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Gigiballa
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Gigiballa

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Due racconti autobiografici scritti con sapiente ironia, che offrono due spaccati della vita dell’autore, a partire dal boom degli anni sessanta con una delicata storia d’amore, per finire alle vicende dei giorni nostri, con lo spinoso problema della sanità, in riferimento particolare alla psichiatria.

Due momenti degli ultimi sessanta anni separati da una pausa, una frattura, dove le speranze, le aspirazioni, i sogni, spesso si sono rivelati delusioni, frustrazioni, momenti di ricerca di noi stessi.

Due storie di una stessa storia, vissuta a Livorno, dove i tempi passati e presenti, vengono descritti in maniera diaristica con ironia ed ottimismo, anche laddove non ce ne sarebbero gli estremi.
LanguageItaliano
Release dateOct 26, 2015
ISBN9788893211369
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    Gigiballa - Andrea Vanni

    GIGIBALLA.

    Gigiballa vive nella mente e nel cuore di tutti i livornesi passati per il Parterre, il vecchio giardino zoologico, ora adibito a verde pubblico.

    E come la vita di quest’ orso bruno si è intrecciata con le vicende cittadine, altrettanto è accaduto per le storie riportate in questo mio scritto.

    LA BELLA ETA’

    L’ inizio.

    …… cinque, quattro,tre,due, uno, zero !!! Booohm!

    L’ esplosione scoperchia il cassonetto dell’ immondizia, proiettandone parte verso l’alto, poi una lunga sequenza di scoppi, accompagnata dall’ odore acre della polvere pirica.

    Un lampo, seguito da una nuvola nera di fumo, per un attimo illumina il gruppetto di ragazzi che stanno intorno, mettendo in risalto la soddisfazione dipinta sui loro volti: il lavoro è perfettamente riuscito.

    E’ la mezzanotte dell’ ultimo giorno dell’ anno 1963 e di questo tenore erano le trasgressioni di quei tempi.

    Facevo parte di quello sparuto gruppo di ragazzi, di età compresa fra i tredici e i quattordici anni, che, dopo il fattaccio si ritirarono nelle loro case alla tarda ora di mezzanotte e mezzo, dopo aver tracannato per l’ occasione alla bottiglia, un dolcissimo spumante italiano di gradazione 9 e mezzo, acquistato, a basso costo, non senza un pò di vergogna, al supermercato della Coop.

    Quella sera non avrei mai immaginato come il corso dell’ anno, che andava ad iniziare, avrebbe condizionato il resto della mia vita.

    L’ idea di festeggiare l’ ultimo giorno dell’ anno con una bella ‘botta’ al cassonetto era stata, come succedeva sempre quando veniva organizzato qualcosa di proibito e di trasgressivo, di Aldo, il più grande di noi, con i suoi quindici anni suonati, rispetto agli altri che si dibattevano fra i quattordici ed i tredici, come me.

    Aldo, soprannominato anche ‘Nasello’, in virtù di un naso adunco esageratamente pronunciato, condizioni economiche precarie , padre pensionato delle ferrovie dello stato, casa minima popolare, genitori anziani segnati irrimediabilmente dalla disgrazia di una figlia persa in un incidente stradale, subisce pesantemente l’ ambiente psicologicamente depresso di casa sua e la mancanza perenne di soldi, anche a confronto delle condizioni economiche di tutti gli altri, non agiatissime, ma abbastanza soddisfacenti e tranquille, tipiche della media borghesia di quegli anni in pieno boom economico.

    Ragazzo simpaticissimo e affabile, reagisce sfruttando queste sue qualità, cercando il suo riscatto attraverso una serie di atteggiamenti e di comportamenti, sempre sopra le righe , con la finalità di mettersi in mostra e porsi all’attenzione di tutto il gruppo, riuscendoci peraltro benissimo.

    Guida regolarmente la Lambretta di suo padre anche se non ha sedici anni compiuti, entra all’ Aurora, il cinema all’ aperto, saltando il muro di cinta, entra negli stabilimenti balneari passando a nuoto dalla spiaggia libera, ostentando una sicurezza e una sfrontataggine, che invece è solo apparente.

    Questa volta, invece di tira’ le solite bombette, si ‘ompra una bella fagottata di topi matti, si buttano nel cassonetto e si fa sarta’ tutto per aria! aveva sentenziato pochi giorni prima del 31 dicembre.

    Ma se ci vedano, chiamano la Pula e ci fanno arresta’ tutti! aveva obiettato Piero.

    Figlio unico del titolare di un officina meccanica avviatissima, nato e cresciuto nella bambagia, ragazzo timidissimo, Piero come si dice a Livorno, ha paura della su’ ombra, sempre preoccupatissimo e pronto a prevedere il peggio in ogni evenienza.

    Insomma, ci state o no? Per qualsiasi cosa, la responsabilità me la prendo io. Allora su le mani chi ci sta!, aveva ribattuto con tono perentorio e convincente Nasello.

    Il suo carisma, era troppo per Piero.

    Il voto fu unanime e la maggioranza dei favorevoli all’ azione fu schiacciante.

    Cominciò l’ organizzazione della cosa: raccolta fondi, ordine del materiale, consegna in un momento successivo, per ragioni di sicurezza.

    Boga.

    Il fornitore di botti era Boga, gestore di una bancherella piazzata nel rione della Stazione.

    Il soprannome gli era stato affibbiato perché, nonostante si spacciasse per un grande pescatore, di ritorno da pesca le sue prede erano quasi sempre costituite da retini pieni di boghe, una delle razze più scadenti di tutto il panorama ittico.

    In genere vengono prima fritte e successivamente messe a macerare sotto un battuto di aglio e aceto, per dar loro un sapore che di per sé non hanno.

    Boga, oltre ad amare la pesca, era anche un appassionato di calcio, tanto che trascorreva le sue mattinate domenicali al Gymnasium, un impianto degradatissimo, con un campo di calcio, che mai aveva visto l’ erba, e negli ultimi tempi nemmeno la terra, ma solo polvere e sassi.

    Qui si svolgevano, ora nel polverone più assoluto, ora nel fango più limaccioso, a seconda della stagione, i campionati amatoriali di calcio, con partite che si susseguivano ininterrottamente, dalle 8 alle 13, fra pallonate, calcioni, svirgolate e spesso cazzottate e risse furibonde, fra giocatori, dirigenti e arbitri.

    Solo raramente coinvolgevano in questa caciara il pubblico, che andava quasi esclusivamente per divertirsi e fare due risate, alle spalle del garzone del fornaio, del calzolaio, del macellaio o di qualche altro conoscente, che aveva l’ impudenza di cimentarsi in un gioco assai lontano dal calcio vero.

    Dato che si trovava lì per hobby, gli era venuta l’ idea, per unire l’ utile al dilettevole, di dare inizio alla sua attività commerciale di ambulante, vendendo seme e noccioline americane a tutti gli spettatori di quello spettacolo indegno, ai confini della realtà.

    Il pomeriggio, quando il Livorno giocava in casa, andava allo stadio di Ardenza, dove, oltre che a vendere anche lì, seme, noccioline, ‘sciuinga’ (Chewing Gum), era divenuto famoso per le urla di incoraggiamento alla squadra, che si potevano udire da porta a porta.

    Quando poi il Livorno giocava fuori casa e veniva organizzato il treno amaranto per seguire la squadra in trasferta, lui portava in treno un sacco capientissimo di panini ripieni, una tanica di plastica da venti litri piena di vino e andava su e giù sul treno a vendere la sua mercanzia.

    Un vero imprenditore.

    Le cose erano andate così bene, che, al culmine della sua carriera di ‘chiccaio’ (Leggi venditore di dolciumi), aveva abbandonato la sua carriera di ambulante, investendo tutti i suoi averi in una bancherella, piazzata in pianta stabile nel popolare rione della Stazione.

    Come per tutti gli imprenditori che si rispettino, anche lui era entrato in rotta di collisione, per concorrenza sleale, con Oreste , che da anni la faceva da incontrastato padrone, in regime di monopolio, fra i ragazzi del rione e che giudicava l’ iniziativa di Boga inopportuna per l’ eccessiva vicinanza dei due esercizi.

    La postazione di Boga, era divenuta in breve tempo, luogo di ritrovo per i giovani del quartiere, mentre qualcuno veniva perfino da fuori, dal quartiere della Rosa, con sciami di motorini, a quel tempo non venivano ancora denominati scooter, che andavano e venivano sfrecciando anche sui marciapiedi, a forte velocità.

    In conclusione, la zona era divenuta invivibile!.

    Ma lui non se ne curava e in tono di scherno verso coloro che lo osteggiavano, quando la sera chiudeva il ‘negozio’, urlava a squarciagola : Boga leva la vela!.

    Invano diversi condomini lo avevano denunciato alla Polizia Municipale per l’ indegna gazzarra di ragazzi e ragazzacci, che la sua attività imprenditoriale, aveva attirato davanti alle loro abitazioni.

    Tutto era stato inutile, perché questo furbastro matricolato, non avendo rinunciato alla sua patente di ambulante e avendo dotato la bancarella di ruote, ogni volta che venivano i Vigili Urbani ad eseguire i controlli di legge, spostava di un metro il suo esercizio, dimostrando che il mezzo non era stanziale, e quindi non perseguibile.

    Il tutto con la rabbia degli abitanti, cui si aggiungeva quella di Oreste anche se per motivi diversi.

    Nonostante questi inconvenienti le vendite andavano a gonfie vele, non risentendo affatto di queste diatribe ed il campionario di articoli in vendita, divenne veramente notevole.

    Oltre alle seme e alla noccioline americane, veri cavalli di battaglia dell’ inizio attività, si potevano trovare caramelle di tutti i tipi, popcorn, lupini, chicchi di menta, brigidini, carrube, liquirizia in pasticche e col bastoncino, lecca-lecca e tutta una gamma di articoli tali da soddisfare tutti i gusti, a partire da quelli dei più piccoli, fino ad arrivare a quelli dei più grandi.

    C’ erano poi le leccornie stagionali: le caldarroste d’inverno, le granite d’estate.

    Se delle caldarroste non c’era niente da ridire, per le granite era diverso.

    Nonostante in quella stagione fossero le più ambite e gli avventori ne consumassero in grande quantità, l’ igiene era veramente bandita da quel luogo.

    La barra del ghiaccio veniva tenuta sul bancone coperta con una balla di iuta, sulla cui pulizia si potevano nutrire parecchi dubbi.

    Dubbi non sussistevano invece riguardo ai bicchieri rigorosamente in vetro e cucchiaini in metallo che, una volta terminata la consumazione, venivano risciacquati in una bacinella con due dita d’acqua e riproposte al cliente successivo.

    Lì si era veramente al limite del colera!

    Nonostante questo, gli avventori non se ne curavano affatto e facevano capannelli a divorarsene in quantità, seduti su nugoli di motorini, che, parcheggiati sul marciapiede, avevano il potere di fare incazzare ogni giorno di più i poveri condomini, impotenti di fronte a questa situazione.

    Ma il pezzo più forte era il commercio clandestino dei ‘botti’ per l’ultimo giorno dell’ anno.

    Lì Boga doveva essere prudente, perché i Vigili Urbani, trattandosi di merce pericolosa, prestavano parecchia attenzione alla cosa.

    Nonostante questo, i primi scoppi si cominciavano a sentire già all’ inizio del mese di Dicembre.

    Boga acquistava direttamente la merce da una fabbrica della provincia di Pisa, e la prelevava per conto proprio portandola direttamente a casa sua, una casa popolare dove viveva con la moglie e il figlio.

    Durante il giorno prendeva presso la baracchina le ordinazioni da tutti i clienti: grandi, piccoli, minorenni, padri di famiglia, nonni rimasti bimbi nello spirito, zittelle inacidite, donnaioli impenitenti.

    Portava tutte le ordinazioni a casa, preparava i pacchetti secondo le scelte fatte, e i clienti, su appuntamento, si presentavano poi a casa sua a ritirare la merce e a pagare.

    Tutto questo per non mettere a rischio sequestro la merce, cosa che sarebbe accaduta, se l’ avesse stoccata in baracchina.

    Anche se questo, di contro, avrebbe potuto costituire, un comportamento rischioso come infatti si era rivelato l’ anno precedente.

    Boga, aveva come al solito fatto incetta di ‘botti’ e aveva piazzato i contenitori sotto il letto matrimoniale.

    Mentre lui era uscito al mattino presto, non si sa come o perché, probabilmente per un caldano acceso, tenuto maldestramente a contatto del materiale infiammabile, i ‘botti’ avevano preso fuoco ed erano esplosi, appiccando oltretutto le fiamme al letto matrimoniale, dove stava dormendo la moglie di Boga.

    Costei, sorda a causa di un incidente occorsole in gioventù, non aveva sentito il rumore e si era accorta della cosa, solo quando le fiamme avevano cominciato a lambirle la camicia da notte.

    Allora era uscita dall’ appartamento e aveva chiesto aiuto ad una vicina suonando incessantemente il campanello.

    La camera era andata distrutta, la donna trasportata con gravi ustioni all’ ospedale, l’ appartamento invaso dai Vigili del Fuoco, che riuscirono, non senza fatica, a sedare alla fine l’ incendio, nonostante la presenza di quella ingente quantità di polvere pirica.

    Boga non confessò mai ai suoi clienti, le sanzioni penali e pecuniarie cui dovette andare incontro.

    Comunque l’ anno successivo, aveva continuato imperterrito il suo fiorente commercio di ‘botti’, consegnando a Nasello dieci tric-trac e venti topi matti, parte dei quali allietarono la ‘Serata del cassonetto’ del 31 Dicembre del 1963.

    Il Bar Italia.

    La mattina del primo dell’ anno, i commenti su quanto avvenuto in nottata si sprecarono, davanti al Bar Italia, il nostro punto di incontro.

    Il nome del bar richiamava a qualcuno istinti patriottici, a qualche altro l’ amore per la Nazionale di calcio.

    La realtà era invece qualcosa di diverso e di molto meno nobile.

    Italia era semplicemente il nome della suocera del proprietario del locale, Angelo.

    Siccome la povera donna si era prestata a firmare una notevole quantità di cambiali per l’ acquisto dell’ esercizio all’ unica sua figliola, Angelo per riconoscenza, l’unica cosa di cui potesse disporre in abbondanza, le aveva intitolato il bar.

    Situato sul Viale Di Vittorio, in prossimità dell’Ospedale, era stato scelto come luogo di ritrovo della compagnia, esclusivamente perché piazzato in posizione strategica rispetto alle abitazioni di tutti noi, che vivevamo nelle vicinanze a meno di 500 metri l’ uno dall’ altro.

    Per questo era la nostra base, non certo perché qualcosa ci avesse favorevolmente impressionato, anzi.

    Il Bar era frequentato in larga parte da clienti di passaggio con meta ospedale.

    Compravano qualcosa per un parente ricoverato e , con tutta probabilità, non avrebbero più messo più piede in quel locale squallido.

    Pasticceria di infima qualità, tartine e tramezzini fatti in casa, sperando che magari quella fosse pulita, bancone stracolmo di tazzine e bicchieri sporchi, camerieri con barba lunga e grembiuli che un tempo saranno stati anche bianchi, ma che ora denunciavano una resa

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