitò sgarbatamente Giuda di Kerijot. Ma Gesù disapprovò con un gesto i loro modi bruschi e mi guardò a lungo, dritto negli occhi, senza rispondermi. E, da quel momento, i demoni che mi tormentavano, con le loro voci, scomparvero. Gesù li aveva sconfitti e messi in fuga con un suo semplicissimo sguardo. Ma chi era questo giovane che comandava i demoni e, quindi, anche le loro maledettissime voci?
Per qualche mese, non vidi più quel misterioso Maestro della Galilea. Desideravo, però, rincontrarlo fino al punto che, spesso, mi sembrava che dal deserto procedesse verso la mia taverna. Ma era solo un’illusione ottica. L’amore che sentivo per lui faceva sì che i miei occhi vedessero immagini che non avevano riscontro nella realtà. Si trattava di fenomeni molto frequenti nel deserto dove rilievi di sabbia, a forma vagamente umana, apparivano e scomparivano in molti tratti dell’orizzonte.
Ma, un giorno, tutto cambiò...
Ricordo che era un pomeriggio afoso, quando qualcuno bussò alla porta della mia taverna che, a quell’ora, rimaneva chiusa. Sulle prime, non ci feci caso. Poi osservai che i colpi erano dati a intervalli regolari, quasi volessero trasmettermi una specie di messaggio segreto. Avevo una gran paura, ma trovai il coraggio di aprire la porta: davanti a me, Giuda di Kerijot mi sorrideva con fare complice «Facci mangiare – mi disse – siamo riusciti a seminare i romani, ma siamo digiuni da due giorni». Dissi di sì. Giuda fece cenno di entrare a quelli che lo seguivano. Riconobbi subito Simone che il Maestro chiamava Pietro.⁵ Dietro di lui, un uomo massiccio dallo sguardo tenero e protettivo che Giuda chiamava Giacomo. Quindi, un ragazzo alto e magro a cui Giacomo si rivolse chiamandolo Giovanni. Pensai che fossero fratelli, anche se non si assomigliavano affatto.
Erano tutti affamati. Si sedettero attorno a uno dei grandi tavoli mentre io iniziavo a cuocere del pane schiacciato a cui aggiunsi qualche ingrediente piccante per insaporirlo. Nell’attesa che si cuocesse, offrii del vino. Stavo giusto portando dei bicchieri di coccio, quando la porta si riaprì ed entrò una giovane donna con il viso quasi completamente coperto. Mi colpirono subito i suoi occhi talmente scuri che quasi non riuscivo a distinguerne le pupille. Mi abbracciò e si sedette vicino a Giovanni, il più giovane del gruppo. Pochi minuti dopo, il pane era pronto e tutti cominciarono a sfamarsi.
«Il Maestro dovrebbe essere già qui – disse a un tratto Simone detto Pietro – speriamo che i fratelli lo abbiano protetto come dovrebbero». Seguì qualche attimo di silenzio carico di tensione.
Dopo qualche minuto la porta si aprì e, davanti a noi, comparve, finalmente, Gesù. Ci voltammo, tutti, verso di lui.
Lo ricordavo più maturo rispetto a come mi appariva in quel preciso momento. Vedevo un uomo giovane e bello dal volto deciso e dai grandi occhi verdi dotati di sguardo magnetico. I capelli, castani e lunghi come quelli dei nazirei,⁶ la barba folta e leggermente in disordine. Si vedeva che era stanco e affamato, ma pronto a riprendere il suo cammino.
Avrei voluto chiedergli subito da dove venisse, cosa facesse, quale fosse la missione della sua vita, ma il cuore in tumulto me lo impedì.
Gesù salutò tutti con un sorriso sereno e si sedette