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Galileo e il Vaticano
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Galileo e il Vaticano

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La storia del processo e della condanna di Galileo Galilei (1564-1642) continua ad essere un tema attuale.

Nel 1979 Giovanni Paolo II, seguendo il solco tracciato dal Concilio Vaticano II, manifestò il desiderio che teologi e storici esaminassero a fondo il caso Galileo.

Il risultato fu la creazione della Commissione di Studio del Caso Galileo, diretta, nella fase finale, dal cardinale Paul Poupard e chiusa solennemente in Vaticano nel 1992.

Questo libro ricostruisce minuziosamente, a partire dalla documentazione d'archivio, la traiettoria della Commissione e ne esamina criticamente i frutti. Viene così offerto agli studiosi un materiale inedito che permette l'adeguata valutazione dell'intento del Vaticano di affrontare con sereno spirito critico il proprio ruolo nel complesso caso Galileo, apportando nuova luce sulla sua secolare storia.
LanguageItaliano
Release dateSep 4, 2014
ISBN9788865123430
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    Galileo e il Vaticano - M. Artigas

    srl


    Prefazione

    Era il 1939 quando Bertolt Brecht pubblicava per la prima volta il suo celebre dramma Das Leben Galilei. In realtà più che «la vita di Galileo», al famoso drammaturgo tedesco interessava il «mito» di un personaggio detestato dalla Chiesa e santificato dalla scienza. Non per nulla Brecht si accanirà attorno a quell’immagine trasformandola secondo le revisioni successive del dramma, quelle del 1943 e del 1955 (ormai alle soglie della morte, avvenuta nel 1956), anche sulla base delle interpretazioni del noto attore inglese Charles Laughton (1899-1962) a cui era stato affidato il compito di incarnare Galileo.

    Si delineavano, così, volti diversi del grande scienziato. Ora si rivelava come l’egoistico tutore della sua serenità personale o come l’astuto gestore della situazione, scegliendo la via della ritrattazione scandita dalla indimenticabile battuta: «Infelice quel paese che ha bisogno di eroi!». Ora, invece, si manifestava come un personaggio timoroso che tradiva la sua missione di scienziato libero, divenendo il capostipite ideale degli scienziati atomici asserviti al potere. Ora Galileo si trasformava nel combattente della libertà intellettuale, assertore della nuova fede nella scienza, convinto che «i cieli sono vuoti», privi di ingombranti divinità, divenendo così il vessillo della libera ricerca che, come programma di verità, avrebbe adottato il motto paradossale: «Metteremo in dubbio tutto, tutto!...».

    Abbiamo voluto evocare con ampiezza questo ritratto polimorfo dello scienziato toscano – così come avremmo potuto fare col noto film Galileo di Liliana Cavani (1968) – perché egli, al di là della sua vicenda particolare, si è trasformato in un simbolo costantemente riportato sotto i riflettori dell’opinione pubblica come emblema dell’arduo e cruciale confronto tra scienza e fede. È proprio in questa luce che Giovanni Paolo II ha voluto che «la tragica e reciproca incomprensione» consumatasi tra la Chiesa e la scienza nell’avventura processuale che coinvolse Galileo, fosse una delle confessioni di peccato nella «giornata del perdono» del Giubileo del 2000. Già durante il Concilio Vaticano II non erano mancate voci di Padri che desideravano promuovere un simile gesto e, anche se non si approdò a un risultato condiviso, nel numero 36 della Gaudium et spes, il Concilio deplorò «certi atteggiamenti mentali – che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani – derivanti dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza», e in nota si faceva esplicito riferimento alla biografia di Pio Paschini dedicata alla Vita e opere di Galileo Galilei, pubblicata dalla Pontificia Accademia delle Scienze proprio l’anno prima, nel 1964.

    Effettivamente una serie di dati storici, come l’abiura forzata dello scienziato pisano, l’accanimento del Sant’Uffizio su una questione a prima vista secondaria (anche se l’impianto ermeneutico sotteso era rilevante), le successive inerzie dell’autorità ecclesiastica – che conservò nell’Indice dei Libri Proibiti le opere di Keplero, Copernico, Zuñiga, Foscarini e Galileo fino al 1835 – costituiva una ferita aperta che esigeva di essere cicatrizzata. Era stato proprio per questa ragione che nel maggio 1981 Giovanni Paolo II aveva deciso di istituire una Commissione ufficiale vaticana che facesse luce sull’intera vicenda galileiana. Il libro che ora presentiamo è appunto la minuziosa e accurata ricostruzione della storia di questa istituzione i cui lavori si conclusero nel 1992. Lavori tutt’altro che facili e pacifici, proprio a causa della complessità della questione, molto più intricata e variegata di quanto supponesse il «mito» cui sopra accennavamo.

    La documentazione, conservata negli archivi del Pontificio Consiglio della Cultura, è stata vagliata con rigore dai due studiosi spagnoli autori di questo saggio, il Prof. Mariano Artigas e mons. Melchor Sánchez de Toca, così da poter delineare l’itinerario di questa ricerca, i suoi snodi capitali, gli intoppi e gli esiti finali. Esiti suggellati alla fine dai discorsi del Presidente della Commissione, il card. Paul Poupard, e dello stesso Papa, che riconobbero la validità di un lavoro imponente e delicato. Non mancarono, però, critiche anche severe da parte di alcuni studiosi che videro in filigrana un sottile ma, a loro avviso, maldestro tentativo apologetico di esonerare i Papi Paolo V e Urbano VIII dalla loro responsabilità ultima nei processi del 1616 e del 1633 e di giustificare il comportamento della Chiesa attraverso una salomonica assegnazione di colpe: Galileo fu un esegeta più acuto dei suoi giudici, i quali furono però più perspicaci nell’impostare la differenza epistemologica tra teoria e realtà. Certo è, però, che – come attestano le parole conclusive del card. Poupard – si raggiungeva il riconoscimento netto dell’errore commesso, venendo così incontro alle esigenze di quella purificazione della memoria che aveva voluto Papa Giovanni Paolo II.

    In questa linea, per una più piena e serena disamina della questione, proprio in occasione dell’attuale quarto centenario delle rilevazioni galileiane col cannocchiale, auspichiamo una nuova e integrale pubblicazione di tutto il materiale processuale coi relativi allegati in possesso dell’Archivio Segreto Vaticano e della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella consapevolezza del mai sopito vigore polemico che accompagna l’evocazione del ‘Caso Galileo’ e del suo valore altamente simbolico. Infatti, anche se ben diverse sono ora le coordinate storiche e scientifiche e ben differente è il merito dei problemi dibattuti (allora era una questione fisico-esegetica, ora si è in presenza di conflitti etico-scientifici), la vicenda che coinvolse lo scienziato toscano è rimasta un paradigma esemplare a cui si rimanda instancabilmente e che non può essere accantonata attraverso la pura e semplice analisi storiografica.

    Tuttavia non è neppure corretto tenere aperto in seduta permanente il tribunale della storia quale ultimo e definitivo appello. Sulle macerie degli errori del passato è necessario edificare un diverso approccio tra scienza e fede, inaugurando un nuovo confronto e dialogo che neutralizzi, da un lato, la tentazione del teologo di perimetrare i campi della ricerca scientifica e di finalizzarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Un dialogo che, dall’altro lato, faccia abbandonare allo scienziato l’orgogliosa autosufficienza che gli fa relegare la teologia nel deposito dei reperti di un paleolitico intellettuale. È evidente che questo itinerario sarà tutt’altro che piano, anzi sarà irto di inceppi e di ostacoli, e teologi e scienziati dovranno tener presente il consiglio che Galileo suggeriva nel suo Saggiatore: «Quando ci si trova davanti a un ostacolo, la linea più breve tra due punti può essere anche una linea curva». Certo è che una dose di umiltà servirà a tutti, contro ogni velleità di prevaricazione, soprattutto di fronte alla complessità e alla maestosità dell’essere e dell’esistere, proprio come ammoniva – sempre nella stessa opera Galileo – marcando in questo caso la sua personale fede limpida e intatta: «Infinita è la turba degli sciocchi, cioè di quelli che non sanno nulla; assai sono quelli che sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualche particella; uno solo, Dio, è quello che sa tutto».

    Roma, 10 gennaio 2009

    IV centenario delle prime scoperte astronomiche del Galileo

    Gianfranco Ravasi

    Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

    CAPITOLO I

    Solennità in Vaticano

    31 ottobre 1992

    Sala Regia, Vaticano

    Sulla prima pagina de L’Osservatore Romano domenica primo novembre 1992 campeggiava la notizia principale: «Appartiene ormai al passato il doloroso malinteso sulla presunta opposizione costitutiva tra scienza e fede».¹ Il messaggio era inequivocabile. A tal fine, undici anni prima era stata costituita una Commissione speciale che si occupasse del caso Galileo. Ciò che papa Giovanni Paolo II si aspettava da quella Commissione era di poter proclamare ai quattro venti proprio quello che il giornale vaticano diceva quel giorno. Vi era anche un richiamo ai teologi, dato che nel sottotitolo si leggeva: «La tragica incomprensione sul caso Galileo insegna che è un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche».²

    Vaticano, Sala Regia, 31 ottobre 1992. Padre George V. Coyne SJ legge il suo saluto a Giovanni Paolo II nella solenne chiusura dei lavori della Commissione galileiana.

    La cronaca del giornale vaticano riguardava un atto celebrato il giorno precedente, sabato 31 ottobre 1992, nella Sala Regia del Vaticano.

    1. Uno scenario solenne

    Il Vaticano si vestì dei suoi abiti migliori per l’avvenimento, che si sarebbe svolto nella Sala Regia. Come indica il nome, si tratta di un luogo particolarmente solenne; viene ad essere un gigantesco atrio prima dell’entrata alla Cappella Sistina. Vi si accede per la Scala Regia, opera del Bernini. Si chiama ‘Regia’ perché era la sala destinata ad accogliere i re o i loro ambasciatori, così come la Sala Ducale accoglieva i duchi o i loro ambasciatori (per esempio, il Granduca di Toscana, equiparabile ad un principe). Vi si celebravano inoltre atti di speciale solennità, come le canonizzazioni o il conclave per l’elezione di un nuovo Papa.

    La Sala Regia fu fatta costruire da papa Paolo III (1534-1549), che apparteneva alla nobiltà romana, essendo un Farnese, e da qui la presenza dei gigli nella decorazione del soffitto a cassettoni e nel fregio. Paolo III affidò ad Antonio da Sangallo la nuova distribuzione della zona dei Palazzi Vaticani in cui si trova la Sala Regia, «la quale opera si può mettere per la più bella e la più ricca sala di tutto il mondo» come ci dice il Vasari, che vi dipinse alcuni degli affreschi.

    La decorazione illustra episodi importanti delle relazioni tra il papato e il potere temporale. Uno degli affreschi rappresenta l’imperatore Enrico IV che si riconcilia con papa Gregorio VII a Canossa, il 28 gennaio 1077, ed è opera di Federico Zuccari. Un altro rappresenta la Pace di Venezia del 1177, con cui venne tolta la scomunica all’imperatore Federico I Barbarossa. Due grandi affreschi del Vasari rappresentano la Battaglia di Lepanto e furono dipinti nel 1572, l’anno dopo la battaglia. Vasari dipinse anche tre episodi della famosa Notte di San Bartolomeo, il massacro degli ugonotti avvenuto in Francia nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572. A quanto pare, la versione giunta a Roma della notizia di quel massacro, filtrata dalla regina di Francia, Caterina de Medici, lo presentava come un atto di legittima difesa davanti al complotto tramato contro la famiglia reale dai protestanti, che avrebbero tentato di prendere il potere in Francia. Questo spiega perché la memoria di quel terribile massacro abbia trovato accoglienza nella Sala Regia. Nella sua composizione d’insieme, la Sala Regia può essere considerata un esempio perfetto del Manierismo, lo stile di transizione tra il Rinascimento classico dei primi del Cinquecento e il Barocco del Seicento.

    Per la costruzione e la decorazione della Sala Regia furono necessari quasi trent’anni; venne finalmente inaugurata da papa Gregorio XIII il 21 maggio 1573. Galileo aveva allora nove anni. Molte delle meraviglie che oggi ammiriamo a Roma furono fatte durante la vita di Galileo e sono in qualche modo collegate alla sua fortuna. L’impronta di Galileo a Roma si può scoprire dappertutto. Ora anche nella Sala Regia, poiché l’atto del 31 ottobre 1992 segnò una data molto importante nella storia del caso Galileo.

    La Sala Regia, la più ricca e imponente sala di udienze del Palazzo Apostolico, venne scelta come cornice per la solenne sessione di chiusura della Commissione di studio del caso Galileo proprio per il suo significato di luogo d’incontro tra la Chiesa e i popoli della Terra. Qualcuno potrebbe pensare che si trattasse di un sottile e disperato tentativo di riaffermare la supremazia dello spirituale sul temporale, ma certo non fu questa l’intenzione di Giovanni Paolo II. Se gli affreschi che furono scenario del suo discorso su Galileo rappresentano la vittoria del papato sul potere secolare, il discorso di Giovanni Paolo II, che riconosce davanti ai rappresentanti delle nazioni gli errori commessi dai giudici di Galileo, costituisce un esempio eloquente della situazione esattamente opposta.

    L’atto del 31 ottobre 1992 fu particolarmente solenne non solo per il luogo in cui venne celebrato, ma anche per il fatto che vi parteciparono personalità di altissimo profilo. Erano presenti i membri della Pontificia Accademia delle Scienze, prestigiosi scienziati provenienti da ogni parte del mondo, scelti per i loro meriti professionali e indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Quel giorno celebravano una sessione plenaria e il Papa scelse quell’occasione per pronunciare il suo discorso su Galileo. Erano inoltre presenti i capi del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, così come numerose personalità ecclesiastiche, compreso il Segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano. In definitiva, all’atto prese parte una scelta rappresentanza del mondo ecclesiastico, del mondo scientifico e di quello politico.

    2. Un caso superato ma ancora attuale

    L’Osservatore Romano del primo novembre riportava ampiamente e con risalto la notizia dell’avvenimento. In prima pagina, oltre ai titoli già citati, c’era una fotografia della celebrazione e un riassunto del discorso del Papa in sette punti principali. Le informazioni proseguivano poi alle pagine sei, sette, otto e nove, corredate da altre undici fotografie; venivano riportati il testo integrale del discorso del Papa in francese, con la traduzione in italiano, e gli interventi del gesuita padre George Coyne e del cardinale Paul Poupard.

    Come vedeva il quotidiano vaticano i lavori della Commissione e l’atto di chiusura? I titoli non lasciano dubbi: per il Vaticano era tempo di voltare pagina; il caso Galileo era ormai superato e apparteneva al passato. Tuttavia i sette punti che L’Osservatore Romano metteva in risalto in prima pagina mostravano la grande complessità del caso e le sue notevoli implicazioni, vive anche nell’epoca presente. Questi sono, alla lettera, i sette punti:

    [1] Il «caso Galileo» sembrava superato, ma il problema resta d’attualità poiché tocca la natura della scienza e quella del messaggio della fede.

    [2] La prima questione è quella della ermeneutica biblica. Si tratta di situare correttamente il problema posto dal passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo. I teologi devono interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura.

    [3] La seconda questione è di ordine pastorale: di fronte ad una nuova acquisizione della scienza occorre saper vincere alcune abitudini del pensiero ed inventare una pedagogia appropriata senza precipitazione e senza timore.

    [4] L’analoga crisi del secolo scorso: lo storicismo in campo biblico si è scontrato con la fede cristiana.

    [5] Il «caso Galileo» ha costituito una tragica incomprensione. In questo caso si può trarre un insegnamento che è di attualità: spesso una visione più larga permette di superare una opposizione che sembra irriducibile.

    [6] Le diverse discipline del sapere richiedono una diversità di metodi.

    [7] Il contributo della Pontificia Accademia delle Scienze nel campo che le è proprio: discernere nello stato attuale della scienza ciò che può essere considerato come verità acquisita. Molte scoperte hanno una incidenza diretta sull’uomo stesso.³

    Colpisce il fatto che, per il quotidiano vaticano, il caso Galileo sia, da un lato, superato e appartenga definitivamente al passato, ma che, dall’altro, produca ancora rilevanti conseguenze ai nostri giorni. È un chiaro indice della complessità dell’intera vicenda del caso Galileo. Si vuole voltare pagina, sì, ma si è anche profondamente consapevoli che è necessario averne estratto lezioni importanti per il nostro presente.

    3. Il Vaticano ha realizzato il suo proposito?

    Il Vaticano desiderava voltare pagina, desiderava cioè che il caso Galileo smettesse di essere considerato la manifestazione di un inevitabile conflitto tra la Chiesa e la scienza. In parte vi riuscì. La stampa mondiale si fece eco dell’avvenimento, non solo con delle cronache ma anche con articoli di opinione dedicati a commentare il significato dell’atto. La reazione della stampa fu abbastanza positiva, anche se non mancarono commenti ironici. Un giornale francese scrisse che affermare che la Terra gira intorno al Sole non è più un sacrilegio; un altro disse che era scandaloso che una Commissione avesse impiegato tredici anni per concludere che Galileo aveva ragione.

    Senza dubbio suscita stupore che la Chiesa cattolica dedichi tanta attenzione a dei fatti che si svolsero tra il 1615 e il 1633. Perché tanta agitazione attorno a Galileo? Perfino i cattolici più ferventi, che affermano che la Chiesa è santa per il suo fine e i suoi mezzi, aggiungono che essa è composta di uomini di carne e ossa, uomini che, nel corso della storia, sono stati protagonisti di azioni che lasciano piuttosto a desiderare. Anche ammettendo che le autorità ecclesiastiche si siano sbagliate con Galileo, che cosa ha mai di speciale il suo caso per continuare ad essere oggetto di una così grande attenzione a distanza di secoli?

    Il caso Galileo è emblematico per vari motivi. Uno di questi è che Galileo può essere considerato il padre della scienza moderna. Oggi viviamo in una civiltà scientifica. La scienza naturale ha cambiato il corso della storia umana, offrendo una conoscenza e un dominio sulla natura che hanno trasformato le condizioni della nostra esistenza. Gli esperimenti sono la cartina di tornasole delle teorie scientifiche. Siamo liberi di proporre nuove teorie e la creatività ha una funzione centrale nella scienza, però dobbiamo dimostrarle. La scienza naturale non riconosce dogmi che non sottostiano alle esigenze di questo metodo. Le sue teorie devono sempre restare aperte ad un’eventuale, possibile refutazione. In definitiva, la scienza sperimentale moderna ha promosso modi di pensare e di agire che hanno trasformato la vita umana e che non sembrano lasciare molto spazio agli argomenti basati sull’autorità, sulla fede o sulla tradizione. È stato ripetutamente affermato che la scienza è incompatibile con la religione, in cui autorità, fede e tradizione giocano un ruolo centrale, e Galileo viene presentato come l’esempio migliore di tale incompatibilità: non è forse vero che, quando nel secolo XVII stava nascendo la scienza moderna, l’autorità della Chiesa condannò Galileo per le sue teorie scientifiche e non riconobbe l’autonomia della nuova scienza? Non è forse ancora presente lo stesso pericolo nel nostro tempo d’oggi, in cui il progresso scientifico si vede sottoposto a criteri che non appartengono all’ambito della scienza?

    La questione non è semplice. Molto è stato scritto sul caso Galileo. Cosa si poteva dire di nuovo? Facile riconoscere che vi furono degli errori da parte dei giudici di Galileo, ma tale ammissione non era affatto una novità. Valeva la pena intraprendere nuovi studi? Il punto di arrivo era chiaro: dissipare diffidenze e sospetti ancora esistenti nei confronti della Chiesa su temi scientifici. Ma si poteva raggiungere quel risultato studiando per l’ennesima volta un caso che aveva avuto luogo trecentocinquanta anni prima? Il caso Galileo è piuttosto lungo e complicato. Si sarebbe riusciti ad arrivare a delle conclusioni che tutti potessero condividere?

    Esiste una comunità invisibile di specialisti di Galileo. Non è una società né un’accademia con soci o membri, ma è ben noto chi sono i maggiori specialisti; in occasione di anniversari e ricorrenze speciali vengono organizzati congressi nazionali o internazionali, di cui poi vengono pubblicati gli atti. Esistono opere di riferimento che ogni specialista di Galileo conosce e cita correttamente. Esistono problemi aperti che forse non si giungerà mai a chiudere poiché non esistono tutti i dati necessari, e gli specialisti sanno quali sono. Alcuni specialisti manifestano chiaramente le loro inclinazioni a favore o contro la Chiesa; altri si concentrano esclusivamente su aspetti scientifici o storici; molti si pronunciano sul significato del caso Galileo nella storia dell’umanità. Non è infatti un caso tra gli altri: è un caso emblematico in cui confluiscono grandi linee di forza della storia d’Occidente. Un lavoro a fondo sul caso Galileo dovrebbe tener presente l’esistenza di questa comunità di studiosi sempre pronti ad approfondire ulteriormente le ricerche, a criticare affermazioni che contraddicano i dati storici e a proporne nuove interpretazioni. D’altra parte, non si può scartare l’ipotesi che dagli archivi vaticani emergano nuovi elementi, tali da rendere obbligatoria l’introduzione di nuove letture e interpretazioni.

    Quest’ultimo aspetto è cruciale. Il processo a Galileo è ben documentato, ma i documenti appartengono al Sant’Uffizio, all’Inquisizione Romana, che lavorò sempre sotto la consegna del più rigoroso segreto. I suoi procedimenti erano ben regolati e tutto obbediva a norme precisamente stabilite, ma ciò che accadeva durante i processi non poteva essere rivelato a nessun altro all’infuori degli appartenenti, per incarico, al ristretto numero di coloro che dovevano intervenire al processo. Di fatto, il processo a Galileo ebbe luogo nel 1633 e i documenti del processo non vennero pubblicati fino al secolo XIX, e, all’inizio, solo parzialmente. Venne concesso ad alcuni studiosi di consultarli, ma l’archivio del Sant’Uffizio era chiuso e vi si poteva accedere soltanto con molte restrizioni e con un permesso speciale. In queste condizioni, uno dei dubbi che aleggiavano nell’aria riguardava l’ipotesi che esistessero altri documenti che avrebbero potuto gettare nuova luce sul caso. Quando, nel 1979, il Papa manifestò il suo desiderio che il caso venisse riesaminato radicalmente, questo era un punto centrale. Si sarebbe potuto consultare a fondo gli archivi per avere la sicurezza di conoscere tutti i dati del processo?

    Si voleva fare la pace tra scienza e Chiesa, per stabilire tra di esse una positiva collaborazione. Ma con chi? Con l’opinione pubblica? Con gli scienziati? Con gli esperti di Galileo? Con tutti costoro simultaneamente?

    L’opinione pubblica si fece portavoce del desiderio del Vaticano. La stampa mondiale riportò il dato: il Vaticano riconosceva che la condanna di Galileo era stata uno sbaglio. Si poteva concludere che il Vaticano aveva realizzato il suo proposito. Ma l’opinione pubblica non vive solo di giornali, tenuti a dare le ultime notizie, e le più ghiottamente aggiornate. L’opinione pubblica dipende anche dagli specialisti, che sono più lenti. Uno specialista può metterci dei mesi, addirittura degli anni, a pubblicare un libro o un articolo, ma quando lo pubblica esso ha serie ripercussioni sull’opinione pubblica. Nel nostro caso, gli specialisti di Galileo son venuti pronunciandosi lungo gli anni, a partire dal 31 ottobre 1992. E in varie occasioni hanno criticato il modo di agire della Commissione e i discorsi pronunciati dal cardinale Poupard e da Giovanni Paolo II nella solenne sessione di chiusura dei lavori della Commissione.

    4. Buona volontà, mezzi insufficienti

    Nell’atto del 31 ottobre 1992 giungeva al culmine un processo iniziato nel 1979, quando Giovanni Paolo II manifestò il desiderio che si studiasse a fondo il caso Galileo per dissipare diffidenze e sospetti ancora esistenti nei confronti della Chiesa. Per realizzare tale desiderio, Giovanni Paolo II creò, nel 1981, una Commissione che esaminasse il caso, con l’intenzione di riconoscere gli errori compiuti. I lavori di questa Commissione durarono undici anni. E fu esattamente durante la sessione solenne celebrata nella Sala Regia in Vaticano, il 31 ottobre 1992, che il cardinale Poupard presentò a Giovanni Paolo II le conclusioni dei lavori di quella Commissione.

    Si potrebbe pensare che la Commissione abbia avuto un’organizzazione molto elaborata e che abbia lavorato per lunghi anni sulla base di un piano ben preciso. Nulla di più lontano dalla realtà. I membri della Commissione si trovarono ad affrontare l’enorme quantità di problemi relativi al caso Galileo dovendo comporre il nuovo incarico con altri lavori. Non ebbero nessun mandato di dedicazione esclusiva. Non furono creati nuovi strumenti per facilitare il lavoro. Non esisteva una chiara meta da raggiungere. Nel 1979 il Papa non aveva detto nulla circa la creazione di una Commissione, aveva semplicemente espresso un desiderio di ampio respiro che poteva esser realizzato in molti modi. La Commissione fu creata due anni dopo ma non ebbe mai obbiettivi troppo concreti, orientandosi piuttosto su direttrici molto generali, e la sua fortuna dipese da mille fattori che cadevano fatalmente fuori dal controllo dei suoi componenti. Non essendo un organismo propriamente detto ma un insieme di persone che al proprio abituale lavoro aggiunse l’interesse a produrre risultati sulla linea espressa dal Papa, non esistevano meccanismi per assicurare l’efficacia di un simile lavoro, come non ne esistevano per sostituire coloro che, col passar del tempo, poco potevano fare poiché impediti o da altri lavori, o dall’età, o dalla salute.

    Nonostante tutto, i lavori della Commissione produssero risultati notevoli e servirono a dare nuovo impulso al desiderio di fare maggiore chiarezza sul caso Galileo. Quell’impulso diede inoltre, più tardi, altri risultati, e alcuni veramente importanti, quando la Commissione aveva già cessato di esistere.

    A formare parte della Commissione furono designate persone di riconosciuto valore. Tuttavia, per ottenere un risultato che gettasse davvero nuova luce sul caso Galileo, ci sarebbe voluto qualcos’altro. Basti pensare a ciò che accade nelle scienze. Per raggiungere un risultato importante è necessaria la collaborazione di molti scienziati che facciano una serie di esperimenti per un tempo piuttosto lungo in centri di ricerca sofisticati e costosi. Il fisico Carlo Rubbia fu insignito del Nobel per la fisica nel 1984 per la scoperta delle particelle W e Z al CERN di Ginevra (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire). Per ottenere quel risultato ci voleva un fisico come Carlo Rubbia, profondo conoscitore sia della teoria fisica sia degli esperimenti necessari per

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