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Tutto è due: Una chiave universale per la risoluzione dei conflitti
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Tutto è due: Una chiave universale per la risoluzione dei conflitti

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“Tutto è due” rappresenta la naturale evoluzione del dibattito scientifico, spirituale e filosofico che si è sviluppato all’insegna di “Tutto è uno”. Basata su un’intuizione del tutto inedita e caratterizzata da uno stile chiaro, semplice e intuitivo, l’opera è consigliata a tutti coloro che sono animati dal desiderio di
comprendere il proprio ruolo nell’universo e partecipare alla creazione di un mondo di pace.
La pace è, prima di qualunque altra cosa, un sentimento. Questo sentimento per essere reale, duraturo e sostenibile, deve necessariamente essere condiviso da tutti. Non si tratta di un principio morale ma di un dato di fatto dal quale non possiamo prescindere: un singolo e microscopico frammento che viene escluso da un comune sentimento di pace dà inevitabilmente e inesorabilmente origine a un conflitto
destinato a propagarsi all’interno dell’intero sistema. Questo vale a livello individuale, famigliare, sociale, politico ed economico. Vale a livello universale. Per creare la pace dobbiamo innanzitutto imparare a conoscere ciò che ci separa che, nella realtà che sperimentiamo quotidianamente, appare spesso più forte di ciò che ci unisce.
Grazie a un’intuizione assolutamente inedita che chiarisce le origini della separazione, “Tutto è due” fornisce la chiave per accedere a un mondo caratterizzato da un potere diffuso e distribuito, basato sull’autorevolezza e sulla cooperazione e soprattutto sulle due fondamentali qualità dell’Essere che sono Amore e Libertà. Un mondo di tutti e per tutti, del quale andare fieri come essere umani.
LanguageItaliano
Release dateFeb 19, 2014
ISBN9788863652383
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    Tutto è due - Giovanna Campo Antico

    Libertà.

    Parte 1

    Le origini della separazione

    CAPITOLO 1

    LA COMPRENSIONE ATTRAVERSO L’ESPERIENZA

    Negli ultimi decenni, molte correnti scientifiche sembrano confluire verso l’idea spirituale di una Coscienza universale che ci accomuna tutti e che anima l’intero universo. Tuttavia, se osserviamo la realtà in cui viviamo, possiamo facilmente renderci conto che questo concetto stenta a diffondersi e a modificare radicalmente il nostro modo di relazionarci con noi stessi e con il mondo esterno. Questo risulta evidente se consideriamo la profonda crisi che affligge il pianeta, coinvolgendo l’ambiente, l’economia, la pace e gli equilibri sociali.

    Per molti il concetto di Coscienza universale resta una fantasticheria utopica e non una realtà intimamente connessa alla nostra stessa esistenza, in grado di guidarci verso un benessere globale: questo avviene sostanzialmente perché le informazioni che immagazziniamo rimangono sterili fino a quando non le rendiamo vive attraverso la nostra personale esperienza.

    Come avremo occasione di ribadire più e più volte nel corso di questo libro, di fronte a un’informazione che ci arriva dall’esterno possiamo adottare due differenti atteggiamenti:

    – delegare la comprensione del concetto a qualcun altro o, in altre parole, credere o non credere a ciò che ci viene detto;

    – rendere viva l’informazione attraverso l’esperienza e verificare personalmente il valore che ha per noi.

    Nel primo caso la nostra vita poggia su delle credenze, nel secondo caso si fonda sulla costante ricerca della verità.

    Questa scelta di fondo non va applicata solo alle informazioni che ci arrivano da altri, ma anche a quelle che derivano dalla nostra stessa percezione che, come ben sappiamo, è estremamente limitata.

    Poiché questo concetto è fondamentale per la lettura e la comprensione di questo libro, lo renderemo chiaro fin da subito con una semplice metafora.

    La maggior parte di noi è in grado di distinguere una boccia rossa da una blu. Al contrario, su un ipotetico pianeta Xireton sul quale gli abitanti distinguono solo il bianco e il nero, le stesse bocce sarebbero percepite così:

    La scienza potrebbe arrivare a dimostrare l’esistenza di una proprietà della materia chiamata colore, che determina la loro diversità, ma la mente degli abitanti di Xireton non sarebbe attrezzata per comprenderla, così come un sordo non è attrezzato per comprendere i suoni, una persona priva di olfatto non è attrezzata per comprendere gli odori e un individuo ben strutturato nato e cresciuto nella nostra società individualista non è attrezzato per percepire la Coscienza nell’universo o in una cellula.

    Il dato scientifico che identifica il colore come caratteristica distintiva delle due bocce rappresenterebbe un’informazione sterile e non inciderebbe in alcun modo sulle abitudini degli abitanti del pianeta.

    Un piccolo gruppo di visionari potrebbe tuttavia appassionarsi all’idea e iniziare a sperimentare personalmente gli effetti di questa misteriosa proprietà della materia, scoprendo ad esempio che la boccia rossa ha sul sistema nervoso di chi la maneggia un effetto eccitante mentre quella blu un effetto rilassante. Ed ecco che la percezione si amplia e il colore smette di essere un concetto sterile e privo di significato per diventare gradualmente una realtà che influisce realmente sul modo di vivere delle persone.

    Tornando sul pianeta Terra, se chiedessimo a una persona comune quali delle due seguenti immagini può essere utilizzata per rappresentare quattro persone in fila viste dall’alto, nella stragrande maggioranza dei casi la risposta sarebbe A.

    Ma, di fronte alla stessa domanda, un fisico quantistico o un mistico illuminato opterebbero probabilmente per la risposta B, che allude in qualche modo al fatto che siamo tutti connessi tra noi e all’ambiente in cui si svolge la nostra vita.

    Allora proviamo a porci nuovamente la domanda, cercando una risposta personale, conforme al nostro attuale livello di consapevolezza. L’unica risposta sincera per chi non ha approfondito la fisica quantistica e non ha delle capacità percettive fuori dal comune è non lo so. In verità, a livello personale, non abbiamo abbastanza elementi per stabilire se questa differenza di visione sia dovuta a un’interpretazione imprecisa della scienza, che in fin dei conti fino a poco tempo fa sosteneva che fosse il sole a ruotare attorno alla terra, o sia riconducibile a un limite della nostra percezione.

    La capacità di dire non lo so, l’onesta e umile ammissione della nostra ignoranza, è il prerequisito fondamentale per vivere le nostre esperienze con una maggiore apertura mentale, in modo che ci conducano a una comprensione più profonda di noi stessi e della realtà che sperimentiamo.

    ALCUNINON LO SO DA UTILIZZARE COME PUNTO DI PARTENZA

    Torniamo ora all’attuale paradigma scientifico che possiamo riassumere citando Max Planck, il fisico tedesco che ideò la teoria dei quanti. Secondo Planck Tutta la materia trae origine e vita solo in virtù di una forza… Dobbiamo presupporre che dietro a questa forza esista una Mente cosciente e intelligente. Quella Mente è la matrice di tutta la materia.

    Attorno a questa affermazione si è sviluppato negli ultimi anni un acceso dibattito, sfociato nella definizione di diversi modelli, nessuno dei quali ha trovato tuttavia una conferma definitiva.

    Nel corso di questo dibattito ci siamo lungamente interrogati sulla relazione che lega il singolo individuo al sistema complessivo, ma abbiamo trascurato di porci una domanda fondamentale che, come vedremo, conduce a un vero e proprio salto di paradigma:

    Che relazione c’è tra coscienza e intelligenza?

    Probabilmente ognuno di noi sente di poter affermare con una certa sicurezza di avere (o di essere?) un’intelligenza e una coscienza, ma se rinunciamo a consultare l’enciclopedia o il vocabolario e iniziamo a riflettere personalmente sul significato di questi due aspetti del nostro essere e sulla loro relazione reciproca, incappiamo nei primi punti interrogativi.

    A grandi linee possiamo definire l’intelligenza come la capacità di ragionare, risolvere problemi, adattarsi all’ambiente, intraprendere delle azioni, valutare, analizzare, misurare, definire e studiare noi stessi e il mondo in cui viviamo.

    Sempre in linea generale possiamo dire che la coscienza è intimamente legata all’essere, all’io sono, al senso del sé.

    Mentre l’intelligenza è un processo attivo in continua evoluzione che implica delle cause e delle conseguenze e che mette in relazione il nostro mondo interiore con un mondo esterno, la coscienza è più facilmente descrivibile come un sentimento intimo, privato e soggettivo che ci rende consci dell’esistenza.

    Queste definizioni tuttavia non sono sufficienti a spazzare via tutti i dubbi. Se escludiamo i computer e le forme di intelligenza artificiale, possiamo affermare che l’intelligenza può agire indipendentemente dalla coscienza? E la coscienza può esplicarsi indipendentemente dall’intelligenza? E se rivolgiamo la nostra attenzione al nostro mondo interiore, siamo in grado di stabilire se esiste un confine e una relazione tra intelligenza e coscienza e il modo in cui danno vita alla nostra individualità? Intelligenza e coscienza sono manifestazioni di uno stesso principio indissolubilmente legate tra loro o sono due aspetti separati del nostro essere che interagiscono e si fondono l’una nell’altra?

    E a queste domande dobbiamo aggiungerne altre. Quando pensiamo a noi stessi ci percepiamo come un individuo separato e ben definito anche se in realtà siamo costituiti da una colonia di organismi viventi, organizzati in modo da formare un’unica entità. Ogni essere umano è costituito da 50 000 miliardi di cellule che, proprio come noi, sono vive: nascono, si riproducono, muoiono e sono dotate di tutte le fondamentali funzioni vitali. Tutto ciò è governato da un’intelligenza intrinseca, l’intelligenza della cellula, e questo ci porta a porci altri quesiti:

    Che relazione c’è tra la nostra intelligenza e l’intelligenza delle cellule che ci costituiscono? Le cellule oltre a essere intelligenti sono coscienti?

    Dall’alto della nostra superiorità, che ci viene conferita dal fatto che siamo noi a gestire le relazioni tra le singole cellule e a permettere la loro esistenza organizzandole in modo da dare vita al meraviglioso organismo pluricellulare che siamo, potremmo affermare che le nostre cellule non sono dotate di una propria coscienza perché non sono dotate di libero arbitrio e la loro esistenza non è autonoma ma dipende interamente dalla nostra.

    Ma siamo proprio sicuri? Che differenza c’è tra noi e le cellule che ci costituiscono?

    Anche se il nostro libero arbitrio ci permette di scegliere dove e come vivere o come e con chi passare il nostro tempo, non ci permette certo di separarci dall’universo a cui apparteniamo. La verità è che, analogamente alle cellule del nostro corpo, non possiamo esistere se non circondati dalla natura che ci nutre, immersi nella nostra atmosfera riscaldata dal sole. Non possiamo vivere senza il campo elettromagnetico in cui siamo immersi o senza relazioni: senza scambiare una qualunque forma di energia con altri esseri umani.

    Tutto questo è regolato da un’intelligenza che permette la nostra esistenza organizzando le interazioni tra ogni singola particella che costituisce il nostro universo. E da qui possiamo domandarci: che relazione c’è tra la nostra intelligenza e l’intelligenza della vita che governa l’intero universo? E ancora: se noi che con la nostra intelligenza governiamo 50 000 miliardi di cellule siamo coscienti, può l’intelligenza della vita che governa l’intero universo non esserlo? Se l’universo fosse cosciente che relazione intercorrerebbe tra la nostra coscienza e la Coscienza universale?

    UNA NUOVA INTERPRETAZIONE DELLA FISICA QUANTISTICA

    Senza rimuovere tutti questi punti interrogativi, torniamo ora alla nostra ipotesi di universo cosciente e intelligente.

    Il dibattito attualmente in corso ha avuto origine con le rivoluzionarie scoperte della fisica quantistica, secondo le quali le particelle elementari che costituiscono la nostra realtà hanno un comportamento totalmente inconciliabile con la nostra percezione della realtà stessa. Questo comportamento, evidenziato da numerosi esperimenti, indica chiaramente che in qualche modo siamo strettamente connessi, collegati e partecipi all’universo che ci circonda e al quale apparteniamo.

    Prima di descrivere brevemente i due esperimenti che hanno aperto le porte a una nuova visione della realtà, cercheremo di comprendere il comportamento degli elettroni (unità fondamentali di materia) attraverso una metafora.

    Immaginiamo di poter sostituire il nostro armadio, che attualmente contiene 10 camicie, con un piccolo contenitore che racchiude una sola camicia potenziale totalmente informe. La nostra camicia potenziale assumerebbe taglia, colore e forma nel momento esatto in cui apriamo il contenitore e la osserviamo.

    Inoltre, la nostra camicia potenziale sarebbe strettamente connessa al maglione potenziale e alla gonna potenziale situati in contenitori separati, che assumono istantaneamente un colore e una forma adatti alla camicia che stiamo materializzando.

    A livello subatomico, al di fuori della nostra percezione, le cose stanno esattamente così. Uno dei più noti esperimenti che hanno messo in luce la profonda connessione tra la realtà osservata e l’osservatore che ne fa esperienza, è quello della doppia fenditura durante il quale si è constatato che un elettrone, un’unità fondamentale di materia, si comporta in modo differente a seconda che si trovi in presenza di un osservatore o meno. Più precisamente, in assenza di un osservatore, l’elettrone si presenta in forma di onda (o pura potenzialità) e in sua presenza si comporta come una particella materiale.

    A questo si aggiunge l’esperimento condotto da Alain Aspect, fisico francese, nel quale viene evidenziato il comportamento di due elettroni, con verso di rotazione opposto che, dopo avere interagito tra loro anche una sola volta, continuano a muoversi all’unisono tra loro, come se fossero comandati da un’unica leva. Anche separando i due elettroni l’uno dall’altro e portandoli a distanze enormi nel tempo e nello spazio, i rispettivi versi di rotazione restano sincronizzati tra loro e possono essere modificati attraverso un’osservazione intelligente. Osservando uno dei due elettroni, il senso di rotazione di entrambi si inverte istantaneamente e in modo totalmente sincronico.

    Questi esperimenti hanno messo in evidenza l’esistenza di un collegamento tra le singole parti che costituiscono l’universo nel suo insieme. Molte interpretazioni della fisica quantistica prevedono infatti un universo creato dinamicamente da un unico ente al quale tutti apparteniamo e al quale tutti partecipiamo, esattamente come le cellule del nostro corpo ci appartengono e partecipano alla nostra vita. All’interno di questo universo la separazione è soltanto illusoria.

    Con il diffondersi di questa nuova visione a diversi livelli, le nostre potenzialità creative e la connessione tra il singolo e il Tutto hanno iniziato a fornire spunti di riflessione anche alla psicanalisi, alla psicologia e alle nuove correnti New Age come il pensiero positivo e la legge di attrazione. Ma anche in questo ambito, come al livello della materia, nessuno dei modelli in auge è riuscito a chiarire in modo definitivo la nostra posizione e il nostro ruolo rispetto all’ecosistema globale a cui apparteniamo.

    Semplicemente manca un tassello e questo tassello risiede proprio nella relazione che lega coscienza e intelligenza. Il ragionamento che andiamo ad affrontare non è un semplice esercizio di stile, ma rappresenta un atto estremo dell’intelligenza, un atto attraverso il quale l’intelligenza dimostra a se stessa che esiste un confine che non potrà mai varcare, se non appellandosi alla coscienza. Il modello che rappresenteremo dimostra ciò che intuitivamente già sappiamo e cioè che la scienza e la tecnologia non potranno mai dare un significato alla nostra vita o renderci migliori come essere umani. Allo stesso modo, il modello implica anche che il benessere individuale e il benessere globale sono indissolubilmente legati tra loro e possono essere raggiunti soltanto attraverso un’intelligenza che opera al servizio della coscienza. L’intelligenza, da sola, non potrà mai risolvere le contraddizioni e i conflitti che affliggono l’umanità.

    È importante comprendere fin da ora che intelligenza e coscienza non sono due concetti astratti e che imparare a individuare il loro confine, la loro relazione e il modo in cui si fondono l’una nell’altra significa acquisire la capacità di trascendere i nostri limiti e approdare finalmente in un mondo più ospitale. Un mondo di tutti e per tutti.

    Dopo questa digressione torniamo all’esperimento della doppia fenditura per fornire una nuova interpretazione basata appunto sulla distinzione tra coscienza e intelligenza. Prendendo spunto dalla materia, arriveremo a costruire un modello che coinvolge i livelli superiori del nostro essere, quelli accessibili dalla nostra consapevolezza, per comprendere le modalità in cui il nostro pensiero, il nostro comportamento e il modo in cui esercitiamo il nostro libero arbitrio influenzano la realtà che viviamo, che non è affatto separata da noi.

    Abbiamo detto che il primo passo che dobbiamo compiere è quello di separare la coscienza dall’intelligenza. Anche se le percepiamo strettamente correlate tra loro, ipotizziamo che queste due funzioni siano di fatto distinte: mentre la coscienza è lo stato dell’essere, l’intelligenza è un processo in continua evoluzione. La coscienza, quieta e immobile, non tende a nulla: è un sentimento

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